Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    15/06/2021    1 recensioni
Irocco | Con questa storia esco un po' dalla mia comfort zone del canon per dedicarmi alla fantasia (e non so quanto sarà una buona idea a lungo termine lol). Prende il via dagli eventi delle ultime settimane: tra Rocco e Irene non c'è più niente e lui è ufficialmente fidanzato con Maria. Ho ripreso un personaggio che avevo buttato lì tempo fa in una storia (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3976440&i=1) e che speravo arrivasse anche nella fiction per far svegliare Rocco. In realtà l'hanno fatto, ma con Maria, argh.
Da qui proseguirò la storia, che avrà più capitoli (spero per me non tanti), e proverò a dare la felicità al mio personaggio del cuore: Irene. Con o senza Rocco. Vedremo.
PS: troverete qualche errore o tempo verbale sbagliato in alcuni personaggi (Rocco e Maria e gli Amato), giuro che è voluto. Se dovesse capitare con gli altri fustigatemi pure!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sabato sera Rocco era tornato a casa e Irene, non appena aveva sentito del trambusto, si era nuovamente accostata alla porta per sentire quello che stava accadendo. Aveva sentito Agnese ringraziare il signor Ferraris. “Te l’avevo detto che sarebbe stato di rientro per il pranzo” ridacchiò lui. Nessuno immaginava da dove provenisse l’intervento provvidenziale che aveva permesso al figliol prodigo di fare il suo ritorno in famiglia. A Irene non importava, non più oramai, ma le faceva piacere l’idea che il suo giudizio e i suoi consigli potessero ancora contare qualcosa per lui. 
La domenica l’aveva trascorsa quasi tutta sul divano a spettegolare con Stefania, mentre Maria andava a pranzo dagli Amato e Anna da sua cugina Gabriella. Le piaceva trascorrere del tempo sola con la sua protetta, le dava modo di essere se stessa senza remore, adesso che lei era al corrente di tutti i suoi segreti. Quasi tutti. Avevano parlato di Lorenzo, erano entrate nel dettaglio sugli eventi che erano accaduti in magazzino. Ma Irene non aveva voluto parlare di Rocco, nonostante le allusioni della sua migliore amica. Stefania ci aveva provato più di una volta, ma Irene aveva continuato a negare qualsiasi coinvolgimento emotivo nei suoi riguardi. La mora non era convinta, ma cos’altro avrebbe potuto fare? Alla fine aveva ceduto e nel pomeriggio erano andate a guardare un film al cinema, Anna le aveva raggiunte lì, tornando poi in casa giusto in tempo per assistere al dramma di Maria che era rimasta da sola a mettere a soqquadro l’intero appartamento. 
“Com’è andata?” aveva chiesto Anna con curiosità quando aveva visto Maria spostare pentole e padelle. Rassettare e cucinare era il suo modo per sfogare la tensione.
“Male, Anna” rispose lei scuotendo la testa. “Il signor Amato non gli ha rivolto nemmeno una volta la parola. Se Rocco non c’era era uguale” continuò sedendosi al tavolo insieme alla sua coinquilina. “Non puoi capire quanto mi sentivo a disagio.”
Irene se ne stava in disparte sul divanetto a sfogliare una rivista con Stefania, fingendo totale disinteresse alla questione. Rocco aveva avuto ragione, ma Irene non ne aveva dubitato. Dal poco che aveva intuito di quell’uomo, sembrava il tipo in grado di portare rancore a vita.
“Meno male che c’era Tina a cercare di alleggerire la tensione. O almeno ci ha provato.”
“Ma ti ha detto cos’è successo? Perché ha reagito in quel modo con suo zio?” Anna le domandò, incapace di frenare la parte pettegola che era sempre in agguato dentro di lei. 
“Non lo so, Anna. Mi ha detto qualcosa. Era molto vago. Non lo so, credo mi stia nascondendo qualcosa” disse guardando prima Anna e poi spostando lo sguardo su Irene. Lei poté sentire i suoi occhi puntati addosso, ma non cedette alla provocazione e rimase a parlottare con Stefania come se niente fosse. Se Rocco non aveva voluto dirle nulla, non spettava a lei farlo. Soprattutto visto che la questione la riguardava fin troppo da vicino.
Avevano poi cenato cercando di far finta di nulla. La missione di Stefania era di risollevare il morale a Maria e aveva cominciato a parlare del film drammatico, e un po’ sconveniente, che avevano visto al cinema e di quanto trovasse affascinante Mastroianni. 
“Povera Brigitte Bardot, che brutta fine” aveva dichiarato lei, riferendosi al finale di “Vita privata.”

Poi aveva preso una delle sue riviste, facendole vedere tutti gli abiti che avrebbe tanto voluto poter indossare, se solo avesse avuto un giorno abbastanza soldi per permetterseli, magari vincendo alla lotteria. Maria l’aveva ascoltata per educazione, finché a un certo punto non si era alzata da tavola per rintanarsi nella sua camera.
“Sparecchio io” propose Irene quella sera. Non le piaceva l’idea di mentire ancora alle sue amiche, ma quella era una questione delicata che metteva in difficoltà non solo lei stessa, ma anche il signor Amato. Non si trattava solo di un lavoro perso, ma ne andava anche della sua libertà. Se il dottor Conti avesse scoperto tutto, avrebbe potuto denunciarlo e, anche se non c’era stato alcun danno per il Paradiso, probabilmente qualche mese di prigione non glieli avrebbe tolti nessuno. Se Irene manteneva il riserbo, era solo per rispetto a Rocco. Preferiva che fosse lui a raccontare tutto a Maria, se lo riteneva necessario. Tuttavia, Irene non poté fare a meno di sentirsi in difetto. Per quel motivo si offrì di occuparsi della cucina, mentre le sue coinquiline andavano a dormire. Mise i piatti dentro il lavello e ripiegò la tovaglia da tavola, portandola sul ballatoio per sventolarla fuori dalla finestra. Quando aprì la porta Rocco era lì, affacciato e pensieroso.
“E’ stato così drammatico come immaginavi?” gli disse subito, senza nemmeno salutarlo.
“Peggio, Irè” si  voltò per un attimo a guardarla, prima di tornare a fissare la città davanti a sé.
“Vedrai che prima o poi gli passerà.”
“Forse. Ma a me non mi piace questa situazione. Io non lo so che devo fare” sbottò subito lui. Il respiro pesante di chi non sopportava incomprensioni, soprattutto in famiglia. “Anche perché ora ha paura che ci dici tutto al dottor Conti” disse Rocco con la sua solita ingenuità, senza pensare nemmeno per un secondo di mettere in difficoltà Irene. Lei aveva ogni diritto di denunciarlo e suo zio lo meritava. Lui sperava solo che non si arrivasse a tanto. 
“Non lo so che farò, Rocco. E non è giusto chiedermi di non dire nulla” rispose lei con onestà. Stava temporeggiando, voleva prima il consiglio della signorina Moreau, dato che era l’unica con cui avrebbe potuto parlarne, al di fuori di Rocco e Stefania. “Ma per ora non ho intenzione di farlo, quindi può stare tranquillo” si strinse nelle spalle prima di iniziare a ripiegare la tovaglia ormai ripulita da ogni traccia di briciola. Non era in genere così attenta ai sentimenti degli altri. La consideravano tutti una persona frivola, superficiale, ed egoista. E se ogni tanto quella descrizione la caratterizzava, la verità era che la maggior parte delle volte si mostrava peggio di quello che era in verità. Per le persone a cui teneva avrebbe fatto qualsiasi cosa. E, volente o nolente, Rocco rientrava ancora in quella ristretta cerchia. Non bastavano le sue parole o l’imminente matrimonio con un’altra persona, a cancellare tutto quello che il suo cuore aveva provato e sentiva tutt’ora.
Rocco sospirò, annuendo con riconoscenza, mentre mangiucchiava le pellicine sul labbro inferiore. Non poteva ringraziarla, né pregarla di mantenere il riserbo: aveva ragione lei. Si trovava tra l’incudine e il martello. Nonostante suo zio lo meritasse, però, non avrebbe mai voluto essere l’artefice della sua rovina. Era grato che Irene volesse tenere quel segreto per sé, almeno per il momento. 
“Non hai detto niente a Maria?” gli chiese lei, appoggiandosi al davanzale con la schiena con le braccia conserte, preferendo osservare lui, piuttosto che la città addormentata che tanto piaceva a Lorenzo.
Lui scosse la testa. “Non so che ci devo dire. Poi se glielo dico è un’altra persona che lo sa” arricciò le labbra. Un’altra persona che avrebbe dovuto mantenere il segreto di suo zio e mentire al dottor Conti. Eppure non lo faceva solo per altruismo. La verità era che non aveva mai sentito l’esigenza di confidarsi con lei e chiedere il suo aiuto e supporto. Per così tanto tempo era stata Irene la sua migliore confidente, che istintivamente era il suo parere quello che cercava e di cui aveva bisogno per sentirsi meglio. 
Irene annuì e si scostò dal davanzale. “Buonanotte, allora.”
“Irè” la chiamò prima che tornasse dentro. “Grazie” disse in riferimento alle parole che aveva usato per convincerlo a tornare a casa, ma anche per aver deciso di non denunciare suo zio.
“Ora siamo pari” fece spallucce, rientrando dentro l’appartamento. Lui l’aveva aiutata in passato a riappacificarsi col padre, e adesso lei aveva, nel suo piccolo, fatto in modo che Rocco tornasse a casa dalla sua famiglia. 
 

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“Arrivo” Irene urlò alla porta mentre alzava la zip della gonna a sigaretta color senape che stava finendo di indossare. La nuova settimana era iniziata e le sue amiche erano già uscite per andare al lavoro mentre Irene, come al suo solito, si faceva attendere. 
“Che ci fai qui?” disse quando si ritrovò davanti Lorenzo. 
“Il fine settimana non ci siamo potuti vedere e volevo fare colazione con te” rispose lui, dandole un bacio sulle labbra. “E poi volevo vedere come stavi.” La serata del venerdì sera che avevano trascorso insieme aveva aiutato entrambi a entrare in una maggiore sintonia e li aveva portati a conoscersi meglio. In più, dato che la situazione con quel magazziniere destava qualche preoccupazione in Lorenzo, voleva accertarsi che fosse tutto a posto. Non era bravo a delegare e lasciare che fossero gli altri a prendere delle decisioni autonomamente. Il bisogno di avere tutto sotto controllo a ogni momento gli dava sicurezza e stabilità, in una vita che di stabile aveva ben poco. 
“Sei gentile” rispose lei, entrando un attimo in casa per prendere il soprabito, la borsa e le chiavi di casa. 
“Ah, ma allora esiste davvero!” persino da dentro l’appartamento Irene sentì sul ballatoio la voce riconoscibile di Tina. 
“Non starla ad ascoltare” gli urlò, mentre rovistava in ogni angolo in cerca delle chiavi. 
“Piacere, Lorenzo” lui avvicinò una mano a lei, così che Tina potesse allungare la propria. “Tina Amato” si presentò, lasciando che Lorenzo facesse il gesto di baciarla come un vero e proprio galantuomo. “Lui è mio cugino Rocco. In genere parla, anche se adesso sembra che abbia perso la lingua” disse poi con una risata, presentando Rocco con cui era uscita a braccetto. 
Non appena Irene sentì il suo nome, sgattaiolò subito fuori dall’appartamento. Il soprabito inserito solo da una manica e la borsetta tra i denti. 
“Aspetta, ti aiuto” Lorenzo si affrettò a darle una mano. “Comunque ci siamo già visti, anche se non ci siamo ancora mai presentati” disse porgendo la mano anche a Rocco. 
Tina lo osservò per qualche istante: era immobile come una statua di sale e fissava, con un’espressione indecifrabile, l’uomo che Irene stava frequentando. Gli diede un paio di gomitate, prima di arrivare persino a spingergli il braccio per convincerlo a comportarsi da persona educata. Non capiva cosa stesse succedendo a suo cugino e perché si fosse imbambolato in quel modo. Sarebbe stato più credibile se fosse stata lei quella rapita dal suo interlocutore. Quel Lorenzo non era il classico bello dei fotoromanzi, ma aveva un fascino che Tina immaginò facesse cadere uno stuolo di donne ai suoi piedi.
Irene accennò un sorriso tirato, mentre il braccio di Lorenzo le circondò la vita. Si susseguirono un paio di secondi di silenzio imbarazzante, con Tina che osservava con attenzione sia Irene che Rocco, cercando di capire quale fosse il problema.
“Beh, noi stavamo andando a fare colazione” disse poi Irene, trovando il modo per concludere quell’incontro indesiderato.
“Ah, anche noi” ribatté Tina. “Magari ci rivediamo in caffetteria” ridacchiò, con la precisa intenzione di mettere tutti in difficoltà. Irene sorrise, pregando che il passaggio in auto di Lorenzo servisse a evitare che si incrociassero un’altra volta. Eppure Tina non stava affatto scherzando: mentre Irene era seduta al tavolo insieme a Lorenzo, vide entrare i due ancora a braccetto. La siciliana li notò subito e sorrise, accorrendo al loro tavolo. 
“Possiamo, vero?” domandò con la sua solita intraprendenza. Tina non sapeva tenere a freno la lingua e non era mai stata in grado di riconoscere i limiti da non oltrepassare. Irene immaginava fosse stata anche lei l’incubo di suo padre. Si erano odiate così tanto in passato forse proprio perché erano così simili.
“Certo” rispose Lorenzo con gentilezza, scostando la sedia con una mano. 
Le due coppie rimasero per qualche secondo in silenzio, incapaci di trovare un argomento che li accomunasse tutti e quattro. Tina percepiva una strana sensazione nell’aria, ma non riusciva a capacitarsi di cosa fosse. Rocco, che il giorno prima era finalmente tornato a casa, le aveva raccontato quello che era accaduto. Tina voleva bene a suo padre, ma lo conosceva. Non era cattivo, né una persona propriamente violenta. Ma ricordava come, da bambina, cercasse sempre a tutti i costi di far valere la propria autorità. Tina si era arrabbiata, aveva urlato, ma infine aveva preferito concentrarsi su altro. Non aveva bisogno di altri drammi, in quel momento della sua vita. Per il momento le sarebbe bastato tenergli il muso, esattamente come facevano Rocco e Salvo. Le sembrava invece assurdo che sua madre, al contrario, trovasse sempre il modo per giustificarlo. Aveva, però, ascoltato con particolare interesse la parte che riguardava Irene. Rocco era un bravo ragazzo, avrebbe difeso chiunque si fosse trovato in quella situazione. Eppure… qualcosa le diceva ci fosse dell’altro. Qualcosa che le stavano nascondendo. 
Rocco, di nuovo in silenzio e a disagio, fissava chiunque proferisse parola, come un pesciolino rosso dentro una boccia di vetro. Irene accennò un sorriso divertito. Le sembrava il ragazzino impacciato e spaesato che aveva conosciuto al suo arrivo a Milano. Solo che la causa di quel turbamento adesso non era Marina, ma lei stessa. 
“Mi sembra di essere tornata a quando eravamo picciriddi” Tina prese in giro Rocco, cercando di stuzzicarlo e provocarlo in cerca di una reazione che le chiarisse ogni cosa. “Te l’ha mai raccontata la volta che gli ho abbassato le braghe?” chiese a Irene, mentre Rocco si voltò verso di lei con aria supplicante. 
“No, avà” la pregò lui.
“No” Irene sorrise a entrambi. “E perché l’hai fatto?”
“Perché mi prendeva sempre in giro, mi diceva che non potevo fare le cose che faceva lui perché ero una femmina. E quindi io, femmina, ho deciso di vendicarmi. Un giorno in oratorio, mentre fissava una bambina con la stessa faccia da babbo che ha adesso, gli sono corsa dietro e gli ho abbassato i pantaloni. Tutti i bambini sono scoppiati a ridere e Rocco non me l’ha mai perdonato. Mi ha tenuto il muso per un mese intero, senza rivolgermi la parola” scoppiò a ridere Tina.
“Ma come!” esclamò Irene con una risata. “Beh, ci credo. Quando vuole sa essere piuttosto cocciuto.”
“Quindi che hai fatto, gli hai abbassato le braghe pure tu?” aggiunse dopo qualche istante di pausa, stuzzicando anche Irene: facendole notare che aveva capito che se Rocco in quel momento non parlava era a causa sua.
Irene, in imbarazzo per il doppio senso di quella frase, tossì nel cappuccino e Tina la guardò divertita.
“Ma figurati” rispose come suo solito, tagliando corto. Nessuno riusciva a spiazzarla e ammutolirla come faceva Tina. Di solito Irene aveva sempre la risposta pronta.
“Ma alla fine chi era quella ragazzina che ti piaceva? Era Maria?” continuò la siciliana, che stava dando del filo da torcere a entrambi. 
“No, Rosa, la figlia del…” Tina interruppe Rocco che finalmente aveva trovato il coraggio di pronunciare qualche parola.
“Ah, sì, la figlia del lattaio. Chissà che fine ha fatto. Dai, è meglio Maria. Mio padre insisteva per questo matrimonio da quando eravate picciriddi. Non sono una bella coppia?” domandò a Irene, ormai stremata da quell’interrogatorio. La menzione al signor Amato non aveva certamente aiutato il suo umore.
“Bellissima” rispose lei con il sorriso più finto della storia, mentre Rocco dava una pedata sotto al tavolo a sua cugina.
Una volta deciso di averne avuto abbastanza, Tina chiamò suo fratello per ordinare la colazione. Quello scambio di battute non le aveva chiarito interamente la situazione, ma le aveva certamente dato qualche spunto per continuare a indagare ulteriormente.
“Quindi lei fa il pilota, giusto?” cambiò finalmente argomento, concentrando le proprie attenzioni sull’uomo della sua quasi-amica. Un po’ di tregua, pensò Irene.
“Vedo che le hanno già detto tutto quello che c’è da sapere sul mio conto” scherzò Lorenzo. “Lei cosa fa?” le domandò più per cortesia, che per reale interesse. D’altronde avrebbe preferito trascorrere da solo con Irene i pochi minuti che avevano a disposizione. Alla fine di quella settimana sarebbe dovuto ripartire e non sapeva con esattezza quando si sarebbero potuti rivedere.
“La cantante” rispose Tina scostandosi i capelli con fare da diva. “E’ vero, lì dentro c’è una sua canzone” rispose Irene indicando con lo sguardo il jukebox alle spalle di Lorenzo e coprendosi la bocca piena con la mano. 
“Ah, quindi c’è una stella tra noi” commentò Lorenzo. “E cosa la porta in una piccola caffetteria del centro, allora? Non dovrebbe trovarsi al Grand Hotel?” ironizzò, dando un sorso al cappuccino.
“Sono rimasta umile” scherzò lei. “Ma in effetti mi manca un po’ la vita mondana di Londra.” Le mancava la sua casa, il gatto che lei e Sandro avevano adottato, la vita che si era costruita. Non di tutto, però, aveva nostalgia. 
“Vive a Londra? E’ una città molto moderna” rispose lui stupito. Viaggiava tanto per lavoro, anche se non aveva mai abbastanza tempo per visitare tutti i luoghi in cui atterrava. 
“Se è la vita mondana che le manca, stasera c’è l’inaugurazione di un locale. Il proprietario è un mio amico. Potremmo andare tutti insieme, che dici?” propose dopo qualche istante, voltandosi verso Irene che in quel momento avrebbe solo voluto sprofondare. 
“Già, Irene, che dici?” ribatté Tina, mettendo i gomiti sul tavolo con aria sprezzante.
“Perché no” rispose sapendo di essere messa alla prova, fingendo un entusiasmo che normalmente avrebbe caratterizzato più Stefania che lei. 
“Ovviamente venite anche tu e Maria” disse Tina toccando la spalla del cugino, che sembrò cadere dalle nuvole. Irene, che non si aspettava che Tina coinvolgesse anche la coppia del secolo, strabuzzò gli occhi, strozzandosi con il cappuccino. Di nuovo.
“Tutto bene?” chiese Lorenzo, carezzandole la schiena.
Tina e Rocco rimasero in silenzio a fissarla, mentre lei bofonchiò un “Sì, mi è solo andato di traverso.”
“Abbiamo notato” ridacchiò Tina. “Su, ora passo in atelier e lo dico io stessa a Maria” si rivolse di nuovo a Rocco.
“No, avà, che c’entriamo noi” scosse la testa con decisione, mettendo il broncio. 
“E portala fuori ogni tanto, spilorcio!” rispose Tina piegando il braccio come a dimostrare che il cugino fosse un po’ tirato di manica. “Dai, ci divertiremo.”
“Eh sì, immagino!” tossicchiò Irene con un sorriso, tradendo più ironia di quanta intendesse mostrarne. Se proprio doveva subire quella tortura, si sarebbe trascinata dietro anche Stefania, senza ombra di dubbio. Aveva bisogno di un’alleata in quella che sembrava essere un’imboscata in piena regola. 
 

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“Signorina Cipriani, posso parlarle un attimo?” Vittorio Conti la raggiunse proprio mentre Irene stava per andare in pausa pranzo. 
“Certo” rispose lei, un po’ a disagio nel dover mantenere quel segreto con lui. In genere era semplice: lo vedevano solo ad apertura e a chiusura del grande magazzino e non era costretta a interagirci. Tuttavia, non le piaceva l’idea di dovergli mentire, soprattutto su una cosa tanto importante. Ma non aveva ancora avuto modo di parlarne con la signorina Moreau, intendeva farlo proprio in pausa pranzo.
“E’ vero quello che mi ha detto Lorenzo? So che vi frequentate” disse, guardandola dritta negli occhi. 
Irene assunse un’aria confusa. Perché si stava interessando al suo rapporto con Lorenzo? Sapeva fossero amici di vecchia data, ma i due si frequentavano da talmente poco tempo, che dubitava la cosa potesse suscitare un qualsiasi interesse nel dottor Conti.
“Sì, da poco” sottolineò lei, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Quindi? E’ vero?” ribadì lui e solo in quel momento Irene capì che la domanda non riguardava la loro frequentazione, ma qualcosa che Lorenzo gli aveva raccontato. Irene si irrigidì, capendo subito cosa intendesse. Deglutì a fatica.
“Cosa le ha detto, esattamente?”
“Signorina, non giriamoci intorno. Tutta la storia del signor Amato, è vera?” 
“Sì” lo guardò con aria colpevole. “Le avrei detto tutto, volevo prima parlarne con la signorina Moreau per capire cosa fare. Non volevo scavalcare lei e il signor Ferraris” si giustificò, e anche se le sue parole avevano tutta l’aria di essere delle scuse, in realtà per una volta stava dicendo la verità. 
“Se uno dei miei dipendenti si comporta in modo sconveniente con una cliente o una delle mie collaboratrici, credo di avere il diritto di saperlo, non  crede?” Vittorio, che mal sopportava le bugie, reagì d’istinto, aggredendola senza volerlo. “Mi dispiace, signorina Cipriani. Capisco perché non si sia fatta subito avanti” cercò di riparare. “Ma avrei preferito mi avesse subito detto tutta la verità. Il signor Ferraris l’ha licenziato?” 
“Non ne so nulla” rispose Irene sorpresa. 
“Venga con me” la invitò a raggiungere il magazzino, nella speranza di trovarci ancora Armando e Rocco.
Entrambi, quando li videro arrivare insieme, capirono esattamente di cosa si trattasse. Rocco fissò i suoi grandi occhi scuri su quelli di Irene. Si sentiva tradito e preso in giro. Il giorno prima gli aveva promesso che non avrebbe detto nulla. Non poteva credere che gli avesse mentito così spudoratamente.
“Sono venuto a conoscenza del comportamento inappropriato del signor Amato” esordì Vittorio senza troppi giri di parole. 
“Dottor Conti, mi dispiace, avrei voluto dirle subito degli abiti rubati, ma…”
“Abiti rubati?” rispose Vittorio, colto alla sprovvista. 
Irene aggrottò le sopracciglia. Dunque Lorenzo aveva fatto la spia solo sull’aggressione del signor Amato e non sul tentativo di furto? Dato che aveva deciso di tradire la sua fiducia, mancandole di rispetto, perché non dire oramai ogni cosa? 
Il signor Ferraris raccontò al gestore del grande magazzino l’intera faccenda, cospargendosi il capo di cenere. Rocco alle sue spalle aveva incrociato le braccia al petto e, di tanto in tanto, continuava a lanciare degli sguardi di fuoco a Irene. 
“Cosa dovrei fare adesso se non posso nemmeno fidarmi dei miei collaboratori?” Vittorio sbottò, in preda alla collera. 
“Le assicuro che abbiamo agito in buona fede. Abbiamo indagato a lungo sulla questione, non avremmo mai permesso che recassero dei danni al Paradiso” si giustificò il signor Ferraris.
“E’ colpa mia” si mise in mezzo Rocco.
“Non è vero. Rocco non sapeva nulla” Armando scosse la testa sconsolato.
“Ma è colpa mia se ce l’ha nascosto, dottor Conti. Perché sa quanto voglio bene a mio zio” cercò di migliorare la situazione in cui il suo mentore si era cacciato. In fondo non stava mentendo. Se Armando aveva taciuto, lo aveva fatto per lui e per sua zia Agnese, non di certo per riguardi nei confronti di Giuseppe Amato, che Rocco sapeva non essergli mai andato a genio.
“E la signorina Cipriani che ruolo ha in questa storia?” domandò Vittorio, guardandola negli occhi con una rabbia che non gli aveva mai visto.
“Neanche lei sapeva niente” si affrettò a dire il signor Ferraris. “Anzi, qualche settimana fa è stata vittima delle mie accuse. Ovviamente mi ero sbagliato e mi sono scusato” spostò gli occhi su di lei, guardandola con sincero rammarico.
“Se volesse licenziarmi, la capirei” continuò Armando, avvicinandosi al dottor Conti. 
“Non so ancora cosa farò. Certamente il signor Amato non è più il benvenuto qui dentro. E voglio porgere le scuse alla signorina Cipriani a nome del Paradiso” ribatté Vittorio Conti, ammorbidendo il tono della propria voce. “Se intanto volesse denunciare il signor Amato, ne avrebbe ogni diritto” la supportò.
“Non è necessario. Sono sicura che saprà prendere lei i giusti provvedimenti” si congedò Irene, uscendo dal magazzino per raggiungere le proprie amiche in caffetteria. 

 

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“Non mi hai ancora detto cos’è successo in pausa pranzo” disse Stefania mentre osservava con occhio critico tutti gli abiti dentro il proprio armadio. Di lì a poco l’uomo che Irene frequentava sarebbe passato a prendere almeno loro due. Tina, Rocco e Maria li avrebbero seguiti in taxi.
Irene inspirò profondamente. Non aveva alcuna voglia di uscire con Lorenzo quella sera, ma non aveva modo di contattarlo, eccetto il numero del suo appartamento, al quale però non aveva risposto. Poteva dargli buca, se lo sarebbe meritato, ma era una serata che coinvolgeva anche altre persone e non se la sentì di privare Tina e Stefania di quel divertimento, soprattutto quest’ultima che, in preda all’euforia, da quella mattina non aveva smesso di pensare a cosa avrebbe indossato. Se la zia Ernesta avesse saputo dove stava andando, l’avrebbe rispedita a Lecco per direttissima.
“Lorenzo ha detto tutto al dottor Conti” sbuffò Irene, mentre l’amica le tirava su la zip del famoso vestito viola che fino a quel momento Irene non aveva più voluto indossare.
“Cosa? Tutto tutto? E perché? Non gli avevi detto che l’avresti fatto tu?” Stefania si appoggiò da dietro alla sua spalla. 
“Appunto” rispose telegrafica lei, chiudendo in quel modo l’argomento. Non sopportava l’idea di essersi fidata ancora una volta della persona sbagliata. Gli aveva concesso una confidenza, e lui l’aveva tradita in modo tanto subdolo. Irene avrebbe voluto non avere nulla da recriminarsi, perché in fondo l’aveva fatto per se stessa e non per lui. Eppure non riusciva a non soffrire per quell’ennesimo tradimento. C’era qualcosa che non andava in lei? Perché continuava ad attirare nella propria vita solo uomini sbagliati?
“Ma io e Rocco dobbiamo venire per forza?” Maria entrò in camera loro con i capelli leonini sciolti e con indosso la vestaglia.
“No, se non volete” Irene si strinse nelle spalle, cogliendo l’occasione per scoraggiare i futuri sposini. “Anzi, forse sarebbe meglio. Non vorrei vi sentiste a disagio” aggiunse con una punta di acidità.
Stefania la guardò male. “Dai, sarà una cosa nuova.”
“Stefà, ma mi ci vedi a me in un locale? Io sono…”
“Una ragazza semplice, lo sappiamo” Irene roteò gli occhi al cielo. 
“Appunto” Maria la guardò seria.
“E anche un po’ noiosa, se mi permetti” sollevò le sopracciglia. Già la serata sarebbe stata difficile, Irene non aveva certo bisogno che Rocco e Maria la complicassero ulteriormente.
“Non ti permetto” ribatté acida.
“E io però credo che neanche Tina ti permetterà di rimanere a casa” Stefania si strinse nelle spalle. “Dai, ti aiuto a pettinarti, vieni.”
“Ma magari posso restare a fare compagnia ad Anna che non sta bene” Maria cercò una scusa qualunque per evitarsi quella tortura. 
“No, ti ha già detto che puoi andare, quindi andiamo” Stefania la prese per una mano e la trascinò via dalla stanza, anche solo per evitare che lei e Irene si prendessero per i capelli.

Quando Irene aprì la porta di casa, trovò Lorenzo con in mano un mazzo di rose rosse e l’espressione colpevole di chi cercava disperatamente di farsi perdonare.
Irene le prese dalle mani e le porse ad Anna alle sue spalle. “Che belle, le metto dentro un vaso” disse inconsapevole di quello che era accaduto, ma a disagio perché era evidente anche a lei che qualcosa non andasse. 
“Mi dispiace, posso spiegare” provò a dire lui, ma Irene afferrò il soprabito e la mano di Stefania e si richiuse la porta alle spalle. Il tragitto in auto fu imbarazzante e silenzioso, con Stefania imbronciata dietro che fissava prima l’uno e poi l’altra, come una bambina che si trovava ad assistere impotente al litigio dei due genitori. 
Accolse l’arrivo al locale come una manna dal cielo. Se non altro lì avrebbe almeno potuto parlare con qualcuno. Stefania non era abituata a stare in silenzio così tanto a lungo, specialmente quando si trovava a disagio e mettere di seguito una parola dietro l’altra era l’unico modo che conosceva per allentare la tensione.
Irene la prese a braccetto e si piazzò poco distante da Lorenzo, mentre lui parlava con qualcuno all’ingresso che avrebbe dovuto farli entrare. Poi vide un uomo, che doveva essere l’amico di Lorenzo e il proprietario del locale, avvicinarsi e presentarsi a Irene, che non era mai stata in grado di nascondere la propria rabbia e il suo muso lungo avrebbero potuto notarlo persino dalla Luna.
“Non fargli fare brutta figura” Stefania aveva detto piano alla sua amica, prima che l’uomo si avvicinasse.
“E a quella che lui ha fatto fare a me non ci pensi?” bofonchiò Irene sottovoce, guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure.
Una volta dentro, si sedettero tutti a un unico grande tavolo circolare. Il locale era alla moda ed elegante, ma senza troppe pretese. Non era il tipo di posto in cui ci si sarebbe potuti aspettare di trovare persone di un certo rango. La contessa di Sant’Erasmo, per esempio, non avrebbe mai varcato quella porta. Tina notò un piccolo palcoscenico sul fondo dove si esibiva una cantante che non aveva mai sentito e le venne in mente quando, anni prima, lei stessa aveva costretto Salvatore a portare lei e le sue amiche in un locale come quello. Quanto aveva desiderato all’epoca potersi esibire in pubblico come faceva quella donna. E adesso che ci era riuscita, e non era più la ragazzina ingenua di una volta, tutto aveva un sapore diverso. Rimpiangeva quei tempi, quando ogni cosa le sembrava complicata e invece la vita era molto più semplice di adesso.
“Balliamo?” propose Lorenzo a Irene, dopo circa mezz’ora in cui a stento gli aveva rivolto la parola. 
“Mi fanno male i piedi” aveva inventato una scusa per evitare di dover stare da sola con lui quella sera. Sapeva che avrebbero dovuto parlare, ma Irene aveva prima bisogno di sbollire la rabbia per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe pentita. Quella sera sentiva gli occhi di tutti puntati addosso come dei fari, pronti a cogliere ogni suo passo falso. Rocco ce l’aveva con lei perché credeva fosse stata Irene a dire la verità al dottor Conti. Maria era arrabbiata con entrambi, ma soprattutto con lei, perché era convinta che c’entrasse qualcosa con il cambiamento repentino del suo fidanzato. Stefania la osservava, lanciandole di tanto in tanto delle occhiate per convincerla a comportarsi in modo appropriato. E poi c’era Tina che continuava a metterla alla prova, convinta di immaginarsi chissà quale trama intricata. 
Lorenzo si alzò, incapace di accettare un no come risposta, e le afferrò la mano, cercando così di convincerla ad alzarsi dalla sedia. Per evitare di fare una scenata in pubblico, Irene lo assecondò.
“Era anche una scusa per parlarti, lontani da orecchie indiscrete” dichiarò lui.
“Tranquillo, loro non riferirebbero mica le nostre confessioni” rispose Irene piccata. Non le andava proprio giù che Lorenzo potesse averla tradita in quel modo tanto meschino e inaspettato. Le era sembrato un uomo diverso, sincero e onesto tanto quanto lo era lei. Non uno capace di tali sotterfugi. Eppure continuava a sbagliarsi. Per essere una persona sveglia e scaltra, si lasciava abbindolare dagli uomini con troppa facilità. 
“Hai ragione. Mi dispiace” provò a spiegarsi. “Ho incontrato Vittorio quando siete usciti dalla caffetteria. Abbiamo parlato un po’, anche di te. Mi ha fatto delle domande, mi sono sentito in difficoltà. Poi lo sai che non mi sentivo sicuro a sapere che lavoravi ancora con quell’uomo e…” la guardò con l’aria afflitta da cane bastonato che Irene immaginò usasse per uscire da qualsiasi inconveniente e iniziò a scuotere la testa. Non l’avrebbe comprata così facilmente. Era stata stupida una volta, non lo sarebbe stata una seconda. 
“Mi dispiace, Irene, dico davvero.”
“Non mi interessano le tue scuse. Ti avevo raccontato una confidenza e tu mi hai tradita, facendomi passare come una bugiarda davanti al mio capo” gli rispose furibonda. Visto che aveva già alle spalle situazioni che l’avevano messa in cattiva luce, l’intervento di Lorenzo non aveva fatto altro che peggiorare la sua posizione agli occhi del dottor Conti. “Per un attimo ha pure creduto che io c’entrassi qualcosa col furto di quegli abiti!” Irene sorrise amareggiata. 
“Ma io non gli ho…”
“Lo so. Ma l’ha scoperto lo stesso. Una volta aperto il vaso di Pandora…” ribatté sarcastica.
“Non so che altro dire se non che mi dispiace” rispose lui, sinceramente rammaricato, soprattutto perché si rendeva conto di quanto, una cosa del genere, avrebbe allontanato una persona tanto restia come lo era lei, ed era l’ultima cosa che desiderava. Come al solito aveva reagito per istinto, lasciando che ad avere la meglio fosse la sua voglia di avere tutto sotto controllo. L’idea che qualcosa potesse sfuggirgli di mano era per lui insopportabile. E per quello aveva commesso un errore di cui era sinceramente pentito. 
Seduta al tavolo, Tina continuava a fissare quello scambio che aveva tutta l’aria di essere un litigio tra innamorati. Si alzò per spostarsi e sedersi sulla sedia lasciata vuota da Irene accanto a Stefania, che quando la vide avvicinarsi si irrigidì. Quella situazione l’aveva messa in un tale stress da non riuscire nemmeno a godersi la serata a cui era tanto contenta di essere stata invitata. Teneva tra le mani una ciotolina colma di noccioline che stava trangugiando in preda alla fame nervosa. 
“Ma quindi, che succede a quei due?” domandò Tina, parlottando a bassa voce. Non che Maria e Rocco potessero sentirla, tanto erano presi dal fissare il vuoto davanti a loro, da vere e proprie anime della festa.
“Cosa? No, niente” rispose Stefania con un tono di voce più acuto del solito. 
“Dai, si vede che stanno litigando. E’ successo qualcosa? Riguarda Rocco?” domandò con curiosità.
“Qualcosa? Perché dovrebbe essere successo qualcosa? Rocco? Perché dovrebbe riguardare Rocco?” ridacchiò lei in preda all’isteria. Non era mai stata brava a raccontare le bugie, si sentiva sempre in difetto. L’educazione rigida della zia Ernesta l’aveva resa una ragazza coscienziosa e ligia alle regole. Sapeva che se fosse stata beccata a dire qualche falsità, la zia l’avrebbe messa in punizione e Stefania da bambina proprio non sopportava le punizioni di zia Ernesta. In generale l’idea di deludere qualcuno le faceva venire il mal di stomaco. Bastava che vedesse sua zia scuotere la testa delusa quando la coglieva a fare qualcosa di sbagliato, che Stefania si sentiva immediatamente in colpa. Non servivano nemmeno le punizioni che le infliggeva, che spesso consistevano semplicemente in qualche ora di silenzio - che per lei era una vera e propria tortura -, o nel toglierle i suoi adorati libri. E sebbene adesso non ci fosse più la zia Ernesta, Stefania si sentiva comunque in difficoltà quando faceva qualcosa che sapeva la zia non avrebbe approvato. 
“Quei due stanno litigando. Rocco si ammutolisce ogni volta che vede arrivare Irene. Non ci vuole molto a fare due più due. Tanto o me lo dici tu, o lo scopro da sola” rispose Tina sollevando le sopracciglia. “C’è stato qualcosa tra loro?” domandò andando dritta al punto, senza troppi giri di parole. Le sembrava assurdo che Irene potesse provare dei sentimenti per quel baccalà di suo cugino, ma quella era stata l’unica spiegazione che era riuscita a darsi. L’unica che desse un senso allo strano comportamento di Rocco, attribuibile solo alla sua incapacità con il genere femminile. Il modo in cui guardava Irene, con la stessa faccia da pesce lesso che aveva avuto con la piccola Rosa tanti anni prima, era profondamente diverso dal modo in cui guardava la sua futura sposa. Un tempo non ci avrebbe fatto caso, ma adesso che sapeva cos’era l’amore, non poteva non rendersi conto di quanto poco ce ne fosse negli occhi di Rocco quando si trovava con Maria. Lo aveva fissato quella sera, li aveva controllati per fare attenzione alle loro interazioni e non aveva avuto dubbi. Suo cugino non aveva fatto altro che guardare Irene e quel Lorenzo. Ma allora perché stava sposando la povera Maria? Se Rocco era una persona semplice da decifrare, Irene era ancora tutta da esplorare. Era possibile che fosse stata lei a rifiutarlo e lui ne fosse ancora innamorato? 
Stefania la fissò negli occhi, bloccandosi con un’arachide tra le dita. Stava per dire tutta la verità, poi tornò a concentrarsi sulle noccioline. Se avesse riversato tutta la sua concentrazione su quelle, forse sarebbe stata in grado di mantenere il riserbo. Non poteva tradire Irene anche lei. 
“A me puoi dirlo, non lo dirò a nessuno” continuò a tentarla Tina, guardandola dritta negli occhi come se volesse rubarle l’anima.
“Un bacio, una volta, ma tempo fa” rispose di getto Stefania, sentendosi libera da quel peso per due secondi netti, per poi avvertire subito la fitta allo stomaco che le confermava di aver fatto una sciocchezza. “Anzi due. Ma ormai è acqua passata” si alzò di scatto, andandosi a sedere nel posto che Tina aveva lasciato vuoto, pentendosi immediatamente del suo comportamento. Di solito era più brava a mantenere i segreti di Irene, ma Tina era talmente persuasiva, con quegli occhi da cerbiatta che sembravano leggerle dentro, che non era riuscita a trattenersi. Se Irene l’avesse scoperto non glielo avrebbe mai perdonato. Quanto si sentiva in colpa.
“Tutto a posto?” chiese Tina quando vide arrivare Irene. Quest’ultima si guardò intorno spaesata, trovando Stefania all’altro lato del tavolo. 
“Certo, perché non dovrebbe?” finse un sorriso. Era ormai evidente che Tina avesse intuito qualcosa. Se Irene aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse mai successo, Rocco d’altro canto si trovava sempre a disagio quando la vedeva in compagnia di Lorenzo. Non era in grado di comportarsi in modo naturale come quando erano da soli. Tra occhiate passivo-aggressive e mutismo selettivo, lui rendeva piuttosto evidente quale fosse il problema. Specialmente a una persona sveglia come lo era sua cugina.
“Vado un attimo in bagno” disse poi, alzandosi per evitare l’ennesimo interrogatorio della giornata. Quella serata si era trasformata in una lotta continua e Irene non ne poteva già più.
“Pure io” la imitò Rocco, seguendola a passo spedito, lasciando l’intera tavolata interdetta. Persino Lorenzo osservò le due figure allontanarsi con uno strano sguardo interrogativo sul volto.
“Meno male che non ci dovevi dire niente” le urlò contro Rocco prima che potessero raggiungere la toilette, che per fortuna era lontana dal tavolo e nessuno poteva vederli interagire, come se poi non fosse scontato si trattasse di una scusa. 
“Non ti ci mettere anche tu questa sera, eh” roteò gli occhi al cielo lei. Era stanca e voleva solo andare a casa a dormire. La giornata l’aveva già fin troppo provata: tra gli interrogatori della mattina, lo scontro col dottor Conti, la discussione con Lorenzo e infine quella serata che presto si sarebbe trasformata in una cena con delitto, Irene ne aveva fin sopra i capelli. 
“Picchì? Sei stanca di litigare co quello là?” domandò, incapace di celare la propria gelosia.
“Sì, e anche di discutere con te e con Maria. E stanca delle allusioni di Tina. Le hai detto qualcosa?”
“Che ci dovevo dire, scusa?”
“No, ma infatti, che le dovevi dire” ironizzò lei facendogli il verso. In fondo tra di loro non c’era stato niente che per Rocco fosse degno di menzione. 
“Appuntu. E pure tu hai detto che non ci avresti detto niente al dottor Conti” la guardò con aria di sfida. 
“Oh, qualcuno ti ha detto una cosa e poi ne ha fatta un’altra. Benvenuto nel mondo degli adulti” lo prese in giro lei. Poi da che pulpito veniva la predica. Lui che aveva rinnegato tutto quello che c’era stato tra di loro, abbassandolo a un mero allenamento? Quanto si era sbagliata. Irene cominciò a dubitare del proprio giudizio, viste le pessime decisioni prese di recente.
“Ah, quindi per te funziona così? Dici una cosa e ne fai un’altra ed è normale?” domandò deluso.
“Anche per te, mi pare” gli rispose diretta, lanciandogli una frecciatina. Era passato dal volere solo lei, al matrimonio con Maria, e solo perché Irene lo aveva rifiutato. Questo era l’interesse che aveva provato nei suoi confronti. Una passata di spugna e tutto era stato cancellato, come se non fosse mai esistito.  “E poi bella opinione che hai di me, davvero. Ma d’altronde cosa potevo aspettarmi da un...” disse arrabbiata, stufa di doversi giustificare con tutti. 
“Ciclista amatoriale?” ribatté lui, ricordando una delle discussioni che avevano avuto in passato. “O volevi dire un magazziniere?” aggiunse Rocco imbronciato, punto sul vivo. 
“Che cosa c’entra, adesso?” domandò lei esasperata.
“No, niente. Tu l’hai detto. Cu chiddu vai nei locali, iu ti potevo portare sulu all’oratorio.”
“Pensi davvero questo di me? Mi credi così superficiale?” lo guardò delusa. Credeva davvero che avrebbe rinunciato a lui solo perché non era abbiente come poteva esserlo Lorenzo? Che l’unica cosa che contasse per lei fosse il conto in banca?
“Picchì, non è così?” la guardò ferito e arrabbiato.
Irene sorrise amareggiata. Quanto si era sbagliata su di lui. L’aveva difesa, in passato, portandola a credere che riuscisse a capirla per davvero, che fosse in grado di leggerle dentro come nessun altro. Invece la reputava una poco di buono esattamente come tutti gli altri. Una ragazza facile, desiderosa solo di divertirsi e trovare lo scapolo d’oro con cui fare la bella vita. Che potesse avere dei sentimenti anche lei, nessuno lo prendeva mai in considerazione. 
“No che non è così, si vede che non mi conosci affatto” disse lei, sostenendo il suo sguardo per qualche istante. “Così come non sono stata io a dire tutto al dottor Conti. E’ stato Lorenzo. Secondo te perché stavamo litigando questa sera?” ribatté furibonda, con la precisa intenzione di fargli comprendere quanto si fosse sbagliato su tutto. “Tu non hai alcun diritto di venirmi a dire cosa posso o non posso fare. Con chi posso o non posso litigare. Non hai diritto di essere geloso e di guardare male Lorenzo. Lo hai perso quando hai deciso di sposare Maria. Piuttosto ora sei libero, vai da lei e dille la verità, no? E’ lei che stai sposando, non me. E’ a lei che devi raccontare i tuoi drammi” lo provocò lei.
“I miei drammi? Se non era per te io manco ci andavo contro a mio zio” sbottò lui.
“E allora potevi anche pensarci prima, anziché rimanertene lì fermo imbambolato!” esclamò ferita, ormai come un fiume in piena. “E poi io non ti ho chiesto di fare niente, quindi non dare la colpa a me per le tue reazioni!” aggiunse delusa, prima di iniziare a incamminarsi di nuovo verso il resto del gruppo. 
“Aspetta, amunì. Scusa, Irè” provò lui, afferrandole il braccio per fermarla, pentendosi per le parole e il tono che aveva usato. Era spiazzato, confuso. Sentiva la terra sbriciolarsi sotto ai piedi e non sapeva più cosa fare e in cosa credere. Se non si era allontanata perché si vergognava di lui, allora perché? 
Maria, curiosa di capire cosa stesse accadendo, nel frattempo si era alzata e li aveva appena raggiunti.
“Scusa per che cosa?” chiese a entrambi. “Ora voi due mi dite cosa sta succedendo.”
“Chiedilo a Rocco” Irene lo guardò un’ultima volta piena di rabbia, mentre raggiungeva gli altri al tavolo, desiderosa di andarsene via di lì quanto prima. Se era una guerra quella che Tina intendeva provocare, ci era riuscita alla grande. 

 

---

 

Non era stata la serata che avevano previsto. Erano tutti rientrati nei propri appartamenti con dei musi lunghi, più adatti a un funerale che a una serata danzante in un locale appena inaugurato. Maria si era chiusa nella propria stanza, andando dritta lì dentro senza nemmeno soffermarsi un attimo in cucina. Lo stesso avevano fatto Irene e Stefania. Aleggiava il solito silenzio che disturbava la mora, che proprio quella sera aveva tanto di cui parlare, ma aveva paura non fosse il momento giusto per farlo. Si avvicinò a Irene, abbassandole la zip del vestito e adagiò di nuovo la testa sulla sua spalla, abbracciandola da dietro con affetto. Irene, per una volta, non si ribellò alle effusioni dell’amica, che a lei invece poco appartenevano. 
“Me la dici la verità adesso?” le sussurrò Stefania. Quando aveva visto Irene tornare al tavolo con l’aria stravolta e poi Rocco e Maria pronti a prendere i soprabiti per andarsene immediatamente, Stefania aveva capito tutto. Tina li aveva seguiti dispiaciuta, consapevole di essere stata lei a causare quel terremoto.
“Che verità?” Irene cercò di fare finta di nulla, ma sapeva fin troppo bene dove la sua amica volesse andare a parare. 
“Irene? Sei innamorata di Rocco?” domandò, cercando di emulare la sfrontatezza che contraddistingueva Tina e che sentiva avrebbe fatto comodo anche a lei nella vita. 
“Ma che ti passa per la testa” ribatté d’istinto, defilandosi da quell’abbraccio per spogliarsi e mettere su la camicia da notte. 
“Irene” disse Stefania col solito tono che assumeva quando voleva che la sua amica confessasse qualcosa che lei aveva già capito. 
“Non lo so. Forse” finalmente le confessò, sedendosi sul letto.
“Ma come non lo sai” Stefania le venne accanto. “Ma allora perché ti sei fatta da parte? Tu mi avevi promesso di farlo solo se ti fossi accorta di non provare niente per lui” le ricordò.
“Stefania, ma la vedi Maria?” sbuffò lei, sconsolata. “Lo sai cosa avrebbero pensato tutti. Sarei stata la megera che ha strappato Rocco alla brava ragazza” le fece notare con una risata sarcastica. Aveva ceduto alle pressioni, allontanandosi da Rocco nella convinzione di fare la scelta più giusta per tutti. Solo che adesso non ne era più sicura. 
“E quindi ti sei privata di qualcosa di bello per paura di qualche giudizio?” 
“Ma non avrebbe funzionato. Con Lorenzo è tutto più facile. Non interessa a nessuno se stiamo insieme o no, se siamo giusti l’uno per l’altra, se avremo un futuro insieme. Usciamo, ci frequentiamo, vediamo come va. Con Rocco, lo sai, non sarebbe stato possibile” sospirò. Una parte di sé, tuttavia, non credeva completamente a quelle parole. Il giudizio esterno aveva certamente giocato un ruolo importante nella sua decisione di farsi da parte. Ma iniziava a chiedersi se l’avesse fatto unicamente per quello, o se invece l’avesse usato come scusa per giustificare a se stessa quell’allontanamento. Tuttavia, in cuor suo una risposta l’aveva già: se non avesse permesso alla paura di avere la meglio, non lo avrebbe mai lasciato andare. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti, sfidando i giudizi di tutti pur di averlo accanto. Irene non era una persona che fuggiva davanti alle sfide. Eccetto in quella più importante della sua vita. E adesso era troppo tardi.
“Mi dispiace di averti fatto delle pressioni” disse Stefania dopo un po’, mettendo il broncio. Si era resa conto di aver giocato un ruolo fondamentale in tutta quella storia. Aveva insistito con Irene, spingendola a decidere in fretta, prima che Maria potesse scoprire la verità, senza pensare che la sua amica potesse aver bisogno di tempo e di consigli, non di pressioni.
Irene le sorrise comprensiva. “Non saresti stata l’unica. Se l’avessero scoperto, avremmo avuto gli occhi di tutti puntati addosso, pronti a vederci fallire per poter dire ‘ecco, vedi, sarebbe dovuto stare con Maria sin dall’inizio’” disse Irene. “E comunque non ha più importanza. Lui sta per sposare Maria, no?” aggiunse amareggiata.
“Sì, ma sei sicura che voglia stare con lei?” 
“Stefania, le ha chiesto di sposarlo dopo tre settimane. Non decidi di passare il resto della tua vita con qualcuno che non vuoi.”
“Puoi farlo, se sei Rocco” le fece notare. “Lo sai come hanno spinto tutti affinché sposasse Maria.”
“Ormai è troppo tardi” scacciò rapidamente quell’ipotesi dalla sua testa. “Non potrebbe mai lasciarla. E per me sarebbe anche peggio. Ne parlerebbero fino a Partanna e io passerei ancora per la poco di buono che gliel’ha portato via a un passo dalle nozze” Irene si alzò per scostare le lenzuola e mettersi sul letto, decretando così conclusa quella sessione di confessioni in libertà. 
“E quindi vi condannate a una vita di infelicità?” continuò Stefania, imperterrita. 
“La vita non è un romanzo d’amore, piccola Stefy. Non tutti hanno il loro lieto fine” rispose con amarezza, spegnendo poi l’abat-jour sul suo comodino. 
Stefania arricciò le labbra in un’espressione sconsolata, mettendosi anche lei sotto le coperte. Il forte mal di stomaco che avvertiva la riportò alla sua infanzia con la zia Ernesta. Quanto avrebbe voluto averla accanto per consolarla e consigliarla. Non sopportava l’idea di aver contribuito all’infelicità della sua amica. Delle sue due amiche. Perché in qualsiasi modo quella storia fosse finita, né Irene e né Maria ne sarebbero uscite indenni. E la colpa era in parte anche la sua.

 
  
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