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Autore: Fissie    13/06/2021    1 recensioni
Dopo aver vagato per tre anni nell'Area 11 segnata dalla guerra, costretto a nascondersi con sua sorella, Lelouch torna nel mondo civile quando la famiglia Ashford si offre di aiutarli.
Riusciranno gli eroici ragazzi del Consiglio Studentesco a trasformarlo in una persona decente e perché la risposta, che già conosciamo, è no?
[Altresì: Lelouch ha degli amici molto pazienti. In effetti "Lelouch ha degli amici" è già strano, ogni altra considerazione è superflua. Pre-serie. Perlopiù Shirley/Lulu.]
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lelouch Lamperouge, Milly Ashford, Nunnaly Lamperouge, Rivalz Cardemonde, Shirley Fenette
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stage 2 - Siamo arrivati?



«Relax!»

Lelouch adesso aveva incrociato le braccia sul petto e la stava fissando a occhi stretti, come cercando di capire se lei in particolare fosse pazza o dovesse aspettarsi le stesse stranezze da tutti gli altri perché quelli erano gli usi sconosciuti della popolazione locale, la gente comune, nella terra straniera della normalità.

«Sei pessima anche come maga» sentenziò scontroso, ma con puntiglio testardo, come per dimostrarle che fosse determinato a rifiutarla per sempre. Forse si accorse di esserle sembrato puerile e cambiò argomento facendosi di nuovo severo: «Invece... c’è qualche posto nel campus in cui potrei lavorare?»

«Non è necessario» si affrettò a dire Milly. «La mia famiglia può provvedere a voi in tutto ciò che vi serve. In fondo, lo hai detto tu, è uno scambio.»

«No, grazie» rifiutò Lelouch con fierezza.

Milly sospirò. Doveva immaginarselo. «Beh...» mugugnò fra sé per un momento con un dito sulle labbra, sfogliando le possibili opzioni. «Organizziamo visite ai musei, la formazione è semplice, potresti proporti come guida.» Lelouch aveva un’aria affatto persuasa e quindi riprovò: «Oppure, non è nel campus, ma qui di fronte c’è un negozio di abiti da cerimonia. Conosco i proprietari, potrei chiedere a loro se...»

Lelouch la bloccò dicendo in tono secco: «Troppa visibilità.»

«Oh.» Giusto. Non doveva dare nell’occhio. «Presto servirà un nuovo cassiere in caffetteria» riflettè quasi a se stessa, perché stava esaurendo le alternative... perlomeno, le alternative appropriate.

«Ancora troppa visibilità» dichiarò Lelouch con impazienza. Ma poi il suo viso divenne più gelido e la bocca prese una piega di scherno. Alzò le sopracciglia. «Che c’è, hai in mente qualcosa, ma ti imbarazza proporlo all’ex principe di Britannia?» indovinò caustico, con una nota di biasimo nel rimarcare il suo vecchio status e, ciononostante, uno sguardo di superiorità.

Capì di averlo offeso con i suoi scrupoli e che lui volesse offenderla di rimando, come a indicare che era lei la contessina viziata dalle mani troppo delicate che si reputava ancora una spanna sopra gli altri pur avendo perso il titolo (e per lo stesso motivo per cui Lelouch aveva perso il suo).

Milly si strinse nelle braccia. «In cucina c’è bisogno di un lavapiatti» disse.

Lelouch compì un gesto con la mano che, a dispetto di tutto, aveva una qualità distintamente aristocratica. «Perfetto.»

Si rappacificarono con uno sguardo... ma in quel momento dal basso si levò una voce femminile. «Milly? Milly? Sei qui?»

Lelouch sgranò gli occhi e appiattì le labbra facendole sbiancare, mentre l’interpellata si voltava per affacciarsi dalla porta. Agitò un braccio in modo da farsi notare. «Sì! Sono quassù!»

«Chi altro ha la tessera per entrare?» l’aggredì Lelouch allarmato, seguendola a passo di carica.

«Tutti i membri del club. È quello che stavo dicendo prima!» lo rimbeccò Milly con una punta di ironia. Il sottotesto era: quando non mi stavi ascoltando.

Sulla balconata intanto era sopraggiunta anche Nunnally. La sua amica, vedendo i due sconosciuti, si era arrestata con una mano sulla balaustra e un piede sul primo gradino. Ma subito esibì un sorriso aperto e sollecito, avviandosi a salire le scale.

Li raggiunse spedita. «Ciao! Io sono Shirley!» li salutò.

Lelouch aveva afferrato i manici della carrozzina di sua sorella, come se temesse che la nuova venuta potesse rapirla, e in questo modo le impedì di spingere le ruote in avanti.

«Ciao, Shirley. Io sono Nunnally» disse lo stesso lei, con una sorta di timida eccitazione perché sembrava entusiasta di conoscere nuove persone. L’unica cosa a trattenerla era la diffidenza del fratello. E infatti sollevò il visetto di lato, non perché potesse guardarlo, ovviamente, ma in modo da fargli leggere la sua confusione.

Shirley impiegò un istante a realizzare che Nunnally fosse cieca e quindi disse spigliata, comunicando con la voce l’espressione amichevole che la ragazzina non poteva vedere: «Piacere, Nunnally!»

Nunnally le aveva teso la mano e Shirley la strinse di buongrado, senza turbarsi quando intuì che fosse più di un gesto di saluto: Nunnally l’aveva avvolta anche con l’altra e l’aveva distesa nella propria, come se avesse aperto un libro in cui era ritratto il suo viso. Lo aveva fatto anche con Milly, la prima volta.

Si scambiarono un sorriso da palmo a palmo, anche se Shirley occhieggiava dubbiosa verso la figura torva del ragazzo che era rimasto in silenzio. Lelouch la fissava con dispetto e palese avversione per il suo arrivo (i suoi occhi dicevano chi-sei, che-vuoi, cosa-ci-fai-qui, vattene), anche se la disapprovazione maggiore sembrava dovuta al fatto che non avesse niente da disapprovarle, dato che Nunnally le aveva dato il suo beneplacito.

«E lui è Lelouch» disse Milly al posto dell’interessato, ignorando lo sguardo ostile con cui la stava rimproverando di averlo fatto. «Lelouch e sua sorella Nunnally si sono appena trasferiti. Vivranno nella club house» spiegò.

«Anche voi adesso siete nel consiglio studentesco?» chiese Shirley incoraggiata. E quindi si portò una mano sul petto, come per fare delle presentazioni solenni. «Io sono il vice-vice-vice segretario del club. Ah, e vado in terza media! E sono iscritta al club di nuoto!»

«Perché dovrebbe interessarmi?»

L’espressione gioviale di Shirley si scolorì per la sorpresa.

«Eh?»

«È una consuetudine da queste parti dare informazioni non richieste?»

Se il tono fosse stato almeno pungente invece che piatto, lo si sarebbe potuto considerare sarcasmo. Ma Lelouch era serio e dal suo sguardo annoiato non traspariva altro che una sbrigativa schiettezza: intendeva dire esattamente quello che aveva detto.

Shirley aveva schiuso la bocca per la sorpresa... ma si accalorò all’istante, perché Shirley era fatta così: esprimeva esattamente quello che provava. «Al mio paese si chiama educazione!»

«Al mio paese si chiama fingere di essere interessati alle constatazioni banali di sconosciuti che non avremmo voluto conoscere. Preferisco usare meglio il mio tempo.»

«Almeno su questo ti do ragione!»

«Che bello vedere che andate già d’accordo» si inserì Milly, in un tono da cospiratrice che vede realizzarsi un suo piano, anche se era solo una coincidenza di cui poi si sarebbe presa il merito, quando rivelò: «Dato che siete nella stessa classe.»

«No, ti prego!» uggiolò Shirley.

«Un motivo in più per non andarci» dichiarò Lelouch.

Milly si leccò le labbra, assaporando già la certezza di una futura fonte di divertimento su cui affondare i denti del pettegolezzo. Era la prima volta che Lelouch manifestava il sentimento di un’antipatia appassionata, anche se al suo fine intuito da regina del gossip non sfuggì che la sincerità sembrava averlo stupito: forse il principino non era abituato a non essere obbedito o temuto.

Lelouch e Shirley si stavano scambiando un’occhiata di reciproca belligeranza. E quindi, con un gomito posato sul braccio che era avvolto attorno alla vita, Milly si accarezzò il mento e insinuò maliziosa: «Chi disprezza compra...»

«Che?» esclamò Shirley.

«Nemmeno se fosse in saldo, grazie.»

«Lelouch» lo rimproverò Nunnally piano.

Shirley si era girata di nuovo verso di lui, fremendo di stizza per il commento. «Tu non hai amici, vero?»

«Ti stai proponendo?»

«Assolutamente no.»

«È un sollievo.»

«Per me, di sicuro.» Shirley aveva chiuso le braccia sul petto. «Per te, non direi.» Ma rilassò un po’ le spalle, come se ripensandoci avesse provato un pizzico di dispiacere. «Tutti hanno bisogno di avere degli amici.»

Lelouch emise un suono sprezzante, ma distolse lo sguardo: a Milly parve che si fosse adombrato, ma non riuscì a osservarlo meglio perché Shirley adesso si stava rivolgendo a lei.

«Comunque ero venuta per chiederti se puoi prestarmi il libro per la ricerca di scienze.»

«Sicuro! Ce l’ho in camera. Ma perché non chiedi a Nina di aiutarti?»

«Ho paura che poi non ne esco più» rise Shirley. «Nina è la nostra Einstein del gruppo» disse a Nunnally, che invece sembrava interessata a saperlo.

«Oh, anche lei fa parte del consiglio studentesco?» chiese infatti.

«Sì» rispose Milly, ed elencò i nomi degli altri studenti, mentre sogguardava Lelouch che adesso invece la stava ascoltando, ma con ritegno.

Quella sistemazione gli piaceva sempre meno, sembrava sibilare in silenzio con le labbra ridotte a una grinza di fastidio... ed era tutto dire, dato che fin da principio non gli era piaciuta per niente. Però la sua espressione appariva ancora assorta in un pensiero che lo incupiva e che aveva infittito una striscia d’ombra sotto la fronte, dove si celavano gli occhi schivi.

«Tu a cosa sei utile?» chiese d’un tratto aspramente, fissando Shirley. «Hai detto che tutti hanno bisogno di avere degli amici. A cosa mi serviresti?»

Shirley irrigidì le braccia lungo i fianchi, boccheggiando incredula per un momento. «A nulla. Perché anche se ti vedessi annegare, non ti salverei. Scusami, Nunnally» aggiunse, dispiaciuta. «Ma tuo fratello è... è...»

«Insopportabile, lo so» annuì Nunnally con un sorrisetto arreso. «Ma in fondo è buono.»

«Nunnally?» esclamò Lelouch, ma non era chiaro se fosse più sorpreso perché lo aveva definito insopportabile oppure buono.

«Mi fido» cercò di assentire Shirley per non offenderla, ma puntò la lancia dello sguardo su di lui e aggiunse bisbigliando: «Anche se lo nasconde bene.»

Oh, c’era da divertirsi, si compiacque Milly con l’aria di sfregarsi le mani.

 

 

*

 

 

Finalmente se n’erano andate lasciandoli in pace. Lelouch emise un ultimo respiro greve ed esasperato alla porta d’ingresso che si era appena richiusa (quindi c’erano almeno cinque persone che potevano andare e venire a loro piacimento?), poi girò la carrozzina di sua sorella per tornare al piano di sopra (usando l’ascensore, perché forse in tutto il complesso scolastico non c’era UN singolo alloggio al piano terra per una ragazzina disabile?).

«Non sarebbe male avere degli amici» disse Nunnally con voce tenue.

«Oh, li avrai» le rispose lui incoraggiante, ma ancora sovrappensiero.

Nunnally girò il capo: nel suo viso c’era un broncio preoccupato, ma anche una nota di malinconia. «Dicevo per te. Non ti ricordi Suzaku? Era bello quando giocavamo tutti insieme.»

Nel sentire quel nome (come se non ci avesse già pensato), la sua gola si strinse senza deglutire niente, se non proprio quel senso di niente, il ricordo di un’estate (un’infanzia) finita che aveva perso il sapore della pasta zuccherata di azuki, i colori dell’azzurro e del giallo, l’odore salmastro di una gita in spiaggia con le canne da pesca, quello dell’erba cotta dal sole, il suono di tre risate e del ronzio delle api prima che fossero il rombo dei motori, lo sciame degli aerei militari.

Suzaku apparteneva a tre anni e molte vite prima, a un ultimo scorcio di felicità quando già non credeva che gliene fosse rimasta, che fosse lecito sentirsi ancora bambino dopo che era morta sua madre.

Sì, ricordava Suzaku, ma come l’immagine di un sogno che sbiadisce dopo aver riaperto gli occhi sulla realtà.

Tutti hanno bisogno di avere degli amici.

Premette il tasto dell’ascensore storcendo le labbra con disprezzo. Erano folli a credere di poter essere un altro Suzaku, non avevano neppure il diritto di pensare che...

Venne distolto dalla voce di Nunnally che gli fece drizzare le spalle quando chiese: «Hai rubato il portafoglio di Milly?»

Nunnally compensava all’unico senso che le mancava con il sesto. Ci vedeva meglio di chi vedeva solo con gli occhi.

Lelouch aprì la bocca per replicare: non era colpa sua se Milly era una sciocca che posava la borsa aperta e si girava pure di spalle, voleva dire. E se non sapeva nulla di ciò che le aveva chiesto, motivo per cui sarebbe stato costretto a cercare le risposte da sé. «Glielo farò ritrovare» disse invece.

Anche senza guardarla, seppe che Nunnally aveva un’aria dispiaciuta (e quindi si sentì in colpa di essere stato sgarbato davanti a lei), ma comunque comprensiva. «Qui non hai bisogno di rubare, Lu...»

Lelouch si chiese cosa volesse dire qui. Qui avrebbero avuto una vita normale? Qui erano al sicuro? Qui sarebbero stati felici?

E continuò a chiederselo con espressione piena di feroce sarcasmo quando fu da solo nella “sua stanza” (cioé una cella in cui non c’erano sentinelle di guardia solo perché tanto non aveva dove andare), seduto sul bordo del letto con il portafoglio tra le mani. Lo aveva aperto. C’era esattamente ciò che aveva sperato di trovarci, ovvero le tessere magnetiche, fra cui quella dello studio di Ruben Ashford, il nonno di Milly: e lì con ogni probabilità erano custoditi i documenti privati, forse le planimetrie dettagliate del complesso scolastico, lo schedario di tutti gli studenti...

Pensò a quella Shirley. Non gliene fregava niente che fosse iscritta al club di nuoto, tutto quello che voleva sapere sul suo conto lo avrebbe cercato da sé. Pensò a Milly che credeva di dovergli tendere una mano, come se nella mano avesse qualcosa di utile da offrirgli. E pensò a quei cinque studenti che avevano libero accesso alla club house...

doveva informarsi su chi erano i loro genitori, se avevano contatti con il governo, se erano iscritti lì da molto tempo o guarda caso erano arrivati da poco – Milly sapeva tutto, poteva fidarsi di lei? Ovviamente no. Quanto tempo sarebbe passato prima che si lasciasse sfuggire qualcosa – gli servivano le planimetrie, doveva scoprire dove portavano i sotterranei, se c’erano dei passaggi che collegavano gli edifici, era possibile che quell’ascensore non fosse l’unico ad avere un piano 0 – forse tra gli studenti c’era qualcuno che sapeva del suo arrivo, POTEVANO AVER RICEVUTO UNA SOFFIATA – Milly sembrava quel genere di ragazza frivola che adora vantarsi delle sue conoscenze e non sa tenere a freno la lingua – c’era modo di uscire dall’istituto senza passare dall’ingresso?

Lanciò il portafoglio sul letto e per la prima volta si guardò attorno, sebbene con astio. La stanza era meno grande di quella di Nunnally, anche se più spaziosa di tutte le baracche in cui aveva vissuto negli ultimi anni e che non vantavano il lusso di avere più di un singolo ambiente comune.

C’erano tre grandi finestre all’inglese, ma solo una poteva essere aperta perché le altre erano ingombrate dal mobilio. Il mobilio consisteva appunto in una scrivania in legno affiancata da un cassettone e nel letto a una piazza e mezza su cui era seduto. Le pareti erano di un infamante color lilla e su una di esse erano appesi due quadretti tristi che raffiguravano una casa antica e uno scorcio di mare con una barchetta.

Non era il suo stile, ma non prevedeva certo di personalizzarla... Per qualche motivo, si disse di sfuggita che quella Shirley forse aveva una stanza simile, solo che di sicuro le aveva dato il suo tocco stucchevole, magari degli adesivi coi brillantini appiccicati ai margini dello specchio, il poster di una band pop che piaceva alle ragazzine, (le foto incorniciate con i suoi amici), chissà, forse dormiva ancora abbracciando un pupazzetto che si era portata da casa...

era uno spreco di tempo rendere più accogliente la sua stanza perché quello sarebbe stato solo un rifugio temporaneo, non potevano trattenersi a lungo – STUPIDA MOCCIOSA VIZIATA – passando dal cortile aveva notato una grata abbastanza larga e soprattutto profonda, era possibile calarsi da lì con sua sorella? Se ne sarebbe accertato – gli Ashford volevano solo assicurarsi una chance di riscattare il titolo nobiliare, ma si sarebbero stancati presto di aspettare, li avrebbero venduti al miglior offerente – Shirley sembrava la classica cocca di mamma e papà, lo stereotipo della ragazzina tutta cuori e confetti che crede ancora nelle favole – e in ogni caso tutti i suoi averi stavano nell’unico zaino che si era portato – e se lo aveva insultato era solo perché era abituata a sentirsi dire quanto fosse tenera e carina – doveva hackerare le telecamere per vedere le riprese sul suo computer e per questo gli serviva appunto un computer...

Il materasso era morbido. Le lenzuola emanavano un odore di fresco, di ammorbidente all’aroma di lavanda. Il frigo era pieno. In soggiorno avevano trovato un vassoio con dei biscotti. La finestra si affacciava sul cortile da cui proveniva il chiacchiericcio allegro e cicalante di alcuni studenti e la brezza di primavera faceva ondeggiare leggermente le tende.

quindi gli servivano soldi da mettere da parte, la paga di un lavoro modesto non era sufficiente – doveva scoprire se si potevano replicare le tessere magnetiche o manomettere il sistema d’accesso – chi si credeva di essere Shirley – la prima famiglia a cui li avevano affidati li aveva traditi, anche adesso poteva essere una TRAPPOLA – c’erano casinò da quelle parti? Aveva bisogno di un’altra entrata, non importava che fosse illecita, avrebbe riciclato il denaro in un conto bancario intestato a un falso nome in una banca straniera – Suzaku nel frattempo si era fatto altri amici?

Era tutto così surreale. La luce del sole che si riversava dalla finestra era troppo bianca, la stanza troppo ordinata e gli uccellini che cinguettavano tra le fronde degli alberi sembravano anche loro attori complici di quella recita.

(Gli alberi erano davvero alberi, non i tronchi degli edifici amputati dai bombardamenti.)

Qui era una menzogna.

Milly gli aveva detto di stare tranquillo. Che non doveva preoccuparsi di nulla, erano al sicuro. Gli aveva detto di rilassarsi. Lelouch sentì una risatina di scherno che gli affiorava dal petto, mentre era chino in avanti con la testa fra le mani e i gomiti sulle ginocchia.

La brezza di primavera trasportava il profumo dei ciliegi che Nunnally aveva notato la prima volta.

(Il profumo era davvero profumo, non il miasma dei cadaveri o dei rifiuti ammassati fuori dai tendoni negli accampamenti degli sfollati.)

Qui era una scatola impacchettata in una confezione regalo lucente con un bel fiocco in cima, solo che dentro era vuota. Gli sembrava che a toccare quelle pareti sarebbero cadute, come i quattro muri di una finzione, la stanza fasulla in cui avvengono le riprese di una sitcom. Oltre il fondale di cartapesta della montatura, c’erano ancora i ghetti grigi di cenere, la miseria, la fame, i bambini che camminavano scalzi, una massa di schiene curve per aver lavato i pavimenti tutto il giorno.

Qui era un paradiso incantato racchiuso in una palla di vetro, l’Area 11, una felicità che aveva il cuore arido della prepotenza e del sopruso, ma placcata d’oro come un soprammobile terribilmente kitsch.

La risata si spezzò con un suono secco, anche se non era mai arrivata alle labbra che invece erano strette fra i denti. Si accorse che tutta la stanza adesso stava tremando (forse erano le vibrazioni prodotte dal passaggio di un carro armato che era venuto a rastrellare il quartiere?). Ma a tremare erano solo le sue ginocchia. Si lasciò andare la testa e afferrò il bordo del materasso con entrambe le mani, drizzando le spalle per cercare di respirare meglio mentre guardava la finestra nella parete di fronte.

Dal basso gli giunse il rumore di passi più vicini, degli studenti che stavano costeggiando la club house.

(Gli studenti erano davvero studenti, non soldati di pattuglia, ma poteva crearsi una mappa dei loro spostamenti, scoprire che percorso facevano abitualmente e a che ora, in modo da rilevare le anomalie e cerchiare i nomi di chi aveva un atteggiamento sospetto.)

Stai tranquillo, non hai nulla di cui preoccuparti.

Scoprì che gli si era accorciato il respiro.

Forse doveva andare da Nunnally per assicurarsi che stesse bene. L’aveva lasciata da sola in un posto che non conoscevano. Perché l’aveva lasciata da sola?

Provò ad alzarsi, ma le sue gambe rimasero immobili. Tra le nebbie che si inspessivano nella sua mente (era solo il fumo che gli appannava la vista, il fumo di un palazzo da cui ancora non si erano spente le fiamme, ma la sua mente era chiara e lucida, non potevano stare lì, era pericoloso), scorse il passaggio di un pensiero sfocato: doveva girarsi per controllare che Suzaku fosse ancora dietro di lui, che non si fosse fermato (le sue gambe non riuscivano a compiere lo sforzo di muoversi, Suzaku, andiamo, dobbiamo sbrigarci, qui non è sicuro, non guardare a terra, chiudi gli occhi e seguimi, ce la faremo, ce la faremo, ce la faremo, va tutto bene, so a che ora passano i soldati, se esco adesso non mi beccano), forse aveva bisogno di essere rassicurato.

Ma se si fosse girato non avrebbe visto Suzaku perché (non aveva più sue notizie da quando si erano separati, aveva provato a cercarlo, ma) non c’era nessuno a cui dire che aveva un piano so cosa sto facendo fidatevi e non era nemmeno necessario un piano, perché (forse aveva trovato riparo dalla famiglia di Kyoto, Tohdo era rimasto con lui) andava tutto bene. Erano al sicuro. Se si fosse girato... se fosse riuscito a girarsi.

Non avrebbe visto nessuno. Era da solo con la sua prima persona singolare. Ce la farò?

Si toccò la gola con una mano e sentì i battiti concitati, le contrazioni accelerate del cuore che pulsava impazzito al ritmo di diastoliche e sistoliche... adrenalina e paranoia.

Nunnally ha bisogno di aiuto?

Suzaku ha bisogno di aiuto?

Qualcuno ha bisogno di aiuto?

Paralizzarsi non era da lui. Lelouch era efficiente. Sapeva sempre cosa doveva fare e quando.

Ma non aveva nulla da fare. Sgranò gli occhi sulla voragine di quel pensiero di cui vide aprirsi la bocca fra le nebbie che si ritiravano. Non aveva nulla da fare.

Gli uccellini continuavano a cantare.

Dal cortile gli giungevano le risa degli studenti.

Il sole faceva brillare il parquet riversando dalla finestra una colata di luce limpida e tiepida.

In lontananza poteva sentire anche lo scorrere lento del ruscello.

(Lelouch? Siamo arrivati?)

Erano arrivati?

(Allora, parlami della nuova casa. Com’è?)

(È davvero bella. Le pareti sono bianche come la neve. C’è una finestra panoramica con fiori tutt’intorno...)

(Sembra la stanza di Euphie. È così?)

La mano scese dalla gola e si chiuse sul petto.

Andava tutto bene.

Erano al sicuro.

Non doveva fare nulla.

… È così?

È così è così è così è così?

(Dobbiamo andarcene, Nunnally.)

(Dove?)

(In un posto più sicuro.)

(Migliore di questo?)

(Certo. Sarà un posto fantastico!)

(E sai dov’è?)

(Sì. È là.)

(È sempre un po’ più in là...)

Ma quanto più in là?

(Ancora un po’, Nunnally... e quando saremo là lo vedrai tu stessa...)






Cose salienti:
Lelouch pensa troppo.
E comunque... SUZAKU NEL FRATTEMPO SI ERA FATTO ALTRI AMICI? (Fatto... ahem. M'è uscita male. Giuro che nemmeno li shippo.)

   
 
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