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Autore: Calimon    15/06/2021    2 recensioni
“Sherlock l’aereo deve partire!” dal tono di voce di Mycroft permeava tutta la sua impazienza
“Dammi solo un dannatissimo minuto!” Sherlock scandì ogni parola.
Per lui era già tutto incredibilmente difficile senza che continuassero ad interromperlo; ammettere a sé stesso di provare certi sentimenti era stato uno sforzo immane ma riuscire a dichiarali a qualcuno si stava rivelando in assoluto la cosa più masochista che avesse mai fatto in vita sua, e lui ne aveva fatte parecchie.

Quando Sherlock dichiara i suoi sentimenti a John non ha idea che da lì a poco la missione sotto copertura per cui deve partire sarà annullata. Le conseguenze alle sue parole potrebbero essere molteplici ma quando si trova di nuovo difronte a John è come se nulla fosse mai successo. Stava solo sognando? Era un’allucinazione indotta dalle droghe? Gli eventi travolgeranno i due coinquilini di Baker Street e le notti di Sherlock saranno costellate da incubi e domande a cui solo John può rispondere.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice:
Mamma mia da quanti tempo non pubblico qualcosa, saranno anni ormai!
L’ispirazione mi è tornata dopo aver finito di vedere Sherlock qualche settimana fa (lo so, sono indietro come la coda del cane!) perché volevo dare ai due protagonisti un finale alternativo.
Questa storia si svolge a partire dalle vicende dell’episodio “L’ultimo giuramento” e ricalca parte degli avvenimenti che hanno luogo nella serie da quel momento fino a  “Il problema finale”, mostrando quello che potrebbe essere avvenuto dopo.
Come avrete potuto intuire è una Johnlock, divisa in tre capitoli, ognuno dei quali è introdotto dalle strofe di una canzone che mi è stata d’ispirazione durante la scrittura.
Se voleste ascoltarle durante la lettura sono “Up in the air” dei “Thirty seconds to Mars, “Bury a friend” di Billie Eilish e “Stray Heart” dei Green Day.
Pubblicherò un capitolo a settimana ogni martedì.
Spero che la storia vi piaccia e se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate mi farà molto piacere leggere le vostre recensioni.
A presto e buona lettura! Xo

1. ANDATA E RITORNO



“I′ve been up in the air
Out of my head
Stuck in a moment of emotion I destroyed
Is this the end I feel?
Up in the air
Fucked up on life
All of the laws I've broken loves that I′ve sacrificed
Is this the end?”
{Up in the air - Thirty Seconds To Mars}

 

 

 

“C’è una cosa che devo dirti”
Sherlock stava fissando John mentre nella sua testa si dipanavano tutti i possibili scenari derivanti dalle parole che avrebbero seguito quella frase.
La sua intelligenza e il suo intuito incredibili -come li definivano gli altri- avevano ovviamente già vagliato tutte le possibili implicazioni delle sue scelte ma questa volta non era riuscito a prendere una decisione razionale e stava temporeggiando, cosa assolutamente non da lui.

Ma le emozioni, quelle dannate emozioni da cui solitamente era così bravo a discostarsi, si agitavano dentro di lui come un mare in tempesta e non gli permettevano di ragionare lucidamente.

John lo guardava in attesa delle sue parole e lui poteva chiaramente sentire lo sguardo di Mycroft addosso, anche a metri di distanza; suo fratello era impaziente di metterlo su quell’aereo e chiudere così quel problema chiamato Sherlock-ammazza-ricattatori in uno scomparto della sua mente che non avrebbe riaperto per almeno sei mesi, sempre che lui fosse tornato vivo dalla sua missione.

Il cielo era stranamente terso per essere una mattina autunnale inglese e non c’era praticamente vento, ci avrebbero messo meno del previsto ad arrivare a destinazione; questo se in quota non avessero trovato alcuna turbolenza, cosa comunque piuttosto improbabile visto il meteo previsto…lo stava facendo di nuovo!

Si stava concentrando su dettagli inutili pur di non affrontare la realtà, pur di non prendere una decisione.

“John..” Prese fiato, nella speranza che insieme all’ossigeno entrasse in circolo anche un po’ di coraggio “John tu…no, io…” 

Anche la sua dialettica, solitamente concisa e veloce, lo stava abbandonando. Maledette, maledette emozioni!

“John anche io sono umano…”

Il Dr. Watson aggrottò le ciglia e spalancò gli occhi “Beh non l’avrei mai detto!” Rispose sorpreso e divertito.

“Intendo dire che sono un umano e, mio malgrado, a volte provo cose.”
“Cose? Intendi emozioni?”
“John, non riuscirò a finire di parlare se continui ad interrompermi!” Lo rimbrottò Sherlock

Si sollevò una folata di vento che però tirava in senso opposto a quello che sarebbe stato il senso di marcia dell’aereo, se fosse aumentato probabilmente avrebbero tardato sull’ora di arrivo a destinazione.

Cristo, Sherlock concentrati! 

Quanto avrebbe desiderato una sigaretta in quel momento..!

Il detective inspirò di nuovo, profondamente.

“Dicevo, sono umano e provo delle emozioni” pronunciò questa parola con un misto di incredulità e disgusto nella voce “E per quanto io abbia provato a far finta di niente ci sono alcune emozioni che ti riguardano che non riesco ad ignorare.”

John rimase in silenzio, sapeva benissimo quanto stesse costando a Sherlock dire certe cose.

“Non ho mai avuto molti amici e sicuramente non ho mai provato quello che le persone definiscono il grande amore” mimò due virgolette con le dita in aria “Ma da quando ti ho conosciuto mi sono sentito meno solo, ho sentito di aver trovare un amico, qualcuno di davvero importante.”

“Oh Sherlock anche io…” 

Sherlock alzò l’indice come a dire di aspettare ancora un attimo a parlare “I due anni in cui ho dovuto fingermi morto sono stati i più difficili perché non potevo parlarti, non potevo vederti.”

“Sherlock!” Lo chiamò Mycroft

“Dammi un minuto!” Gli gridò di rimando

“Sherlock l’aereo deve partire!” dal tono di voce di Mycroft permeava tutta la sua impazienza

“Dammi solo un dannatissimo minuto!” Sherlock scandì ogni parola che usciva dalla sua voce come un ringhio.

Per lui era già tutto incredibilmente difficile senza che continuassero ad interromperlo; ammettere a sé stesso di provare certi sentimenti era stato uno sforzo immane ma riuscire a dichiarale a qualcuno si stava rivelando in assoluto la cosa più masochista che avesse mai fatto in vita sua, e lui ne aveva fatte parecchie.

Inspirò profondamente.

John sembrava aver compreso la difficoltà che stava provando perché era rimasto in silenzio, paziente, con la sua solita espressione pacifica e aperta in volto.

“Per farla breve, quello che sto cercando di dirti John è…” sospirò profondamente

Ora o mai più Sherlock!

“John Hamish Watson, io non so cosa sia il grande amore, non so nemmeno cosa sia l’amore probabilmente, ma sono certo che quello che provo per te lo sia, o almeno ci vada molto vicino. Non ho mai voluto mancare di rispetto a te, Mary, o la piccola Watson in arrivo, ma non potevo andarmene come due anni fa senza dirtelo. Non avrei potuto vivere con questo rimorso, non di nuovo. La tua amicizia mi basta e mi basterà sempre, è preziosa…” continuò a parlare tenendo lo sguardo basso, cosa insolita per lui che era sempre sicuro di sé “Forse è solo il mio ennesimo atto egoista, forse lo sto facendo solo per me, per liberarmi di questo peso ma volevo che tu sapessi.”

Sherlock non volle dare tempo all’amico di rispondere: una cosa era fare i conti con le sue emozioni, accettare di essere inevitabilmente ferito dalle parole che avrebbe pronunciato John era qualcosa a cui non era preparato.

E se non fosse così, Sherlock? Se lui…

Sherlock scosse la testa, un gesto che fece più per reprimere i suoi pensieri che per altro, ma John lo interpretò nel migliore dei modi rimanendo in silenzio.

“Ciao John..” Gli posò una mano sulla spalla e, nonostante fosse coperta dalla spessa stoffa del suo guanto, sembrò prendere fuoco per il calore che quel contatto sprigionò in lui.

“Ciao Sherlock..” Gli fece eco l’amico abbozzando un sorriso.

Il detective dovette fare ricorso a tutta la sua forza di volontà per staccare la mano dal dottore e costringersi a voltarsi avviandosi verso l’aereo che lo avrebbe condotto ad est.

“Sherlock!” La voce di John lo fece voltare.

I due rimasero a guardarsi, senza proferire parola, per quelli che sembrarono istanti interminabili.
Quante cose ci sarebbero state ancora da dirsi, quanti dubbi, quante domande ma quello non era più il loro momento; forse, il momento di John e Sherlock non c’era mai stato e sicuramente non sarebbe mai arrivato.

John gli sorrise di nuovo, questa volta con un sorriso più ampio e deciso che Sherlock ricambiò, poi alzò il bavero del cappotto, si voltò e riprese a camminare senza guardarsi più indietro.

 

 

Sherlock venne riportato bruscamente alla realtà; qualcuno lo stava toccando, strappandolo dai suoi pensieri.

O dalle tue allucinazioni, eh Sherlock?

Nel giro di mezzo minuto era nuovamente circondato da Mycroft, Mary e…John.

“Che ci fate qui?” Chiese bruscamente cercando di prendere tempo e ricollegare il cervello alla realtà

“Non ti ricordi fratellino? Moriarty è tornato!” Gli rispose Mycroft sedendosi su un sedile poco distante da lui.

“Sì, certo che mi ricordo!” 

Era successo tutto nel giro di pochi minuti ma per lui era come se fossero passati anni: dopo poco il decollo aveva ricevuto la chiamata del fratello che lo avvisava del ritorno di Moriarty e in quello che aveva stimato essere stati dieci minuti l’aereo era tornato al punto di partenza.

Nella metà del tempo lui era riuscito a fare un giro nel suo palazzo mentale, richiamare nella sua mente un caso di secoli prima e cercare di utilizzarlo per risolvere il mistero del ritorno di Jim.

Era stato tutto nella sua mente, poco più di un sogno, ma a lui era parso estremamente reale.

Ma John? Anche la confessione all’amico era stata frutto della sua immaginazione o era accaduto realmente?

Sherlock fece quello che sapeva fare meglio: osservare; John però aveva la stessa espressione pacifica e bonaria di sempre, non dava nessun segno di disagio per la situazione, si stava comportando esattamente come avrebbe fatto normalmente.

Mary era accanto a lui, serena.

No, sicuramente non aveva detto nulla a John e quella conversazione era stata unicamente frutto della sua fantasia, forse una piccola distrazione dovuta all’apertura di una stanza nel suo palazzo mentale che avrebbe dovuto rimanere chiusa a doppia mandata.

Quando Sherlock raccontò del caso dell’abominevole sposa a cui stava “lavorando”, Mycroft capì al volo che non era tutto unicamente farina del suo sacco e gli chiese la famigerata lista.

Era un accordo che avevano da quando erano poco più che un ragazzini; Sherlock era un adolescente annoiato, con un’intelligenza sopra la media e un carattere spigoloso che non lo agevolava nel fare -e soprattutto mantenere- delle amicizie, così aveva trovato un mondo tutto suo in cui scappare, allevare lo stress e fare ciò che sapeva fare meglio: studiare, osservare, pensare, ragionare e dedurre.

Ci fu una volta però che esagerò e Mycroft, per una serie di fortunati eventi, lo ritrovò in un vicolo, moribondo; cercò di rianimarlo in attesa dell’ambulanza ma sembrava tutto perduto. Sherlock era cadaverico, sporco del suo stesso vomito, gli occhi azzurri fissi su un punto indefinito e il battito del cuore era lento e debole.

Il senso di impotenza derivato dal non avere le informazioni necessarie per aiutare immediatamente il fratello avevano fatto sentire Mycroft inutile e allo stesso modo lo avevano fatto sentire i paramedici quando arrivati sul posto lo avevano tempestato di domande e lui non aveva la più pallida idea di cosa dire ai medici per salvare Sherlock.

Mycroft aveva confessato tutte queste cose al fratellino mentre lui riposava in ospedale, dopo una lavanda gastrica, un tentativo di rianimazione e parecchie sacche di liquidi dopo; Sherlock era certo che il fratello maggiore si fosse aperto con lui e mostrato così vulnerabile solo perché pensava che lui non potesse sentirlo. Invece aveva udito ogni cosa e, sebbene non gliene avesse mai fatto menzione, teneva nel cuore quel ricordo come uno dei più cari della sua vita, sicuramente l’unico in cui Mycroft gli esplicitava quanto tenesse a lui e quanto gli volesse bene.

 

 

Quando scesero dall’aereo John lo prese da parte e in quel momento tutte le certezze di Sherlock vacillarono.

La sua mente, solitamente pragmatica, razionale e quanto più lontano possibile dalle emozioni, sembrò essere invasa da una fitta coltre di nebbia che gli impediva di pensare lucidamente.

Aveva davvero parlato a Watson? Non era possibile, sull’aereo era certo di esserseli solamente immaginato quella scena per qualche istante prima di pensare al caso di Emilia Ricoletti.

“Sherlock devi stare attento con quella roba, rischi di fare una brutta fine..” 

“Tranquillo John, so quello che faccio” minimizzò il detective

“Dico davvero!”

“Perché?” 

“In che senso perché Sherlock?”

“Perché mi stai dicendo questo?”
“Perché ci tengo a te, razza di idiota! Sei il mio migliore amico e non voglio dover partecipare al tuo vero funerale, quello fasullo è stato abbastanza!”

“Sono il tuo migliore amico?” 

“Non farmelo ripetere”

Sherlock sorrise.

Il suo segreto era rimasto al sicuro ma aveva l’amicizia di John, e questo era abbastanza.

   
 
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