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Autore: Dama_del_Labirinto    15/06/2021    1 recensioni
Fujima è l’asso, lo stratega, il giocatore in grado di trascinare una squadra intera pur essendo solo una matricola. È apparentemente perfetto. Tuttavia, che peso può comportare una perfezione così sbandierata da chiunque su una persona? Hanagata sa che si tratta di un adolescente qualunque, con i suoi segreti, ed è intenzionato a sostenerlo ad ogni costo.
Main pairing Hanagata/Fujima, side pairing Maki/Fujima
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kenji Fujima, Shinichi Maki, Toru Hanagata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kenji Fujima era un giocatore dalle abilità eccezionali, questo aveva pensato Hanagata il primo giorno delle superiori.
Lo Shoyo era una scuola ambita per il club di basket. Dopo la selezione in entrata, le matricole andavano a far parte delle tante riserve e molti potevano solo sognare di giocare cinque minuti in un torneo durante i tre anni. Hanagata conosceva le regole del gioco e accettava di buon grado di aver ricevuto un invito alle medie, di allenarsi duramente e di tifare dalla panchina per i suoi compagni più grandi, gli unici ad arrivare di fatto alla posizione di titolari.
Fujima era una matricola, ma era chiaro che non avrebbe avuto lo stesso destino ai suoi coetanei. Il primo giorno di allenamenti, durante la partita che disputarono i primini per mostrare il loro livello, Fujima macinò punti su punti da solo, faceva passaggi precisi e dettava il ritmo del gioco in modo travolgente. Prese il comando della sua formazione, trascinando tutti gli altri, urlando frasi come:
“Andiamo al contrattacco, ci penso io a far punto se siamo in difficoltà!”
“Non perdiamoci d’animo!”
“Stiamo andando alla grande. Fuori la grinta!”
“Qua bisogna pensare a una tattica o il divario di punti comincerà ad aumentare.”
Era evidente che si stesse divertendo. Non mostrava esitazione, ma non c’era neanche durezza nei suoi lineamenti. Anche se aveva talento, non concentrava le sue energie per sfoggiare la sua bravura, anzi, si complimentava con gli altri per ogni buona azione.
“Ma che rimbalzo hai preso, Hanagata,” venne a dire entusiasta al compagno di squadra, battendogli una mano sulla schiena, dopo che il centro fece canestro.
Colto di sorpresa, Hanagata non seppe cosa rispondere. Da quel momento, i suoi occhi cominciarono a cercare quelli grandi e scuri di Fujima.
Dopo la partita fu vinta dalla sua formazione con Fujima a capo, Hanagata bevette un sorso d’acqua a bordo campo. Hasegawa era lì con lui, intento a passarsi un asciugamano sul volto.
“Fujima è inarrivabile,” commentò Hasegawa.
Hanagata pensò a quando un tiro era andato a segno da parte degli avversari e il playmaker aveva detto, “Nessun problema, faremo il doppio dei punti.” A riprova delle sue intenzioni, Fujima aveva segnato due canestri nel giro di un minuto.
“Sono d’accordo,” disse, “Non parla tanto per parlare…lui crede davvero in quello che dice.” Poi guardò Fujima mentre si confrontava con gli studenti più grandi.
Se qualcuno lo avesse chiesto ad Hanagata, sì, ne era convinto, quell’anno sarebbero arrivati al vertice con Fujima nella squadra.
_____

Era una mattina festiva e il calendario segnava pochi giorni dall’inizio delle qualificazioni per il torneo interscolastico. Hanagata andò al campetto di basket vicino a casa. Si stava esercitando coi tiri, quando scorse una figura familiare in strada: era Fujima. Il ragazzo correva con le cuffie alle orecchie. Hanagata lasciò subito la palla e corse verso la rete metallica del campetto.
Sperò che l’altro lo notasse. Fortunatamente, Fujima si accorse di lui con la coda dell’occhio. Il playmaker rallentò l’andatura. Aveva la frangetta scomposta e appiccicata sulla fronte sudata. Spense il walkman, si tolse le cuffie e gli rivolse un sorriso.
“Hanagata, che piacere vederti! Sei qui per fare due tiri?” domandò, infilando le dita tra le maglie della recinzione.
“Già. Vuoi unirti a me?” propose Hanagata.
“Molto volentieri.” Fujima entrò nel campetto. Dopo aver raccolto la palla da terra, se la passò da una mano all’altra, poi domandò, “Ti va di fare una sfida?” 
“One-on-one?”
Fujima annuì. “Prova a fermarmi.”
Fermarlo era un’impresa. Fujima sfrecciava, cercava le fenditure per liberarsi dalla sua difesa, le sue finte lo confondevano e alla fine era troppo tardi per fermarlo. Lo aggirava come niente, anche se Hanagata era più alto e aveva speso tanto tempo ad allenarsi a come difendere. Il corpo di Fujima era rilassato eppure sempre pronto a scattare. Era come se un fuoco lo animasse dall’interno. Era nato per mettere la palla nel canestro. Hanagata lo capiva mentre lo vedeva librarsi in aria.
“Mi tocca dichiarare la sconfitta,” sospirò con un mezzo sorriso dopo l’ennesimo canestro subito, portandosi il braccio ad asciugarsi la fronte.
Fujima si portò per terra con il fiatone. “Giochi molto bene,” disse.
“Posso dire lo stesso di te,” ribatté Hanagata, mettendosi seduto accanto a lui. Stette in silenzio, intento a riprendersi dal movimento e a godere della leggera brezza che aveva iniziato a soffiare. Anche Fujima non parlava, umettandosi le labbra, guardando un punto lontano e indefinito con le sopracciglia lievemente aggrottate, immerso in pensieri tutti suoi.
A Hanagata vennero in mente delle voci che aveva sentito. “Giocherai tra i titolari, Fujima?”
Fujima si riscosse e annuì. “A quanto pare, sì,” rispose. “Quindi ho deciso di fermarmi dopo l’allenamento in palestra e vorrei studiare per bene le tattiche delle altre squadre della prefettura. Ho trovato le cassette con le partite della prefettura dell’anno scorso.”
“Dicono che il Kainan abbia delle matricole forti quest’anno,” commentò Hanagata. “Ma fino a quando non inizierà il torneo, sarà difficile valutare.”
“Credo che molti si riferiscano a Shinichi Maki. Qualche volta ho giocato contro di lui alle medie. È davvero forte, non mi stupisco che l’abbiano invitato al Kainan. Sono curioso di sapere se giocherà già. Ahh, non vedo l’ora di scontrarmi contro il Kainan. Non è come alle medie…la posta in gioco è più alta e c’è sempre un margine in cui si può migliorare qualcosa.”
Hanagata lo guardava ammirato. “Hai ragione. Oggi l’ho capito sfidandomi con te. È un bene che tu sia passato per la mia strada,” disse.
Fujima rise. “Comunque io ti guardo durante l’allenamento. Sei pure così alto, non posso non notarti!” esclamò. “Sotto canestro la tua figura la faresti di sicuro in una partita ufficiale. Il capitano dice che tu abbia la stoffa per diventare una delle colonne portanti della squadra. Anche io lo penso, davvero.”
Il suo entusiasmo gli sgorgava dal cuore e fuoriusciva dalle labbra in parole potenti.
“Ci sto lavorando,” disse Hanagata sorridendo. Fujima era contagioso.
“Ben detto,” esclamò Fujima. “Senti…se vuoi fermarti in palestra con me, mi piacerebbe avere la tua compagnia. Sono stato bene oggi.”
“Certo che mi piacerebbe.”
Fujima si alzò. “Perfetto. Ora devo proseguire la mia corsa.”
Quando Hanagata lo vide andar via, pensò a quanto stesse facendo Fujima in vista delle qualificazioni per l’Inter-high. Si stava impegnando più di tutti. Non sembrava affatto uno studente del primo anno, ma uno che, quando voleva qualcosa, se lo andava a prendere.
______

Prima ci furono gli allenamenti extra, poi Hanagata cominciò a passare anche la pausa pranzo con Fujima. Avevano iniziato a parlare tanto. Fece caso alle voci che giravano su di lui, anche perché sempre più ragazze arrossivano e sospiravano il suo nome quando passavano insieme. Fujima non diceva mai nulla riguardo a quelle reazioni appassionate, limitandosi ad essere gentile con tutti. La sua popolarità esplose quando cominciò il torneo interscolastico. Molti vennero ad augurargli una buona partita contro il Kainan quando questa fu imminente.
Fu in quella partita che gli eventi subirono una svolta.
Il tifo era scatenato dagli spalti, ben organizzato come ci si aspettava da due grandi scuole di Kanagawa. Sugli spalti stavano srotolati gli striscioni verdi e viola e i cori urlavano forte i nomi dei titolari. Era una partita importante, che avrebbe decretato le due squadre che sarebbero approdate al torneo nazionale. Fujima era in campo dal primo minuto e si scontrò per la prima volta con Shinichi Maki.
Dalle panchine le matricole assistevano alla partita. Takano si mosse nervosamente quando il playmaker del Kainan rubò la palla a Fujima prima che il rivale potesse accorgersene. “Maki è seriamente uno del primo anno?” esclamò.
“Già…e Fujima è in difficoltà,” notò Hanagata.
Maki non sembrava avere quindici anni, ma era veloce ad andare al contrattacco. Fece un lungo passaggio e il Kainan fece canestro.
Allo scadere del tempo, il re Kainan aveva spadroneggiato con una differenza di due punti. Anche se l’entrata dello Shoyo nel campionato nazionale era praticamente certa, la sconfitta contro la squadra rivale pesava lo stesso. Hanagata trattenne la delusione, con la gola che gli faceva male da quando aveva urlato per dare supporto.
Prima di uscire dal campo, Fujima andò da Maki e gli strinse la mano.
“Shinichi…questa è una sconfitta solo momentanea. Incontriamoci ai nazionali, d’accordo?” affermò con uno sguardo ardente.
Maki accennò un sorriso, poi gliela strinse forte. “Ti aspetto, Kenji.”
____

Inevitabilmente, Shoyo e Kainan si trovarono faccia a faccia ad Hiroshima. I ragazzi dello Shoyo si trovavano nel palazzetto a vedere la partita dei loro potenziali futuri avversari e quelli del Kainan erano lì dagli spalti a fare lo stesso.
A pochi minuti dall’inizio del secondo tempo, Hanagata si guardò intorno, ma Fujima non era in giro. Attese una decina di minuti, poi si alzò con discrezione e si affacciò nel corridoio. Il compagno di squadra si trovava dalle macchinette e con lui c’era il massiccio playmaker del Kainan. Fujima era appoggiato alla parete, in una posa molto rilassata. Maki rideva. Maki, posato e tutto d’un pezzo, proprio lui, si stava lasciando andare a una risata contenuta, ma che lasciava trasparire un genuino divertimento.
Fujima si accorse del compagno di squadra. “Ah, Hanagata!” esclamò.
“Fujima, Maki,” disse il centro dello Shoyo.
Maki si girò. I suoi occhi erano intensi, caldi, dimora di un forte orgoglio. Il suo contegno eretto e gli abiti eleganti si addicevano a una delle promesse della squadra imperatrice della loro prefettura. “Tu sei Toru Hanagata. Sei entrato in campo nel secondo tempo nella partita contro il Takezato,” disse.
“È così,” gli confermò Hanagata.
“A che punto siamo della partita, Hanagata?” domandò Fujima.
“Siamo a circa metà del secondo tempo. L’Umezawa sta in svantaggio di quindici punti.”
Urla di trionfo provenienti dagli spalti rimbombarono nel corridoio. Qualcuno aveva segnato ancora. Fujima si staccò dalla parete. “Allora bisogna andare a vedere che succede.”
I tre arrivarono alla porta. Maki li salutò e andò dalla sua squadra. Hanagata e Fujima rimasero in piedi vicino alle scale dove cominciavano i sedili per gli spettatori.
Hanagata era sorpreso. “Maki del Kainan?”
“Già,” ridacchiò Fujima. “All’inizio ho cercato di ignorarlo, ma mi si è messo davanti. Credevo di non aver voglia di parlarci dopo la sconfitta dell’altra volta, ma poi non è stato affatto male.”
Hanagata annuì pacatamente. “Sarebbe bello avere una rivincita proprio in questo campionato.”
“Non vedrei l’ora.”
“Avete parlato di questo?”
“No, mi ha chiesto se volevo uscire con lui una volta.”
Il centro dello Shoyo avrebbe voluto chiedere di più, ma erano tornati dai loro compagni ormai. I due si sedettero vicini, così si accorse che Fujima seguiva insistentemente la schiena di Maki tra gli spettatori mentre questo camminava verso il suo posto. La bocca era socchiusa, come se il ragazzo fosse in attesa che accadesse qualcosa, fino a quando Maki non si girò. Gli occhi di Fujima si animarono, trovando il suo sguardo ricambiato.
Poi Hanagata non ci fece più caso.
_____

Ci sono elementi che, analizzati in un certo momento, sembrano poco importanti, eppure presto o tardi tornano a farsi sentire alla luce di un nuovo, perturbante significato.
Hanagata e Fujima erano seduti sulle scale di fronte a una grande finestra da cui filtravano i raggi del sole autunnale. Era un angolo della scuola nel quale piaceva a entrambi ritirarsi ogni tanto, vicino alla porta del tetto. Non ci passava nessuno. Mangiavano il pranzo e stavano parlando della Winter cup, ma furono interrotti dal suono di passi affrettati su per le scale.
Uno studente comparve di fronte a loro. Era evidente che li avesse cercati, da come li guardava, accigliato, ma Hanagata non lo conosceva.
La prima cosa che disse fu, “Fujima…è vero quello che si dice in giro?”
Fujima inclinò la testa. “Che cosa si dice? Non so niente,” rispose.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, improvvisamente esitante. Hanagata continuò a mangiare tranquillo dal suo bento dato che la faccenda non lo riguardava.
“Qualcuno ti ha visto con Maki del Kainan. Eravate sulla spiaggia…e Maki ti ha afferrato la mano. Che ci facevi in compagnia di uno del Kainan? State insieme?”
Hanagata rimase con le bacchette a mezz’aria. Alzò la testa dalla scatola da bento e guardò prima quello sconosciuto impiccione, poi Fujima. Il viso di Fujima parve perdere colore per un secondo, poi riacquisì la sua solita compostezza.
“Ma no, come ti è venuto in mente,” esclamò in mezzo a una risata. “Non mi ricordo neanche più perché lo ha fatto. Ci siamo incrociati per caso e ci siamo messi a parlare del campionato. Tutto qui? C’è altro che vuoi sapere?” domandò infine.
L’altro scosse la testa. “No…scusami.”
“Non c’è nessuno che voglia sconfiggere il Kainan più di me e far diventare lo Shoyo la squadra migliore del Giappone,” affermò Fujima, con forza.
Hanagata si sentì in dovere di intervenire. “Posso sottoscrivere.”
Se c’era una cosa che Hanagata non sopportava, erano i pettegolezzi. Gli sembravano parole vuote, espresse per noia. Forse potevano alleggerire la pesante giornata scolastica ad alcuni, ma le conseguenze su chi ne era oggetto erano concrete e spiacevoli. Non voleva che qualcuno mettesse in difficoltà Fujima.
Lanciò un’occhiataccia al ragazzo, che se ne andò in fretta, dopodiché si rivolse all’amico. “Non posso credere che qualcuno vada in giro a dire queste cose. Quello che fai fuori non gli dovrebbe riguardare. E anche se fosse come dicono?” sbottò Hanagata.
Fujima non rispose. Si alzò di scatto, portandosi il dorso della mano contro la bocca, ma questo gesto non soffocò l’imprecazione che gli uscì. Raccolse le sue cose di fretta.
“Io corro un attimo in bagno…” cominciò Fujima, ma nella foga non scese le scale e andò irrazionalmente verso la porta del tetto, come a cercare una via di fuga.
Hanagata lo prese per un polso. “Fujima, che c’è?”
Il playmaker lo guardò in volto con un’espressione rannuvolata. 
“Non sono stato corretto,” ammise Fujima.
“A difenderti dalle malelingue?”
Fujima sospirò. “Quello che si dice è la verità. Sono contento che chiunque sia passato di lì abbia solo visto la mano e non il momento in cui ci siamo baciati.”
Hanagata lo lasciò. Fujima non esitava a reggere il suo sguardo. Poi aprì la porta del tetto e la varcò. C’era un gran vento e nessuno in giro.
“Lasciami solo, Hanagata, per favore.”
“Fujima, aspetta.” Hanagata lo raggiunse. “Se pensi che ti giudicherò per una cosa simile, ti sbagli.”
Fujima si girò con un sorriso stanco.
“Ti va bene che io sia gay?”
Hanagata si sentiva preso alla sprovvista. Era abituato a vedere Fujima come l’oggetto dell’invidia della maggior parte dei maschi per il suo stuolo di fan e ora veniva a sapere che non le poteva degnare di uno sguardo. Beh, si spiegava perché non avesse mai trovato una con cui uscire.
“Te l’ho detto, e anche se fosse?” rispose. “E poi non credo che sia una cosa che debba andare bene a me. Se non lo accettassi, sarei io il problema. Ciascuno ha le sue preferenze, ma non c’è nessuno che non si impegni più di te in questa scuola. Nessuno. Questa è l’unica cosa di cui si dovrebbe parlare e dovrebbe contare per tutti.”
“Magari fosse l’unica cosa che conta!” sbottò Fujima. “Basta questo dettaglio per far cambiare l’immagine che gli altri hanno di te. So come funziona…non appena lo sanno, ti guardano come se fossi uno sconosciuto, come se fossi pronto a saltargli addosso, come se contasse solo chi ti piace e non tutto il resto della tua persona. Ti parlano alle spalle. Posso dare tutto me stesso, ma sembrerà irrilevante. I senpai non saranno contenti di saperlo. In più è come se stessi fraternizzando col nemico.”
Era un fiume in piena. Imprecò di nuovo.
“E tu non dirlo ai senpai,” disse Hanagata, dopo averlo lasciato sfogare. “Io non glielo dirò di certo. Chi vedo di fronte a me è l’asso della prefettura e una delle persone migliori che conosca. Se qualcuno ti dicesse qualcosa in mia presenza, non lo farei neanche finire di parlare.”
Fujima sgranò gli occhi, poi fece finalmente un passo verso di lui.
“Grazie, Hanagata. Sentivo di potermi fidare di te, ma in questi casi non si può mai sapere se si riceveranno brutte sorprese.”
“Sì, puoi contare sempre su di me. Per qualsiasi cosa.”
Fujima esitò un momento prima di poggiargli una mano sul braccio, poi lo abbracciò. Quella vicinanza improvvisa ebbe l’effetto di suscitare un brivido nel centro. Non era abituato a quei contatti ravvicinati. Sua madre ci provava di tanto in tanto, Hanagata si defilava freddamente, eppure in quell’occasione si sentiva combattuto: una parte di sé non voleva sottrarsi.
Tuttavia, Fujima si accorse del suo disagio e si staccò subito.
“Scusa, faccio tutti questi discorsi sul non saltare addosso alla gente e poi mi comporto così.”
Hanagata tese le braccia e lo avvolse, riportandolo dov’era. “Va bene, davvero.”
_____

Le voci non si erano sparse troppo, Fujima era stato bravo a farle ridimensionare in fretta. Qualche giorno dopo il fattaccio, Hanagata sentì due sue compagne di classe parlare di Fujima.
“Ieri sono andata a sbirciare dalla porta della palestra e guardavo solo lui. È così bello, così bravo. Sembra un angelo!” esclamò una.
“Sì, un principe! Vorrei avere il coraggio solo una volta di chiedergli qualcosa.”
“Io una volta sono riuscita a scambiarci due parole.”
“Eeh, ma stai scherzando, Mariko?”
“Mi era caduto il fazzoletto in corridoio. Lui se ne è accorto, l’ha raccolto e me l’ha restituito. Stavo per svenire!”
“Ci credo! Ah, che fortuna…”
Hanagata sospirò, girando le pagine del libro di matematica.
“Hanagata-kun?”
La voce di una di quelle ragazze lo fece voltare.
“Sì?”
“Tu sei nella squadra di basket,” cominciò Mariko, quella del fazzoletto. “Cosa te ne pare di Fujima?”
Guardò le ragazze, che non gli avevano chiesto qualcosa né aveva chiesto lui qualcosa a loro. Pendevano dalle sue labbra.
“Ho molta stima nei suoi confronti,” rispose. “È un ottimo giocatore e compagno di squadra. È sincero, affidabile, propositivo, intelligente. Credo che al terzo anno ambirà alla posizione di capitano.”
Entrambe si portarono le mani alle guance.
“Non è che potresti…”
“Se volete farvi avanti, dovete contare sulle vostre forze.” Con un sorriso tagliò corto e si girò di nuovo. Hanagata le capiva, persino lui si era sentito attratto come una calamita sin dal primo giorno in palestra. Tuttavia, Fujima gli aveva confessato di non provare attrazione verso le ragazze, perciò immaginava che si sarebbe rivelata una perdita di tempo per loro.
E poi c’era l’interesse di Fujima per Maki.
Che Fujima frequentasse proprio Maki lo aveva sorpreso. Si rese conto di avere una voglia insana di dettagli, ma non gli sembrava giusto chiedere. In un certo senso, aborriva questo pensiero e non capiva perché. Gli sembrava naturale che due assi del primo anno trovassero la voglia di passare del tempo insieme. Nonostante la competizione, avevano entrambi una natura ardente e battagliera. Un pensiero sfuggente lo colpì come una coltellata, non previsto, ma veritiero. Fujima era felice, gli sorrideva in modo strano quando gli rivelava, “Oggi mi vedo con Shinichi.” In fondo al suo tono risiedeva un alone di mistero, che racchiudeva il sapore delle sue labbra e il tocco delle sue dita. Maki era fortunato.
_____

Un pomeriggio piovoso Hanagata udì suonare al campanello di casa sua. Era solo, nella sua stanza, di fronte al manuale di letteratura giapponese. Scese al piano terra per vedere chi fosse, trovandosi Fujima zuppo dalla testa ai piedi.
“Fujima, sei completamente bagnato,” esclamò preoccupato. Il fatto che l’amico fosse passato all’improvviso gli aveva acceso un campanello d’allarme “Entra.”
 Fujima tremò appena, facendo un paio di passi. Si scostò la frangetta fradicia con un gesto stanco. “Non ti disturbo?”
“Certo che no. Non mi stupirei se ti prendessi un raffreddore. Puoi usare il bagno se vuoi. Vuoi farti una doccia calda? Ho il phon se serve.”
“Basterà il phon, grazie.”
Hanagata gli prestò una maglietta, che gli stava inevitabilmente larga, e misero la sua ad asciugare vicino al calorifero.
“Grazie ancora,” mormorò Fujima, quando furono seduti in camera. Hanagata provò una scarica di tenerezza dal modo in cui stringeva tra le dita il bordo della sua maglietta. Fujima continuò, “Ho camminato fino a casa tua quasi senza sapere perché. Avevo bisogno di vederti. Parlare con qualcuno. Io e Maki non ci vedremo più.”
La fronte scoperta era una tenda aperta sopra i suoi grandi occhi scuri. Erano sempre stati così grandi? Si chiedeva Hanagata. Non c’era un lineamento che non fosse dolcemente perfetto nel suo viso e Hanagata si sentì esitare.
“Vuoi raccontarmi cosa è successo?” domandò, intuendo che fosse il motivo della sua visita. Fujima si lasciò cadere contro a lui. Fujima gli strinse la mano. Hanagata trovò la sua ancora fredda, tentò di scaldarla e Fujima lo lasciò fare. Si lasciò andare e raccontò che era andato al centro commerciale con Maki, di come si fossero lasciati sotto la pioggia scrosciante per una frase fuori posto sul campionato.
“Siamo usciti poche volte, non era chissà che…ma sarebbe falso dire che non ci tenevo. Io e Shinichi vediamo tante cose allo stesso modo. Entrambi amiamo il basket e le vittorie. Forse c’era troppa competizione tra noi. L’aveva capito prima di me.”
“Mi dispiace che sia andata così,” disse Hanagata.
Fujima sospirò. “Sono stufo di vedere le persone cadere ai miei piedi. Volevo qualcuno che mi trattasse alla pari e Maki lo faceva. Mi piaceva la sua sicurezza ed ero contento di aver trovato un ragazzo. Scusa per lo sproloquio, Hanagata, mi dovevo sfogare.”
“Non ti scusare,” disse Hanagata. “Fate parte di due squadre rivali, posso immaginare che fosse complicato. Si vede che non era la persona adatta a stare con te.”
Di sotto, la porta di casa si aprì con uno scatto.
“Che pioggia!” Era la madre di Hanagata dall’entrata. “Toru, mi aiuti con le buste della spesa?”
Hanagata si alzò. “Mia mamma,” disse a Fujima.
Anche Fujima si alzò. “Allora la saluto e vado via.”
Hanagata non voleva che l’amico se ne andasse così. Fortunatamente, non appena i due ragazzi scesero e sua madre vide Fujima, lo invitò a cenare con loro.
La signora Hanagata sembrava un po’ troppo su di giri ad avere Fujima a casa. Una volta che furono tutti seduti intorno al tavolo, la donna disse, “Non dovevi aiutarci ad apparecchiare, Kenji-kun. Ti sei dato da fare anche se sei l’ospite!”
“Mi dispiace non averle portato un pensiero, signora. Sono stato sgarbato,” disse Fujima.
“Ma che cosa dici, anzi, sei un ragazzo da sposare!” esclamò la madre di Toru.
Fujima rise. “Hai sentito, Hanagata? Potresti farci un pensiero,” scherzò.
Hanagata rimase immobile sentendo quella frase. Qualcosa aveva toccato dentro, lasciandolo interdetto. Fujima arrossì.
“Era una battuta, ovviamente,” si affrettò ad aggiungere.
Pareva una battuta, ma se a Fujima fosse piaciuto per davvero e ad Hanagata pure, sarebbe rimasta tale? Il centro l’avrebbe lasciata tale?
Fujima gli piaceva. Gli piaceva in molti sensi: era un buon amico, era una bella persona dentro e fuori. Doveva ammettere che vederlo in palestra gli alleggeriva le giornate e un suo complimento gli faceva più piacere di qualsiasi altra cosa. Quel pensiero lo rese confuso.
Dopo cena Fujima si addormentò sul futon di Hanagata e la sua fronte trovò finalmente la pace. Il suo respiro era placido come il mare d’estate, le palpebre erano dolcemente chiuse.
Fuori era buio. E se Fujima avesse incontrato un gruppo di malintenzionati mentre tornava a casa?, pensò Hanagata. Pioveva ancora, e le gocce battevano freneticamente sulla finestra, trasportate dal vento.
“Fujima,” sussurrò Hanagata. Fujima non si svegliò. Gli sembrava molto più giovane e sorrise, scuotendolo poi leggermente. “Kenji…” riprovò e a quel punto le palpebre del suo amico si incresparono. Fujima emise un gemito, poi la tua attenzione fu su Hangata.
“Oh, mi sono addormentato.”
“Fermati qui stanotte,” sussurrò Hanagata. Non era una domanda, né una proposta. Era come una preghiera, mentre aveva ancora il suo nome sulla lingua. Sentì un brivido piacevole nella consapevolezza di aver usato quel nome.
Hanagata doveva capire cosa gli stava succedendo, ma la presenza di Fujima glielo impediva. Inglobava tutto.
“D’accordo. Fammi chiamare a casa.”
“Il telefono è all’entrata.”
Fujima si alzò lentamente e uscì dalla camera. Hanagata stette a fissare la sua schiena, coperta da una sua maglietta, quella dannata maglietta che era troppo grande e comunque stava meglio a Fujima che a lui. Troppo. Con una sensualità che finora non aveva mai voluto notare. Fujima si girò, notando incuriosito lo sguardo dell’altro. Hanagata si sentì colto in fallo.
Rimasto solo, si sdraiò sul futon in cui era stato Fujima, sentendo il suo profumo sulla coperta. Lo inspirò chiudendo gli occhi. Si tolse gli occhiali e si poggiò una mano in faccia, non sapendo come reagire al suo ritorno. Poi decise di distrarsi tirando fuori un altro futon per l’amico.
Un’ora dopo, nel buio della stanza, Fujima dormiva pacificamente.
Era inutile, più Hanagata lo guardava, più sentiva battere forte il cuore. Lo coprì per bene con la coperta e si alzò, scendendo le scale. La cucina era silenziosa e buia. La pioggia batteva sulla strada di fronte alla casa e il rumore scrosciante penetrava attraverso i muri e le finestre. Era un rumore rassicurante, che lo aiutava a pensare. Guardò fuori dalla finestra. Il vetro era freddo sotto le dita, lo faceva sentire vivo, lo distraeva da quella sensazione di amore che voleva averla vinta sul suo corpo.  Ora più che mai si rendeva conto che Fujima era bellissimo e che Maki era stato un uomo fortunato per sentirsi in diritto di stringere la sua mano quando voleva e baciare le sue labbra.
Ora capiva. Si era sentito nervoso, quasi eccitato nel sapere il segreto dell’amico nella speranza che un giorno ci sarebbe stato posto anche per lui. L’ammirazione che provava, la fiducia in lui sul campo da basket si erano spinti decisamente oltre.
Non gli importava che cosa sarebbe successo il mattino dopo, se quella sensazione sarebbe svanita. Il tempo poteva fermarsi in quella notte perfetta, in cui Fujima dormiva in camera sua e stava bene. Ripensò al dialogo con le sue compagne di classe. Molti a scuola avevano scherzato dicendo che, frequentando Fujima, forse anche lui avrebbe avuto una maggiore possibilità di farsi notare da qualche ragazza, ma la verità era che, da quando aveva iniziato il liceo, non aveva mai sentito interesse per nessuna di loro.
Non lo stupiva neanche tanto che si sentisse attratto da un maschio. Ciò che provava superava qualsiasi distinzione di genere. Era Fujima, era quella persona che non avrebbe potuto incontrare altrove, quella che sistemava i pezzi della sua quotidianità in una combinazione inedita eppure così risolutiva. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
“Hanagata…”
Un sussurro lo fece voltare. Poteva riconoscere la voce di Fujima tra altre mille.
“Che stai facendo?” domandò Fujima, con tono curioso.
“Nulla. Avevo dei pensieri e mi sono alzato un attimo.”
“È tutto a posto?”
“Sì, ora sì.” Faticava a guardarlo negli occhi, quegli occhi limpidi in grado di catturare tutto, così tornò a guardare alla finestra. “Ti ho svegliato?” disse in tono tranquillo, mascherando il turbinio di sentimenti che lo avevano investito come un treno e con cui faticava a fare i conti.
“No…o forse sì…mi sono accorto nel sonno che non c’eri e mi sono svegliato. Dato che non tornavi, per un attimo mi sono preoccupato.” Fujima ammise con un suono di risata soffusa nella voce. Hanagata gli sentì fare un passo e afferrargli la maglietta dalla schiena. Sussultò, ma non disse nulla.
“Che nottata, non smette di piovere,” notò Fujima.
“Già.”
Poi Fujima appoggiò delicatamente la fronte sulla sua schiena. Riusciva a sentire il calore quasi sulla pelle, attraverso il leggero tessuto di cotone.
“È un bel suono,” continuò Fujima. “Mi fa sentire incredibilmente tranquillo, come quando sto con te.”
Hanagata sapeva che, se si fosse girato, avrebbe rovinato l’atmosfera immacolata di quel momento. Lo avrebbe preso tra le braccia e gli avrebbe chiesto di poterlo baciare.
Non c’erano dubbi, lo amava.
____

Andava bene così.
Hanagata ci aveva riflettuto: non valeva la pena esporre i propri sentimenti quando l’amicizia con Fujima andava alla grande. Sì, perché gli effetti della notte trascorsa insieme si sentivano ancora nella forma di una complicità alla quale non avrebbe saputo rinunciare. Non avevano parlato più di Maki.
Una volta che entrambi ebbero cominciato il secondo anno, passavano sempre più tempo a casa dell’uno e dell’altro. La primavera lasciò il posto all’estate e alla voglia di uscire all’aperto. Su quella stessa spiaggia su cui l’anno prima Fujima era stato scoperto da qualche studente in compagnia con il playmaker del Kainan, là stavano seduti un tardo pomeriggio di luglio in maglietta e pantaloncini, con le gambe che si sfioravano leggermente, a sentire il suono delle onde. Il sole stava tramontando all’orizzonte, calandosi impercettibilmente verso le acque e cambiando il colore del cielo in ogni istante.
“E se l’anno prossimo rimanessimo senza coach?” domandò Fujima d’un tratto.
“Impossibile,” ribatté Hanagata, ma Fujima sosteneva il suo sguardo seriamente, lasciandolo interdetto. E capì.
“È una situazione plausibile?” gli uscì di bocca.
Fujima annuì. “Non dirlo a nessuno. Lo sappiamo solo io e il capitano.”
Fujima appoggiò i palmi sul molo, portando la schiena leggermente inclinata all’indietro. “Ci sono degli aspetti da valutare per l’anno prossimo…sarò io il capitano e non voglio che la squadra si trovi in difficoltà. Sono disposto a caricarmi di tutta la responsabilità. Se la scuola non riesce ad assumere un nuovo coach dopo il ritiro del prof, mi occuperò degli allenamenti, delle tattiche, di ogni cosa,” disse con decisione.  
A quelle parole, Hanagata tirò un sospiro di sollievo. Potevano farcela, avrebbero combattuto come avevano sempre fatto. “Sarai tu il coach dunque.”
“Sì, in maniera ufficiale. Sarai pronto a seguire ogni mio ordine?” scherzò Fujima.
 “Credo che solo tu possa tenere in mano una situazione del genere,” confessò Hanagata.
Fujima socchiuse appena gli occhi, guardando l'altro con una dolcezza che rendeva difficile ad Hanagata respirare liberamente. La voglia di atterrarlo e baciarlo era forte, come accadeva nelle sue fantasie. Fujima scalfiva la sua corazza in quel momento come durante gli allenamenti. Era successo giusto qualche giorno prima; Hanagata si esercitava nei fade-away, ma riusciva a sentire che Fujima, appoggiato al muro a braccia conserte, non staccava lo sguardo da lui, imprimendoglielo quasi addosso. Allora se n’era tornato a casa accaldato e con il dubbio che fosse tutta una sua illusione.
“Hanagata,” proseguì Fujima con un sorriso, “qualcuno dovrà guidare la squadra in campo quando sarò in panchina. E solo tu puoi farlo.”
Farò qualsiasi cosa tu mi chieda, avrebbe voluto dire. “D’accordo. Mi impegnerò per farlo al meglio.”
“So che è così. Sei il giocatore migliore che abbiamo, stai diventando sempre più indispensabile nei cambi. Hai sentito come parlavano i giornalisti alle qualificazioni? Sono così contento per te, te lo meriti.” Rise, poi inspirò dal naso con soddisfazione. “Sono felice.”
“Di cosa?”
“Di tutto! Di essere qui e delle cose grandi che possiamo fare.”
Hanagata sorrise. “Insieme.”
Fujima annuì. “Insieme. Vorrei…averlo capito molto prima.”
Le parole di persero nello sciabordio di una piccola onda. Hanagata non capì cosa intendesse dire, anche perché sembrava che Fujima parlasse quasi a se stesso.
Il suono di risate li fecero voltare. Sulla strada stavano passando un ragazzo e una ragazza. I loro sguardi impacciati rivelavano la natura della loro compagnia. Lui si grattava il retro della testa, imbarazzato, mentre lei lo prendeva sottobraccio e lo trascinava verso la spiaggia.
_____

Anche quell’anno giunsero al campionato nazionale. Nel pieno della seconda partita, il Toyotama attaccava lo Shoyo facendo rapidamente un canestro dopo l’altro. Tuttavia, tra i loro giocatori scattava Fujima. Intercettava la palla, trovava il modo di fare dei passaggi che gli avversari non potevano prevedere, per poi andare a canestro.
Poi accadde. Hanagata lo vide come al rallentatore dalla panchina, un gesto veloce, fatto apposta per risultare confuso, non colpevole. Il gomito di Minami colpì la fronte di Fujima. Fujima crollò come se le sue ginocchia si fossero squagliate. Sul suo viso c’era sangue.
Tutti ammutolirono dagli spalti dello Shoyo.
“Un medico, presto!” gridò qualcuno.
Hanagata avrebbe voluto correre da Fujima. Mentre il playmaker si tirava su a fatica e usciva aiutato dal personale medico, la tifoseria del Toyotama gridava di trionfo. Hanagata si avvicinò e vide quando stesse male. Solo dopo si accorse del sorriso soddisfatto sul volto di Minami e avrebbe voluto lasciar perdere la calma e prenderlo a pugni.
“Minami l’ha fatto apposta, avete visto?” disse animosamente Takano, aggrottando le folte sopracciglia.
“Hai ragione,” rispose Hasegawa, sbiancando. “Non riesco a credere che si siano abbassati a questo livello.”
I giocatori dello Shoyo ribattevano alla gioia degli avversari con grida indignate. Poco lontano c’era anche il Kainan a guardarli e Hanagata, guardando gli spalti, si accorse che Maki si era alzato e se ne stava andando via ad ampie falcate.
Fujima fu sostituito un altro playmaker, ma la partita era ormai perduta. I giocatori dello Shoyo non erano più concentrati, si respirava aria di frustrazione e di vendetta sia in campo che in panchina. Alla fine lo Shoyo uscì sconfitto dalla competizione e il pensiero di Hanagata continuava a tornare all’amico infortunato.
Faceva male perdere così. Non perché ci si era battuti lealmente, ma a causa di una mossa sleale. Hanagata sapeva che la loro squadra valeva mille volte di più del Toyotama.
Non gli restava altro che chiedere dove si trovasse l’infermeria. Si affrettò e trovò la porta mezza aperta. Fujima era seduto, la fronte fasciata. Metà del suo viso era annerito e gonfio.
Non era solo. Maki era con lui, gli parlava accucciato. Sussurrava parole brevi, difficili da afferrare. La grande mano abbronzata era sulla coscia di Fujima e scivolò ad accarezzargli il ginocchio.
“Io vado. Se hai bisogno, sai sempre dove trovarmi,” disse infine Maki.
Il playmaker del Kainan uscì e si trovò a faccia a faccia con Hanagata. Chiuse del tutto la porta alle sue spalle, poi rivolse a lui i suoi occhi caldi e scuri.
“Prima che entri, posso parlarti?” domandò.
L’ultima cosa che Hanagata voleva fare era parlare con lui. Non adesso, non dopo quella scena, che gli aveva causato una scarica di fastidio. Maki gli impediva in quel momento di andare da Fujima, nello spazio fisico, forse anche in qualcosa in più.
“Se è cosa breve, sì,” disse.
Maki annuì grave. “Ho saputo che il vostro coach si ritira l’anno prossimo e non ne avrete un altro,” cominciò.
“Sì, è così. Fujima si occuperà della squadra come capitano e coach.”
“Non è un carico eccessivo?”
“Sono tanti i giocatori dello Shoyo che possono giocare in campo al suo posto e sono bravissimi. Siamo una squadra, sappiamo come aiutarci l’un l’altro.”
“Ma non c’è nessuno come lui.”
“Lo so.” Hanagata sorrise.
“Diglielo tu di non starsene troppo in panchina, d’accordo? Credo che sia più disposto ad ascoltare te che me.” Maki fece una smorfia divertita, anche se restava indecifrabile la natura del suo divertimento. “Ci si vede, Hanagata.” Gli voltò le spalle e se ne andò.
Hanagata entrò in infermeria.
Nel vederlo arrivare, Fujima raddrizzò la schiena, tendendosi verso di lui.
“Hanagata, com’è andata la partita?” domandò subito. Il suo sguardo era addolorato e disilluso, segno che sapeva già la risposta. Forse l’aveva capito dai suoi occhi arrossati che non era andata bene, ma glielo chiedeva lo stesso.
“Abbiamo perso,” rispose il centro.
“Immaginavo.” Le spalle di Fujima si abbassarono in modo stanco, come se su di loro stesse gravando un macigno.
Hanagata avrebbe voluto dire mille cose, ma non avrebbe cambiato la sorte. Avevano bisogno di tempo per digerire quella brutta giornata. Prese una sedia e si adagiò al suo fianco, mentre Fujima gli fece il primo sorriso da quando lo aveva visto.
“L’hai visto uscire, vero?” disse poi.
“Intendi Maki?”
“Sì.”
Hanagata strinse le labbra. Come doveva interpretare la scena a cui aveva assistito, quella mano? Se Fujima voleva riallacciare i rapporti con Maki, chi era lui per impedirglielo?
Mi infastidisce così tanto la tua felicità? Era un tarlo che, se non risolto, non gli avrebbe dato pace a lungo.
“Sono contento che sia passato, perché vuol dire che è finita per il meglio,” mormorò Fujima.
Hanagata inspirò lentamente.
“Ho visto come ti sfiorava la gamba.”
Il volto di Fujima rimase impassibile, mentre il suo corpo restava teso verso il suo. “Non voglio tornare con Maki. Lo rispetto come rivale e nulla più. Che c’è, Hanagata, non sarai mica geloso?”
Prima che potesse rispondere, l’infermeria si riempì dei giocatori dello Shoyo. Circondarono Fujima chiedendogli come stesse, se dovesse andare in ospedale, di cosa avesse bisogno.
“Sto bene, davvero,” disse Fujima per rassicurare tutti.
“I colpi alla testa sono pericolosi,” disse Nagano.
“Non ho nessun danno per fortuna, poteva finire peggio. Non voglio più pensarci ormai.”
Gli insulti contro il Toyotama non si sprecarono. Hanagata si mise da parte a vedere gli altri indaffarati intorno a Fujima ed ebbe l’impressione che quella preoccupazione riuscisse a distrarre tutti dal pensiero di dover tornare a casa il giorno dopo. Se non fossero arrivati i loro compagni, glielo avrebbe detto in faccia che sì, era geloso e non poteva più farci niente.
Fujima si alzò barcollante, coprendosi le spalle con la giacca. Fuori dal palazzetto dello sport il tifo della scuola aspettava con gli occhi lucidi, mentre la via dei giocatori verso l’albergo fu contraddistinta da un silenzio mortale.
Quella sera, Hanagata chiuse il suo borsone, pronto per partire la mattina successiva, e guardò Fujima. Il playmaker stava seduto sul tatami della stanza dell’albergo, a testa bassa, giocando con la maglietta del pigiama tra le mani. Gli occhi erano ridotti pozze liquide che ribollivano. Non stava bene, per niente.
“Io vado a fare una passeggiata. Vieni anche tu?” propose Hanagata.
Fujima annuì.
L’aria estiva li investì dal portone. Camminarono lentamente e senza meta lungo le stradine intorno all’albergo. A un certo punto Fujima si fermò. Guardò la luna, con le mani nelle tasche dei pantaloni e un’espressione triste.
“Ero davvero in forma oggi,” disse. “Me lo sentivo. Me lo sentivo che avremmo vinto. Ci sarebbe voluto solo poco.”
Ecco la rabbia che cominciava a salire. Hanagata strinse i pugni.
“Se quelli del Toyotama avessero giocato lealmente”, cominciò, “adesso sarebbero fuori dalla competizione. Se li ribecchiamo alla Winter cup, gli faremo il culo. Ti giuro che gli farò il culo io stesso.”
Fujima trattenne il fiato. “Hanagata, non ti ho mai sentito parlare così.”
Hanagata si portò una mano agli occhi, e questa si bagnò di lacrime intrise di frustrazione. Fujima tese la mano e senza dire una parola, gliene asciugò una con il pollice. Hanagata si tolse gli occhiali e si passò la mano sul volto. “Non doveva permettersi di farti del male quel bastardo.”
“Hanagata…” Fujima lo guardava sorpreso. Stette in silenzio per un minuto intero, mentre l’altro si ricomponeva, poi mormorò, “Non ti cederò facilmente il posto per questo compito. Domani sarà un altro giorno. Torneremo a casa e ci ricorderemo cosa è successo oggi. Io non mi arrendo.” Gli sfiorò appena le dita della mano. “Ma dato che sarai il mio vicecapitano l’anno prossimo, apprezzo il tuo pensiero. Cosa posso fare per te per una volta?”
Ad Hanagata venne da ridere per quell’ultima frase. “Fai già abbastanza.”
“Davvero non c’è niente?”
Dimmi che mi desideri come io desidero te, pensò Hanagata. Ogni sconfitta in un torneo, per quanto ci si potesse abituare, lasciava un vuoto, sostituito poco dopo dalla sensazione che più di così non si poteva perdere. Non voleva tornarsene a Kanagawa a mani vuote. Cercava un senso in quella trasferta. In altre occasioni si sarebbe chiuso a riccio e avrebbe finto indifferenza, ma ciò che succedeva a Hiroshima, restava a Hiroshima…vero?
“Mi baceresti?” domandò serio. Non era stato così serio in vita sua.
Fujima spalancò gli occhi.
Era la reazione che Hanagata aveva temuto. Abbassò lo sguardo, non sapendo cosa fare. “Scusa se te l’ho chiesto,” mormorò, girandosi, allontanandosi da lui in fretta.
“Aspetta! Toru…”
L’uso del suo nome lo fece voltare.
“Fallo,” proseguì Fujima. C’era una tenacia irresistibile nel modo in cui aveva pronunciato quella singola parola, che riportò Hanagata al loro primo one-on-one al campetto l’anno prima.
Hanagata fece un passo in avanti. Gli posò delicatamente una mano sul collo e si abbassò per avvicinare il suo viso a quello di Fujima, mentre il playmaker gli appoggiò le mani sulle spalle. La sua bocca cercò dapprima il labbro inferiore e si tuffò con un sospiro. Hanagata chiuse gli occhi e le loro lingue cominciarono a cercarsi, procurando loro piacevoli brividi in tutto il corpo. Il calore umido della sua bocca era meglio di quanto potesse aver mai immaginato.   
Quando si separarono, Hanagata domandò a bassa voce, “Ti ho fatto male?” Per un attimo si era completamente scordato che Fujima aveva preso un colpo alla testa.
“No,” rispose Fujima, facendo un passo indietro. “Ora potrei anche illudermi che provi qualcosa per me, lo sai?”
“Non illuderti. È così. È così da molto tempo ormai.” Ora che l’aveva ammesso ad alta voce, Hanagata si sentì più leggero. “Tu mi piaci e non posso fare a meno di pensarti…sempre.”
Fujima sorrise. “Non posso quasi credere che le cose fossero già così tra noi. Io non ne avevo idea, avevo sperato, perché…vedi…dopo che mi sono lasciato con Maki… ho cominciato a guardarti in modo diverso. È facile cedere per tutta la gentilezza che mi hai riservato, ma la verità non è solo questa. Ogni volta che dico quanto la squadra abbia bisogno di te, parlo anche di me stesso. Io mi rendo conto di aver bisogno di te, nella mia vita. Mi piaci moltissimo.”
“Fujima…Kenji, amore.”
“Ti amo, Toru.” Le mani di Fujima afferrarono Hanagata, portandolo di nuovo a sé. Prima di avvicinare le labbra, si bloccò, guardandosi intorno.
“Se non vuoi in pubblico, non c’è problema. A me va bene tutto,” sussurrò Hanagata, capendo il suo disagio, ma Fujima sbottò, “Sai una cosa? Fanculo, non me ne frega nulla. Non c’è nessuno.”
Si baciarono di nuovo, questa volta con più forza e meno timore.
“Toru…torniamo in albergo,” disse infine Fujima con il fiatone.
“Capisco…come ti senti più a tuo agio tu.”
“Non è per quello. È che voglio andare in albergo con te.”
“Ah, agli ordini allora.”
Fujima gli sfiorò le dita e Hanagata lo prese per mano.
 
Note: Era da un sacco di tempo che volevo scrivere di questi due, essendo una delle prime coppie per cui ho tifato di Slam Dunk. Poi non potevo non inserire Maki, dato che ce lo vedo bene a provarci con la gente dalle macchinette (Sendoh, ne sai qualcosa? ahah). Grazie per aver letto la fanfiction!
   
 
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