Edward
finì per sobbarcarsi gli impegni di lavoro sempre
più
in tensione, per la serata difficile che lo aspettava.
Pranzò
al dipartimento di Stato con un Generale
dell’aereonautica, e un collega della marina.
Parlò poco e ascoltò molto. Tutti
problemi legati ai nuovi addestramenti innovativi e alle preparazioni
di
missioni di pace all’estero. Annuiva spesso, ma la mente non
c’era, era rivolta
al fratello, a John e alla serata poco piacevole che avrebbe dovuto
affrontare.
Alle
cinque lasciò Londra e tornò alla Cittadella
talmente
preoccupato che gli era venuto un fastidioso mal di testa.
Salì in ufficio,
si
sciacquò, si sistemò, poi raggiunse la clinica.
John
lo vide arrivare e fece una smorfia al suo indirizzo. Era
seduto alla scrivania, lo fissò allarmato.
“Edward
rilassati, sei agitato. Sta tranquillo, sciogliti un
po'.”
Cooper sbuffò
infastidito. “Guarda se puoi allungarmi
un’aspirina, ho un fastidioso mal di
testa.” Si portò la mano sulla fronte.
“Gesù
cominciamo bene.” Il dottore si alzò, scosse la
testa,
e prese una confezione di aspirine dalla sua borsa.
“Prendi,
ma non tolgono l’ansia che hai addosso.” Gli
allungò un bicchiere d’acqua e la pillola, e
sbottò. “Siediti,
Cristo, stai tranquillo.”
Edward
mandò giù tutto velocemente, avvertiva uno stress
crescente, appoggiò il bicchiere con le mani talmente
strette che sembravano
contratte.
Non
volle sedersi, per quanto John insistesse, rimase in
piedi, fece due passi e si appoggiò con la schiena dritta
alla libreria. Fissava
la porta in attesa del fratello.
John
si rassegnò, brontolò poche parole a voce bassa,
si
sedette alla scrivania e iniziò a sistemare la cartella di
Edward.
“Ho
i tuoi risultati, ma vorrei li sentisse anche tuo
fratello. Ma Edward non c’era proprio con la testa. Non emise
nessuna parola,
si limitò ad abbassare il capo.
Perse
la pazienza. E scattò.
“Certo che se inizi così, immagino
come finiremo.” Non
ottenne nulla, e finì per abbandonarsi
nella poltrona, guardandolo malamente, mentre scombinava le carte che
aveva
davanti.
Non
passò molto che arrivò il fratello minore, con la
sua
solita aria scanzonata e il cuore leggero, ma quando vide Edward,
cambiò di
colpo, capì che c’era qualcosa che non andava.
Si
fece serio.
“Ma
che c’è? Eddy
sembri un fantasma!” Guardò entrambi, cercando
delle risposte, poi si soffermò
ancora sul fratello maggiore.
John
non perse tempo, intervenne subito, lo tranquillizzò
con decisione.
“Senti
dobbiamo parlarti.”
Edward
sembrava di marmo.
Steve lo fissava incerto.
“Sta
bene, ma lascialo stare! Oggi
non collabora, siediti.”
Steve
cambiò colore. “Ma cosa avete combinato? Avete
l’aria
di chi nasconde qualcosa e di grosso pure.”
Fissava di sottecchi il fratello, mentre ascoltava John
che aveva
cominciato a parlargli.
A
poco a poco che il racconto andava avanti, lasciò lo
sguardo sul fratello e fissò arrabbiato John.
Cercò di essere
il
più calmo possibile, fino a quanto arrivò a
parlargli delle frustate che aveva
ricevuto Edward e dei sospetti che le avesse ricevute anche lui. Prese
un
attimo di pausa guardando entrambi i fratelli che sembravano straziati.
Edward
quasi non respirava, Steve era in allarme.
Roberts
riprese a parlare con calma, modulando la voce e gli
confermò le parole di Mary, che aveva ammesso le sevizie che
da ragazzino aveva
subito dal padre.
Steve,
saltò su in piedi e si rivolse a Edward furioso. Lui
era rimasto in attesa della sua reazione. Aveva ascoltato a capo chino,
senza
mai muoversi, contratto nelle mani e nel volto.
“Potevi
dirmelo, Edward, potevi dirmi di questa farsa. Hai
permesso a John di entrare nella nostra famiglia e gli hai raccontato
la nostra
vergogna.”
Fremeva e indicava
Roberts con la mano. Gridò senza ritegno.” Lo sai
quello che era papà, lo sai
di nonno, perché mettere in piazza tutto. Idiota! Dovevi
parlare con me.”
Si avvicinò al
fratello minaccioso, Edward rimase immobile pronto a subire,
alzò gli occhi e
lo fisso dritto in volto.
“Se
sapevi tutto, perché non sei venuto da me? Ho sofferto
per diventare come te! Per essere degno di te.”
Steve era fuori controllo, le mani strette lungo i
fianchi, la voce
rotta.
“Mi
dispiace.” Biascicò Edward, incapace di aggiungere
altro.
“Ti
dispiace? Ti dispiace, per Dio! Papà
mi picchiava per colpa tua, era la sua
cura, perché io diventassi come te! Ne vuoi la conferma
razza di
imbecille?” Si
tolse la giacca con
rabbia, tirò su la camicia e mostrò la schiena
ferita da numerose cicatrici, al
fratello.
“Guarda,
sei contento? E tu John hai soddisfatto la tua
teoria? Beh, avevi ragione. Nostro
padre
era un fottuto pazzo.”
Si
rivestì, le sue mani magre infilarono la camicia nei
pantaloni, prese la sua giacca e la indossò mezza storta. Ma
la sua rabbia
cocente era rivolta al fratello maggiore, che sembrava assente.
“Sei
un coglione Edward, un debole che papà ha forgiato come
ha voluto.” Gli
fu vicino in un attimo,
John non riuscì a intervenire in tempo. Edward si
preparò, strinse forte le
mani, le tenne rigide lungo i fianchi, Steve partì con uno
schiaffo potente che
lo colpì in pieno volto.
“Fermati!”
John urlò, cercò di aggirare la scrivania
rapidamente, ma Steve lo colpì ancora con un manrovescio.
Edward lacrimava per
il dolore, ma non accennò a nessuna reazione.
“Non
ti difendi nemmeno, coglione impaurito.”
Steve sbollì vista la totale mancanza di
reazione di Edward.
Ma
lui era consapevole che non avrebbe reagito.
Per
anni era stato educato alla follia di nonno Geoffrey.
Adesso, consapevole di quello che era stato il loro percorso, non
avrebbe mai
alzato le mani su suo fratello. Sopportò in silenzio,
perché capì che solo così
Steve si sarebbe fermato. E accettò coscientemente la sua
rabbia.
E
infatti si fermò, lo guardò brevemente e
puntò i suoi
occhi lucidi sul sangue che scendeva dal naso e si fermava sulle labbra
pallide
di Edward, si girò di scatto e uscì maledicendo
la famiglia ed il padre.
John,
incapace di reggere la situazione, e di comprendere il
suo amico, sbottò.
“Gli
dovevi parlare dannazione! Dovevi
dirgli quello che hai passato e invece
te ne sei stato lì a subire. Per Dio, Edward!
Sei arrivato rassegnato e hai sbagliato tutto. Non
è così che ricucirai
il rapporto con Steve.”
John non si
trattenne, gli era vicino, e la vista di quel sangue lo fece arrabbiare
di più.
”
Forse ha ragione lui, sei un emerito coglione. Hai avuto
paura! Perché non l’hai fermato?
Questo
è il risultato.” Indicò il suo volto
ferito e cercò di prendersi cura di
lui. Ma Edward si
allontanò, con la mano
aperta.
“Non
toccarmi John, va bene così. Hai detto che sono un
coglione, quindi allontanati da me.”
Edward
lo sibilò risentito, sembrava ritornato in sé.
Sanguinava dal naso copiosamente, Roberts si fermò vedendo
la sua rabbia e il
suo risentimento. Lo aveva offeso pesantemente, ed era suo amico. Ora
non
poteva fare nulla, rimase immobile.
Edward cercò il
fazzoletto nella tasca e tamponò il naso, con forza. Vide la
faccia contratta
di John, e cercò di abbozzare.
“Non
fartene una colpa John, lo sapevo che avrebbe reagito
così. Ma io non sono Geoffrey come mio padre mi voleva far
diventare. Io non
tocco mio fratello, malauguratamente
l'ho fatto una volta, ma non lo farò mai più, lui
imparerà a capirlo.”
Sorrise debolmente, mentre tamponava il
sangue. Roberts in palese difficoltà e pentito,
cercò di sostenerlo. Fu gentile.
“Scusami,
non avevo capito.” Respirò profondamente.
“Il
coglione sono io! Ma
ora va a pulirti
nel bagno, prendi gli asciugamani, usa acqua fresca.”
John
evitò di avvicinarsi. Cooper allentò la tensione
e andò
a ripulirsi nell’ambulatorio.
Si guardò allo
specchio, era rosso in volto, gli schiaffi gli bruciavano, gli facevano
male,
ma sopportò, si rinfrescò, si ripulì.
Quando vide che il sangue si era fermato
uscì.
Le
mani non erano più contratte e ora sembrava sereno. No,
non si sentiva un coglione, non lo era. Lui semplicemente amava i suoi
fratelli. E tutto quello che restava della sua famiglia.
Vide
John sulla porta, il volto incupito. “Avevo i tuoi
esami. I risultati.” Mormorò avvilito mentre li
teneva in mano.
“Non
adesso John, magari più tardi. Ora non mi
interessano.” Edward
non riusciva a
scordarsi le offese gratuite che gli aveva gridato. John
capì lo sbaglio che
aveva fatto. Ma cercò un dialogo.
“Stai
bene?” Mormorò
guardando il fazzoletto che teneva nelle mani sporco di sangue.
“No,
ma va bene lo stesso. Non ti dare colpe ulteriori. Noi
Cooper siamo particolari, lo sai anche troppo bene.
Tu hai fatto quello che dovevi. So la tua
buona fede.” Edward in parte lo assolse dalla sua
interferenza nella famiglia
complicata che aveva. Chiarì il concetto.
“Sì,
certo avremmo potuto chiarirci con Steve, ma lui ha
bisogno di tempo, sa la verità, la deve solo
elaborare.”
Gli
toccò il braccio, come un sostegno morale e se ne
andò,
mentre John rammaricato, avvilito, devastato per aver provocato la
rottura tra
loro due, rimase sulla porta sconfitto.
Voleva
riunirli e invece li aveva allontanati.
In più aveva offeso pesantemente Edward. Era
un cretino, uno stupido arrogante, sentì la rabbia
crescergli dentro
incontrollabile e senza rendersene conto, diede un violento pugno alla
porta,
disperato, con il cuore a mille. Lacrimò
e si ferì malamente, ma il dolore che ne seguì
non riuscì a stemperare quello
che aveva dentro, che lo devastava.
Noreen
sentì il rumore improvviso, lo vide sulla porta dello
studio che tremava, appoggiato con la fronte allo stipite, la mano
sanguinante.
“John,
per Dio, ma che ha fatto?”
Lo prese per le spalle e lo trascinò in
ambulatorio. John
stanco e indolenzito,
non si oppose, si lasciò andare alle sue cure. Non
parlò mai e lei non gli
chiese nulla. Lo fece sedere e lo medicò. Non si
lamentò, nonostante la ferita
fosse profonda.
Lo
lasciò riposare un po' in ambulatorio.
John sciolse la
tensione, mezzo sdraiato sulla sua poltrona, si appoggiò con
la nuca, gli occhi
chiusi. Elaborò mentalmente il risultato della sua
intromissione nella vita dei
fratelli Cooper: la mano sfasciata e un forte dolore. Era stato
strafottente,
superficiale, idiota, offensivo. Ora
era
tempo di pagare per le cazzate che aveva fatto.