Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: damnslyth    15/06/2021    0 recensioni
Raccolta di one-shots incentrate sui vari personaggi di Attack On Titan.
Alcune saranno collegate alla mia precedente breve storia, "Dark Paradise".
Allerta spoiler manga&anime.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Leonhardt, Armin Arlart, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Goodnight Moon (prego ascoltare Shivaree per entrare nel mood di Mikasa verso fine one shot)
Note: è una leggera ErenxMikasa ambientata nel mondo moderno con una brevissima parte YmirxHistoria (a malapena accennata). E’ una one shot che ho iniziato a scrivere settimane fa, poi interrotta perché ho cominciato una fan fiction seria che a breve dovrei pubblicare -il tempo di scrivere altri capitoli-. Avevo deciso di accorparle ma ho cambiato idea, in sunto considerate questa una sorta di “pubblicità” della mia futura FF, con qualche modifica (il contesto sarà diverso ma alcune caratteristiche uguali).
Avvertenze: verso la fine il rating sale ad arancione (?). Non rosso, ma accontentatevi. Non è tutta così deprimente; insomma, entrare nella testolina di Mikasa non presuppone troppi momenti divertenti, ma invece ci sarà anche una piccola parte comica.
Spero apprezziate! Fatemi sapere.
 
See you later.
 
 

 
Mikasa entrò in caserma pallida come non mai, sciupata nel volto. Nelle ultime settimane non era riuscita a chiudere occhio se non per quattro ore circa e il motivo erano state quelle sedute dalla sua psicoterapeuta.
 
Ci aveva impiegato un po’ a trovare quella giusta, ma Petra Ral era senza dubbio la persona più adatta, sensibile e fidata nell’aiutare la sua mente disordinata.
Aveva perso i genitori all’età di nove anni in un brutto incidente stradale, Il classico modo in cui iniziano i film pensava sempre, ed era stata cresciuta dalla nonna paterna, una signora forte e autonoma a cui lei era molto affezionata. Per quanto adorasse la compagnia di quella donna, alla giovane età di 18 anni aveva deciso di lasciare Hita -cittadina montana della regione del Kyushu, in Giappone- per trasferirsi a Vancouver, in Canada, dove ad attenderla ci sarebbe stato il suo unico cugino, Levi.
Appena arrivata si era quasi subito pentita di aver lasciato il suo piccolo paese natìo noioso ma pur sempre rassicurante per una città enorme e dispersiva. La vista della bandiera della Nazione, una foglia d’acero rossa a undici punte, le aveva dato una strana sensazione accompagnata da inspiegabili brividi ma si era ostinata a provare a restare ricordandosi il motivo per cui aveva deciso di partire: era alla disperata ricerca di qualcosa che nemmeno lei sapeva bene.
Era sempre stata un’anima in pena, felice di condurre una vita semplice e a contatto con la natura, ma infelice perché sentiva di aver voluto condividerla con qualcuno di stretto. Viveva troppo isolata per poter avere grandi amicizie; apprezzava la solitudine ma in un certo momento della sua esistenza aveva iniziato a pensare fosse troppa. Si stava perdendo i suoi anni migliori.
Il cugino, un tipetto basso ma rispettabile lavorava come poliziotto in uno dei distretti più grandi della città e le aveva suggerito di provare a inserirsi nel mondo del lavoro facendo una delle due cose che più le riusciva bene -oltre alle arti marziali-: cantare.
Così Mikasa aveva iniziato a esercitare il suo talento in vari locali o eventi come matrimoni, ma ben presto si era stufata di avere molto tempo libero durante la giornata e doverlo trascorrere a pulire maniacalmente il minuscolo appartamento del cugino per non farlo indispettire, non trovando nulla di meglio da fare. Era tornata al punto di prima: sola. Aveva allora deciso di presentarsi nella sua caserma -ovviamente a sua insaputa- e candidarsi. Era stata rifiutata, com’era prevedibile, perché necessitava di un diploma.
L’ostinazione, però, era una prerogativa della famiglia Ackerman, indi per cui si era illegalmente infiltrata in una caccia a dei ladri e li aveva stesi tutti a terra, da sola, senza l’uso delle armi. Gli agenti non avevano a quel punto potuto fare altro che accoglierla -o forse era meglio usare il termine supplicarla- di unirsi a loro e le avevano concesso il ruolo -con enorme sconforto di un preoccupato Levi- dopo un breve corso di formazione.
Quel lavoro le piaceva ed era perfetto per lei, le aveva conferito maggior autonomia al punto da prendersi in affitto la mansarda presente nel condominio del cugino oltre allo sviluppare amicizie con i suoi compagni, persone che le sembrava di conoscere da una vita, specialmente quello che diventò presto per lei come un fratello, Armin Arlert.

Un mese dopo la sua assunzione era tornato dall’infortunio per braccio rotto durante un servizio quel certo Eren Jaeger di cui lui le parlava sempre.  
<< Vedrai, Mikasa, ti piacerà! Eren è una persona di cui non puoi fare a meno dopo averla conosciuta >> le aveva detto con un enorme sorriso nel volto.
Mikasa aveva sempre avuto poco interesse per l’amore o per l’altro sesso in generale -tant’è che ignorava pazientemente i tentativi di abbordaggio di Jean Kirschtein-, ma quegli occhi verde pallido le avevano fatto perdere un battito.
Quella notte, prima di incontrarlo, aveva fatto un sogno strano: persa in una sorta di deserto con sopra la testa quella che sembrava essere l’aurora boreale, una figura poco distinta le aveva detto che finalmente si sarebbero potuti ritrovare. Ci aveva rimurginato tutta la mattina fino al momento in cui l’Ispettore Smith era entrato nel suo ufficio sfogliando delle carte in mano lasciate poi sulla sua scrivania in mogano. << Oh, Ackerman, ti presento Jaeger. Lavorerete insieme al prossimo caso >>.
Il ragazzo in questione, alto poco più di lei con i capelli scuri raccolti in uno chignon scompigliato, l’aveva guardata con fare leggermente enigmatico prima di sorriderle e porgerle la mano.
<< Oh, abbiamo la seconda donna agente del distretto, dopo Leonhart! Piacere, Eren >>.
<< Sono Mikasa >>.
Con il cuore che le martellava insistentemente e inspiegabilmente in gola gli aveva stretto la mano ed entrambi erano sussultati per la scossa reciproca avvertita. Lui aveva ridacchiato un poco portandosi una mano dietro la nuca, imbarazzato: << Scusa! Il vento fuori deve avermi reso elettrico >>.
<< Nessun problema >>.
Si era seduta a sfogliare i fascicoli lasciati da Erwin senza leggerli veramente, con una strana sensazione addosso. Eren l’aveva guardata ancora un po’ come a disagio per via del suo atteggiamento poco socievole e, prima di uscire, aveva aggiunto: << Ehm, alle 14 ci troviamo con gli altri a discutere il caso, raggiungici appena ti liberi! >>.
Aveva annuito come di fretta e una volta che la sua figura si era chiusa la porta alle spalle era sprofondata nella poltrona di pelle nera osservando il soffitto.
Ha degli occhi così famigliari.
Oh insomma, Mikasa, non mi dirai davvero che ti sei presa una cotta a prima vista? Tu che sei sempre così controllata e disinteressata. Eppure… mi sembra di averlo già incontrato da qualche parte.
 

Il caso riguardava l’arresto di un gruppo di criminali con l’accusa di furti multipli ed uso di armi da fuoco illecite.
<< Non vedo l’ora di acchiappare quei bastardi >> aveva detto l’agente Braun con un ghigno deciso in volto. << L’Ispettore Smith e Ackerman li hanno pedinati per quasi un anno, adesso è finalmente il momento giusto per agire! Li chiuderemo in cella, uno ad uno >>.
<< Non cantar vittoria finché non saremo rientrati tutti >> aveva risposto Annie con tono basso, a braccia conserte.
<< Ma ora abbiamo anche Mikasa! E una garanzia di successo >> aveva, invece, esaltato Armin con fiducia. Eren l’aveva osservata in modo particolare e il suo volto era avvampato, cercando di nascondersi imbarazzata dietro i lunghi capelli corvini.

L’operazione era andata a buon fine ma Mikasa si era inspiegabilmente trovata a proteggere la sua nuova conoscenza come se fosse quella la missione e non la cattura di quei criminali. Lui se n’era accorto, dapprima sorpreso, poi riconoscente e infine seccato, interpretando quell’eccessivo riguardo nei suoi confronti come una mancanza di capacità.
Eppure Mikasa non l’aveva fatto per quel motivo, non metteva in dubbio le sue evidenti abilità professionali, si era semplicemente ritrovata a seguire un istinto e una paura irrazionali che non sapeva spiegare.
<< Guarda che me la sarei cavato da solo >> le aveva detto con stizza mentre rientravano in caserma. Lei non aveva risposto non sapendo davvero come giustificargli il suo comportamento, e certa di avergli fatto una pessima impressione aveva abbassato lo sguardo verso il marciapiede, affranta. Eren doveva essersene accorto mentre la scrutava in silenzio, camminandole a fianco, con le mani in tasca.
<< E comunque >> aveva iniziato, con un sopracciglio leggermente inarcato e gli zigomi colorati di una tonalità di rosa acceso << questi lunghi capelli rischiano di coprirti la visuale che ti serve >>.
Mikasa si era sentita delle dita affusolate passarle rapide attraverso una ciocca in un gesto noncurante e al contempo studiato, premuroso, prima di vederlo allontanarsi da lei e pensare che li avrebbe tagliati il pomeriggio stesso nella speranza di poter ricevere nuovamente quel tocco.
 

Da quell’incontro erano scaturiti, durante le settimane seguenti, sogni sempre più vividi, astrusi, strambi e quasi deliranti. Sognava giganti, giganti di vario aspetto, sognava mura, corpi squartati, sangue, odori nauseanti, alberi, un albero gigante, dispositivi particolari, una sciarpa, due persone sempre accanto a lei, una casa in montagna, il suo nome. Eren.
Eren.
Certa di stare per impazzire aveva contattato una psicologa ottenendo nessun risultato se non quello di averle dato la conferma che stesse andando fuori di testa.
<< I giganti rappresentano i mostri del passato che il tuo inconscio sta cercando di far venire a galla. Dobbiamo lavorare sul trauma della perdita dei tuoi genitori. L’ossessione che hai per il tuo collega è dovuta a un bisogno di amore e protezione, ma il fatto che tu abbia scelto qualcuno che non ti considera denota la paura di fondo di entrare veramente in intimità relazionale >>.
Mikasa non era rimasta tanto convinta di quella teoria e aveva deciso di lasciar perdere, appuntandosi solo la prescrizione di un ansiolitico da prendere prima di dormire qualora avesse avuto problemi di insonnia.

Nella disperazione si era messa a cercare situazioni simili al computer in una delle mattinate tranquille di lavoro e le si era aperto letteralmente un mondo. C’erano altre persone, anche se poche, vittime di sogni simili ai suoi e tutto riconduceva a una ipotesi tanto incredibile e assurda quanto probabile: la reincarnazione. Ma davvero lei poteva aver vissuto in passato in un’epoca dominata da quegli strani esseri?
Stava giusto leggendo in un blog la testimonianza scritta da una certa Historia Reiss quando Eren le sbucò inavvertitamente da dietro la schiena con due tazze di caffè fumanti, facendola sussultare: << Cosa leggi? >>.
Aveva cercato di chiudere rapida la pagina del sito web ottenendo l’effetto opposto e mettendoci, invece, un’eternità nella generale agitazione: << Niente! >>.
Le si era seduto accanto nella sedia girevole posando una tazza davanti a lei e l’altra dinanzi a sé: << Uhm, sei interessata all’occultismo? O è una tua credenza religiosa? >>.
<< Non proprio >> si era affrettata a rispondere, imbarazzata, sorseggiando un po’ di caffè. Eren l’aveva osservata con i suoi grandi occhi verdi e i capelli sparsi per le spalle -quel giorno li portava sciolti-, stravaccandosi sulla sedia mentre guardava pensieroso il soffitto. Mikasa si era ritrovata ad ammirarlo in silenzio mentre notava qualche pelo ispido che stava iniziando a crescergli sul mento. << Dovresti parlarne con una mia amica, è infognata sull’argomento. Se vuoi te la presento >>.
Al sentire una mia amica aveva provato un moto di gelosia e distolto lo sguardo da lui, irrigidendosi e assumendo un tono quasi troppo controllato e apparentemente noncurante: << Certo, quando vuoi >>.
Forse lui se ne era accorto perché Mikasa poteva giurare di aver captato un sorrisetto trattenuto tra le sue labbra. Si era alzato e, prima di tornare alla sua postazione, le aveva posato una mano calda sulla spalla. A quel contatto aveva percepito una leggera scossa e il desiderio di potersi appropriare di quel tocco lungo tutto il corpo.
Non puoi pensarlo davvero, stupida scema! A lui non piaci.
Aveva provato qualche volta a chiedere ad Armin della sua vita sentimentale senza cadere nell’occhio, ma lui le aveva risposto che Eren era criptico e inaccessibile sotto quel punto di vista.
La sua voce l’aveva destata da quei pensieri. << Non farti troppe domande, fidati del tuo sentire, il corpo non mente mai >>.
Si era ritrovata a guardarlo allontanarsi ammutolita ed esterrefatta. Si riferiva alle sue ricerche? Oppure si era accorto che lei vibrava letteralmente a ogni minimo e insignificante contatto fisico con lui?
Aveva sperato vivamente la prima.

 
Iniziando a prendere gli ansiolitici prima di dormire, Mikasa aveva smesso di esser disturbata da quei sogni durante le sue notti. Pian piano aveva cominciato quasi a dimenticarsene vivendo una vita normale e comune a quella di tutti gli altri. Tra un’operazione e l’altra era passato un altro anno.
Aveva conosciuto l’amica di Eren e -coincidenza alquanto inspiegabile- si era rivelata essere la ragazza del blog che stava per cominciare a leggere quel giorno: Historia Reiss.
Historia era una ragazza oggettivamente bella, così bella da far venire gli occhi a cuoricino pure all’austero e serioso Reiner Braun, ed era anche ricca -come se non bastasse il suo fascino a renderla perfetta-, figlia del sindaco della città. Eren apprezzava la sua compagnia. Non poteva certo dire di averli visti in atteggiamenti intimi, ma parlavano di certo sempre tanto, troppo, in confidenza ed animatamente quando erano insieme. Mikasa si era allora arresa all’inesorabile convinzione che avessero qualcosa e si era fatta da parte, anche se il suo cuore non concordava quanto la sua testa sulla questione. Meglio così, si diceva, in fondo aveva instaurato una bella amicizia con lui e insieme ad Armin avevano iniziato a formare un trio inseparabile che si frequentava quotidianamente.
Stava chiacchierando con Annie quando Jean, avendo bevuto un po’ troppo, aveva iniziato a biascicarle complimenti vari usando metafore bizzarre e fantasiose. Marco aveva cercato di salvare la faccia all’amico sorridendole imbarazzato e gentile mentre cercava di levarlo da lì: << Non ascoltarlo, Mikasa >>.
Lei aveva trattenuto una risata divertita scuotendo la testa: << Tranquillo, non importa. Lo accompagno a casa, tanto sono stanca e lui abita a due passi da me >>.
<< D’accordo >>.
Non aveva fatto in tempo ad afferrarlo per un braccio che Eren lo aveva già sollevato come un sacco di patate, lasciando una Mikasa sorpresa: << Lo prendo io questo stronzetto >>.
<< Ma… >> aveva iniziato lei, un poco accigliata, non trattenendosi << non è il caso di interrompere la tua conversazione coinvolgente con Historia, come ho detto a Marco lo porto io a casa, abitiamo vicini >>.
<< Jean è pesante ed è ubriaco marcio, potrebbe diventare inopportuno >>.
<< Direi che sono affari miei >> aveva replicato più per una questione di principio che altro.
Eren si era stretto nelle labbra prima di darle una leggera capocciata con la fronte, spintonandola così: << Che c’è, temi possa far del male al tuo bel maritino? >>.
Mikasa era avvampata; un po’ per la rabbia, un po’ per l’insinuazione, un po’ per lo sconcerto di quella sua uscita fuori luogo e infine per essersi resa conto che erano fronte contro fronte. Le sue iridi verdi erano l’unica cosa presente nel suo campo visivo e poteva sentirgli il fiato caldo addosso. Aveva provato uno strano brivido e la voglia di baciarlo ma ovviamente si era contenuta, rimanendo più rigida di un palo.
<< Su, ragazzi >> era intervenuto Armin, preoccupato << venite tutti a dormire da me. Jean non è l’unico ubriaco: Sasha sta vomitando sul vaso di gerani e Connor sta tentando di flirtare con un albero. Godiamoci ancora un po’ la serata e poi andiamo da me >>.
Con la prospettiva di non dover guidare o prendere mezzi di trasporto -casa di Armin era oltre la strada-, chi era sobrio non aveva esitato un attimo a non esserlo più.
Eren si era scostato di dosso da Mikasa lasciandola senza fiato e interdetta, poi aveva ordinato un bicchiere di gin e se l’era scolato tutto d’un sorso. Un istante dopo lo aveva imitato eseguendo lo stesso.
 
 
L’ora seguente erano tutti nell’appartamento di Armin in uno stato discretamente pietoso. Sasha e Connor si erano direttamente addormentati a terra sul tappeto di ingresso, stesi in posizione da orsi imbalsamati.
Mikasa ridacchiava tra sé e sé senza apparente motivo e accanto a lei Eren, ubriaco nella stessa maniera ma più contenuto e con un’espressione incazzata, la guidava con scarso risultato, meno barcollante ma stordito: << Scavalca… scavalca i due cani che dormono e ssht! o si sveglieranno >>.
Hitch si era chinata a osservare Sasha e Connor come fossero due esemplari di australopitechi e lei un’archeologa di fronte a una fruttuosa scoperta, con le mani sui fianchi e un sorriso ebete: << No, Eren, non sono cani, credo siano facoceri. Perché Armin ha due facoceri in casa? >>.
<< Facoceri >> era uscito in un sussurro dalla bocca di Sasha mentre sbavava affamata. Connie si era girato su un fianco a ruttare vodka e l’aveva involontariamente zittita stendendole un braccio in faccia.
Eren era riuscito a sdraiarsi a terra nel soggiorno, stroncato da un sonno imminente. Mikasa lo aveva seguito ed era quasi caduta volandogli accanto. Lui, intanto, si era già addormentato.
Con la poca lucidità rimasta aveva ammirato da vicino i lineamenti del suo volto che tanto amava. Poi, come se fosse il gesto più naturale del mondo, con il calore di un forte sentimento accostato alla delicatezza di chi teme un rifiuto o di dare fastidio, aveva appoggiato la fronte contro la sua tempia e una mano sulla sua spalla. Sentendo finalmente di aver trovato il suo posto nel mondo, la sua casa, quel qualcosa che cercava, si era addormentata in pace.
 
 
Dormire accanto a Eren aveva acceso in lei come un interruttore assopito. I sogni erano tornati e stavolta non c’era stata pastiglia miracolosa a poterli trattenere dall’eruzione.
Sconsolata era stata dapprima da uno psichiatra: “Questi sogni sono troppo vividi, ritengo possano preannunciare uno scompenso psicotico probabilmente interno a un disturbo di depersonalizzazione” poi, cercato su Google i sintomi di quella terribile condizione mentale si era quasi pentita di aver raccontato i sogni interpretati come un preannuncio di delirio e aveva cambiato nuovamente professionista.
Mentre faceva la sua solita colazione al solito bar vicino alla caserma si era ritrovata un bigliettino ai piedi.
 
 
Petra Ral
Psicologa – Psicoterapeuta
Specializzata in PTSD e Ipnosi Regressiva
 
 
Aveva smanettato al cellulare quella strana sigla, “Disturbo Post Traumatico da Stress”, ritenendola perfetta per il trauma della morte dei genitori che la precedente psicologa le aveva suggerito di trattare, poi la specializzazione in “ipnosi regressiva” aveva certamente dovuto renderla una persona mentalmente aperta e disponibile ad ascoltare le storie più strambe.
Senza pensarci due volte l’aveva contattata.
Senza pensarci due volte aveva pensato subito, dal primo incontro, che fosse la persona perfetta per lei.
Senza pensarci due volte si era pentita di aver aperto dei canali del suddetto inconscio che ora si ritrovava dannatamente a voler averli tenuti chiusi per sempre.
 

 
La voce secca e imponente di una ragazza la destò da quel loop di ricordi.
<< Suvvia, nanetto, mi dirai mica che ti scandalizzi per un po’ di erba! Non ha mai ucciso nessuno >>.
Una ragazza con la pelle ambrata, i capelli castani raccolti in una coda bassa e sbarazzina, qualche lentiggine sugli zigomi e addosso jeans aderenti abbinati a una giacchetta in pelle era seduta irritata davanti alla poltrona del Viceispettore Levi. Quest’ultimo la osservava con aria di sufficienza, le braccia incrociate e la schiena appoggiata al muro. << Non è dell’erba che mi riferisco, lo sai bene >>.
<< E che altro deve esserci? Nelle mie tasche c’è solo quello! >>.
<< Perché non mi hai lasciato perquisirti. Tu non ti occupi solo di quella robaccia, traffichi altra roba, come oggetti preziosi rubati alla rinomata famiglia Reiss. Ti dice qualcosa? >>.
Mikasa entrò in quel momento, la testa ancora da un’altra parte.
<< Non amo l’idea delle tue manacce addosso, ma se mi perquisisce lei >> e osservò stravaccata sulla sedia Mikasa dopo averla squadrata per bene con un sopracciglio innalzato, le braccia incrociate, gli occhi compiaciuti e uno schiocco della lingua sul palato << potrei farci un pensierino >>.
Levi assunse un’espressione contraria e infastidita alla vista di un tentativo di abbordaggio diretto alla propria cugina mentre Mikasa la guardò perplessa, rivolgendo poi gli occhi verso lui che alzò le spalle come per dire “se è l’unico modo, prego”.
Si accigliò con uno sbuffo prima di avvicinarsi alla ragazza e iniziare a toccarle le tasche dei pantaloni cercando di evitare i suoi sguardi di apprezzamento. Guardarla le procurava una strana sensazione, come se la conoscesse già in qualche modo.
Non anche lei!
Le bastava e avanzava avere ricordi e visioni con Eren.
Dopo la seduta di ipnosi del giorno precedente con la Ral i tasselli di un puzzle enorme di cui non aveva mai compreso appieno il significato unitario avevano iniziato a prendere forma e assumere una linea temporale. Con sorpresa di Petra erano arrivate all’assurda conclusione e conferma che quelle che aveva erano ricordi vividi di una vita passata.
Il problema ora stava nel riuscire a guardare in faccia Eren con la consapevolezza di quella verità.
<< Aha, non toccare lì o sono guai >> sussurrò la ragazza a pochi centimetri dal suo volto. Mikasa si riprese nuovamente da quei pensieri e la fissò negli occhi notando la vicinanza. La propria mano era infilata in una tasca interna della giacchetta di pelle e a quell’affermazione le lanciò un’occhiataccia estraendo l’oggetto che la sua proprietaria non voleva rivelare.
<< Sei carina quando assumi un’espressione arrabbiata >>.
Evitò quel commento e aprì la scatola contenente… preservativi femminili. Avvampò imbarazzata fino alla punta delle orecchie non realizzando che due persone erano entrate alle proprie spalle per assistere alla scena.
<< Dovresti usarli anche tu, saresti meno nervosa. Se hai bisogno di una mano sai dove chiamarmi >>.
Una voce fin troppo famigliare la fece sobbalzare. Il soggetto in questione, nonché Eren, le sfilò la scatola di preservativi tra le mani e se la rigirò tra le dita, guardandola pensieroso. << Non credo all’agente Ackerman interessino >>. Sottolineò il ruolo professionale come se volesse ricordare alla ragazza che si stava rivolgendo a un pubblico ufficiale in maniera inappropriata. Mikasa lo guardò in silenzio, ancora imbarazzata.
<< Sarei in grado di soddisfarla più di te >>. A quell’uscita Eren si irrigidì e diventò rosso quanto lei.
La seconda persona alle spalle intervenne: era Historia.
Sono entrati insieme, di nuovo.
<< Adesso basta, troviamo una quadra per questa situazione e lei si comporti in maniera seria. Prima di tutto, come si chiama? >> sentenziò parandosi di fronte, seccata.
<< Ymir >> rispose flebilmente.
Ymir la guardò imbambolata con un cipiglio serio e le gote leggermente rosee, un brivido nel corpo e la sensazione di aver già visto quella biondina da qualche parte. Ma era nulla in confronto allo sguardo di Historia: appurata la fisionomia del suo volto ora che Mikasa non le copriva più la visuale ricambiò lo sguardo e i suoi grandi occhi azzurri si inumidirono gradualmente, sconvolti: << Y-Ymir…? Sei davvero tu? >>.
Calò il silenzio; Ymir che guardava confusa e perplessa Historia ma con uno strano e sincero interesse, Historia che era sull’orlo di una crisi nervosa e di pianto.
Eren osservò le due prima di prendere la mano di Mikasa e condurla fuori: << Lasciamo a Historia occuparsi di lei e dei suoi contrabbandi illegali >>.
Poi la fissò con le sue iridi verdi e lei perse completamente la cognizione del tempo e dello spazio. << Stasera ci troviamo da Jean. Vieni? >>.
<< Sì >> rispose senza nemmeno rendersi conto di aver parlato. Lo vide allontanarsi oltre gli uffici e si portò una mano sul cuore prendendo un lungo e profondo respiro per calmarsi.
 
 
Nel suo appartamento arredato in tonalità di nero e bianco, molto minimal e anche chic, Mikasa stava stesa nel suo grande divano scuro in pelle a fumare una sigaretta con le finestre spalancate. Una musica molto lenta, deprimente, cantata da una voce femminile sensuale e profonda la accompagnava in quel momento di tristezza.

 
What should I do, I’m just a little baby
what if the lights go out and maybe
I just hate to be all alone

outside the door he followed me home

 
Io nemmeno fumo, non mi piace si disse prima di guardare il calice di vino posato sul tavolo basso alla sua destra e pensare che se proprio doveva mettersi a fare un elenco, allora nemmeno beveva mai. Non le piaceva, come non piaceva a Levi.
Deve essere un tratto degli Ackerman.
Si sentiva leggermente stordita al punto giusto da non stare male o non reggersi in piedi, aveva solo bisogno di crogiolarsi e affondare nella sofferenza navigando per una sera dentro la sua parte oscura. Più pensava a Eren, più si sentiva fredda e con un’enorme bisogno di calore che solo lui avrebbe potuto darle.

 
Now goodnight moon, I want the sun
and if it’s not here soon I might be done
 

Posò la sigaretta tra le labbra prima di assorbirne avida il fumo e in seguito tossicchiare espellendolo attraverso le narici; i ricordi di quella vita che intanto le si paravano davanti agli occhi come fossero la sequenza di un film.
L’ho amato da impazzire, più di me stessa, eppure l’ho decapitato per dargli pace e salvare l’umanità.
Stese le sue infinite gambe lungo i cuscini con indosso una vestaglia in seta nera -il suo pigiama- e puntò lo sguardo verso la finestra aperta per arieggiare il tanfo del tabacco.
Sono qui con lui pure in questa vita, con Armin, ma il nostro rapporto è più disastroso di prima. Di certo non è cambiata una cosa: non lascia di nuovo che io mi avvicini troppo a lui.
Una bellissima luna piena illuminava le strade affollate della città e poteva udire i rumori del traffico urbano serale, comunque non abbastanza forti da distrarla e interromperle quel lungo dialogo con se stessa iniziato in tempi antichi.

 
No it won’t be too soon ‘til I say
Goodnight moon
 

Un inaspettato suono del citofono, però, la fece sobbalzare. Chi poteva essere?
Oh no, la serata a casa di Jean! Sarà passata Annie a prendermi.
Si affrettò ad andare al videocitofono rimanendo paralizzata quando constatò che non si trattava di Annie ma di Eren.
Ma cosa…?! Che faccio? Fingo di non essere in casa?
Un secondo suono acuto e gli occhi di Eren puntati sulla videocamera le fecero saltare il cuore in gola.
Non posso reggerlo, ma non posso nemmeno ignorarlo per sempre!
Prese coraggio e pigiò il tasto. << Chi è? >> chiese cercando di apparire il più neutra possibile, ma chi la conosceva bene poteva percepire il tremolio della sua voce.
<< Sono Eren, posso salire? >>.
In risposta gli aprì la porta di sotto e si lanciò a spegnere la sigaretta nascondendo il posacenere e anche il calice di vino prima di fiondarsi a indossare i pantaloncini abbinati alla vestaglia notturna e spegnere la musica messa dal cellulare.
Quando bussò di sopra aprì cercando di apparargli il più normale possibile, sistemandosi i capelli corti.
<< E-Eren! Che ci fai qui? >> si portò una ciocca più lunga delle altre dietro l’orecchio, nervosa, rimanendo con la mano libera afferrata alla maniglia della porta.
Lui la guardò a lungo prima di accigliarsi e domandare, con tono quasi di rimprovero: << Fumi? Da quando? >>.
<< No io non fumo, è solo stasera che- >>.
<< … e odori di alcol >> sentenziò interrompendola e avvicinando il volto al suo come per sincerarsi della cosa.
Mikasa arrossì furiosamente sentendosi quasi in difetto e in colpa per aver fumato e bevuto: << E’ solo un po’ di vino buono ma non essendo abituata si percepisce subito >>.
Eren entrò guardandosi intorno con fare inquisitorio: << C’è qualcuno con te? >>.
<< No >>.

Chiuse la porta alle spalle e si chiese se fosse normale quel suo interrogatorio forsennato.
Le lanciò uno sguardo indecifrabile prima di andare ad accomodarsi sul divano.
<< Cosa posso offrirti da bere? >>. Aprì la credenza allungandosi verso i bicchieri e tentando inutilmente di abbassare furtiva i pantaloncini che ora le sembravano troppo corti.
Le parve di captare il suo sguardo puntato su di sé e venne invasa da un brivido.
<< Vino, grazie >>.
La risposta la sorprese e gliene versò un po’ dalla bottiglia prima di porgergliela e sedersi accanto a lui.
<< Grazie >>.
<< Di niente >>.
Posò le mani sulle gambe intrecciando le dita in grembo e rimanendo in un silenzio imbarazzante non essendo molto abituata a rimanere sola con lui; perlomeno il fatto che fosse seduto la faceva sentire più al sicuro, spesso da in piedi la sua altezza esorbitante la metteva in soggezione -per quanto fosse alta anche lei-.
<< Perché non sei venuta alla cena? >>.
<< Non mi andava molto. >> gli lanciò un’occhiata furtiva << A quanto vedo nemmeno a te o non saresti qui >>.
Eren bevve grosse sorsate prima di riempirsi di nuovo il bicchiere e offrirlo a lei. Mikasa lo studiò e prese piccoli sorsi per non esagerare avendo iniziato già precedentemente.
<< Mikasa, stai bene? >> le domandò d’un tratto guardandola con i suoi bellissimi occhi chiari. << Sei dimagrita, si vede che hai frequenti mal di testa e che qualcosa ti turba >>.
Si perse per un istante in quel verde pallido prima di scostare lo sguardo con un sospiro. << E’ solo un periodo così, passerà >>.
<< Ti va di parlarne? >>.
<< E’ complicato >>.

Eren posò il vino sul tavolo basso e si rilassò contro lo schienale del divano osservando le travi in legno percorrere il soffitto.
Passato qualche momento in silenzio iniziò con tono incerto e cauto: << So che è una domanda strana, ma… se potessi vedere il futuro e scoprissi che morirai giovane e che la persona che ami si costruirà una famiglia e una vita senza di te, come ti sentiresti? >>.
Lei lo fissò perplessa, non capendo, prima di copiarlo e appoggiarsi ai cuscini, un poco distante da lui. << Non saprei. In teoria da morta non potrei vederlo >>.
<< E se invece in qualche modo lo potessi vedere? >> incalzò tornando a puntarla con i suoi occhi. Ricambiò quanto riuscì, le bastava quella poca vicinanza per sentire un mostro allo stomaco, il cuore scalpitarle impazzito, il respiro corto.
Vorrei proprio conoscere quello scemo che un giorno ha pensato bene di sostenere l’amore sia bello. Nessuno parla dell’ansia che ne scaturisce e dei cuori infranti.
<< Beh, credo mi farebbe male >> ammise provando a immaginare una situazione simile con lui e Historia. Forse mi farebbe troppo male, malissimo pensò ma non lo disse sentendo una gelosia immensa solo all’immagine di loro famigliola felice proiettata dalla sua mente. Poi rifletté a mente lucida. << Ma dall’altra parte non credo desidererei vedere la persona che amo trascorrere la breve e intensa vita che ci è data a struggersi per me. Vorrei la vivesse pienamente e lo facesse per entrambi, in qualsiasi forma le dia sollievo, sia sola che con un’altra persona, nonostante possa spezzare il cuore >>.
La ascoltò attentamente stringendosi un poco le labbra prima di sospirare: << Hai ragione >>.
Ora era lei a guardarlo: << Perché questa domanda? >>.
<< Devi ancora rispondermi tu. Cosa ti turba? >>.
Sospirò pensando che era sempre in grado di spiazzarla e metterla alle strette. Guardò verso la finestra con gli occhi un poco lucidi: << So che penserai io sia pazza, ma… credo di avere dei ricordi di una vita passata >>.
Non osò voltarsi per vedere la sua reazione.
Adesso sarà legittimato a non volermi più frequentare dopo questa uscita.
Eren rimase in silenzio prima di approfondire la conversazione con voce calma: << E sono ricordi che ti fanno soffrire? >>.
<< Molto >>.
<< Perché? >>.
<< Perché sono solo io ad averli >>.
<< Ne sei sicura? >>.
Si girò di scatto e incontrò sulle sue labbra un mezzo sorriso. Boccheggiò un paio di volte, perplessa, domandandosi se potesse essere possibile che…
No… come potrebbe essere?
<< Non ricordi cosa accadde anni dopo che mi decapitasti per salvare l’umanità? Ti sei sposata con Jean e hai avuto dei figli >>.
 
Si paralizzò.
No, non può essere.
Si ripeté quella frase in testa non credendo avesse potuto proferirla sul serio.
Non ricordi cosa accadde anni dopo che mi decapitasti per salvare l’umanità? Ti sei sposata con Jean e hai avuto dei figli.
Quindi lui sapeva? Da quanto? E poi… davvero aveva sopperito al dolore per la sua morte così? Quella parte non la ricordava, non aveva davvero alcuna reminiscenza del seguito.
Lo fissò negli occhi con le lacrime formate a poco a poco che ora scendevano a fiotti lungo il suo piccolo e armonioso viso, la bocca semi aperta, l’espressione sconvolta e sofferente.
<< P-perché non mi hai detto nulla in tutto questo tempo? >> accusò flebilmente trattenendo un singhiozzo.
<< Perché non sapevo fino a che punto ricordassi, non volevo essere io l’artefice del tuo risveglio e procurarti dolore. E poi ormai non ha più importanza >> e si alzò dal divano per recarsi verso la porta.
Mikasa lo seguì spinta da una forza interiore improvvisa e da un’irruenza disperata, lei che era sempre stata così controllata e calma, alzando la voce: << Te ne vuoi andare così? Vuoi ancora una volta lasciarmi da parte senza dirmi davvero quello che pensi? >>.
Sembrava non fossero passati secoli da quella dannata vita con i giganti e che ora stessero riprendendo esattamente da dove si erano interrotti prima della sua morte.
Eren si voltò a guardarla sorpreso da quella reazione a lui inaspettata, prima di stringere i denti: << Ti ho donato una vita da vivere in pace, e mi pare tu l’abbia sfruttata bene, di cosa mi stai accusando? >>.
<< Di niente! >> urlò lasciandosi scappare un lamento, straziata, con le lacrime che continuavano a esplodere come se finalmente fossero libere di straripare oltre gli argini che non le trattenevano più.
La guardò sentendo anche lui una fitta al cuore nel vederla in quello stato.
Ti ho donato una vita da vivere in pace, e mi pare tu l’abbia sfruttata bene.

Mikasa fece ancora un passo verso di lui, gli occhi sfumati di dolore misto a qualcos’altro di molto simile alla paura: << Che farai ora, Eren, me la farai pagare mettendoti con un’altra donna? >>.
<< Può darsi, ne avrei il diritto >> sputò con cattiveria e il volto impassibile.
Lo stesso volto che aveva assunto quando le aveva detto, un tempo, di odiarla e vederla come un semplice bestiame senza volontà propria e alcuna libertà.
E ora lei lo guardava con lo stesso cuore in frantumi e il viso colmo di sofferenza.
Abbassò gli occhi, arresa, lasciando che le lacrime cadessero nel pavimento e nella vestaglia. << Tu non… non hai idea di quanto io abbia sofferto. Ti sono stata dietro per anni a proteggerti, consolarti, mentre mi respingevi con rabbia e chissà che altro sentimento negativo che nutrivi verso di me e quando il nostro rapporto ha iniziato a migliorare hai deciso di abbandonarmi per andare a Liberio senza dirmi niente, senza lasciarmi entrare nel tuo dolore, senza condividere con me i tuoi pensieri e le tue pene, lasciandomi così e- >> si interruppe con altri singhiozzi, ogni respiro le faceva ora dannatamente male nel corpo, alzando lo sguardo verso di lui << lasciandomi piena di domande, rimorsi, sensi di scolpa. Tu sei sempre stata la cosa più importante per me e ti sei sacrificato per farmi vivere, per farci vivere, senza però prendere in considerazione che io un’esistenza senza te non la volessi >>.
 
Quelle parole furono come uno schiaffo nel volto di Eren che rimase ad ascoltarla in assoluto silenzio, le iridi verdi sgranate e lucide, la mascella tesa. Non sapeva come reagire a quel fiume improvviso di parole straripate dalla bocca di Mikasa, la sua Mikasa sempre così riservata ed ermetica.
Lei continuò: << Te ne sono grata ma io non avrei voluto nient’altro che poter rimanere al tuo fianco, Eren >>.
Cercò di calmarsi asciugandosi malamente il viso. Il suo corpo era in preda a spasmi di dolore trattenuti fin troppo a lungo e finalmente esorcizzati, così intensi da sentirsi svenire e le gambe tremare.
Aveva urlato quello che non aveva potuto dirgli un tempo infinito fa, aveva vomitato tutto ciò che aveva categoricamente tenuto dentro nella vecchia e nella nuova vita e nel farlo sentiva come se gli intricati nodi al cuore si sbrigliassero all’improvviso sotto il suo stesso tocco.
Ma soprattutto, non riusciva a fermarsi: << Avrei voluto scappare con te, anche se era sbagliato ed egoista, non volevo nient’altro che te, Eren, e tutt’ora è così. E’ un sentimento che non è svanito dopo la tua morte e che a quanto pare si è coltivato con più intensità fino a questo presente. E se per qualche legge devo pagare le conseguenze delle mie scelte e rimanere sola lo farò, non mi interessa, averti potuto dire a parole tutto questo è stato per me un regalo immenso >>.

Eren continuava a fissarla con la stessa espressione assunta quando poco fa aveva iniziato a svuotare il sacco, in silenzio. Non poteva credere che davvero lei si stesse esponendo così tanto, non se l’aspettava e sentire quelle parole uscire dalle sue labbra gli procuravano uno strano effetto.
Mikasa restò a guardarlo ancora, insistente, prima di mormorare un roco e sconsolato: << Non dici niente? >>.
Siamo qui, abbiamo una seconda e preziosa possibilità, ti prego non sprechiamola in nome del passato.
<< C’è un motivo, Mikasa, se ti ho impedito di dirmi queste cose nella vecchia vita >> sussurrò roco dopo quel lungo mutismo avvicinandosi lentamente, come ridestato, ammirandole finalmente da vicino i lineamenti orientali e morbidi. Non c’erano più giganti in quel mondo, non c’era sofferenza, non c’erano sacrifici da intraprendere o sentimenti da mettere da parte soffocandoli nel cuore. Non c’era un’umanità da salvare -o da distruggere, a seconda dei punti di vista-, c’erano solo Eren Jaeger e Mikasa Ackerman, due ragazzi legati da un filo rosso indistruttibile, separati da un destino crudele e che non avrebbero desiderato altro che potersi amare in pace. << E’ perché se le avessi ascoltate non avrei avuto il coraggio di avanzare e donarti un futuro >>.

 
 
While you’re up so high how can you save me
when the dark comes here tonight to take me up
to my front walk and into bed
where it kisses my face and eats my head
 
 
Un istante dopo -senza poter capire chi dei due cominciò- si stavano baciando con la forza e la costernazione di chi è consapevole di essersi lasciato scappare tra le dita qualcosa di grande e di cui non si può più ripetere l’errore ora che si ha un’altra occasione.
In meno di due secondi i vestiti di entrambi erano a terra e i loro corpi avvinghiati nel letto da una piazza e mezza -troppo piccolo- di Mikasa.
Si sentiva esplodere sotto di lui, i baci roventi e impetuosi, turbati e sollevati con cui le ricopriva il corpo in ogni suo lembo di pelle e il viso la facevano impazzire. Non riusciva più a formulare un pensiero lucido, era in totale balìa di lui, come se il mondo al di fuori non esistesse più e volesse godersi appieno qualcosa che le era stato ingiustamente proibito da un tempo immemore.
Gli percorreva tutto il busto con le sue dita calde, gli accarezzava gli addominali, gli stringeva e tirava i lunghi capelli a volte con dolcezza, altre con forza, gli mordeva le spalle e lasciava una scia di segni sul collo possente.
A ogni suo gesto passionale Eren rispondeva con una brama ancora più ferrea e lasciva.
La toccava e amava ovunque come a reclamare il possesso del suo corpo, della sua mente, del suo cuore e della sua anima e lei glielo lasciava fare perché era sempre e solo stata dannatamente sua.
Era disposta a qualsiasi cosa per continuare a vedere quegli occhi verdi annebbiati da un piacere che gli procurava lei, per continuare a sentire i suoi tocchi, i suoi baci, le sue mani grandi e decise, calde, lungo il corpo, per sempre.
E quando i loro bacini si unirono quasi con disperazione lo supplicò di non fermarsi come se non potesse averne mai abbastanza, non desiderava altro che rimanere unita a lui, sentirlo dentro di sé mentre spingeva senza ritegno e lei gli tirava le labbra con i denti quasi da fargliele sanguinare.
<< Facevi così anche con il tuo maritino? >> le domandò d’un tratto roco, gemendo con voce bassa, afferrandole con forza una gamba che sollevava e spingeva contro il proprio fianco.
<< No >> rispose secca, infastidita da quella domanda posta in un momento intenso e bello.
Quando lui indietreggiò le anche, uscendo, a lei mancò il fiato come se le avesse fatto un torto immenso. << Eren, per favore >> supplicò guardandolo smaniosa, annebbiata e ansante mentre affondava le dita tra i suoi capelli.
La fissò con la stessa brama ma scendendo a lasciarle di contrasto baci innocenti sul collo. << Per favore…? Cosa vuoi? >>.
Quando lei non rispose mentre lo stringeva come a recuperare il contatto interrotto incalzò nuovamente la frase affermandola più che richiedendola, gli occhi verdi puntati sui suoi. << Allora? Cosa vuoi, Mikasa >>. Voleva sentirselo dire, voleva prevaricare, ascoltarla supplicare che aveva bisogno di lui, come un bambino egocentrico smanioso di attenzioni e sicurezze. Ne era consapevole, ma lo voleva lo stessa. E lei glielo doveva.
<< Voglio te, Eren, lo sai. Nient’altro che te, per sempre. Continua, ti prego, abbiamo una vita intera da recuperare >>.
Non se lo fece ripetere due volte e ricominciò da dove aveva interrotto culminando quasi all’unisono, lui qualche istante dopo lei.
In seguito, non soddisfatti, ripeterono daccapo e stavolta lasciò che fosse Mikasa ad avere il comando. La dolcezza delle parole dette e la timidezza di una relazione mai vissuta si erano trasformate nella brama di due animali insaziabili e dipendenti l’uno dall’altra.
Stremati, ma finalmente appagati e felici, si fecero spazio nel letto stringendosi come a voler essere un corpo solo.
Mikasa si era accoccolata con la guancia contro il suo petto, le gambe intrecciate alle sue, le braccia intente a cingergli la grande schiena muscolosa. Eren le percorreva lentamente tutta la colonna vertebrale con il viso affondato tra i suoi capelli corvini come a volerne sentire il profumo a pieni polmoni. I battiti del cuore di entrambi incedevano allo stesso ritmo.
Lui avvertì qualche goccia bagnargli la pelle e, sorpreso e confuso, le alzò delicato il mento con due dita per guardarla preoccupato: << Mikasa, perché stai piangendo? >>.
Gli regalò un sorriso bellissimo, uno di quelli che lui amava e che aveva ricordato nei momenti più difficili fino all’ultimo respiro esalato, appoggiando la fronte contro la sua per godersi i loro fiati caldi mischiati.
<< Perché finalmente non è un lungo sogno, ma la realtà >>.
La realtà di un mondo bellissimo e per niente crudele.
Con quella premessa si amarono un’altra infinità di volte.
 



                                                                                                                 

 
 Immagine di "lolakasa"
  
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