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Autore: Enchalott    14/06/2021    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Diritto alla vendetta
 
Yozora si destò di soprassalto sulla scia di un incubo che le aveva inculcato la sensazione di precipitare. Una parte della coscienza non aveva smaltito il mutamento drastico cui si era sottoposta. Si rannicchiò sul letto, contemplando il filamento di luce che filtrava dalle cortine ricamate: colori e suoni diversi da quelli di Seera, estranei, angoscianti nell’isolamento della stanza, presto condivisa con il suo promesso sposo.
Si era addormentata, vinta da una stanchezza che si era imposta sull’apprensione. Nella pletora delle ragioni che tanto la turbavano primeggiava l’immagine della guardia reale scelta da Mahati. Si chiese perché le stesse a cuore la sorte di una sconosciuta e la risposta venne dal senso di responsabilità. Quando aveva respinto il principe, non aveva vagliato che qualcuno pagasse al posto suo, ma ciò non costituiva un’attenuante. Avrebbero potuto citare tutte le maledette usanze khai senza convincerla.
Posò i piedi sul tappeto, decisa trascorrere la giornata in maniera fruttuosa. Scostò la tenda e i raggi dei tre soli restituirono i colori all’ambiente. Era sola, non aveva idea dell’ora, probabilmente le dorei avevano ricevuto ordine di lasciarla riposare e il Šarkumaar non era rientrato dopo lo svago notturno.
Si sentì invadere da una rabbia impotente, ma cercare rimedio alle circostanze irreparabili era un suo puntiglio. Un’ostinazione contro la quale sua madre l’aveva messa in guardia con la dolcezza e la pazienza che l’avevano caratterizzata.
Preferisco le delusioni brucianti alle rinunce precauzionali.
Si vestì in fretta e infilò la porta senza sapere se fosse quella giusta. Al suo ingresso le schiave sussultarono impreparate e s’inchinarono con la fronte a terra.
«Perdonateci, altezza, non abbiamo osato incomodarvi e non vi abbiamo udita.»
C’era paura nei loro sguardi, ma Yozora le tranquillizzò.
«Ogni desiderio è un ordine, principessa. Vi prepareremo come si conviene e ci occuperemo del vostro sostentamento. Ieri non avete toccato cibo, è colpa nostra se non l’avete gradito.»
«Oh no, era delizioso. Il viaggio mi ha scombussolata, prometto di onorare sia la tavola sia il vostro lavoro, ma adesso ho fretta di uscire.»
Le dorei la guardarono sgomente, dimentiche del protocollo che imponeva loro di abbassare il capo in sua presenza. Non ebbero il coraggio di spiegarle che non avrebbe potuto gironzolare a piacimento.
Yozora lo intuì dalla silenziosa impasse: rifiutare sarebbe stato un errore che avrebbero pagato al posto suo. L’impazienza l’avrebbe privata della cautela, il tempo era l’unico suo avere e non l’avrebbe sprecato: il sommo Kalemi l’avrebbe protetta.
Rischio di cagionare nuovi danni nell’intento di riparare i precedenti.
«Ditemi cosa fare. Giuro di non offendermi se mi aiuterete ad annotare gli sbagli che commetterò. Non desidero procurarvi guai.»
Le schiave liberarono il fiato e sciamarono efficienti su indicazione della più anziana, tra tutte l’unica Khai. Le altre erano prede di guerra, nessuna Salki. Yozora pensò che fosse una disposizione mirata a staccarla dalle sue origini. Un taglio netto, arduo da accettare, essenziale se osservato dal punto di vista dei demoni. Le parole di Rhenn apparvero illuminanti.
Kaniša è vostro padre, i Khai i vostri fratelli, Mardan il vostro regno.
«Il Šarkumaar potrebbe rientrare da un momento all’altro» spiegò la dorei che le spazzolava i capelli «Si inquieterebbe se vi trovasse trascurata.»
Un modo diplomatico per dire che se la sarebbe presa con loro.
«Dubito che irromperebbe, spinto dall’irrefrenabile desiderio della mia compagnia» borbottò Yozora «E in tal caso sarei io ad agitarmi.»
La donna avvampò e non ardì rispondere, lei non capì se a causa dell’esternazione poco ortodossa o dell’omissione dell’onorifico.
«A meno che non intenda verificare se sono viva. Resterebbe deluso, scoprendo che non mi sono gettata dalla torre.»
«Non dite così, altezza. Il vostro futuro sposo è un uomo di valore.»
«Me ne sono accorta. Una tale virtù non passa inosservata.»
Le dorei abbassarono gli occhi, qualcuna celò un sorriso furtivo. A ben considerare erano tutte nella stessa situazione: in quanto figlia di Entin, era solo più fortunata. O convinta di esserlo. Ragionò su come ottenere notizie senza procacciare castighi.
«È possibile visitare il palazzo? Confesso che sono curiosa.»
«La scorta è pronta ad accompagnarvi.»
O a controllare che non fugga. Come se fossi in grado di montare un vradak!
L’idea le procurò i brividi, ma l’analogia la portò a domandarsi se avrebbe incontrato Rhenn. L’aveva messa meno in soggezione ed era stato l’unico a fornirle indicazioni tra una ramanzina e l’altra. Magari le avrebbe presentato la moglie: i Khai rispettavano i legami, le sarebbe piaciuto diventare amica della futura cognata. Era il primo giorno senza Hyrma e il vuoto pareva incolmabile.
Si guardò allo specchio e arrossì. Le avevano fatto indossare un abito che ambiva incollarsi a tutti i costi al seno e ai fianchi. Non era abituata a portare i capelli sciolti né i fermagli caratteristici delle acconciature khai né i sandali aperti che le scoprivano i piedi. La prese come la prova decisiva e si impose di ignorare le palpitazioni.
«Come vi chiamate?» domandò alla schiava khai.
Quella rimase a bocca aperta. Non rispose, limitandosi a un muto omaggio.
«Non avrei dovuto chiederlo, vero?» sospirò Yozora altrettanto impicciata.
«Non ci sono interdizioni, altezza, ma il nostro nome è irrilevante.»
«Consideratela l’eccentricità di una straniera.»
La donna abbassò il capo per celare la reazione emotiva.
«Naiše, mia signora. Per servirvi.»
«Avvisereste la scorta, Naiše? Se uscissi all’improvviso, penserebbero a un’evasione e l’equivoco metterebbe in imbarazzo Mahati.»
La donna si affrettò a obbedire. All’uscita della principessa, si sentì trafiggere dagli sguardi allibiti delle compagne.
«Non dite niente» le anticipò «La fanciulla salki è un segno della divina Valarde, non c’è altra spiegazione.»
«Da quando sono shitai, è la prima volta che vengo trattata come una persona» affermò un’altra «Lo avevo dimenticato.»
«Il Šarkumaar non la vorrà» sancì una terza.
«Le farà del male o la ucciderà.»
«Nessuno la aiuterà.»
«Silenzio! Volete che il principe vi tagli la lingua? Tornate ai vostri uffici!»
Naiše osservò il disperdersi delle compagne con la convinzione che la prigioniera sarebbe riuscita a sopravvivere. Aveva trascorso la vita alla capitale, assorbendone la linfa vitale, distinguendo le sfaccettature. Prima di cadere in disgrazia, era appartenuta a un clan prestigioso, aveva sposato un guerriero d’alto rango, gli aveva dato tre figli ed era stata al suo fianco fino all’ultimo, condividendone le scelte. Aveva subito sulla pelle l’effetto dell’odio, della volontà di soffocare la minima crepa all’ordine costituito. Lo stesso che le aveva portato via tutto. Ciò che esulava veniva asportato come una tumescenza suppurata destinata a generare una cancrena. L’equilibrio del regno era preservato con ogni mezzo e l’alleanza tra i clan ne era il segreto.
Levò lo sguardo al cielo dorato. I germogli inaridivano al Sole Trigemino, non i semi: sopravvivevano all’arsura in attesa dell’acqua, piccoli e modesti, addirittura invisibili. Era sufficiente una goccia per farli sbocciare. La principessa salki le era come quell’acqua: se avesse iniziato a scorrere tra le spaccature del suolo riarso, i fiori si sarebbero risvegliati. Ma con essi i rovi.
«Che la dea della Montagna l’aiuti.»
 
Le guardie reali, armate di tutto punto, si mossero senza fiatare. Erano quattro giovani donne, la superavano in altezza di tre spanne buone e le corna ancorate sui diademi accentuavano la naturale austerità. Portavano il dorcha, in battaglia sarebbero state indistinguibili dai compagni maschi e altrettanto feroci. Gli sguardi, affilati dal bistro nero, non promettevano misericordia.
Yozora non riuscì a immaginarle come mogli o madri, ma le fu chiaro il motivo per cui Mahati fosse rimasto deluso da lei: avevano presentato un cucciolo spaurito a un lupo selvaggio. Non significava che la frustrazione dovesse persistere. Rhenn l’aveva valutata degna di considerazione solo nei momenti in cui si erano scontrati.
Entrare in conflitto con il promesso sposo, avendo cura di non valicare il confine, mi renderebbe meno detestabile ai suoi occhi?
Non ne era sicura, lui la terrorizzava, ma smettere di tremare ed esporre le proprie ragioni gli avrebbe comunicato che non era disposta a farsi calpestare. Forse avrebbe ottenuto il suo rispetto o perlomeno una morte dignitosa.
Realizzò di essere in uno dei saloni della reggia: era luminoso, arredato con finezza ed estro, non c’era nulla fuori posto. I Khai interruppero le attività ordinarie riservandole occhiate incuriosite ma prive di animosità. Tanto bastò a metterla in soggezione, scombinando i propositi eroici. Non avrebbe tenuto testa a Mahati comportandosi così. Il disincanto tornò prepotente.
«Preferite accedere alla sala del trono o ai giardini?» domandò una delle guardie.
«Vorrei visitare il quartiere.»
La donna inarcò un sopracciglio, lei annaspò per fornire una motivazione sensata.
«I Khai sono apprezzati per l’abilità militare, non per come potano le siepi. Preferisco conoscervi per ciò che conta, presupponendo che la guardia reale di Mardan sia formata dai migliori. Siete d’accordo comandante…?»
«Reikan Solea. Apprezzo la predilezione.»
Yozora rifiatò, lieta di aver sfoderato l’argomentazione giusta. Seguì il drappello attraverso un cortile secondario, angusto nella stretta vigorosa delle mura. Tenne lo sguardo abbassato, ma non poté fare a meno di notare che gli individui al lavoro erano tutti sottomessi. L’eterogeneità indicava la vastità delle conquiste dei demoni e quanto fosse immenso il dolore patito dagli sconfitti.
Sul suolo farinoso si proiettò un’ombra, altre interruppero a sobbalzi l’ardere dei soli. Alzò il capo e intercettò il volo radente di uno stormo di rapaci da guerra. Il senso di condivisione con gli sfortunati che si affaccendavano in silenzio increbbe.
«Desiderate vedere le postazioni dei vradak
«M-magari domani.»
Solea interpretò la replica come una strategia per centellinare le uscite concesse dal Šarkumaar. Lo conosceva come un uomo severo, valoroso e affascinante. Si chiese come potesse sottostare a un ordine avvilente come quello di sposare una shitai. Ligio all’osservanza non significava predisposto alle umiliazioni. Quella ragazzina era insignificante, inadatta al figlio del re, sebbene con la richiesta imprevista avesse guadagnato punti. Ne avrebbe avuto bisogno o l’incarico di sorvegliarla non sarebbe stato sufficiente a preservarla dall’astio. Avrebbe dovuto farsi crescere gli artigli e assomigliare a una di loro.
 
Rhenn si appoggiò al bordo della terrazza maggiore dell’ala ovest. Alle sue spalle gli archi trilobati gettavano ombre oblique sulle piastrelle decorate a racemi. La corrente ascensionale gli sollevò le vesti in un fluttuare di seta leggera.
Era stato convocato dal padre, ma trascinava i preparativi, una tattica per ridurre al minimo il colloquio: Kaniša avrebbe verificato ogni dettaglio degli accordi con i Salki, poi gli avrebbe assegnato un altro compito inutile.
Misurare il diametro delle fontane, per esempio.
L’apparire dei vradak da Minkar lo distolse dalle congetture: a capo della formazione c’era Eskandar, il che significava guai dal fronte.
La giornata si fa interessante.
Fece per rientrare, ma qualcosa captò la sua attenzione. Quattro guardie reali stavano attraversando il cortile, serrate a una figura minuta: i capelli castani e gli abiti acquamarina spiccavano tra le uniformi scarlatte.
«Ma guarda» commentò deliziato.
«Chi è?»
Rasalaje si sporse per cogliere il particolare che aveva attratto il marito.
«La promessa sposa di Mahati. Stavo per scommettere che per mesi non avrebbe messo il naso fuori dall’ala sud.»
«Hai detto che non era nulla di speciale.»
«Lo è?»
Rasalaje lo squadrò con l’aria di chi non ha intenzione di farsi prendere in giro.
«È bella.»
«Se lo dici tu, per giunta da così lontano…»
«La distanza non è un problema per me come non lo è per te.»
Rhenn subì la frecciata, conscio di essere in torto marcio. Il rifiuto della sera prima era pesato alla moglie, la sua non era un’irritazione simulata per ripicca.
«Non soffro di nostalgia» affermò con un magistrale contrattacco «Non significa che verrò meno ai miei doveri.»
«Vorrei che tu parlassi di piacere.»
L’Ojikumaar rise gelido e le prese la mano.
«Al mio rientro sarà un argomento privato.»
 
Il corpo scelto dei nisenshi era schierato come in un’ispezione a sorpresa.
Yozora si sentì ridicola.
Staranno pensando all’intempestività della mia visita o all’infantile capriccio di una principessina annoiata.
Placò l’agitazione e ringraziò i convenuti nella loro lingua, suscitandone la meraviglia. Guadagnò tempo per individuare la donna che cercava, ma non aveva indizi.
«La vostra presenza qui è un privilegio» enunciò Solea «È raro che i membri del clan reale scendano al quartiere.»
«Ma io non appartengo…»
«Siete modesta, altezza. Come sapete, la promessa sposa del Šarkumaar ne è parte dal momento in cui accede alle sue stanze, lieta che non lo facciate pesare.»
Yozora tacque. La reikan aveva fornito l’appiglio per scongiurare una pessima figura. L’espressione rigida le suggeriva di evitare riferimenti alle sue origini, ma non era intervenuta a suo pro, aveva difeso la dignità di Mahati.
È difficile pensare come un Khai.
«Desidero conferire con chi ieri notte era di turno alla torre meridionale.»
I guerrieri si irrigidirono, scrutandosi l’un l’altro come se la richiesta avesse generato nervosismo. Gli interessati si fecero avanti con insolita circospezione.
Non riuscì a immaginare il motivo della tensione, ma non si perse d’animo: congedò gli uomini e osservò le donne, appellandosi a un ardimento che non le apparteneva.
«Il mio promesso sposo ha… toccato una di voi.»
Solea serrò le palpebre e inalò l’aria come se faticasse a respirare. La guardia reale arretrò, una persona rimase isolata. Gli sguardi dei demoni divennero animosi.
L’interessata s’inginocchiò in atto di sottomissione. Aveva corti capelli castano chiaro e occhi indaco, nei quali vibrava una scintilla di amara rassegnazione.
«Siete nel vostro diritto, mia signora.»
Yozora non si raccapezzò quando sganciò la spada e la depositò ai suoi piedi come in un rituale.
«C-come?»
«La vendetta» intervenne la reikan.
L’espressione tra il perso e l’inorridito della ragazzina le chiarì che non era a conoscenza della tradizione, dunque aveva un motivo che esulava dalla rivalsa. Ma i Khai non l’avrebbero scusata in quanto straniera o ignorante, avrebbero invece ricordato l’esecuzione sommaria di una di loro.
«Certo vi ritenete ingiuriata, altezza» continuò paziente «Il vostro promesso sposo ha condiviso l’amplesso con un’altra, è vostra prerogativa lavare l’onta nel sangue. La donna in causa accetta la morte.»
Yozora sbiancò. Era assurdo. Assurdo e agghiacciante. Quella persona non aveva sedotto Mahati, non aveva chiesto di essere sua concubina, non le aveva mancato di rispetto. Era stato il principe a non mostrarne, ma non sarebbe stato lui a pagare.
Rimase pietrificata. Il pietoso intento di scoprire se la sfortunata stesse bene si era trasformato in un omicidio legittimato dalle tradizioni.
«Impugnate la lama, mia signora» premette Solea priva di accento.
   
 
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