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Autore: coopercroft    16/06/2021    0 recensioni
I Cooper sono ufficiali dell'esercito da generazioni. Edward, il primogenito, alla tragica morte dei genitori ha avuto il dovere ingrato di mantenere unita la famiglia. Comanda con autorevolezza un distaccamento militare nella periferia di Londra, dove collaborano anche i suoi fratelli.
Ma le difficoltà personali, l'incapacità di gestire i rapporti affettivi, innescano una serie d'incomprensioni che finiranno per allontanarli.
Solo l'amicizia con il nuovo medico, John Roberts, lo porterà a prendere coscienza che la famiglia Cooper ha un passato oscuro e doloroso rimasto sepolto per troppo tempo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Edward finì per sobbarcarsi gli impegni di lavoro sempre più in tensione, per la serata difficile che lo aspettava.

Pranzò al dipartimento di Stato con un Generale dell’aereonautica, e un collega della marina. Parlò poco e ascoltò molto. Tutti problemi legati ai nuovi addestramenti innovativi e alle preparazioni di missioni di pace all’estero. Annuiva spesso, ma la mente non c’era, era rivolta al fratello, a John e alla serata poco piacevole che avrebbe dovuto affrontare.

Alle cinque lasciò Londra e tornò alla Cittadella talmente preoccupato che gli era venuto un fastidioso mal di testa.

 Salì in ufficio, si sciacquò, si sistemò, poi raggiunse la clinica.

John lo vide arrivare e fece una smorfia al suo indirizzo. Era seduto alla scrivania, lo fissò allarmato.

“Edward rilassati, sei agitato. Sta tranquillo, sciogliti un po'.”

 Cooper sbuffò infastidito. “Guarda se puoi allungarmi un’aspirina, ho un fastidioso mal di testa.” Si portò la mano sulla fronte.

“Gesù cominciamo bene.” Il dottore si alzò, scosse la testa, e prese una confezione di aspirine dalla sua borsa.

“Prendi, ma non tolgono l’ansia che hai addosso.” Gli allungò un bicchiere d’acqua e la pillola, e sbottò.  “Siediti, Cristo, stai tranquillo.”

Edward mandò giù tutto velocemente, avvertiva uno stress crescente, appoggiò il bicchiere con le mani talmente strette che sembravano contratte. 

Non volle sedersi, per quanto John insistesse, rimase in piedi, fece due passi e si appoggiò con la schiena dritta alla libreria.  Fissava la porta in attesa del fratello.

John si rassegnò, brontolò poche parole a voce bassa, si sedette alla scrivania e iniziò a sistemare la cartella di Edward.

“Ho i tuoi risultati, ma vorrei li sentisse anche tuo fratello. Ma Edward non c’era proprio con la testa. Non emise nessuna parola, si limitò ad abbassare il capo.  

Perse la pazienza. E scattò.  “Certo che se inizi così, immagino come finiremo.”  Non ottenne nulla, e finì per abbandonarsi nella poltrona, guardandolo malamente, mentre scombinava le carte che aveva davanti.

Non passò molto che arrivò il fratello minore, con la sua solita aria scanzonata e il cuore leggero, ma quando vide Edward, cambiò di colpo, capì che c’era qualcosa che non andava.

Si fece serio.

“Ma che c’è?  Eddy sembri un fantasma!” Guardò entrambi, cercando delle risposte, poi si soffermò ancora sul fratello maggiore.

John non perse tempo, intervenne subito, lo tranquillizzò con decisione.

“Senti dobbiamo parlarti.”

Edward sembrava di marmo.  Steve lo fissava incerto.

“Sta bene, ma lascialo stare!  Oggi non collabora, siediti.”

Steve cambiò colore. “Ma cosa avete combinato? Avete l’aria di chi nasconde qualcosa e di grosso pure.”  Fissava di sottecchi il fratello, mentre ascoltava John che aveva cominciato a parlargli.

A poco a poco che il racconto andava avanti, lasciò lo sguardo sul fratello e fissò arrabbiato John.

 Cercò di essere il più calmo possibile, fino a quanto arrivò a parlargli delle frustate che aveva ricevuto Edward e dei sospetti che le avesse ricevute anche lui. Prese un attimo di pausa guardando entrambi i fratelli che sembravano straziati. Edward quasi non respirava, Steve era in allarme.

Roberts riprese a parlare con calma, modulando la voce e gli confermò le parole di Mary, che aveva ammesso le sevizie che da ragazzino aveva subito dal padre.

Steve, saltò su in piedi e si rivolse a Edward furioso. Lui era rimasto in attesa della sua reazione. Aveva ascoltato a capo chino, senza mai muoversi, contratto nelle mani e nel volto.

“Potevi dirmelo, Edward, potevi dirmi di questa farsa. Hai permesso a John di entrare nella nostra famiglia e gli hai raccontato la nostra vergogna.”

 Fremeva e indicava Roberts con la mano. Gridò senza ritegno.” Lo sai quello che era papà, lo sai di nonno, perché mettere in piazza tutto. Idiota! Dovevi parlare con me.”

 Si avvicinò al fratello minaccioso, Edward rimase immobile pronto a subire, alzò gli occhi e lo fisso dritto in volto.

“Se sapevi tutto, perché non sei venuto da me? Ho sofferto per diventare come te! Per essere degno di te.”  Steve era fuori controllo, le mani strette lungo i fianchi, la voce rotta.

“Mi dispiace.” Biascicò Edward, incapace di aggiungere altro.

“Ti dispiace? Ti dispiace, per Dio!  Papà mi picchiava per colpa tua, era la sua cura, perché io diventassi come te! Ne vuoi la conferma razza di imbecille?”  Si tolse la giacca con rabbia, tirò su la camicia e mostrò la schiena ferita da numerose cicatrici, al fratello. 

“Guarda, sei contento? E tu John hai soddisfatto la tua teoria? Beh, avevi ragione.  Nostro padre era un fottuto pazzo.”  

Si rivestì, le sue mani magre infilarono la camicia nei pantaloni, prese la sua giacca e la indossò mezza storta. Ma la sua rabbia cocente era rivolta al fratello maggiore, che sembrava assente.

“Sei un coglione Edward, un debole che papà ha forgiato come ha voluto.”  Gli fu vicino in un attimo, John non riuscì a intervenire in tempo. Edward si preparò, strinse forte le mani, le tenne rigide lungo i fianchi, Steve partì con uno schiaffo potente che lo colpì in pieno volto.

“Fermati!” John urlò, cercò di aggirare la scrivania rapidamente, ma Steve lo colpì ancora con un manrovescio. Edward lacrimava per il dolore, ma non accennò a nessuna reazione.

“Non ti difendi nemmeno, coglione impaurito.”  Steve sbollì vista la totale mancanza di reazione di Edward.

Ma lui era consapevole che non avrebbe reagito.

Per anni era stato educato alla follia di nonno Geoffrey. Adesso, consapevole di quello che era stato il loro percorso, non avrebbe mai alzato le mani su suo fratello. Sopportò in silenzio, perché capì che solo così Steve si sarebbe fermato. E accettò coscientemente la sua rabbia.

E infatti si fermò, lo guardò brevemente e puntò i suoi occhi lucidi sul sangue che scendeva dal naso e si fermava sulle labbra pallide di Edward, si girò di scatto e uscì maledicendo la famiglia ed il padre.

John, incapace di reggere la situazione, e di comprendere il suo amico, sbottò.

“Gli dovevi parlare dannazione!  Dovevi dirgli quello che hai passato e invece te ne sei stato lì a subire. Per Dio, Edward!  Sei arrivato rassegnato e hai sbagliato tutto. Non è così che ricucirai il rapporto con Steve.”

 John non si trattenne, gli era vicino, e la vista di quel sangue lo fece arrabbiare di più.

” Forse ha ragione lui, sei un emerito coglione. Hai avuto paura! Perché non l’hai fermato?  Questo è il risultato.” Indicò il suo volto ferito e cercò di prendersi cura di lui.  Ma Edward si allontanò, con la mano aperta.

“Non toccarmi John, va bene così. Hai detto che sono un coglione, quindi allontanati da me.” 

Edward lo sibilò risentito, sembrava ritornato in sé. Sanguinava dal naso copiosamente, Roberts si fermò vedendo la sua rabbia e il suo risentimento. Lo aveva offeso pesantemente, ed era suo amico. Ora non poteva fare nulla, rimase immobile.

 Edward cercò il fazzoletto nella tasca e tamponò il naso, con forza. Vide la faccia contratta di John, e cercò di abbozzare.

“Non fartene una colpa John, lo sapevo che avrebbe reagito così. Ma io non sono Geoffrey come mio padre mi voleva far diventare.  Io non tocco mio fratello, malauguratamente l'ho fatto una volta, ma non lo farò mai più, lui imparerà a capirlo.”    Sorrise debolmente, mentre tamponava il sangue. Roberts in palese difficoltà e pentito, cercò di sostenerlo. Fu gentile.

“Scusami, non avevo capito.” Respirò profondamente. “Il coglione sono io!  Ma ora va a pulirti nel bagno, prendi gli asciugamani, usa acqua fresca.” 

John evitò di avvicinarsi. Cooper allentò la tensione e andò a ripulirsi nell’ambulatorio.

 Si guardò allo specchio, era rosso in volto, gli schiaffi gli bruciavano, gli facevano male, ma sopportò, si rinfrescò, si ripulì. Quando vide che il sangue si era fermato uscì.

Le mani non erano più contratte e ora sembrava sereno. No, non si sentiva un coglione, non lo era. Lui semplicemente amava i suoi fratelli. E tutto quello che restava della sua famiglia.

Vide John sulla porta, il volto incupito. “Avevo i tuoi esami. I risultati.” Mormorò avvilito mentre li teneva in mano.

“Non adesso John, magari più tardi. Ora non mi interessano.”  Edward non riusciva a scordarsi le offese gratuite che gli aveva gridato. John capì lo sbaglio che aveva fatto. Ma cercò un dialogo.

“Stai bene?”  Mormorò guardando il fazzoletto che teneva nelle mani sporco di sangue.

“No, ma va bene lo stesso. Non ti dare colpe ulteriori. Noi Cooper siamo particolari, lo sai anche troppo bene.  Tu hai fatto quello che dovevi. So la tua buona fede.” Edward in parte lo assolse dalla sua interferenza nella famiglia complicata che aveva. Chiarì il concetto.

“Sì, certo avremmo potuto chiarirci con Steve, ma lui ha bisogno di tempo, sa la verità, la deve solo elaborare.”

Gli toccò il braccio, come un sostegno morale e se ne andò, mentre John rammaricato, avvilito, devastato per aver provocato la rottura tra loro due, rimase sulla porta sconfitto.

Voleva riunirli e invece li aveva allontanati.  In più aveva offeso pesantemente Edward. Era un cretino, uno stupido arrogante, sentì la rabbia crescergli dentro incontrollabile e senza rendersene conto, diede un violento pugno alla porta, disperato, con il cuore a mille.  Lacrimò e si ferì malamente, ma il dolore che ne seguì non riuscì a stemperare quello che aveva dentro, che lo devastava.

Noreen sentì il rumore improvviso, lo vide sulla porta dello studio che tremava, appoggiato con la fronte allo stipite, la mano sanguinante.

“John, per Dio, ma che ha fatto?”  Lo prese per le spalle e lo trascinò in ambulatorio.  John stanco e indolenzito, non si oppose, si lasciò andare alle sue cure. Non parlò mai e lei non gli chiese nulla. Lo fece sedere e lo medicò. Non si lamentò, nonostante la ferita fosse profonda.

Lo lasciò riposare un po' in ambulatorio.

 John sciolse la tensione, mezzo sdraiato sulla sua poltrona, si appoggiò con la nuca, gli occhi chiusi. Elaborò mentalmente il risultato della sua intromissione nella vita dei fratelli Cooper: la mano sfasciata e un forte dolore. Era stato strafottente, superficiale, idiota, offensivo.  Ora era tempo di pagare per le cazzate che aveva fatto.

 

 

   
 
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