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Autore: _Misaki_    11/06/2021    4 recensioni
Tra i grattacieli della moderna Seoul si nasconde l'associazione segreta per cui lavorano Iris, May, Wendy e Lizzy, quattro agenti oberate di lavoro. Al rientro dall'ennesima missione viene subito assegnato loro un nuovo, urgente incarico: recuperare una micro SD che contiene preziose informazioni sulle attività estere di una nota organizzazione mafiosa. All'inizio sembra un gioco da ragazze, ma la situazione si complica quando il nemico, ex collaboratore della loro stessa agenzia, ordina ai propri sottoposti di ucciderle.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 DANGEROUS
 
- Cap. 29 -



 
  
   


   Seoul, 15:45 AM.

 
   Erano passati tre giorni dalla missione a Macao. Iris si era finalmente ripresa, così lei e Taeoh erano rientrati a Seoul. I due stavano attraversando a piedi il parcheggio dell’aeroporto in cui avevano lasciato la macchina alla partenza. Camminavano molto lentamente, mano nella mano, godendosi i timidi raggi di sole di quel pomeriggio di metà novembre. Ormai non mancava molto all’inverno, ma fortunatamente la giornata era tiepida e passeggiare all’aria aperta era ancora piacevole.
   «Grazie per essermi stato vicino questi tre giorni.» disse di punto in bianco Iris, appena raggiunsero l’auto. Dopo aver dato sfogo a sentimenti e paure soppresse per mesi, tutto lo stress e la frustrazione accumulati erano esplosi in una bella febbre che l’aveva messa k.o., ma non tutto era venuto per nuocere. Seppur non nelle migliori condizioni, aveva potuto passare del tempo in compagnia di Taeoh, che le era stato vicino e l’aveva accudita amorevolmente. Doveva ammettere che dopo questa vicenda se ne era innamorata ancora di più e ringraziarlo in quel modo le aveva permesso di esprimere almeno una briciola della gratitudine e dell’affetto che provava nei suoi confronti.
   «Non c’è di che. L’ho fatto volentieri.»
   Iris accennò un bacio sulle labbra del suo ragazzo, poi prese un foglietto piegato in due dalla tasca del cappotto e glielo porse.
   «Questo non farlo vedere a nessuno.»
   «Cos’è?» chiese lui, prendendolo in mano e aprendolo per leggere.
   «È il mio indirizzo di casa. Una volta tornati sono più che sicura che L mi manderà immediatamente in missione, però se mi capiterà di essere a casa mentre May è via potresti passare a trovarmi!»
   «Oh!» esclamò lui, un po’ sorpreso. Si erano detti di tenere la loro storia segreta, quindi non si aspettava che lei si sarebbe arrischiata a invitarlo a casa «Verrò sicuramente se ci sarà l’occasione!» questa volta fu Taeoh ad accennare un bacio sulle sue labbra. Dopo aver aspettato tanto era difficile staccarsene.
   «Bene, ora è meglio rientrare. Mi raccomando, una volta che saremo all’associazione, fai come se non fosse successo nulla.»
   «Non preoccuparti, terrò la bocca cucita!»
   Prima di aprire la macchina, Iris sembrò ripensarci e si voltò di nuovo verso Taeoh. Gli prese il volto tra le mani e lo guardò negli occhi con l’espressione di chi sta per fare qualche dispetto.
   «Giuro che è l’ultimo, solo perché poi mi mancherai da morire fino a quando non ci rivedremo.» Si sollevò sulle punte e lo baciò di nuovo, questa volta soffermandosi di più e in modo più intenso. Lui le strinse le braccia intorno alla vita, tirandola vicino a sé e ricambiando dolcemente il bacio, fin quando decisero, a malincuore, che era il momento di separarsi. Erano perfettamente consapevoli che prima di poter trascorrere di nuovo dei momenti di spensieratezza insieme sarebbe passato diverso tempo, probabilmente più di quanto immaginavano, ma a entrambi andava bene così: era l’unico modo per evitare che L stroncasse sul nascere la loro relazione o, peggio, facesse marcia indietro sui propri piani. Dopotutto si erano aspettati tanto, non era il caso di commettere un passo falso proprio adesso ed erano sicuri che resistere ancora un po’ ne sarebbe valsa la pena.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
   Purtroppo, i giorni da soli erano finiti anche per Wendy e Dawon. Taeoh era tornato da Macao e Daeju si era ripreso, così le lezioni di Wendy erano tornate a contare i suoi allievi al completo. Tuttavia, i due amanti non si erano lasciati scoraggiare e avevano ben pensato di incontrarsi di nascosto a casa di Wendy una volta a settimana. Proprio quella domenica, Dawon, bardato con mascherina di stoffa nera e cappello da baseball dello stesso colore, si era recato a casa di Wendy. Salite le scale del pianerottolo, suonò al campanello. Lei andò ad aprire e lui si intrufolò velocemente in casa, sbarazzandosi di mascherina e cappello appena la ragazza richiuse la porta.
   «Perché continui a bussare? Hai il codice1…» gli fece notare Wendy.
   «Scusa, mi dimentico sempre.» rispose lui, togliendosi l’anonimo giubbotto nero con cui era arrivato e sistemandolo sull’appendiabiti all’ingresso.
   «La cena è quasi pronta.»
   «Ho una fame! Cos’hai preparato di buono?»
   «JjaJangMyeon.2»
 
   Mentre i due si apprestavano a mangiare, la vicina di casa, SolHee, si era accorta che Wendy aveva visite. Appena sentito suonare il campanello, aveva subito drizzato le orecchie ed era corsa in camera ad appoggiare l’orecchio sulla parete comunicante con l’appartamento della rivale, nella speranza di captare qualcosa. Purtroppo per lei, però, non si sentiva proprio un bel niente. Ci pensò un attimo e decise di uscire sul pianerottolo per sbirciare attraverso le finestre dell’appartamento di Wendy, ma anche questa volta le andò male, erano tutte chiuse. Eppure, era sicura che sarebbe stata l’occasione buona per spifferare qualcosa a L e far retrocedere Wendy: una relazione con un proprio allievo sarebbe stata il top per incastrarla. In più il suo intuito le suggeriva che l’allievo in questione potesse essere proprio Dawon e questo non riusciva a sopportarlo. Doveva uscirsene con uno dei suoi piani geniali al più presto.
 
   Nel frattempo, Wendy e Dawon avevano finito di cenare e si erano accomodati sul divano a guardare un film. Proprio sul momento clou, qualcuno bussò alla porta. Wendy andò subito a controllare dallo spioncino, ma non aprì.
   «Chi è?»
   «Sono io…» era SolHee «Non è che hai delle uova? Stavo facendo una torta ma le ho finite.»
   «Mmmh... no, non le ho. Buona notte.» cercò di tagliare corto.
   «Posso entrare un attimo? Mi servono anche altre cose…»
   «Perché? Coff Coff» simulò la tosse «Ho un po’ di influenza… meglio se non entri.»
   «Lo so che sei in casa con Dawon!» esplose improvvisamente SolHee, vedendo che il proprio piano non dava i frutti sperati «Guarda che lo dico a L!!!»
   Wendy si voltò verso Dawon con espressione incredula.
   «Come fa a saperlo?» disse sottovoce.
   «Non c’era nessuno quando sono arrivato…» si giustificò Dawon, in preda al panico.
   «Vai sotto al letto! Non fare rumore!» ordinò a bassa voce, ma in modo concitato. Dawon eseguì gli ordini.
   «Allora!?!?» sbraitò di nuovo SolHee dall’altro lato della porta. Wendy si arrese e socchiuse leggermente l’uscio.
   «Coff coff, non c’è Dawon. Perché dovrebbe essere qui?»
   «Prima qualcuno ha suonato! Sono sicura!» senza troppi convenevoli, SolHee scansò Wendy ed entrò in casa a grandi passi.
   «No, non ha suonato nessuno. Non qui almeno.»
   «Il mio sesto senso non si sbaglia mai! Lo sai che non si possono fare favoritismi tra gli allievi. Lo dirò a L!»  
   «Senti, puoi andare via da casa mia? Coff coff!»
   Senza sentire ragioni, SolHee corse verso la camera da letto di Wendy. Se lo vedeva già davanti Dawon, nudo sul letto, circondato da petali di rose rosse ad aspettare la sua acerrima nemica, ma no, lei non avrebbe permesso tutto ciò!
   «Lo so che è qui!»
   Con sua grande delusione, in camera non c’era nessuno. Guardò anche nell’armadio, nel bagno, in cucina, ma non trovo un bel niente.
   «Te l’ho detto che non c’è Dawon... perché dovrebbe essere qui?»
   «Zitta! Stavolta non ne ho le prove, ma la prossima volta giuro che vi beccherò! Tzk… Dawon è solo mio! Gli ho messo io gli occhi addosso per prima!» così dicendo, se ne andò sbattendo la porta.
   «È andata?» sussurrò Dawon, facendo spuntare la testa da sotto al letto.
   «Sì. Ma sta tutto il giorno a spiarmi?»
   «Che scocciatrice!» il ragazzo uscì dal suo nascondiglio e si scrollò la polvere dai vestiti «È un bel problema averla come vicina di casa…»
   «Già, dovrei trovarmi un altro posto. E tu quando vieni metti il codice e basta, così forse non ci scopre.»
   «La prossima volta me ne ricorderò.» il ragazzo si avvicinò a Wendy con sguardo malizioso «Potremmo andare a vivere insieme quando sarò un agente.»
   «Sì può fare…» annuì lei, lasciandosi abbracciare mentre tornavano a sedersi sul divano «Così ti tengo d’occhio.»
   «Non era proprio quello che stavo insinuando, ma, ok.»
   I due ricominciarono a guardare il film, poi Dawon si affrettò a tornare al dormitorio prima delle dieci per non violare il coprifuoco.
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
   Nel frattempo, anche tra Shion e May le cose stavano andando a gonfie vele. Quel giorno la ragazza si trovava in palestra per i suoi soliti allenamenti. Non frequentava il centro sportivo dell’associazione, come ambiente lo trovava asfissiante. Troppi occhi indiscreti, troppe malelingue pronte a tutto pur di affossare la carriera dei colleghi. Aveva quindi scelto una piccola palestra nel suo vicinato in cui recarsi regolarmente ogni mercoledì e venerdì.
   Mentre attraversava indisturbata il corridoio per raggiungere la sala attrezzi, un uomo brasiliano sulla quarantina le comparve improvvisamente alle spalle.
   «Hola sexy
   Lei cercò di ignorarlo, ma lui non sembrava intenzionato a cedere.
   «¿Cómo estás?»
   Proprio in quel momento sentì levarsi un’ovazione dalla sala di zumba.
   «Waaa è arrivato Gonzalo!!!» erano tutte signore di una certa età a frequentare quel corso.
   «Bene, ma non sono qui per fare zumba.» rispose quindi alla domanda di Gonzalo.
   «Señoras, señoras, calma! Gonzalo estoy aquí para ti!» disse lui, rivolto alle signore.
   «Scatenatevi!» nel frattempo il suo collega coreano fece partire la musica, cominciando a riscaldare l’atmosfera.
   May credeva di essersela scampata e cercò di allontanarsi senza farsi notare, ma Gonzalo tornò all’attacco.
   «E tu, señorita
   «Ahaha no, io no.»
   Gonzalo prese la mano di May e le fece fare una giravolta.
   «Perché non provi? Es muy divertente!»
   «Devo finire la sessione di pesi... e poi devo tornare subito al lavoro.»
   «La zumba es muy buena para glutei e muscoli di gambe... i pesi sono cosa vecchia!»
   «Mi piacciono le cose vecchie...» cercò di svincolarsi May.
 
   Proprio quel giorno, Shion era andato a prendere la sua ragazza in macchina. Conosceva quella palestra perché sua madre frequentava lì il corso di zumba con l’insegnate più adorato dalle signore di mezza età. Appena varcato l’ingresso, il ragazzo sbiancò alla vista di Gonzalo il donnaiolo insieme a May.
   «Gonzalo, Gonzalo, no...» corse subito ad allontanarli «prima mia madre, ora la mia ragazza... ci sono tante signore, provaci con loro!»
   «Oh, ragazzino! Donde está tua madre?»
   «Insomma, mia madre è quella signora che fa sempre zumba! Quella con i fuseaux grigi e azzurri!»
   «Es una donna muy caliente
   «Non ci pensare! È sposata!»
   «Scusateme, ma il corso está por comenzar!» Gonzalo si avviò verso la sala, ma prima di iniziare il ballo si rivolse di nuovo a May «Te aspeto!»
   «Shion, andiamo e portiamo via tua madre.» disse May nell’orecchio al suo ragazzo.
   «No, lei lasciala, tanto si diverte. Invece noi andiamo via. È proprio insistente Gonzalo…»
   «Sì, andiamo...»
   Così i due lasciarono la palestra, dove la musica roboante dello zumba e le urla entusiaste di Gonzalo e delle sue allieve echeggiavano con vigore, scuotendo le pareti di quella piccola palestra di città come fosse una discoteca.
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
   I mesi stavano volando in un battito di ciglia, pieni com’erano di corse per mantenere la routine frenetica di tutti i giorni. Gli allenamenti dei nuovi arrivati proseguivano con costanza. Wendy e Dawon ogni tanto si incontravano a casa di lei cercando di non destare sospetti. May e Shion continuavano felicemente la loro relazione e Iris era come sempre sommersa di lavoro. Era ormai dicembre inoltrato e non era ancora riuscita a invitare a casa Taeoh una sola volta. Quando poteva andava a trovarlo dopo gli allenamenti, ma non c’era mai nulla di più di un sorriso e un saluto. Qualche volta uscivano a cena insieme, sempre in compagnia di qualcun altro per mascherare la cosa. Sembrava impossibile vedersi di nascosto e non c’era altro da fare se non pazientare. Prima o poi le cose sarebbero cambiate.
   C’era però chi se la passava peggio, ovvero Lizzy. La bionda era ormai al quinto mese di gravidanza ed erano rimaste molte cose su cui doveva fare chiarezza prima che scoccassero i nove mesi. Tanto per cominciare, non era sicura di voler riprendere il servizio attivo come agente almeno per il primo anno di maternità, quindi avrebbe dovuto parlare con L perché le trovasse un altro incarico all’interno dell’associazione. A dire il vero la cosa non la preoccupava più di tanto, dopotutto poteva tornarle utile in mille altri ruoli. Poi invece c’era il padre del bambino. Per tutti quei mesi ci aveva pensato e ripensato, ma la risposta le sembrava sempre e solo una: il figlio era di Jiho. Era l’unico con il quale la situazione le era sfuggita di mano. Aveva bevuto troppo quella sera e non si ricordava quasi nulla di ciò che era successo. Tutte le altre volte invece ricordava perfettamente di esserci stata attenta e aver preso ogni precauzione possibile.
   La gravidanza era stata una realtà piuttosto dura da accettare. All’inizio non se ne era molto resa conto, poi, con le nausee e tutto il resto, aveva cominciato a capire che la sua vita sarebbe cambiata per sempre e aveva cominciato a disperarsi. Si era chiesta se avesse fatto bene a tenerlo o se invece avrebbe fatto meglio ad abortire. Dopo tanto struggersi, alla fine aveva accettato le conseguenze e si era convinta di aver fatto la scelta giusta. Ora però come lo avrebbe detto a Jiho? Di sicuro non gliene sarebbe importato nulla, ma se non ci avesse provato le sarebbe rimasto il rimorso per tutta la vita.
   Quella mattina si era recata all’associazione verso le nove e aveva chiesto a L di poter parlare con il padre del bambino. All’inizio L si era mostrata assolutamente contraria, ma dopo aver ascoltato nel dettaglio la situazione dovette cedere alle suppliche di Lizzy. Così, in via del tutto eccezionale, mandò due guardie per scortare Jiho dalla cella di massima sicurezza al luogo delle visite.
   Quando Lizzy entrò nella stanza, scorse subito Jiho dietro al vetro di sicurezza che lo avrebbe diviso da lei durante tutto il tempo della conversazione. Il ragazzo aveva l’aria un po’ confusa e stanca. La barba sembrava leggermente più lunga del solito e insieme alla divisa da carcerato gli dava un’aria sciatta. Se ne stava appoggiato allo schienale della sedia guardandosi intorno e chiedendosi chi mai avesse voluto vederlo dopo cinque lunghi mesi di prigionia in cui era stato in isolamento quasi totale.
   Lizzy raggiunse la sedia posizionata davanti al vetro e si sedette con cautela. Vedendolo sotto una luce diversa, inoffensivo e rassegnato, le fece un po’ pena. Lui la riconobbe immediatamente e la guardò in modo ancora più confuso, quasi infastidito.
   «Ciao…» cominciò la ragazza, cercando le parole giuste. «Immagino tu sia stupito di vedermi qui dopo tutto questo tempo, sempre che ti ricordi di me…»
   «Muoviti, che vuoi?» la interruppe Jiho, in tono arrogante. Se avevano mandato una donna incinta a impietosirlo per chiedergli di nuovo di sottomettersi a L come quei traditori di Dawon, Taeoh e Daeju si sbagliavano di grosso. Sarebbe uscito in altro modo da lì e sarebbe tornato a cercare vendetta, più cattivo di prima.
   Lizzy respirò profondamente, cercando di mantenere la calma e riprese la parola.
   «Sono incinta. Di tuo figlio.»
   Jiho sobbalzò e la guardò con occhi sgranati.
   «Che?!»
   «Quella notte, quando mi hai rubato la famosa SD, siamo andati a letto insieme…»
   «Sì, sì, mi ricordo…» la interruppe di nuovo, facendole segno di tagliare corto «Beh non mi interessa! Per quanto ne so potresti star bluffando e poi in ogni caso sono fatti tuoi, io non ne voglio sapere niente.»
   «Ma…»
   «Se non lo volevi potevi abortire, la responsabilità non è di certo mia.» le rispose in modo alterato. Poi si rivolse alle guardie «Riportatemi dentro, non voglio sentire altre stronzate.»
   Le guardie si avvicinarono a Jiho e comunicarono a Lizzy che il tempo per la visita era scaduto. Affiancarono Jiho e lo scortarono fino alla cella.
   La ragazza uscì dalla stanza delle visite e, appena fu sola, si appoggiò stancamente al muro del corridoio con la schiena. Chiuse gli occhi e cercò di respirare in modo regolare. Lo sapeva perfettamente che sarebbe finita così. Allora perché le stava facendo tanto male? Si accarezzò la pancia e ripeté tra sé e sé “va tutto bene, va tutto bene…”. Si staccò dal muro e riprese a camminare. Una volta sarebbe scoppiata a piangere per molto meno, ma ora non più. Se aveva imparato una cosa da tutta quella vicenda era che le difficoltà ti mettono alla prova ma ti fanno guadagnare anche una nuova maturità se sei disposto ad affrontarle sul serio.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
   Le guardie avevano scortato Jiho fino alla cella e lo avevano richiuso dentro. Era di nuovo solo. Si sedette sul letto vecchio e malconcio, appoggiando i gomiti alle ginocchia. Improvvisamente gli venne da ridere. Uno scatto, poi due, non riusciva più a fermarsi. Mandò indietro la testa e si lasciò sopraffare da una fragorosa risata fino a farsi gocciolare gli occhi. Dopo un po’, potevano essere una manciata di secondi così come diversi minuti in quella cella grigia in cui il tempo non era scandito da nulla, finalmente riuscì a calmarsi. Riprese fiato e si asciugò gli occhi con l’indice della mano destra. Forse non era forte come pensava, non se ne era accorto prima, ma i suoi nervi stavano iniziando a vacillare e il primo contatto umano dopo tutto quel tempo doveva averlo mandato fuori di testa. Non c’era dubbio che quella fosse una risata di disperazione, il segno che era al limite. Senza che se ne fosse reso conto, i suoi occhi avevano incominciato a lacrimare. Stava piangendo. Silenziosamente, senza singhiozzi. Quasi mezzo anno di vita buttato in una cella e forse ora aveva anche un figlio e non lo sapeva. Come se non bastasse aveva urlato in faccia alla madre che non gliene fregava niente della sua esistenza. Improvvisamente la sua mente sembrò tornare lucida e cercò di convincersi che era tutta una mossa di L per spingerlo a cedere. Non poteva mollare, non ora. Appena ne avrebbe avuto i mezzi, Ray si sarebbe mosso, li avrebbe tirati fuori da lì in qualche modo, lui Minki e gli altri. Continuò a ripetersi che doveva essere forte, mantenere i nervi saldi. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi. Voleva dormire e dimenticare tutto, ma il volto di Lizzy mentre gli diceva che aspettava un figlio da lui continuava a ricomparire nella sua mente, era impossibile cancellarlo.
 
 
 
 
1 In Corea del Sud le case moderne hanno un display su cui digitare in codice per entrare al posto della classica chiave.
JjaJangMyeon: piatto coreano di noodles conditi con salsa di fagioli dolci, carne di maiale e verdure.




Fine cap. 29
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   Incredibile ma vero, sto riuscendo a pubblicare settimanalmente! Quasi non ci credo XD
   Cooomunque, questo è un capitolo che fa un po' il punto della situazione, gisto per sbirciare nella quotidianità delle nuove coppiette :3 Quella che se la passa peggio è la povera Lizzy, ma sta dimostrando molta forza e determinazione nel reagire alla situazione. Tra l'inizio e la fine della storia è un personaggio che si è evoluto e si evolverà molto pur rimanendo se stessa.

   È parecchio che non vi propongo un disegno di Zipcy. Per questo capitolo ho tenuto da parte il mio preferito! È un po' come mi immagino Iris e Taeoh in aeroporto *^* (Ok, Iris dovrebbe avere i capelli lunghi, ma dettagli).

 

   E anche per questa settimana è tutto! Spero il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chiunque stia recensendo, leggendo o mettendo tra preferite, ricordate o seguite la storia! Grazie di cuore! <3
   Alla prossima!

   Misa
  
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