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Autore: AlnyFMillen    10/06/2021    0 recensioni
"Sta tranquilla, Ladybug. Va tutto bene. I miei occhi sono sempre rimasti chiusi, non ho visto nulla"
Desiderava più di qualunque altra cosa sapere chi in realtà si celasse dietro la maschera a pois neri che tanto lo aveva conquistato, credeva fosse quello lo scopo più grande cui bramava. Eppure solo ora... Solo ora capiva quanto si stesse sbagliando.
"Non sei pronta e va bene. Sono qui, ci sarò sempre: quando e se mi vorrai, resterò al tuo fianco"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quanto di più giusto

[Adrien ]

 

 

 

 

Nel silenzio, un sospiro.

«Si riprenderà, non è vero?»

Se lo figurava, il vecchietto, con gli angoli degli occhi tutti raggrinziti e un mezzo sorriso sulle labbra.

«Il ragazzo non corre alcun pericolo. Ha bisogno solo di un po' di riposo e... beh, di qualcuno che possa accudirlo come di dovere. Tuttavia, mi sembra che fin ora tu abbia adempiuto adeguatamente al compito: saprete prendervi cura l'uno dell'altra».

Tra i mormorii incomprensibili, uno con un certo peso: «Lo vorrei, maestro, lo vorrei davvero».

«Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità. Si può perdonare se stessi, mia cara. Tanto più se ciò è utile a riparare il torto compiuto nei confronti di chi si ama».

Occhi bassi. Pugni stretti. Il cigolio di una porta.

Adrien serrò le palpebre di scatto, privandosi ancora una volta della vista. Non che l'abitacolo in cui si trovata fosse così interessante: solo qualche tappetino di juta steso sul pavimento, un paio di mobiletti addossati alle pareti e resti di garze sporche nel cestino lontano pochi metri da lui. Eppure aveva trovato una sorta di soave rassicurazione, nonostante lo sguardo appannato e stanco, a verificare quanto effettivamente potesse essere utile tornare a distinguere, pur nella penombra, gli oggetti nel mondo circostante. Anche solo per rimettere in ordine i propri pensieri.

Piegò l'avambraccio e lo portò a coprirgli il viso, nel momento in cui percepì i fruscii alla sua destra farsi più presenti, reali. Un ultimo quanto debole tentativo di rimandare quel che sarebbe venuto per certo.

Sapeva che lei era lì, subito vicino all'uscio. Non lo guardava, probabilmente, neanche per sbaglio.

Riusciva a percepire tutta l'ansia, la paura. Ladybug non aveva semplicemente timore di quell'ormai inevitabile rivelazione, ne era terrorizzata. Lo sapeva, l'aveva capito, visto qualcosa al di là della maschera. Metaforicamente, s'intende: dopotutto, era ancora perlopiù cieco.
La sentì muovere un passo nella sua direzione, poi un altro. Ponderava attentamente l'appoggio dei piedi nudi sul parquet.

In un certo senso poteva ben comprenderla: stava accadendo tutto molto in fretta, forse troppo freneticamente. Lui era certo dei propri sentimenti da sempre – costituivano forse una delle poche certezze della sua vita –, ma doveva ammettere che il bisogno di qualche momento per riflettere s'era manifestato. Sentiva la necessità di realizzare, ecco.

Erano alla resa dei conti. Tuttavia, ancora non aveva avuto l'ardire di rendere quella stessa affermazione un pensiero coerente, qualcosa più di una massa informe all'interno del suo subconscio. Così facendo, la piccola fiamma di speranza che ancora albergava in lui si sarebbe tramutata in un incendio devastante.

«Come stanno Tikki e Nooroo?». Non riuscì a trattenersi e parlò appena gli sedette accanto.
Lei si irrigidì, bloccandosi per un attimo come pietrificata.
Adrien trattenne il respiro.

Non andartene.

«Meglio», rispose. Sembrava che parlare le costasse una fatica immane. «Il Maestro si sta occupando di entrambi».

«Gabriel...»

«Fu me lo ha già detto. Non avrei acconsentito a stendermi, altrimenti». 

La ragazza aprì la bocca, poi la richiuse. Non c'era bisogno che parlasse, immaginava perfettamente ciò che poteva voler dirgli. «Mi dispiace», disse invece.

Lui sorrise: sentiva montare dentro di sé fin troppe emozioni. Prese quelle scuse come una confessione, qualcosa di simile a un permesso. Non avrebbe avuto senso rivolgere delle scuse a Chat Noir.

Prese coraggio, tentennando in una tacita domanda.

Posso?

E lo fece. Piano, con lentezza. Schiuse le palpebre. Non si diede tempo di passar in rassegna dettagli insignificanti come il buio della stanza, la luce dei lampioni che filtrava dalle finestre. Non si accorse della porta socchiusa, dei quadri appesi alle pareti o dello strano contenitore sul quale stava inciso lo stesso simbolo che aveva notato sulla scatoletta nella quale Plagg gli era stato consegnato. 

Lei era lì, distesa supina davanti a lui, il volto fisso ostinatamente in avanti. Le fasciature coprivano la parte superiore del busto e il braccio destro in tutta la sua lunghezza. Non riusciva ad ammirarla nel suo intero, steso com'era a pancia sotto, con la mano destra sulla schiena e la sinistra sotto la guancia. Tuttavia ne era certo: sarebbe bastato un movimento pressoché impercettibile e le loro dita si sarebbero sfiorate. 

Senza un motivo ben preciso, arrossì sulle guance.

La conferma di quanto fosse ottuso e stupido gli si stagliava a pochi centimetri di distanza. Non avrebbe mai pensato di gioire nell'accorgersi di essere un totale e completo idiota. Certo, era capitato che tra le sue ipotesi strampalate capitasse di ipotizzare che fosse lei Ladybug, ma non ne aveva avuto mai la conferma. Vederselo sbandierare a quel modo non era fra le sue speranze più rosee. 

Forse era stupido. Stupido e sicuramente folle, perché, prima che potesse accorgersene, si ritrovò un sorriso ebete stampato sugli zigomi. Era da pazzi essere tanto felici, dopo tutto quello che avevano passato? Eppure non poteva farne a meno e, guardandola, gli sembrava impossibile non pensare a quanto tutto gli apparisse giusto. Dopo tanta fatica, la sua tenacia era stata premiata. Il suo sogno d'amore si era realizzato.

Poco importava che lei non avesse ancora svelato nulla riguardo ai propri sentimenti: aveva  la sua Lady e si era rivelata quanto di più stupefacente potesse sperare.

«Non smetti mai di sorprendermi, My Lady».

La vide sussultare, mentre chinava leggermente il capo nella direzione opposta alla sua, vergognosa.

«Non dovresti chiamarmi a quel modo, Chat», pronunciò le parole arricciando le labbra, quasi stesse reprimendo un moto di disgusto nei propri confronti. «E nemmeno guardarmi così».

«Guardarti come, My Lady?». Non era ostinazione, quella nella sua voce, nel suo tono; non stava giocando al gatto e al topo per farla innervosire. Voleva provare a farle capire, poiché finalmente poteva, come ogni suo gesto, ogni sua parola tentasse disperatamente di esprimere amore.

«Smettila. Lo sai»

«Non so proprio niente. Né capisco come tu possa sapere come io ti stia guardando se non ti giri verso di me. Magari sto osservando il panorama».

«Non stai osservando il panorama».

«Forse sì, forse no».

«Lo... sento. Riesco a sentire quando mi stai guardando».

Lui rise appena, sottovoce, per non contestare quell'assurdità così incredibilmente adorabile che solo Marinette avrebbe potuto pronunciare ad alta voce con tanta innocenza. 

La vide imbronciarsi – e come diamnie potevano essere così irresistibili quelle piccole labbra leggermente sporte in avanti?

«N-non è divertente», ribatté ancora, stringendo appena gli occhi. Poi si fece nuovamente seria, la voce scese a un mormorio sommesso: «Ho quasi ucciso tuo padre...».

Adrien affondò appena il volto nella piega del gomito. Attese un attimo, prima di rispondere.  Poteva ritenersi in pace con se stesso, almeno dal punto di vista amoroso. Sul fronte familiare, le cose erano sempre state abbastanza disastrate.

«Lui... ha commesso degli sbagli. Insieme, potremmo aiutarlo a riparare. Se vorrà».

«Non sappiamo nemmeno con certezza se è sopravvissuto!».

«Lo è, deve esserlo», sorrise tristemente, la voce quasi si ruppe. «È tutto ciò che mi resta».

Fu troppo per la ragazza. O almeno, così gli parve. Senza pensare, tenendo gli occhi bassi e fissi al pavimento, fece per sporsi verso di lui. Prima con accortezza, per tastare bene il perimetro prima di agire. Poi, senza timore, quasi avesse trovato in sé una nuova forza, quella di sempre. 

Le loro dita si intrecciarono, delicatamente. Si trovarono con con sicurezza, si strinsero con pudore. Nuove, eppure così familiari.

«Questo comunque non cambia le cose». Quel sussurro permise al dubbio di farsi strada nella sua mente e d'intaccare la serenità che l'aveva pervaso. Aveva sentito, per un attimo, tutti i tasselli del mondo tornare al proprio posto. 

«Sei...», tentò. Deglutì. «Sei delusa che sia io?». 

È ancora solo pena, quella che provi per me?

«Tu? Io? Tu? Non so di cosa tu stia parlando». 

«Marinette». Finalmente era riuscito a pronunciare il suo nome, eppure la dolcezza con la quale l'aveva lasciato libero di attraversare le sue labbra era intaccata da un tono duro che non gli apparteneva.

«Ti prego», gli parve quasi una supplica. «Non posso».

Stette ancora in silenzio e sembrò che si fosse allontanata da lui anni luce. Sentiva ancora i palmi delle loro mani stretti, arti incuranti dei sentimenti di coloro che li possedevano.

«E se si presentasse un nuovo super-cattivo? Lo sai, è contro le regole conoscere le rispettive identità. Sarebbe troppo pericoloso». La vide scuotere il capo, come a scacciar via un pensiero troppo invadente. I suoi occhi erano nuovamente chiusi.

«Mi dispiace, mi dispiace così tanto, ma io non sono Ladybug.  Sono maldestra. Ogni cosa che faccio ha a dir poco il novanta percento di possibilità di non riuscire e, per il restante, la possibilità di riuscire in un modo talmente astruso e contorto da risultare un fallimento. 

E non posso permettere che tu viva ancora nell'illusione di vedermi essere una persona che non sono. Vorrei... lasciar perdere tutto, lo vorrei davvero, ma non posso.

Sono semplicemente carina e non bellissima e attraente come tutti sembrano vedere lei. Non sono così coraggiosa, non così altruista come la maschera vuole far pensare. Sono solo una... ragazza. Una ragazza che, senza Miraculous, vale quanto chiunque altro. E io non voglio che vi accada nulla di male, siete troppo importanti per me. Tu sei troppo importante».

Era tutto ciò che aveva bisogno di sentire.

«Marinette», pronunciò nuovamente il suo nome, saggiandolo appena: nulla era paragonabile alla sensazione di calore che gli avvolgeva il cuore al comprendere che lei era lì, era reale. Doveva farle capire e c'era un unico modo per farlo.

«Per favore, Marinette. Guardami».

Portò i loro corpi più vicini, mantenne saldo l'intreccio delle loro mani. Le prese il volto fra le mani: non cristallo, ma diamante. Bellissima e forte, fragile solo in apparenza. Mai avrebbe potuto farle del male, neanche involontariamente. Ora ne era sicuro.

«Apri gli occhi», disse. E lei li aprì.




 

Considerazioni dell'autrice e ritorni di fiamma:

Ebbene sì, sono tornata.  Non molti si ricorderanno di me, di questa storia: spero vivamente che ci sia ancora qualcuno in grado di provare interesse per contenuti simili. Sono passati cinque lunghissimi anni. Sono cambiate così tante cose! Tornare a rivedere, a pubblicare qualcosa pare un'esperienza di un'altra vita. E' una sensazione strana, ma piacevole. 

Tempo fa, ho lasciato questa storia irrimediabilmente incompiuta. Era un conto in sospeso che ho tenuto aperto con me stessa, forse anche con voi. Oggi, finalmente, posso scrivere la parola fine al finale alternativo che una piccola me aveva pensato di regalare ad Adrien Marinette. E' una narrazione di vicende semplice, senza pretese. Non ha nulla a che spartire con gli intrichi contorti della terza stagione. Non c'è Kagami, non c'è Luka, non ci sono ancora così tanti kwami da non riuscire a contarli sulle punta delle dita. 
E' una storia nostalgica che vuole ritagliare un po' di tempo solo per i due protagonisti, senza intrecci di alcun tipo. Ho pensato di cambiarla, nel rivederla e concluderla: tutto sommato, avrei potuto stravolgerla alla luce delle nuove rivelazioni di Thomas Astruc. Ho persino ipotizzato un sequel, nel quale poter inserire tutto ciò che non avevo avuto modo di sperimentare qui - e forse chissà... 

Eppure ho creduto fosse meglio che Quanto di più sbagliato restasse quello che ho sempre voluto che fosse: il tentativo di mostrare la debolezza, la dedizione, la paura, il dolore, l'amore, il completo spaesamento incontro a cui due adolescenti qualunque (o quasi) possano andare incontro. 
Il mio scopo è sempre stato quello di mostrare le emozioni al di là delle maschere. Poco importa se l'ambientazione che ci fornisce l'autore della serie sia completamente cambiata, nel corso degli anni, rispetto a quella della prima stagione. Spero comunque che il mio obiettivo sia stato raggiunto.
E quindi nulla, un po' tutto ciò mi commuove. Grazie a voi, che avete letto, forse pazientando fino al mio ritorno, forse leggendo la storia come se fosse nuova di zecca, forse lasciandola a metà come io stessa ho fatto per molto.

See ya

 

 

   
 
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