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Autore: shana8998    15/06/2021    1 recensioni
Lucille è una strega. La sua congrega, scacciata da Cesarine in Francia, è stata costretta a rifugiarsi fra le strade di New York.
Zane è un cacciatore, ha giurato fedeltà alla Chiesa e da sempre vive secondo un unico, ferreo principio: uccidere le streghe. La sua strada non avrebbe mai dovuto incrociare quella di Lucille, eppure un perverso scherzo del destino li costringe ad incostrarsi sulla riva dell'Hudson.
Anche se quella tra streghe e la Chiesa è una guerra antica come il mondo, un nemico crudele ha in serbo per Lucille un destino peggiore del rogo. E lei, che non può cambiare la sua natura e nemmeno ignorare i sentimenti che le stanno sbocciando nel cuore, si troverà di fronte a una scelta terribile.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Sovrannaturale
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                                                        La condanna del bambino fantasma.
Oltre l'ampia porta di legno trovammo l'ennesima lingua di mattonelle a scacchi panna e rosse.
Aule vuote ed impolverate, vecchi mappamondo, vecchie cartine geografiche e tomi ammuffiti.
Praticamente nulla che potesse esserci d'aiuto.
«Proviamo a tornare indietro. Usciremo da dove siamo arrivati» Decise allora Zane e così facemmo.
Peccato però, che una volta arrivati davanti alla targa "Biblioteca ala est" il tendaggio di velluto fosse sparito.
Al suo posto era apparsa, come nel peggiore degli incubi, la porta di legno logoro che sapevo essere sul lato opposto di quel corridoio.
Sbarrammo gli occhi. La fronte si imperlò di sudore rapidamente e uno spasmo mi attorcigliò lo stomaco.
«Questa porta...» mormorai non credendo ai miei occhi.
«Era dall'altro lato» disse per me Zane, voltandosi alle sua spalle.
Nel buio vagamente illuminato dalla luce bianca della luna, potevamo vedere la replica della stessa porta sull' altro lato, oltre le cattedre rovesciate e le sedie gettate qua e la.
«Non può essere!» Afferrai la maniglia e l'anta cigolò rumorosamente quando la spalancai .
Lo stesso corridoio che avevamo trovato una volta usciti dall'infermeria apparve davanti ai miei occhi.
Come una doccia fredda, la consapevolezza di essere finiti nei guai - guai seri - mi piovve addosso raggelandomi.
«Il tendaggio vinaccio era proprio qui! Era qui!» gridai in preda al panico.
Il cacciatore era impietrito. Fissava dritto davanti a se. Non poteva credere a ciò che stava vedendo.
Corsi oltre l'anta della porta a perdifiato.
Sul lato destro: le stesse porte di legno. Aule vuote, polverose, che si susseguivano come in un incubo senza fine.
Oltre le ampie finestre il buio della notte era statico: non tirava un filo di vento, non cantava nessun gufo, era tutto così inconsuetamente placido da mettere i brividi.
Urtai con la spalla l'ennesima porta alla fine del corridoio e spalancando l'anta, «Biblioteca ala est», ciò che vidi mi lasciò sgomenta.
Le dita delle mani mi tremarono senza che potessi riuscire a fermarle.
«È un incubo...»
Ogni porta conduceva esattamente al centro del primo corridoio, quello con la falsa targa che riportava "Biblioteca ala est".
«È un fottuto incubo!» mi portai le mani fra i capelli e strinsi la testa fra i palmi.
Gli occhi mi bruciavano, le sclere tiravano e la paura galoppava nel mio petto.
«Ci deve pur essere una spiegazione» La voce di Zane vacillò pericolosamente. Potevo leggere la paura nelle sue iridi chiare.
«Tutto questo non ha senso. Siamo entrati da qui! Dietro questa porta doveva esserci la vecchia infermeria»
Quella specie di loculo che nascondeva anime devote chissà a quale essere infernale, si era volatilizzato nel nulla. In un'altra circostanza ne sarei stata anche sollevata, ma ora che mi trovavo al centro di un loop infinito, l'idea che fossi in trappolata in un corridoio senza via d'uscita mi stava soffocando.
«Non voglio morire qui dentro.» piagnucolai fra le labbra.
«Credi che io lo voglia? Cerchiamo di capire cosa sta succedendo» Per fortuna, fra i due, Zane era quello più razionale. Avevo imparato in quel breve periodo passato in sua compagnia, che difficilmente si lasciava trascinare da emozioni come paura o tristezza.
Probabilmente le rifiutava e questo lo aveva portato ad essere...coraggioso.
Tutto il contrario di me.
«Siamo arrivati da qui, giusto?» Calpestare nuovamente la stessa carta straccia, le stesse foto sparse sul pavimento, mi stava serrando la gola. Il presentimento che sarei morta li dentro si stava tramutando in realtà nella mia testa. 
«Cosa non abbiamo fatto quando siamo passati qui?»
Lo seguii un passo dietro. 
«Ed io che diavolo ne so!»
Che razza di domanda era? 
Zane arrestò i piedi, rizzò la schiena e voltò metà viso verso me. L'aria eloquente ed una spanna d'ovvietà spalmata sul viso.
«Non siamo entrati nelle aule» disse come se avessi dovuto saperlo.
«Cosa credi di trovare li dentro? Sono cinque stanze piene di vecchi libri e quattro di loro sono chiuse a chiave» Passai attorno ad una cattedra ribaltata su un lato appoggiando le mani sui bordi.
«Non lo so. Ma so che non ci siamo entrati in quella aperta e dovremmo farlo, per sicurezza.»
In fin dei conti era una buona idea. Forse fra quei vecchi libri impolverati avremmo trovato qualcosa di utile.
Zane abbassò, quindi, la prima delle cinque maniglie, l'unica priva di serratura.
Una vecchia aula con ancora qualche banco di legno si allargò davanti a noi.
Sui muri erano inchiodate alcune carte geografiche. Accanto alla cattedra, un vecchio mappamondo aveva sopra almeno tre dita di polvere.
C'erano libri di lingua e di storia appoggiati su un banco.
L'odore di chiuso era soffocante.
«Siamo d'accordo che questo sia il frutto di un sortilegio, si?» Zane ispezionò con gli occhi alcuni quaderni rilegati in una copertina di cuoio allacciata con dello spago, girando attorno ad uno dei banchi. Le dita che scivolavano fra le pagine. Esse erano ingiallite, senza quadretti o righe. Chiunque aveva scritto li sopra, di certo, non lo aveva fatto con una penna a sfera.
Quei fogli potevano avere anche più di cento anni.
«Di certo non è normale ritrovarsi sempre al centro dello stesso corridoio, a meno che non ci abbiano drogati e questo sia un trip stratosferico.» Sfogliai anch'io uno dei vecchi quaderni. Spostando un pagina, però, un'animaletto argenteo sguisciò fuori zampettando sotto il banco. Ritrassi la mano strozzando un respiro.
«Questo posto deve per forza brulicare di insetti?» Protestai quasi fra me e me.
«Ehi, Lucille, guarda qui.» Zane sollevò un grosso libro dalla copertina spessa e scura.
«Cos'è?» Girai attorno al banco e per sbaglio urtai lo scheletro di ferro di una sedia che non avevo visto affatto. Il rumore riecheggiò nell'aula facendomi temere di aver svegliato persino qualche  avo dall'aldilà.
Afferrai lo schienale e guardai Zane dritto negli occhi. Restammo in silenzio per un secondo ma non accadde nulla.
«Dicevi?»
Mi avvicinai a lui e spiai all'interno del volume.
Una pagina era scritta fitta fitta, mentre sull'altra un disegno occupava tutto lo spazio.
Sfiorai le fiamme che rilucevano nella notte pittata dietro le sagome infernali: quelle di mostri con il corpo di donna e i denti aguzzi.
«Cosa sono?» Mi scoprii affascinata da quei corpi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai loro occhi animaleschi, dalle lunghe zanne o dagli artigli.
La loro pelle grigia era evidenziata dall'autore del disegno che l'aveva calcata con la punta di una matita.
«Ricordi quando ti parlavo delle succubi?»
Sollevai lo sguardo sul viso di Zane.
«Sono loro»
Erano rappresentate accanto alla fiamma di un falò. Se ci fosse stata una strega al posto loro, sarebbe morta in pochi attimi.
Lasciai che Zane mi passasse il volume. Portai la torcia fra i denti e lo raccolsi con entrambe le braccia stringendo con le dita il bordo superiore.
Non avevo idea di cosa fossero le succubi, ma in qualche anfratto della mia coscienza, i loro volti mi risultarono tristemente familiari.
«Loro sono in grado di possedere umani?»
Zane si strofinò il naso «In realtà cacciano anime per conto del diavolo in persona. È lui che poi li possiede, ma l'occulto è così ambiguo...Può succedere di tutto.»
Forse c'erano cose che né Madamme, né Babette, mi avevano mai raccontato. Forse, l'occulto nascondeva più segreti di quanti ne potessi immaginare.
Mi appoggiai ad un banco sedendo di ginocchia sulla sedia. Gli avambracci puntati sulla superficie, una mano a sollevare la torcia e gli occhi incollati alle pagine del grosso libro.
«Sapevi che le Mantidi possono nutrirsi solo di linfa vitale?» Mi rivolsi a Zane che intanto stava aprendo ogni cassetto presente nell'aula.
«Si. Ma ci sono alcune streghe che bevono sangue come vampiri.»
«Le vedove nere
Ero affascinata da quel genere di streghe. Così infinitamente belle e potenti, così spaventose e letali.
Sfiorai il ritratto di una di loro, la più importante.
«Dorothy Fednes. Fu condannata e bruciata a rogo nel 1609» lessi.
I suoi occhi rilucevano di miele e pagliuzze dorate persino attraverso quel disegno.
«Venne bruciata perché fra le vittime imputate a lei, c'era un bambino.» Sollevai lo sguardo ritrovandomelo ad un palmo da me con un grosso scatolone stretto fra le braccia.
Tornai a fissare il viso della donna e un velo di delusione si posò su di me.
«Non sarei mai in grado di uccidere qualcuno, figuriamoci dei bambini» commentai storcendo un labbro. Un altro mito mi era crollato in pochi istanti.
Zane posò lo scatolone e tirò fuori il contenuto: quaderni ovviamente.
Una voluta di polvere si sollevò in aria quando soffiò sopra alla copertina sgualcita di uno di essi.
«Di Sam - non riesco a leggere il cognome- , otto anni» disse.
Lo scrutai con un sopracciglio inarcato «Ti stupisce? Studiavano qui dentro ci saranno scritti i compiti per le vacanze.»
Zane mi rifilò un'occhiata al sapore di "stai zitta" al quale risposi con indifferenza tornando a sfogliare qualcosa di più interessante, almeno, finché non lesse la prima pagina.
«Ventitré Marzo 1604. Oggi, nostra eminenza Buvier ci ha spiegato come uccidere una strega.» 
Rizzai le orecchie sollevandomi di colpo e strappando il quaderno dalle mani di Zane. Afferrai la torcia dal banco e la puntai sulle parole di Sam.
«Ha detto Buvier?»
Sam continuò a raccontare, pagina per pagina, della sua vita dentro Sant'Agustina.
Raccontò di come lo stavano instradando a diventare cacciatore e di come, di punto in bianco, si fosse ritrovato solo li dentro.
«Perché i suoi compagni erano spariti?»
Zane scosse la testa «Non lo so. Quando sono arrivato in questa cattedrale, non sono mai stato separato dal resto dei miei compagni.»
"Buvier dice che non posso più stare con gli altri. Che per me si prospetta un futuro diverso. [...] ma io voglio stare con loro.
"[...] Mi manca la mamma. Buvier non mi permette di vedere nessuno, nemmeno lei."

Perché l'arcivescovo di quell'epoca -ammesso che non si trattasse dello stesso Buvier dei giorni nostri- aveva isolato Sam?
Più andavamo avanti con le pagine, più il racconto del bambino si faceva intriso di tristezza.
"[...] Due dottori in camice bianco mi hanno svegliato nel cuore della notte. Hanno chiamato nostra eminenza e mi hanno portato in un posto orribile. Non voglio più tornarci."
"[...] Sento le grida di qualcuno dalla stanza accanto."
La gola mi si strinse «Sta parlando dell'infermeria, vero?»
La mascella di Zane si contrasse. «Credo di si»
"Questa notte, mi hanno iniettato un liquido colorato. Ora sento scottarmi la fronte e le vene sulle mie braccia si sono gonfiate."
"Buvier mi chiama con un nome strano. Nocturn."

Le pagine si rarificarono. Dopo una manciata lasciate in bianco, sull'ultima trovammo poche righe.
"Sto sempre peggio. La mia pelle è pallida e le occhiaie sono sempre più scure. Credo di essere dimagrito. La mamma si preoccuperà se mi vedrà così. [...] Non vedrò la mamma. Non vedrò più nessuno. [...] Credo che morirò. [...]."
«"Che morirò qui dentro"» All'improvviso da uno scaffale caddero un paio di libri. Il loro tonfo fu seguito dallo scalpicciare di passi lungo il corridoio.
«Cos'è stato?» 
Chiusi il quaderno di colpo e puntai la torcia verso la porta dell'aula.
Avevo il cuore in gola e sudavo per la paura.
Zane si mosse prima di me affacciandosi fuori dalla stanza.
«Non vedo niente, non c'è nessuno.»
Io però continuavo ad avere paura. Una paura folle.
«Sei sicuro? Controlla meglio.» Lui mi guardò sospirando e lanciò una seconda occhiata lungo il corridoio.
«Puoi venire a vedere. Non c'è nessuno.»
Esitando, mi avvicinai a lui, gli agguantai un lembo della giacca e puntai la torcia lungo il corridoio ancor prima di sporgere la testa dall'anta della porta.
Effettivamente era vuoto. Nessun rumore. Nessun suono.
«Magari ci siamo mossi e abbiamo fatto tremare il pavimento. Magari i libri sono caduti per questo.»
Sollevai lo sguardo oltre la mia fronte e lo scrutai con un vistoso cipiglio «E che mi dici dei passi?»
Avrebbe voluto dirmi che lui non li aveva sentiti, ma lo aveva fatto.
Schiacciò le labbra l'una contro l'altra e si scansò dalla porta.
«Senti, non credo che per questa notte riusciremo a trovarci fuori da questo posto, perciò, passi o meno, cerca di stare calma.»
Aggrottai la fronte «Sai che potrei tenerti sveglia tutta la notte se ho paura?»
Zane si mosse all'interno della stanza «Non chiudo occhio da tre giorni, come minimo ti staccherei la testa»
Decisi comunque di chiudermi la porta alle spalle. Non che una semplice anta di legno potesse garantirmi protezione dalla magia, ma sicuramente mi sentivo più sicura.
«Quindi? Le tue intenzioni quali sarebbero?»
Lo vidi svuotare un grosso scatolone troppo recente per essere del 1600. Staccò lo scotch e allargò le alette.
«Sicuramente voglio dormire.» Lo posò a terra e gli regalò della morbidezza spargendo mucchi di fogli sopra di esso.
«Prendine uno» Sorrise sornione. Quel modo strafottente mi stava irritando.
«Io non voglio dormire, voglio uscire di qui!» Sbraitai.
Zane lanciò la testa all'indietro sollevando gli occhi al cielo. «Anche io, ma ho bisogno di riposarmi»
Purtroppo non avrei potuto fare molto. Sapevo perfettamente che la carenza di sonno era in grado di far -letteralmente- impazzire i cacciatori.
Per meglio dire, le loro cellule impazzivano. In oltre, senza Zaffiro dato che lo avevo io al collo, i tempi potevano sicuramente accorciarsi perché ciò accadesse. Non volevo che mi uccidesse di punto in bianco, assolutamente.
Mi morsi un labbro e strinsi i pugni «E va bene».
Ringhiando mi mossi rassegnata verso un secondo scatolone appoggiato sul ripiano di una mensola di legno accanto alla cartina della Germania.
Tirai fuori vecchi libri, uno scarafaggio morto e qualche penna. -E con penna intendo proprio penna di pennuto.
L'espressione piatta e snervata mi accompagnò fino alla porzione di pavimento accanto a Zane.
Distesi lo scheletro dello scatolone e ci buttai sopra qualche pila di fogli polverosi.
«Odio tutto questo» Mi sdraiai e coprii gli occhi con gli avambracci avvolgendomi alla coperta di rabbia e nervi che mi stava assalendo.
Nel silenzio i pensieri incominciarono a prendere forma.
Cosa avevamo per le mani? Io decisamente poco.
Sapevo poco dei cacciatori, all'infuori del fatto che si spostassero grazie allo zaffiro -motivo per cui Zane era a New York le notti passate, mentre Sant'Agustina era in Francia- che potevano invocare incantesimi con lo stesso nome del siero a base di lacrime di strega, che erano fedeli ad uno psicopatico che rimbalzava da un'epoca all'altra e che se non dormivano per più di un paio di giorni perdevano il senno. 
E del resto? Be' sicuramente che qualcuno stava usando la magia nera per infettare la popolazione e per far ricadere la colpa sulle streghe. Almeno io ero arrivata a questa conclusione ma perché? A cosa serviva fare tutto questo? Una cosa era certa, avrei sempre presunto che l'unico colpevole fosse Buvier.
Quella faccia di merda.
Zane mugugnò nel sonno. Trattenni il respiro e lo guardai di sottecchi.
Il suo viso era disteso. Dormiva placido, come se non ci trovassimo affatto in un incubo dalle fattezze stramaledettamente reali!
Sospirai.
"Vorrei avere un quinto della calma che hai tu"
Per l'appunto, infatti, non riuscii a chiudere occhio. Quel posto mi metteva i brividi: avevo fretta di andarmene.
Mi sollevai ed afferrai la torcia che andavo abbandonando qua e la ogni volta che mi muovevo per l'aula.
Tornai al banco e al quaderno di Sam, lo presi e mi accomodai a sedere con la schiena contro uno dei quattro piedi di ferro.
Rilessi da capo le pagine analizzando, frase per frase, ogni parola. Quel bambino, non solo era stato usato come una cavia, ma era una piccola vittima nelle mani di essere spregevoli.
«Ma cosa...» Qualcosa mi svolazzò fra le ginocchia. Mi sporsi per raccogliere il pezzo di carta e scoprii che erano due foto.
Una dal retro giallo e macchiato, l'altra intatta e candida.
"1601 Sam Winterburg" 
Lessi finalmente per intero il suo cognome e mi parve familiare. Dove avevo già letto quel cognome? 
Mentre cercavo di pensarci mi concentrai sul soggetto principale della fotografia.
Il bambino ritratto indossava la divisa dell'arcivescovato. Non aveva più di otto anni: calzoncini corti e calzini lunghi sulle ginocchia.
La cravatta stretta e la camicia ben inamidata.
Osservai i riccioli neri che gli ricadevano accanto alle tempie e gli occhi così chiari che persino nella foto in bianco e nero risaltavano intensamente.
Sfiorai il suo viso con le dita.
"Che ti hanno fatto?"
La seconda foto si era praticamente incollata sul retro.
Dovetti impiegare tutta la pazienza in mio possesso per non strapparla ma, nonostante ciò, qualche pezzetto venne via ugualmente.
Persi un battito.
La mia mano tremò esitando sulla viscosità della fotografia.
«Non...Non è possibile»
"1994 Zane Winterburg"
Lo stesso bambino della foto precedente apparve ai miei occhi con un nome diverso ma con gli esatti stessi lineamenti.
Gli stessi occhi chiari, la stessa espressione priva di emozione. Zane. Lo stesso Zane che stava dormendo ad un passo da me.
I miei occhi saettarono sul viso del cacciatore.
Era lui, non c'erano dubbi. Certo, non aveva gli stessi ricci folti di Sam ma ero certa che se si fosse messo una parrucca il risultato sarebbe stato lo stesso. Erano due gocce d'acqua.
Mi sollevai di scatto e la torcia ruzzolò a terra spegnendosi.
«Merda.»
Provai a muovere la mano a tastoni nel buio tornando ad inginocchiarmi sul pavimento.
«Andiamo. Andiamo!» 
Nel buio il tonfo ferruginoso di un barattolo mi raggelò.
Ogni muscolo del mio corpo si irrigidì. Restai immobile ascoltando solo il suono del mio respiro che, nei lobi delle orecchie, sovrastava persino quello di Zane.
Sollevai lentamente lo sguardo al bagliore fioco che da qualche istante stava vibrando accanto alla porta.
Lo sgomento la fece da padrone.
La sagoma minuta di un bambino avvolta da una luce cobalto, innaturale, apparve davanti ai miei occhi.
Le sue manine sottili avvolgevano il piede di un banco ed i suoi occhietti azzurri erano fissi su di me.
Schiusi la bocca ma la voce non uscì.
Il cuore galoppò così veloce che, di li a poco, avrei visto sicuramente tanti puntini neri e poi sarei svenuta. O morta.
Probabilmente oscillai per uno spasmo al braccio e Sam si spaventò.
«No, aspetta! Non scappare!» Allungai una mano verso di lui e mi sollevai come un gatto che è appena ruzzolato giù da un balcone.
«Che succede?»
Zane si sollevò a sedere.
«E' Sam! Cioè sei tu, ma è Sam!» Gridai prima di lanciarmi alla rincorsa del piccolo spiritello.
Zane, anche se confuso, non se lo fece ripetere due volte e uscì correndo rumorosamente dall'aula.
Ero molto più lontana di lui e non mi voltai a cercarlo. 
«Sam! Non scappare!»
Senza rendermene conto, sbucai da una porta ritrovandomi al centro di una serie di porticine di legno.
La luce tornò ad invadere quella porzione di cattedrale, sotto forma di fiamme che ardevano sulla punta di alcune fiaccole agganciate ai muri.
A terra un lungo tappeto rosso divideva alcune celle.
Le porte erano spesse e di legno scuro con qualche rifinitura, in ferro, nera: una era aperta.
«Ti ho trovato» Presi fiato per la corsa estenuante.
Sam era seduto sul bordo di un letto coperto da una trapunta pomposa di color porpora. Quattro cuscini erano appoggiati allo schienale di legno pregiato e un tendaggio con rifiniture dorate ricopriva lo scheletro del baldacchino sulla sua testa.
«Questa è la tua stanza?» Gli domandai  cercando di entrarci in confidenza. Nel frattempo pregai che Zane apparisse alle mie spalle. Quel bambino era lui e tutto aveva preso una piega decisamente terrificante.
Sam annuì sorridendo.
«E...posso entrare?»
Mosse ancora la testolina riccia mimando di si.
Abbassai il capo e passai sotto l'archetto della porta.
C'era luce nella stanza ma non riuscivo a capire da dove arrivasse.
Tanto, fra le cose strane quella era solo una delle molteplici.
Sam picchiettò il materasso con una mano ed io esitando mi accomodai accanto a lui.
Le mani strette fra le cosce e l'angoscia che strangolava la mia gola.
«Io ti conosco» disse «Ti ho vista arrivare qui»
Sbattei le palpebre un paio di volte «Ah si?».
La mia risposta ovviamente uscì come lo squittio di un roditore.
Sam sorrise «Eri insieme a quel ragazzo, quello che mi assomiglia tanto.»
«Parli di Zane?»
La mia attenzione era rapita totalmente adesso e aveva superato la paura.
«Si chiama Zane?»
Mi grattai la nuca «Si, in quest'epoca...credo»
Sam sorrise più marcatamente. «Tu e Zane mi aiuterete non è vero?»
Lo scrutai con apprensione «Aiutarti? A fare cosa?»
Il bimbo abbassò lo sguardo rivolgendolo alle sue piccole dita. I piedini che dondolavano a mezz'aria.
«A fermare l'uomo cattivo.»
Ma certo, faccia di merda Buvier!
«L'arcivescovo.»
L'espressione del bambino mutò. La paura si avviluppò distruggendo il suo dolce sorriso e si impossessò di lui.
«Ha fatto delle cose orribili. A me, al tuo amico e a tante altre persone»
«Ascolta, i posseduti...sono opera sua?»
Sam apparì accanto alla porta costringendomi a cercarlo con lo sguardo.
«Non posso dirtelo.»
«Se non lasci che io scopra la verità, non potremmo aiutarti» cercai di fargli capire, preoccupata «E' stato lui? Lui ti ha ucciso e ha lanciato quel maleficio a quella povera gente?»
Sam guardò la porta alle sue spalle. La paura divenne sgomento.
«Loro mi stanno cercando. Sanno che tu e Zane siete qui. Dovete andarvene!»
«Loro chi? Aspetta!»
All'improvviso la luce svanì assieme al piccolo spettro.
Mi ritrovai a sedere su un materasso impolverato e la stanza era satura di un tanfo acido e stomachevole. 
Mi voltai distrattamente alle mie spalle e lo spavento mi fece balzare per aria.
Il corpo di Sam, ormai ridotto ad un cumulo di ossa, riposava il sonno eterno fra le coperte logore e i guanciali intrisi di sangue di quel baldacchino.
Mi portai una mano alla bocca e questa volta non frenai le lacrime.
«Lucille.»
Zane spalancò la porta all'improvviso. Guardò me poi il  piccolo scheletro.
«Lo ha ucciso Buvier. È stato lui.» Singhiozzai.
Zane mi raggiunse e le sue braccia mi avvolsero le spalle. Poggiò il mento sulla mia testa e mi accarezzò le braccia.
«Lo fermeremo.»




Nota: il capitolo è stato scritto e pubblicato in direttissima, perciò per eventuali errori chiedo scusa. Buona lettura.

 
   
 
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