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Autore: Ms_Hellion    09/06/2021    0 recensioni
[“Ne, ne, hai sentito?”
“Sentito cosa?”
“Non hai visto la foto?”
“Quale foto?”
“Chi l’avrebbe mai detto che Orihara Izaya…”
“Orihara Izaya?”
“…che Orihara Izaya fosse gay.”]
Storiella in cui c’è una foto incriminante in giro per la Raijin, gli adorati umani di Izaya si stanno prendendo un po’ troppe libertà, e Shizuo non ha intenzione di ammettere i suoi sentimenti nemmeno sotto tortura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Izaya Orihara, Kyohei Kadota, Shinra Kishitani, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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9.


 

“Oh, andiamo. Andiamo. Perché proprio ora?!”

Crash.

Bang.

Bonk.

“Cazzo.”

Smash.

Cazzo. Dov’è?!”

Shizuo afferrò lo zaino della scuola con entrambe le mani e, senza esitare, lo ribaltò, rovesciandone i contenuti sul pavimento. La sua vittima successiva fu la coperta del letto, che fu strappata dal suo luogo naturale e gettata a terra, e quindi i cassetti, i quali vennero aperti a uno a uno e perquisiti meticolosamente, finché i vestiti piegati al loro interno non divennero un ammasso informe e Shizuo poté concludere con certezza che ciò che cercava non era lì.

Imprecò ad alta voce.

Potrò mai essere così sfortunato?

“Nii-san.”

“Hah?”

“Che cosa stai cercando?”

Kasuka lo stava osservando perplesso, appoggiato contro lo stipite della porta. O per lo meno, Shizuo supponeva che fosse perplesso.

“Il mio cellulare”, ammise. “Devo uscire di casa subito ma, ehm, credo di averlo perso.”

Si fermò a riflettere un secondo.

D’un tratto, la sua mente lo riportò al momento in cui aveva lasciato l’edificio scolastico. Stava per attraversare il cancello quando un cretino con la testa rasata e la giacca dell’uniforme sportiva gli era finito addosso. Pur di evitare di essere lanciato su Marte, il tizio si era scusato profusamente, inchinandosi più volte e aggiustandogli perfino i vestiti, nonostante quest’ultima azione fosse servita più a infastidire il biondo che altro…

Shziuo si bloccò. Sbatté le palpebre.

“Credo che me l’abbiano rubato.”

Oh, adesso sì che ricordava. Ricordava molto chiaramente come le mani di quel tipo gli avessero raddrizzato la giacca, toccandogli la tasca e…

“Lo ammazzo.”

Shizuo serrò i pugni, ed era una fortuna che non stesse tenendo nulla in mano al momento, poiché qualsiasi oggetto sarebbe stato obliterato.

Il telefono regalatogli dai suoi genitori… era stato rubato.

“Io lo faccio fuori”, giurò, assetato di sangue.

“Per favore, non farlo. Preferirei che Nii-san non finisse in galera”, disse Kasuka in tono monocorde. “Inoltre, sono certo che il telefono tornerà da te prima o poi. Capita spesso, con gli oggetti perduti.”

“Heh. Lo spero proprio”, mormorò Shizuo, forzandosi a prendere un bel respiro.

Si rimproverò mentalmente per avere minacciato di morte qualcuno di fronte a Kasuka. Era davvero un pessimo esempio come fratello maggiore, pensò con amarezza.

Forse intuendo che quella testa ricoperta di selvagge ciocche dorate stava lentamente annegando tra pensieri negativi, e impietosendosi di quel casino di suo fratello, Kasuka prese la parola.

“Dove stai andando, Nii-san?” Il moro inclinò la testa di lato. “Mi sembri più nervoso del solito. Hai un appuntamento?”

Shizuo sobbalzò, arrossendo violentemente.

“C-c-come-”

“In tal caso, ti auguro buona fortuna. Dove lo incontrerai?”

“Al nostro caffè preferito, quello doveva eravamo soliti andare da bambini”, rispose automaticamente.

Solo dopo si accorse di un dettaglio.

“Aspetta. Hai detto ‘dove lo-’” Si strozzò sulle sue stesse parole.

Kasuka sbatté le ciglia, impassibile.

“Ma certo, Nii-san. Izaya-san è un ragazzo, non è così?”

Shizuo era sicuro che gli occhi gli sarebbero caduti dalle orbite per la forza con cui li stava strabuzzando in quel momento.

“E tu come diavolo lo sai?!”

Proprio come Shinra e Kadota. Dannazione, lo avevano capito tutti prima di lui?!

Invece di rispondere, Kasuka si limitò a indirizzargli uno sguardo strano, come se fosse… esasperato. Ma no, era impossibile, si disse Shizuo. Il suo fratellino non mostrava mai emozioni; se lo doveva essere immaginato.

“Nii-san, pensavo che fossi di fretta.”

“Eh?”

Shizuo gettò un’occhiata all’orologio a muro. E impallidì.

Ancora una volta, si ritrovò a imprecare.

Sarebbe arrivato in ritardo. Questo, nonostante avesse comandato a Izaya di presentarsi in tempo. E non aveva nemmeno avuto il tempo di farsi la doccia o scegliere dei vestiti decenti!

A tempo di record, sostituì i pantaloni azzurri dell’uniforme con un paio di morbidi pantaloni beige e, tirato fuori dall’armadio un giubbotto mimetico, ovvero il primo che gli capitò tra le mani, lo indossò sopra alla camicia bianca. Si passò nervosamente le dita tra i capelli un paio di volte, ma quando finì soltanto per aggrovigliarli ancora di più, rinunciò con un ringhio frustrato.

Corse in bagno e, dopo aver fatto i gargarismi con il collutorio per mezzo minuto, si dichiarò pronto.

Ehm. Ora il suo alito profumava di menta, e la sua bocca era pulita per… qualsiasi evenienza. Non che si aspettasse di fare niente con la sua bocca! Non stava assolutamente sperando di poter baciare di nuovo Izaya, o cose del genere! Cioè…

Scrollò con forza il capo per scacciare i pensieri che lo distraevano.

“Io vado”, annunciò, sfrecciando verso l’uscita, fermandosi giusto per il tempo necessario ad assestare una pacca quanto più delicata possibile sulla spalla del fratello – riuscendo comunque a fargli perdere l’equilibrio. “Ops, scusa.”

“Nii-san…”

“Ci vediamo tra un’oretta o due. Fa’ sapere a mamma e papà che sarò a casa in tempo per la cena!”

E con quest’ultima raccomandazione, Shizuo si sbatté la porta di casa alle spalle.

Aveva all’incirca venti minuti per attraversare l’intera Ikebukuro.

Venti minuti per maledirsi di avere scelto un posto così distante.

Venti minuti per correre per la strada, con il vento che gli frustrava la faccia e infieriva come cesoie sulla sua pelle. Per prendere la metro, infilandosi in un vagone già stipato al massimo della sua capienza. Per uscire dal treno e percorrere in tutta fretta il dedalo di strade che conduceva al caffè.

Venti, dieci, cinque…

Finché finalmente non fece il suo ingresso nel locale, spalancando la porta con tanta veemenza che per poco quella non si staccò dai cardini. Si piegò sulle ginocchia, ansimante, ignorando le occhiate un po’ spaventate degli altri clienti alla sua brusca irruzione.

Non appena ebbe ripreso fiato, si raddrizzò. Scandagliò l’ambiente ristretto in cerca della sagoma familiare, facendo scivolare gli occhi da persona a persona, da faccia in faccia, a partire dai tavoli più vicini, fino a quelli premuti negli angoli più riservati.

Fino a quando, dopo che ebbe analizzato ogni singolo anfratto del locale, si ritrovò al punto di partenza.

Non è qui, realizzò.

Che fosse in ritardo? Oppure…

Oppure ha deciso di non farsi vivo.

Sentì il proprio cuore stringersi dolorosamente al pensiero. Scelse di ignorarne la ragione, e quasi tirò un sospiro di sollievo come l’ansia improvvisa fu affiancata da un più familiare sentimento di irritazione.

“Signore, desidera sedersi?”, gli domandò una cameriera, alla quale il biondo rispose negativamente con un singolo gesto del capo prima di dirigersi fuori dal caffè, spalle rigide e cipiglio cupo sul volto.

Una volta in strada, si appoggiò contro il muro esterno dell’edificio, frugandosi le tasche in cerca del pacchetto di American Spirit e del freddo metallo dell’accendino. Facendo il primo tiro con le labbra avvolte attorno alla forma allungata e sottile, Shizuo accolse con gratitudine la sensazione ruvida e calda da cui la sua gola venne invasa, trattenendo il fumo nei polmoni per alcuni secondi prima di rilasciarlo nell’aria invernale.

Sarà meglio che quella stupida pulce si presenti prima che io sia arrivato in fondo alla sigaretta, si disse. Si rifiutava di restare fuori al freddo ad attendere il bastardo più di quanto fosse assolutamente necessario.

Nella sua mente lampeggiò l’immagine del corvino, spaparanzato sul letto nella sua stanza, vestito con gli stessi abiti resi fradici e aderenti dalla pioggia che portava quel giorno in cui Shizuo si era offerto di accompagnarlo a casa, il giorno in cui Izaya gli aveva concesso l’accesso alla sua dimora, alla sua vita privata, rivelatasi tristemente buia e fredda.

Quel giorno, Izaya si era accostato a lui, e il respiro del corvino aveva sfiorato le labbra di Shizuo, mozzandogli il suo…

Nella sua immaginazione, però, Izaya non era sul punto di baciarlo. No – stava ridendo di lui, il suo nemico idiota che come un fesso si era lasciato fregare da un sorriso un po’ meno affilato del solito, dal calore di labbra morbide contro le sue.

Con un sospiro, gettò il mozzicone a terra e lo spense con la suola della scarpa.

Ah, realizzò di colpo. La sigaretta è finita.

Rimase paralizzato sul posto per un momento, considerando le sue opzioni.

Sarebbe stato il caso di andarsene?

…No. Era ancora presto, giusto? Con tutta probabilità, la pulce era sul punto di arrivare. Magari gli aveva pure mandato un messaggio per avvertirlo del ritardo, ma grazie a quel ladro di merda, Shizuo non aveva modo di saperlo.

Un’altra sigaretta, pensò. Solo un’altra sigaretta e poi…

E poi cosa?

“Nii-san.”

Shizuo roteò immediatamente su se stesso – e lì era, il suo fratellino, calmo e imperturbato come sempre nonostante i tre giacconi in cui era avvolto, il naso rosso e gocciolante e il respiro affannoso, come se avesse appena corso per arrivare lì.

Ma è ridicolo. Kasuka non corre.

“Kasuka”, constatò, confuso. “Che cosa ci fai qui?”

Non dovrebbe essere a casa?, si domandò, ma Kasuka fu rapido ad interrompere il filo dei suoi pensieri.

“Izaya-san non verrà.”

Il cuore di Shizuo mancò un battito. “C-cosa… cosa vuol dire? In che senso non verrà? Perché no? Tu come lo sai? Kasuka, sai per caso dov’è?”

Le domande uscirono a raffica dalle sue labbra, solo parzialmente collegate al suo cervello mentre quello girava a vuoto, tentando di elaborare le parole di Kasuka.

Quest’ultimo non si scompose.

“Izaya-san non è qui”, spiegò, “perché è convinto che tu gli abbia chiesto di cambiare il luogo in cui vi sareste incontrati.”

“Hah?! Ma se io non ho nemmeno-”

Shizuo si bloccò. Sentì la bocca seccarsi, e il suo pomo d’Adamo sobbalzò come il ragazzo deglutì a vuoto.

Io non ho… il mio cellulare.

E ora che ci pensava…

Chi cazzo ce l’ha, allora?

“Kasuka, dov’è Izaya?”

Kasuka fissò i suoi occhi scuri e impenetrabili in quelli ben più espressivi del biondo, silenzioso e inamovibile, quasi studiandolo. Sebbene dall’esterno apparisse interamente neutrale, qualcosa in lui tradiva una vaga curiosità, il genere di sorpreso interesse di quando scopri che il tuo vecchio cane ha imparato un nuovo trucco. Poi, appena prima che Shizuo potesse esaurire la pazienza già resa scarsa dall’ansia che torceva le sue budella, quella specie di esame giunse al termine, e il ragazzo moro aprì bocca.

Shizuo sobbalzò.

“Cos- lì?! Quel posto è un puro immondezzaio! Buono soltanto per gangster e feccia del pianeta! Crede sul serio che io l’abbia invitato ad andare ?”

Kasuka assentì.

Razza di idiota!

“Quindi… lui mi sta aspettando, in questo momento?”

Un altro cenno d’assenso.

Shizuo si scombinò i capelli, agitato e tutto d’un tratto incapace di restare fermo. “Non capisco… chi diavolo gli direbbe di andare fin lì?”, borbottò tra sé. “Non c’è nessuno da quelle parti eccetto luridi teppisti e topi di foglia – letteralmente e non. È il posto ideale per ammazzare qualcuno, magari… Il posto ideale per gentaglia losca come la pulce, ora che ci penso. Ma di sicuro non è-”

Il biondo si arrestò bruscamente, avvertendo un’improvvisa morsa di ghiaccio serrare le sue budella.

Prima ancora di aver capito, era certo che qualcosa non andasse.

E poi, l’ultimo ingranaggio scattò nella sua mente, ed evidenziò il significato delle sue stesse parole.

Shizuo indietreggiò di un passo.

“Devo andare”, mormorò, facendo un ulteriore passo indietro.

E poi un altro. E un altro ancora. E un altro, e un altro, e un altro, finché il suo intero corpo non si tese, finché i suoi muscoli non ebbero preso a fremere sotto alla pelle, preparandosi allo scatto, e tuttavia imbrigliati da una forza invisibile.

Uno dopo l’altro, i vincoli incorporei si assottigliarono, spezzandosi infine come corde di un violino sotto lo sguardo diretto di Kasuka.

“Corri”, gli disse il moro semplicemente.

E Shizuo corse.


 

. . .


 

Al suo arrivo, la porta del capannone era sprangata – ma non per molto.

Quando il suo primo, civile tentativo di aprirla fallì, la reazione iniziale di Shizuo fu quella di guardarsi attorno, chiedendosi se per caso la porta non fosse stata chiusa a chiave dal principio, se Izaya non fosse lì da qualche parte, fuori dal capannone, ad attenderlo con quelle sue labbra rosee imbronciate, il respiro interrotto da sospiri annoiati, un piede occupato a battere contro il suolo, impaziente, magari, di ritornare da dove era venuto.

I suoi dubbi furono rapidamente dissipati, però, quando lo sentì.

Un coro di voci, proveniente da oltre le pareti di metallo sottile.

Grasse risate.

Una sorta di tonfo, come un impatto.

Un gemito di dolore.

Un gemito molto familiare. L’intero corpo di Shizuo parve andare a fuoco al mero suono di quella voce.

Izaya…

Un altro tonfo.

Izaya!

Un altro lamento.

E poi, simile al rimbombo di un’esplosione – il suono prodotto dalla porta come questa volò dai cardini sotto la forza del calcio di Shizuo.

Il biondo marciò dritto nell’ambiente semi-buio, assorbendo in un istante la scena che gli si parò davanti.

Una banda di ragazzi, suppergiù una decina, molti con nuca rasata e giacca sportiva, altri abbigliati con normali uniformi. La maggior parte di loro frequentavano la Raijin – e se le loro divise non avessero già testimoniato tale fatto, ci avrebbe pensato il puro orrore sui loro visi come riconobbero l’inconfondibile sagoma del mostro biondo.

Tutti loro circondavano una sorta di fagotto raggomitolato al suolo.

Un fagotto con capelli d’ebano e un cappotto orlato di pelliccia, che ansimava e si dibatteva mentre veniva trattenuto contro la sua volontà, le mani forzate dietro la schiena, la faccia premuta contro il pavimento lurido.

La furia si diffuse come gasolio nelle vene di Shizuo, spessa e cupa, velenosa e intollerabile. Ma la promessa di violenza non divenne realtà fino a che gli occhi color caffè non si posarono sullo scintillio di una lama tenuta in mano da uno degli aggressori.

“Oi…”, mormorò con voce piatta, la postura casuale e quasi rilassata, manifestazione della calma perfetta prima della tempesta. Prima dell’incendio.

Che prontamente esplose come la miccia cadde dritta in un mare di gasolio.

“OI… COSA CAZZO STA SUCCEDENDO QUI?!”

Shizuo ruggì la domanda – ma la possibilità di sprecare tempo ed energie per ottenere una risposta non lo sfiorò neanche.

Ben più rapidamente di quanto gli avversari fossero in grado di processare ciò che stava accadendo, il biondo attraversò la distanza che li separava, e il primo pugno volò con naturalezza, atterrando dritto sulla mascella di una sorta di uomo-armadio che torreggiava persino su di lui, stendendolo sul colpo.

Nel momento in cui il ragazzo atterrò duramente al suolo, fu come se una scarica elettrica avesse attraversato i suoi compagni – forse oltraggio, oppure consapevolezza della propria impendente fine; in un caso o nell’altro, questi parvero rendersi improvvisamente conto di quanto stava succedendo, e con un grido belluino caricarono in massa il loro avversario.

Shizuo cessò di ragionare. La sua mente venne invasa da un ronzio, le sue orecchie riempite dal pulsare del suo stesso sangue, e il biondo si lasciò andare a una familiare danza, trasformando il proprio corpo nell’occhio di un vortice di distruzione. Sentì colpi abbattersi contro di lui, fu persino pronto a giurare che il bastardo con la lama lo avesse accoltellato, ma nulla di tutto ciò ebbe alcun effetto, oltre a quello di aumentare la sua furia. L’immagine della pulce, a terra, con la faccia gonfia di botte, era impressa nelle sue retine, e non credeva che sarebbe riuscito ad estirparla se prima non avesse ridotto nella stessa condizione ciascuno di quei vigliacchi.

Come osano toccarlo, come osano toccarlo, come osano toccarlo, risuonò come un mantra nella sua mente.

Nemico, amico, interesse romantico, non importava – Izaya era suo.

Shizuo si sarebbe assicurato di imprimere il concetto in ognuna di quelle teste vuote, a costo di dover strappar loro le ossa, torcerle e poi porle l’una accanto all’altra per comporre il messaggio.

La maggior parte di loro, però, parve comprenderlo abbastanza in fretta per conto proprio, e quando Shizuo si fermò per tirare il fiato, i suoi avversari si erano dimezzati di numero; approfittando della tregua, altri tre fecero del loro meglio per sparire al seguito dei loro compagni, zoppicando fuori dal capannone alla massima velocità consentita dalle loro membra doloranti, gridando scuse e suppliche di perdono, senza tuttavia trattenersi abbastanza a lungo da ricevere una risposta.

Alla fine, il numero degli avversari rimasti nel capannone precipitò a quattro. Quanto al numero degli avversari ancora in grado di combattere, invece…

Shizuo si gettò un’occhiata intorno e stimò che con tutta probabilità non avrebbe più avuto grane, almeno per quel giorno.

Ignorò i corpi raggomitolati al suolo tanto quanto i guaiti di dolore provenienti da essi. Adesso che gli avversari erano sconfitti, il suo interesse nei loro confronti era tanto scarso quanto lo era quando era giunto sul posto.

Infatti, nell’intero quartiere c’era solamente una persona di cui gli importasse.

“Giusto in tempo, Shizu-chan. Ancora un po’ e – ahi – non avrei potuto perdonarti per essere ar- ngh- arrivato tardi.”

Lentamente, a fatica, Izaya si era sollevato dal punto in cui giaceva rannicchiato sul pavimento, per reggersi in piedi su gambe incerte e barcollanti, il respiro corto e una mano posata sullo stomaco dove doveva aver ricevuto un colpo particolarmente brutale, dando l’impressione di essere in procinto di crollare da un momento all’altro. E così fece un secondo dopo – eccetto che non toccò mai il pavimento, perché Shizuo scattò subito per agguantarlo al volo.

Strinse un gomito delicato con forza attentamente calibrata, mentre con il braccio opposto circondò la vita dell’altro, attirandolo contro di sé per stabilizzarlo e sostenerlo con il suo stesso corpo.

“Merda, Izaya, stai bene?”, chiese, soltanto per darsi dell’idiota. La sola faccia del corvino era un mosaico di lividi e sangue, e poteva immaginare che il resto di lui non fosse in condizioni migliori. Ma Izaya gli offrì comunque un sorriso, e il biondo provò sollievo nel riscontrare una nota tagliente nella piega delle sue labbra.

Se Izaya riusciva ancora a comportarsi da pulce irritante e malefica, probabilmente stava bene.

“Una favola”, rispose infatti, la voce leggera nonostante il suo respiro fosse ancora un po’ difficoltoso. “Mai quanto i nostri amici qui presenti, però. Per una volta sono lieto che tu sia una bestia, Shizu-chan.”

Shizuo esaminò rapidamente con lo sguardo le forme accasciate a terra, piene di lividi e, verosimilmente, ossa rotte. Uno in particolare si lamentava con voce insopportabilmente stridula, dita ad artiglio strette attorno alla propria gamba; al contrario, un altro versava lacrime silenziose da occhi sovrastati da due impressionanti sopracciglia, contratte per il dolore; il terzo, il ragazzo-armadio che aveva atterrato per primo, era ancora lì, incosciente, dove lo aveva lasciato; e il quarto…

“Tu!”, sputò furioso.

Shizuo avrebbe riconosciuto quel bastardo ovunque. Sentiva ancora quelle manacce su di sé mentre gli frugavano le tasche.

“Tu, ladro!”

E non solo quello – Shizuo si accorse finalmente che di fatto, il ragazzo gli risultava molto familiare. Subito ricordò il perché. Era uno dei bulli schifosi che avevano tormentato Izaya quel giorno a pranzo, e a dire il vero, il biondo era pronto a scommettere di averlo visto in giro per la scuola in altre occasioni, sempre circondato da una banda di imbecilli dello stesso stampo e, nelle ultime settimane, spesso impegnato a indirizzare gesti e battute volgari alla pulce.

Se Izaya non si fosse trovato tra le sue braccia, appoggiato contro il suo petto, contando su di lui per mantenere l’equilibrio, Shizuo si sarebbe scagliato su quel verme per assicurarsi che il suo viaggio già garantito all’ospedale fosse rimpiazzato con uno all’obitorio.

Quello tossì, e un rivoletto roseo colò dal lato della bocca. Tentò di rimettersi in piedi, riuscendo a malapena a rotolare sulle ginocchia prima di rinunciare, e dalla sua posizione prostrata sollevò occhi pieni di disprezzo in direzione del corvino.

“Orihara”, sputo come se fosse una maledizione. “Non finisce qui.”

La tempia di Shizuo pulsò. “FINISCE QUI ECCOME-”

Serrò la mascella così rapidamente da far schioccare i denti quando Izaya gli coprì la bocca con una mano, che poi subito scivolò sul suo braccio, leggera e volta a offrire un gesto di rassicurazione.

Me la sbrigo io, comunicò silenziosamente il corvino.

La gola di Shizuo vibrò in un ringhio. Tuttavia, il biondo non disse altro, in un altrettanto silente ma inconfondibile assenso. La pulce incurvò gli angoli delle labbra all’insù in una piccola espressione di apprezzamento per la sua decisione, quindi la sua attenzione scivolò sul ragazzo a terra, e il suo sorriso assunse una nota infantile, quasi di curiosa innocenza.

“Hai ragione, Shimoda-kun! Sarebbe ingiusto se la finissimo qui, dico bene? Dopotutto, finora gli unici a essersi divertiti siete stati voi. E io – neanche un po’! Davvero scortese da parte vostra… non credi anche tu, Shi~mo~da~kun~?” Izaya inclinò giocosamente la testa di lato e continuò con lo stesso tono cantilenante: “Ma niente paura, niente paura~! Ci arriveremo presto.”

“Che cazzo vai blaterando adesso con quella tua bocca velenosa?”, fece Shimoda ostile.

Izaya strizzò il braccio di Shizuo per un momento, quindi lasciò il fianco del biondo per allontanarsi di qualche passo, zoppicando fino al punto in cui sul pavimento brillava una singola scintilla argentea. Si chinò a fatica, e quando si raddrizzò, il coltello serramanico era stretto nella sua presa.

Il sorriso che rivolse a Shimoda era tagliente tanto quanto il bordo della lama sporca di sangue.

“Oh, non temere, capirai presto. Intanto, potremmo iniziare facendo un passo indietro, sì? Indietro, fino all’inizio di questa pagliacciata, fino al momento in cui mi hai oh-così-gentilmente informato che la mia scappatella a Ni-chome era diventata di dominio pubblico.”

Izaya rise, ed era una risata secca, acuta, senza un briciolo di ilarità.

“Che giornata è stata! Il mio unico rimpianto è di non aver avuto uno specchio – posso solamente immaginare quanto sia stata deliziosa la mia reazione! Ne, ne, te la sei goduta, Shimoda-kun? Ti è piaciuto, osservare il mio assoluto sgomento? Ti ha fatto sentire potente? Trionfante? Cos’hai provato? So che a me avrebbe fatto impazzire”, ridacchiò.

“Bastardo malato”, imprecò Shimoda sottovoce, disgustato.

“Mmh… Sai, Shimoda-kun, non sono sicuro che tu abbia il diritto di darmi del bastardo né tanto meno del malato dopo ciò che hai tentato di fare. Oppure dovrei rinfrescarti la memoria?”, domandò Izaya. Il suo tono leggero non nascose la minaccia, né celò una sorprendente nota rabbiosa.

Shizuo aggrottò le sopracciglia, confuso.

Di cosa sta parlando? Rinfrescargli la memoria su che cosa?

Si incupì visibilmente.

Se quel figlio di puttana gli ha fatto qualcos’altro, io giuro-

“N-no”, balbettò Shimoda con un’occhiata ansiosa al biondo.

“Lieto che possiamo finalmente dirci d’accordo!”, esclamò Izaya, battendo le mani con entusiasmo. “In tal caso, perché non torniamo indietro ancora un po’? Torniamo a quella fredda serata novembrina a Ni-chome, in un locale gay, dove il nostro protagonista, l’unico e il solo Orihara Izaya, si stava godendo appieno gli anni migliori della sua vita in compagnia di un certo Kota-chan…” – Shizuo grugnì scontento – “…del tutto ignaro del fatto di essere spiato! Be’, non che importi, a questo punto della storia.”

Izaya allargò le braccia e sospirò drammaticamente.

“Ma, ahimè! Kota-chan non era proprio il principe azzurro dei miei sogni. Neanche un po’, mi rammarica informarvi. Vi risparmierò i dettagli, ma-”

“Arriva al punto”, borbottò Shizuo, la cui irritazione aumentava a ogni ripetizione di quel nome.

Izaya ghignò, affilato e crudele.

“Be’… Kota-chan aveva bisogno di una bella lezione. E indovina un po’ – a ispirarmi sei stato tu, Shimoda-kun! Esatto, proprio tu!”, cinguettò. “Già, perché quale modo migliore di vendicarsi, se non rendendo pubblico un segreto che uno desidera tanto nascondere?

“Vedi, Shimoda-kun… io non avevo complici all’interno del locale, quella sera; quanto a me personalmente, ero piuttosto impegnato in altre attività, se capisci cosa intendo. Perciò, niente foto segrete da usare contro di lui!” Izaya esalò un sospiro profondo, abbassando il capo con aria mesta.

Quando, subito dopo, lo risollevò, i suoi occhi scintillavano come i fuochi dell’inferno.

“È davvero una fortuna dunque, che io sia stato in grado di hackerare le telecamere di sicurezza.”

Lenta, ineluttabile, la comprensione si disegnò come una maschera tragicomica sui tratti del ragazzo inginocchiato a terra.

Shizuo non capiva a cosa Izaya si stesse riferendo – ma non ve n’era bisogno. Shimoda capiva eccome, e se la sua espressione era un valido indizio, il corvino non stava soltanto condividendo una storiella sulle sue malefatte.

Con voce vellutata e morbida come la seta, Izaya continuò.

“Immagina la mia sorpresa quando ho individuato tra la folla un volto familiare. Immagina lo stupore quando, facendo due più due, ho compreso esattamente come quella foto fosse arrivata in mano all’intero corpo scolastico della Raijin.

“Ne, Shimoda-kun… Che cosa stavi facendo tu in quel locale?”

Tre teste si girarono in direzione di Shimoda, il quale aveva assunto un colorito cinereo.

“No-non è come pensate”, saltò su, inciampando con la lingua sulle parole. “Stavo solo- stavo seguendo lui! Non sono-”

“Qualsiasi cosa tu stia per dire, ti informo che ho in mio possesso un repertorio fotografico talmente vasto da aprirci una galleria d’arte che prova che stai mentendo”, lo interruppe Izaya glaciale. “Ora, non fraintendere; a parte per il mio interesse nei riguardi del comportamento umano in generale, non potrebbe fregarmene di meno di chi ti fai a Ni-chome. D’altro canto”, continuò, “so per certo che la città straborda di umani che non vedono l’ora di esprimere il loro parere sulle tue abitudini sessuali…”

“D’accordo, ho capito! Ho capito!”

Shizuo era impressionato. Impressionato, inquietato, vagamente disgustato e – cazzo, perfino eccitato.

La pulce aveva espresso il desiderio di occuparsi della situazione di persona, e oh, se ne stava occupando eccome. Freddo e tagliente, minaccioso e intoccabile, contraddistinto da un corpo pallido su cui risplendeva un bagliore rosso – se non fosse stato per il fatto che uno era un umano e l’altro un oggetto inanimato, Shizuo avrebbe potuto pensare che non c’era poi una grande differenza tra Izaya e il suo amato coltello.

Il bastardo stava facendo quello che sapeva fare meglio, entrando nella testa di quell’umano, minacciandolo, giocando con lui come un gatto con il topo, come una lama che graffia appena la sua vittima, promettendo un morso ben più profondo.

Era la ragione per cui Shizuo lo aveva detestato per anni. Era la ragione per cui quello strano ragazzo dai modi arroganti lo aveva ipnotizzato fin dall’istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lui, per poi rifiutarsi di abbandonare la sua mente, nemmeno per un giorno. Nemmeno per un’ora.

Era straordinariamente terrificante.

Era straordinario.

Shimoda era sul punto di cedere, Shizuo lo sapeva.

Ora che Izaya aveva individuato il suo punto debole, il gioco era già stato vinto.

E infatti…

“Che cosa vuoi?”, mormorò Shimoda riluttante.

“Eh?” Izaya si prese il mento tra l’indice e il pollice, inclinando il capo di lato nella perfetta imitazione di uno stato di confusione. “Che cosa intenderà mai Shimoda-kun, mi chiedo?”

Shimoda trasse un respiro attraverso denti serrati. “Per stare zitto”, chiarì. “Cosa vuoi? Soldi? Vendetta per le botte?”

Il corvino scoppiò a ridere.

“Ah, no, no, niente affatto! Non preoccuparti, non voglio nulla da te… per ora. Domani… chissà? Oh, prevedo che ci divertiremo un sacco insieme~!”

Non preoccuparti, disse Izaya, ma le sue parole ebbero esattamente l’effetto opposto, e Shimoda parve sul punto di darsela a gambe, o urlargli contro, o attaccarlo.

Eppure, non fece nulla. Non poteva.

Non avrebbe più potuto fare nulla contro il corvino.

Era quello, alla fine, il gioco di Izaya.

Shizuo decise che la pulce se l’era spassata abbastanza per quella giornata.

“Oi, voi quattro, filatevela da qui”, disse aspramente. Nemmeno la consapevolezza che Shimoda era stato non solo ferito dallo scontro, ma in aggiunta anche ricattato e terrorizzato, gli impedì di marciare in avanti e assestare un ‘calcetto leggero’ al ragazzo, strappandogli un lamento. “Fuori!”

“Fuori” ripeté, accostandosi al ragazzo-armadio che ancora giaceva incosciente per svegliarlo a suon di calci. “Sciò! E ringraziate che non vi spezzi il collo per avermi rovinato l’appuntamento!”

Era pronto a trascinarli per i capelli se fosse servito; per fortuna, i bulletti reagirono alla svelta, tirandosi in piedi in qualche modo e supportandosi l’un l’altro nel trascinarsi fuori dal capannone in tutta fretta.

La porta si richiuse con un tonfo alle loro spalle, sigillando il confine di un ambiente ora silenzioso, immobile, un angolo segreto di mondo che era stato momentaneamente donato ai due ragazzi scarmigliati e acciaccati a causa della rissa appena avvenuta.

“Ne, eri così impaziente di avermi tutto per te, Shizu-chan?”

Il biondo distolse l’attenzione dalla porta chiusa, concentrandosi sul motivo per cui si trovava lì in primo luogo, l’unico che avrebbe potuto trascinarlo in un posto simile e costringerlo a combattere per lui al primo appuntamento, sebbene Shizuo non avesse desiderato altro che una cioccolata calda, la possibilità di conoscersi meglio e, magari, un bacio o due.

Rivolse lo sguardo a Izaya, e il suo cuore si fermò per un istante.

Nello splendore tenue dell’ultima luce, i lividi e il gonfiore sul viso del corvino sembravano scomparire, lasciando dietro di sé nulla di più, e nulla di meno, che diafana perfezione. Similmente, il pesante cappotto orlato di pelliccia parve sfuocarsi e sfarfallare, mutandosi in un mantello regale, o forse ali di corvo, per coronare la grazia di quella figura quasi aliena.

O forse, considerò, era la vista del suo sorriso sincero a cancellare tutto il resto, mozzandogli il fiato.

Ah, cazzo. Sono fottuto.

E poi, il sorriso di Izaya s’infranse – interrotto da un colpo di tosse che portò il corvino a serrare la presa sulla maglia all’altezza dello stomaco, come un lampo di dolore attraversò il suo volto.

Shizuo si mosse per afferragli le spalle con gentilezza, offrendo un supporto silenzioso finché il violento attacco di tosse non si quietò e Izaya riuscì a trarre un respiro profondo, appena rauco.

“Stupida pulce”, mormorò quando il corvino si raddrizzò di nuovo. Delicatamente, passò la manica sul mento e sulla bocca dell’altro, ripulendo gli schizzi di saliva. “Guarda come sei ridotto”, borbottò, scontento. “Smettila di cacciarti nei guai, Izaya-kuuun.”

“Non posso farne a meno. Il mio fascino è talmente irresistibile che nemmeno i guai riescono a starmi lontano”, dichiarò il corvino, strappando uno sbuffo al biondo.

Shizuo prese a rimuovere il sangue da sotto il naso del pidocchio. Tamponò con grande attenzione, calibrando la forza dietro a ogni tocco, e tuttavia finì comunque per sfiorare accidentalmente il naso gonfio dell’altro, il quale produsse una sorta di guaito.

La rabbia attraversò il ragazzo biondo come una corrente torbida, affatto rivolta verso Izaya, ma viva e presente ciò nonostante.

Tutto d’un tratto rimpiangeva di aver consentito a quelle carogne di cavarsela con così poco.

“Tch. Ti fa molto male?”

Una scrollata di spalle. “È sopportabile.” Una pausa di riflessione. “Credi sia rotto?”

“Mmh…”

Shizuo prese il viso di Izaya tra le mani, carezzando appena la pelle liscia sotto le sue dita callose. Strizzò gli occhi, esaminando nella semi-oscurità la forma del naso del corvino, appellandosi ad anni di esperienza con ossa rotte. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo quando, oltre al gonfiore, non gli parve di notare alcuna stortura sospetta.

Ciò che notò, invece, e che notò molto in fretta, fu quanto fossero vicini i loro volti. Il suo sguardo cadde dritto sulla bocca di Izaya con la velocità con cui un folle cade in un abisso, convinto di poter volare.

Izaya si umettò le labbra come indovinò i suoi pensieri, facendole scintillare di saliva in aggiunta al sangue che ancora le bagnava.

Shizuo trattenne il fiato nel sentire le braccia esili di Izaya serrarsi attorno alle sue spalle, nell’avvertire il modo in cui il peso del corvino si spostò in avanti, finché, con un piccolo scatto finale, questi non fece combaciare le loro bocche.

Era soffice.

Era intenso.

Era perfetto.

Shizuo avrebbe voluto approfondire il bacio per sperimentare la sensazione della lingua del corvino contro la sua, il loro fiato e la loro saliva che si mischiavano insieme, spinto da un ardore e da una confidenza di cui non sapeva di essere provvisto.

Poi però Izaya si ritrasse, lasciandolo con un sapore di sangue sulle labbra e una matassa di pensieri confusi.

“Il naso?”

“…mmh?”

Shizuo impiegò un istante a comprendere a cosa si riferisse l’altro.

“Ah, giusto. Ehm.” Si schiarì la gola. “Non credo sia rotto. Dovresti farti vedere da un dottore, però. Un dottore vero”, specificò, “non quella peste occhialuta.”

“E privare Shinra del piacere di giocare all’Allegro Chirurgo con la mia faccia?” Il corvino si portò una mano al petto, fingendo shock. “Mai.”

Shizuo roteò gli occhi. “Idiota.”

“Disse il protozoo.”

“Ugh, sei impossibile”, grugnì il biondo senza vera ostilità. Rivolse la schiena alla pulce e piegò le gambe così da portarsi all’altezza dell’altro. “Sali su.”

Izaya sghignazzò, cogliendo al volo l’occasione di punzecchiarlo, chiamandolo mamma chioccia, protozoo, fidanzatino premuroso, protozoo, al che Shizuo reagì con irritazione e minacce di tortura, di morte o peggio – di prenderlo in braccio a mo’ di principessa e attraversare Ikebukuro così.

La pulce fu costretta a cedere suo malgrado, e presto Shizuo si trovò a reggere quella figura leggera e spigolosa sulla propria schiena, un po’ seccato alla sensazione di gomiti ossuti conficcati nelle sue spalle, ma tutto sommato soddisfatto alla consapevolezza che così facendo l’idiota non avrebbe sforzato il suo corpo malconcio.

Se proprio voleva andare a fare da cavia a quello scienziato pazzo, tanto valeva iniziare a limitare i danni.

Aveva appena fatto qualche passo in avanti, però, che la sensazione di un oggetto duro e compatto sotto la suola della scarpa lo portò a fermarsi. Abbassò lo sguardo, e la sua bocca si socchiuse in un’espressione di sorpresa.

“Trovato qualcosa, Shizu-chan?”

“Puoi scommetterci!”

Shizuo si affrettò a recuperare il telefono da terra, per poi subito intascarlo. Doveva essere caduto durante la commozione, a cui era in qualche modo sopravvissuto.

Assestò un colpetto affezionato alla tasca contenente il Nokia.

Kasuka aveva ragione. Talvolta, le cose perse ritornano per davvero.

E talvolta – pensò Shizuo mentre, con Izaya in spalla, si dirigeva fuori dal capannone e verso il tramonto – si ottiene qualcosa che non si era mai sperato di avere.


 

 

   
 
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