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Autore: Servallo Curioso    30/08/2009    2 recensioni
Tutto questo non ha senso, potrei dirvi, eppure è reale.
Da quando i miei mi hanno fatto trasferire nella metropoli succedono continuamente cose strane: prima scopro che la mia vicina è una fujoshi, o come cavolo si dice, poi delle pazze mi minacciano con un affare gigantesco e infine compare il magico porro di metallo.
Se devo essere sincero la città la immaginavo leggermente diversa, un po' meno assurda direi quasi. Forse sono pazzo, o forse tutto questo è un sogno, ma c'è chi dice che la magia in realtà è così: demenzialità allo stato puro.
Genere: Demenziale, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter 1:
E tu che ci facevi con una rivista del genere?”

Riesco a ricordare solo poche cose: il mio nome, la mia età, dove si trova il portafoglio e la mia innaturale paura di essere letto nel pensiero. Il resto è una matassa di concetti e idee che non posso sciogliere, non ora.
In questo momento la mia testa è impegnata a spiegare qualcos'altro.
Sono confuso, ma voglio pensare che tutti lo siano la prima volta.
Prima d'ora non sono mai stato in una metropoli, la avevo solo immaginata.
Appena messo piede nella piazza davanti alla stazione mi sono ritrovato in un mondo assurdo: una folla multicolore passeggia mescolandosi, come le verdure dentro il frullatore di mia madre.
Non la trovate una cosa strana? Io sì.
Io che ho vissuto in un paese di cento vite trovo irreale tutto questo via vai di gente. Ognuno ha il suo passo, rabbia o pazienza, fretta o tempo da perdere. Nessuno sembra osservare chi ha vicino, ma come macchine perfette evitano di toccarsi anche in mezzo a quel caos.
Dove devo andare?
Ah, giusto: l'indirizzo è scritto su un fogliettino che ho messo nel portafoglio.
Piccolo riepilogo: ricordo dov'è il portafoglio? Lo ricordo.
Lascio cadere le valige a terra, prendo il borsello nero ed estraggo quel piccolo pezzo di carta.
Via Isola Verde n°45”
Piccolo riepilogo: so dove si trova questa via? Non lo so.
Alternativa: ricordo le indicazioni per trovarla? Non le ricordo.
Ottimo: devo chiedere informazioni. Ma io odio farlo.
Mi guardo attorno cercando un essere umano capace di aiutarmi, perché si sa: non tutti sono capaci di dare informazioni dettagliate sulle vie. Prima di tutto devo trovare un indigeno e non un turista, e neppure un povero errante come me; dopodiché devo riconoscerne uno dall'aria intelligente che sappia i nomi delle vie e sia capace di spiegare la strada per raggiungerle.
Tutto ciò non è ovviamente facile, neppure per me che mi reputo uno capace di riconoscere gli individui al primo colpo.
Coloro che mi circondano sembrano degli idioti vestiti per bene, oppure persone sveglie ma del tutto estranee all'ambiente. Cosa potevo aspettarmi da una stazione?
Alla fine decido e vado verso un uomo, che sembra aver superato i quaranta. Porta una polo, o qualcosa che le assomiglia, color bianco e dei jeans. I capelli sono pochi e la pancia è troppa, eppure i suoi occhi scuri lasciano trasparire una certa esperienza.
Mi scusi” dico avvicinandolo. Lui si guarda un po' attorno, dubbioso. Si chiede se dico a lui e si risponde di sì. Adesso ho la sua attenzione. “Vorrei un'indicazione... lei è di queste parti?”
Lui annuisce con la testa e si avvicina al foglio che gli ho allungato.
Che cosa stai cercando?” La sua voce è forte. Sembra il tipo disposto a tutto per fare buona impressione.
Questa via” sospiro indicando ciò che c'è scritto sul foglio. L'uomo sembra concentrarsi più del dovuto, forse ha dimenticato a casa gli occhiali, ma riesce a darmi una risposta. Ascolto le sue indicazioni con attenzione, comprendendo quale direzione devo prendere e dove girare; davanti a quale negozio passare e a quale portone fermarmi.
Non sembra lontano da qui.
Lo ringrazio e me ne vado, penso che a piedi impiegherò dieci minuti al massimo. Ho un trolley e un bagaglio leggero, che posso tranquillamente portare a mano, li afferro e parto.
Sono cosciente che inizierà un nuovo capitolo della mia vita, un nuovo difficile capitolo.
Perché sono lì? Semplice: per studiare.
Per una serie di avvenimenti che non vi sto a spiegare i miei hanno pensato di farmi trasferire. La cosa non mi dispiace, anche se cambiare all'ultimo anno liceo è leggermente seccante. Mi toccherà conoscere nuovi professori, nuovi ritmi e comprare nuovi libri.
In quella città potrò farmi dei nuovi amici, mi hanno detto i miei, ma io continuo a preferire quelli vecchi.
Andrò ad abitare in un appartamento al sesto piano di un condominio, i miei hanno già pagato la quota per questo mese. Quando sono andati a vederlo io avevo la febbre, in piena estate, così la sua conformazione è una sorpresa.

*

Sono davanti alla porta.
Ci ho messo quindici minuti per arrivare fin sotto il condominio. La strada indicata dal signore era esatta, non ci sono stati problemi.
Il mazzo che tengo in mano ha due chiavi : una per il portone e l'altra per la porta di casa. Com'era ovvio auspicarsi, la prima che ho inserito all'ingresso era la sbagliata e solo al secondo tentativo sono riuscito a entrare. Non era comunque finita qui: appena messo piede nell'atrio al pian terreno mi sono reso conto che al palazzo manca l'ascensore.
Non so se la gravità della cosa vi è chiara. Insomma: sei piani a piedi con i bagagli sono un brutto affare. Facendo una pausa a ogni pianerottolo, comunque, ho iniziato a salire.
Adesso però sono arrivato. Posso costatare che il mio è l'unico appartamento di quel piano, l'ultimo. Non mi piace questa cosa.
Solo dopo aperto posso averne la certezza. Varcata la soglia mi trovo nel salotto: spoglio e polveroso. Da lì posso vedere altre due porte: la camera da letto e il bagno. La cucina invece si trova alla mia sinistra, nella direzione opposta alle altre due stanze.
Una cosa sola accomuna tutte le stanze: la puzza di chiuso e muffa.
I miei non hanno fatto un buon affare, o forse lo hanno fatto apposta. Dannati!
Che mi piaccia o meno questa sarà la nuova abitazione per il resto dell'anno. Domani, o dopodomani, lavorerò per sistemarla. Forse fra tre giorni.
La camera è munita di un vecchio armadio e un letto singolo, temo poco comodo. Vicino a esso c'è anche un comodino provvisto di abat-jour vecchio stile.
Il bagno crema sembra avere molti anni alle spalle. È fornito dell'indispensabile, funzionante e tenuto in ordine, ho solo paura di eventuali creature munite di più zampe che vi albergano.
La cucina è stretta: frigorifero, forno, fornelli e una serie di sportelli e cassetti dove tenere posate o piatti. C'è anche un tavolino quadrato munito di due sgabelli. Molto entusiasmante.
Non potevo immaginarmi nulla di meglio, forse un tempo era una soffitta...forse due secoli fa.
Torno in salotto e lo guardo deluso un'ultima volta. Non posso ancora credere che dovrò vivere lì per circa dodici mesi. La cosa è spaventosa.
Sono già nostalgico della vecchia dimora, dei vecchi amici e della vecchia scuola.
Aspetta: no, della scuola no. Non esageriamo.
Guardo l'ora sul cellulare: le sei e mezzo. Devo organizzarmi per la cena.
Il frigo è vuoto e anche la pseudo-dispensa non ha nulla al suo interno.
Urge una soluzione.
Urge trovare una soluzione.
Di solito mi accontento di poco: una verdura, qualche salume. Ci fosse del prosciutto e del pane mi farei una cena perfetta. Sfortunatamente così non è.
Di questa città non so nulla, è del tutto giustificato il fatto che io non sappia la locazione di pizzerie, market e ristoranti di lusso, benché a questi ultimi non sia interessato. Certo: anche quando abitavo in quel piccolo centro conoscevo poche cose, ma quelle cose mi bastavano.
Afferro le chiavi e apro la porta di casa: andrò a chiedere a qualche vicino. Mi pare anche una buona scusa per fare conoscenze e, perché no, ricevere inviti a cena. Percorro le scale di fretta, scivolo sul finale ma riesco a mantenere l'equilibrio. Il quinto piano è un traguardo più che sufficiente.
Passo un paio di minuti a guardarmi attorno e più precisamente a decidere a quale delle due porte suonare: quella di sinistra; o quella di destra?
Il coraggio che avevo inizialmente è scemato, in ogni modo con la poca forza (di volontà) che mi rimane mi muovo verso quello di destra e suono il campanello.
Lo sento riecheggiare all'interno della casa rompendo il suo silenzio.
Un secondo.
Due secondi.
Cinque secondi.
Dieci secondi.
Deduco che non c'è nessuno al momento. Torno indietro e mi dirigo verso la porta di sinistra.
Il pianerottolo e lungo e stretto, adornato con vasi di fiori. Devo correggermi: il pianerottolo è decorato con vasi di piante, dei fiori non ce n'è neppure l'ombra.
Suono e attendo. Un rumore di passi mi fa intuire che l'abitazione non è vuota.
Senza neppure domandare nulla, o scrutare dallo spioncino, la porta si apre e appare una ragazza, più o meno della mia età.
Mi scruta attentamente e io faccio lo stesso: ha dei capelli color cenere che cadono ai lati della faccia perfettamente lisci e curati, gli occhi scruti e un naso aquilino.
Cosa c'è?”.
Rimango perplesso. Questa giovane emana una strana aura, la stessa che potrebbe emanare una vecchia cassapanca contenente documenti datati millenovecentosessantadue. Non che la stia paragonando a ciò, ovviamente. Ci mancherebbe.
Odora di qualche rimpianto, la sua pelle traspira ciò; o forse è nostalgia ciò che sento.
Qualunque cosa sia è abbastanza forte da raggiungermi.
Scusa, visto che sono nuovo: mi indicheresti una pizzeria nelle vicinanze? Sai, per la cena di stasera...”.
Lei mi scruta per alcuni secondi, continua a farlo.
Te devi essere quello nuovo, quello che abita nella soffitta”.
Sospiro e annuisco. Dunque avevo ragione nel dire che era una soffitta.
Grande intuizione, cara, chi vuoi che sia? Ti sembra forse logico pensare che un estraneo sia entrato nel condominio per chiedere un'informazione? È palese che sono quello nuovo.
Senti, ce n'è una proprio dietro l'angolo. Cioè: appena esci vai a destra e al primo angolo svolti a destra. La dovresti vedere”.
Grazie” rispondo, contento di aver trovato una fonte di cibo. Prima di allontanarmi decido di presentarmi, penso che sia una cosa giusta tra vicini di casa. Allungo la mia mano verso di lei e sorrido, sfoggiando una delle mie migliori espressioni.
Mi chiamo Cristian, piacere”.
Lei sospira e ricambia la gentilezza. “Il mio nome è Sabrina”.

*

Sono le undici e mezza passate.
Ho cenato con una pizza margherita e ho comprato alcune bottigliette d'acqua naturale, per domani ho deciso di dedicarmi all'acquisto di vivande per la sopravvivenza.
Mi trovo seduto sul letto, con il portatile davanti a me a parlare con mia sorella della nuova sistemazione.
Inizio a lamentarmi della casa ma lei è stranamente ottimista: pensa che alla fine non è così male e che mi abituerò, anzi, si auspica che trovi qualcosa di buono in quelle mura puzzolenti.
Invia emoticon sorridenti dopo ogni battuta che faccio su quel quasi-monolocale.
Per una settimana ancora non avrò lezioni, dunque posso svagarmi un po'. Questo periodo servirà per ambientarmi.
Ciò che però attira la mia attenzione è il rumore di una porta che cigola. Penso subito che sia quella dell'ingresso e mi affaccio in salotto, ma così non è. Forse è quella del piano di sotto, o forse me la sono immaginata.
Torno nella mia stanza e riprendo il pc, spiegando a mia sorella l'improvvisa sparizione. Lei ci scherza su dicendo che ho le visioni, colpa della nuova aria.
Poi un altro rumore, qualcosa che è caduto. Mi viene da pensare che uno scaffale ricolmo di scatole sia collassato provocando quel fragore, ma non ne colgo la provenienza.
Dico alla mia interlocutrice di aspettare e torno nella sala.
I rumori provenivano da dietro la camera, ma in teoria dietro essa non c'è nulla.
Afferro le chiavi lanciate sul divano e mi affaccio sul pianerottolo. In quel momento la vedo, la noto: c'è una seconda porta. Non conduce presumibilmente a una casa, ma forse a una soffitta. È di metallo, vecchia e con una serratura semplice, ma soprattutto: aperta.
Scalzo, in pantaloncini corti e maglia sbracciata, corro a dare un'occhiata.
La mia curiosità dice di farlo.
Quando mi accorgo che è socchiusa, ma dall'interno proviene una luce, provo ad aprirla.
Pessima idea: quella dannata porta cigola tantissimo. Forse è anni che non la sistemano.
Accorgendomi della stupidità del mio gesto faccio per andarmene, ma essa si spalanca, spostata da una forza sconosciuta.
Questa forza sconosciuta ha un nome: Sabrina. Si è catapultata verso la soglia appena ha percepito il minimo rumore. Il mio primo pensiero è che ha qualcosa da nascondere.
Ora mi guarda, sistemandosi gli occhiali che la prima volta mancavano. Mi lancia un'occhiata stupita. “Cosa ci fai qui?”
Preso in flagrante, ottimo. Devo inventarmi qualcosa. “Scusami... è che sentivo dei rumori strani da casa mia e mi sono affacciato a vedere”.
Il suo volto si rilassa, forse non è adirata con me. “No, scusami tu” risponde chinando appena il volto. “Vedi, non mi è ancora entrato in testa che là ci abita qualcuno. Farò molta più attenzione la prossima volta che vengo qui”. Provo a guardare dietro di lei. La stanza è lunga è stretta; un intera parete è coperta di cassetti e armadi. Ci sono anche degli scatoloni a terra. Per quanto possa sforzarmi non capisco bene cosa contengano.
È una soffitta?” domando.
Sì” mi risponde frettolosa. Non vede l'ora che me ne vada.
Ho sentito dei rumori, posso darti una mano?”. Qualcuno la potrebbe chiamare invadenza, io preferisco dire che è un aiuto disinteressato. Lei però scuote la testa.
È caduta una scatola. Non preoccuparti”. Mi lascia sulla soglia e torna all'interno.
Per farmi vedere che è autosufficiente raccoglie lo scatolone e lo alza, pronta a riporlo sulla mensola esatta. Un solo inconveniente la blocca.
Il fondo dello scatolone cede e riversa il proprio contenuto al suolo. Come una bomba di sola acqua, i pezzi contenuti schizzano da ogni parti, allargandosi sul pavimento. Non può più nascondere nulla.
Impallidisce: è terrorizzata dall'idea che io scopra cosa si nascondeva là dentro e cosa scivola qua e là con scarsa forza, io però sono troppo curioso per resistere. Una di quelle parti arriva ai miei piedi.
Lo guardo e sgrano gli occhi: è una rivista.
Non solo: una rivista pornografica.
Dalla copertina sembra uno di quei fumetti giapponesi dove i protagonisti fanno in continuazione sesso nelle maniere più assurde, mia sorella ne ha letti alcuni.
Sabrina si getta a terra cercando di raccoglierne il maggior numero possibile in un solo gesto, io furtivamente mi approprio di quello ai miei piedi e mi dileguo. “Ciao” sospiro alla fine prima di chiudere la porta di casa. Ora sono dentro, al sicuro con quel giornaletto da osservare. Se tutto va bene non se ne accorgerà mai.
Chi l'avrebbe mai detto che una giovane dall'aspetto tanto innocente nasconde così tanto materiale in soffitta.
Mi getto sul divano incuriosito appena e lo apro. Forse dovevo osservarlo meglio prima di prenderlo o forse mi sbaglio. Rimango interdetto per alcuni secondi.
Lo chiudo e corro al portatile, sperando che mia sorella sia ancora in linea sulla chat.
Per fortuna è lì anche se manca poco a mezzanotte.
Le dico quello che ho visto ma non è sorpresa, anzi: sembra molto ferrata sull'argomento.
Probabilmente, leggasi come certamente, quello è uno Yaoi, acronimo giapponese di qualcosa che sta a significare qualcos'altro che non ricorda. Sono storie d'amore omosessuale vagamente esplicite, in breve: fanno sesso.
Mi chiede di osservare l'interno dell'opera ma mi rifiuto, benché vagamente incuriosito. In ogni modo è certa che sia una PWP, acronimo di qualcosa di inglese che nuovamente non ricorda, usato per classificate quelle storie prive di trama e dedicate solamente al lavoro orizzontale dei personaggi.
Suona come: “Trama? Che Trama?
Grazie a delle intuizioni femminili e un processo logico assurdo arriva a dire che Sabrina è una Fujoshi, cioè una cultrice del genere. Mi avverte che sono comuni ai giorni nostri, le fan di questo tipo di storie, e che non devo spaventarmi o pensare strane cose di lei.
Ci mancherebbe, tanto della spiegazione non ho capito nulla.
La saluto ringraziandola e mi fa promettere di portargli l'oggetto incriminato. Accetto anche se indeciso, forse sarebbe giusto darlo alla sua proprietaria.
In realtà sono io che non ho intenzione di andare in giro con quella rivista.
Spengo il computer, sospiro e vado a letto.

*

SCRASH.
Un vetro si è rotto. Non saprei descrivere meglio quel suono.
Non è stato quello a svegliarmi. È una decina di minuti che vengono strani rumori dalla soffitta: qualcosa che cade, risatine, borbottii... Sabrina deve aver portato degli amici in quel luogo.
Questo lo pensavo prima che il vetro si rompesse e tre figure avvolte in mantelle nere entrassero in casa mia.
Senza un minimo tatto hanno distrutto la finestra per entrare. Io sapevo che i ladri si fanno scaltri, evitando di far rumore, ma per loro non è così.
Hanno fatto 'stomp' quando sono atterrate sulla moquette.
Io ho gli occhi aperti e mi sono anche girato per guardarli, mi stupisce che non si siano accorti di me.
Due di loro hanno una corporatura robusta, l'altra è mingherlina. Sul volto portano delle maschere bianche capaci di coprire solo gli occhi ma provviste di un lungo naso simile a un becco.
Ah, sono donne.
Posseggono anche un altro particolare, che le distingue chiaramente.
La più robusta ha stampata una A rossa sulla fronte candida della maschera, la più mingherlina ha invece una O e l'altra una Y. Forse è una gerarchia, in ordine alfabetico.
Quindi ce ne sono altre ventitré a giro?
Sembrano cercare qualcosa, si guardano attorno facendo volare qua e là le mantelle nere.
Una poi si gira verso di me e si accorge che sono sveglio. Io, dal canto mio, non faccio nulla per farle credere il contrario.
Sei sveglio”. Commenta.
Tu non tanto” vorrei dirle, ma preferisco rimanere in silenzio. Mi alzo fino a trovarmi seduto sul bordo, con le gambe penzoloni. “Cosa volete?”
Colei che mi ha parlato per prima parla di nuovo. “Cerchiamo una rivista”. Io inarco le sopracciglia.
Non ho dubbi di quale rivista loro stiano parlando, ma perché?
Una domanda mi sorge spontanea.
Tutto questo casino per la rivista?”
Lei fa spallucce, le altre due la seguono. “Sì”.
Non potevate passare dalla porta? Insomma: perché rompere il vetro!”.
Scusa, è una cosa scenica che ci piace” si giustifica. “In ogni modo ti conviene darcela immediatamente”. Io sono ancora intorpidito dal sonno, saranno le quattro del mattino.
Altrimenti?” non è stata una cosa furba da dire.
In un attimo, la A, nonché colei che ha parlato fin'ora, estrae qualcosa di lungo. La penombra non mi permette di riconoscerlo.
Altrimenti questo” dice entusiasta.
Non riesco a vederlo”.
Si sposta immediatamente, posizionandosi sotto la finestra. “Ora la vedi?” mi chiede quasi preoccupata della riuscita dell'intimidazione. La luce della luna rischiara l'oggetto rivelando che cos'è: un fallo di dimensioni spaventose. È liscio, sembra semi morbido e di almeno un metro e mezzo.
Altrimenti questo!” esclama soddisfatta.
Sono pazze, non c'è altra spiegazione. Darò loro la rivista e chiamerò la polizia, già immagino la chiamata: “Aiutatemi! Delle pazze sono entrate in casa mia dalla finestra minacciandomi con un dildo gigantesco”.
Cosa? E per quale motivo?”
Volevano una rivista Yaoi”.
E tu che ci facevi con una rivista del genere?”
Ok, forse quando lo spiegherò alla polizia cambierò un po' le cose: prima di tutto lo yaoi si sostituisce a una rivista scientifica e magari il fallo diventerà un mitra automatico. Sì, così sarà meglio.
Tornando all'immediato presente, mi pare ovvio come agire: indico loro il cassetto dove lo avevo riposto e le saluto cordialmente.
Torno a letto, senza nessun dolore e convinto di aver fatto la cosa giusta.
Dev'essere colpa del sonno, ma questa cosa mi turba appena.

   
 
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