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Autore: Flappergiuly    16/06/2021    1 recensioni
"Bizzeffe di stoffe di vario tipo imbandivano ogni centimetro di quel piccolo ambiente, sui manichini, per gli scaffali, appesi al muro in carta da parati color avorio, persino sul biondo parquet che fungeva da pavimento. Le voleva proprio tutte, c’era l’imbarazzo della scelta. Alla fine optò per un abitino in pizzo e seta color champagne, era proprio delizioso. Ad esso era accorpata una maschera blu oltremare. Prima di pagare e lasciare quel ben di dio, si accorse che c’era dell’altro. Fu così che venne rapita da un paio di decolletè dorate in camoscio, potevano essere perfettamente abbinate con l’outfit prima scelto. Come s’avvicinò alla cassa, la commessa di quell’antiquariato le consigliò una pochette in velluto bordeaux, una parure di perle e diamanti, una fascia di viscosa, rete e piume, una trousse nuova di zecca. Ritornando alla cassa, la ragazza propose di anticipare la preparazione. Così, Chiara uscì dal negozio già abbigliata con il vestito della festa". 
"Storia partecipante al contest "Favole di oggi – II edizione" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP".
Favola moderna, buona lettura a tutti quanti voi, carissimi utenti del forum di efp! E sognate bene, mi raccomando!
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Crack Pairing | Personaggi: Anastasia, Genoveffa, Nuovo personaggio, Principe, Re
Note: AU, Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Non molto tempo fa, in una località non molto lontana da qui, il popolo assistette all'improvvisa morte di re Leopoldo II, una persona zelante ma mansueta. A questi succedette il figlio primogenito, Stefano. Due anni dopo essere stato incoronato re, Stefano sposò la principessa Eleonora, dal quale matrimonio nacque una bella bambina che chiamarono Chiara. Aveva la pelle candida come la purezza e i capelli d’oro come il sole, gli occhi cerulei come il cielo e la bocca rossa come il rubino. Ma nonostante tutto, l'uomo era ancora perplesso. Non aveva avuto ancora figli maschi e questo era un problema per la nazione, erano loro gli eredi. Ma, per fortuna, Stefano era ancora giovane e questo ridestava in lui la speranza. Passarono i giorni e la ragazza rimase nuovamente incinta, felicità crescente, felicità che si sommavano. Il tempo continuava a scorrere, il grembo aumentava sempre di più, come lo scalciare nella notte e puntualmente il sorriso dei due giovani sposi. E così arrivò anche il freddo inverno, la neve e il momento decisivo, il momento che invece non fu. La donna partorì un maschietto, ma si trattò di un bambino nato morto, era un aborto spontaneo che non riuscì nemmeno lei a superare. Il re non si perse minimamente d’animo, doveva pensare d'altronde a un regno da portare avanti, un regno che doveva essere ereditario, non poteva che pensare a questo. Fu così che, ancora giovane e attraente, trovò una nuova donna a cui chiedere la mano e anche questo matrimonio tanto atteso arrivò. Prese Chiara e lasciò il palazzo trasferendosi così presso la residenza della nuova moglie. Era una nobildonna di una bellezza algida, con i capelli corti e ormai grigi, gli occhi verdi e di una presenza alquanto affascinante. Il suo nome era Antonietta, una donna ormai in età matura ed avanzata, quindi non più fertile, ma per il re non era più un problema, era ormai completamente accecato dalla particolare classe che la nuova regina consorte emanava a tal punto da non accorgersi nemmeno del solo opportunismo che gli recava. Era divorziata e madre di due figlie, Genoveffa e Anastasia, due ragazze dal carattere malvagio e dalle forme più sgraziate. Passò altrettanto tempo e l’uomo si ammalò e le sue condizioni di salute peggiorarono sempre più fino alla morte. Quando il padre se ne andò, Chiara era ancora una tenera crisalide che aspettava il giusto momento per librare in volo le sue favolose ali da farfalla. E così gli anni passavano e la principessa cresceva, nonostante tutto, in salute e in bellezza, fioriva e diveniva sempre più identica alla madre. Non era ben vista dalle tre donnacce che continuarono, distrattamente, a prendersi cura di lei. La consideravano come un’odiosa mocciosa creatura da invidiare e schiavizzare e fu così che nacque il famoso nome di: “CARBONELLA".
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“I sogni son desideri, di felicità nel sogno ci sembran veri e tutto ci parla d’amor. Se hai fede chissà che un giorno, la sorte ti riderà, tu sogna e spera fermamente, dimentica il presente e il sogno in realtà diverrà!” intonava Carbonella destandosi, come di sua routine, dal breve sonno notturno.
“Taci, Carbonella, ogni giorno sei sempre con la solita solfa e ancora non hai combinato niente! Presto, alzati, che è tardi! Aggiusta il letto, forza, lava e stendi il bucato! Noi andiamo e quando torniamo vogliamo vedere tutto come si deve, lava a terra e cucina!” la insultava Anastasia con il suo solito tono crudelmente minaccioso mentre lasciava la stanza e si recava con le altre verso l’uscita.
Dopo qualche istante, sentì sbattere la porta, dopo di che, solo silenzio. Rimase ancora qualche istante ad oziare, ancora stesa nel suo angolo di letto, s’era destata pensierosa quella mattina, come sempre. Certo, quella volta quell’aria sognatrice era particolarmente accentuata e, come realizzò di essere rimasta completamente sola, altra cosa alla quale era fortemente abituata, ne approfittò. Era decisamente stanca di quei soliti soprusi, di tutte quelle angherie che solo lei riceveva e accumulava. Non era da lei esplodere, dunque, pensò di uscire anche lei. Aveva quasi 16 anni, non era più bambina, non ci pensò due volte e agì.
Si alzò dal letto e andò davanti allo specchio a sistemarsi, prima però prese la spazzola dalla toletta e si sedette sull’ottomano per sciogliere i nodi arruffati tra i suoi riccioli d’oro.
Di nuovo in piedi, s’avvicinò all’armadio, era un disordine totale ma se ne infischiò. É vero che le altre erano particolari ma, in caparbietà, pure lei non scherzava. Infatti, di Carbonella lei non aveva decisamente niente, era raggiante come un girasole e non solo fisicamente. Era tremendamente scaltra per importarsene. Sopportava, anzi se le faceva completamente scivolare di dosso tutte quelle parole e quegli atteggiamenti a lei rivolti considerandoli delle misere fesserie. Solo quei vecchi stracci sporchi che per anni aveva indossato odoravano di carbone, il resto profumava di tutto il meglio che ci fosse al mondo. Pensava questo come le cadde l’occhio su quel vestiario tutto madido e stropicciato, come se ne accorse, distolse la mente non degnandoli più di alcuno sguardo, secondo lei quell’atteggiamento avrebbe risvegliato solo soddisfazioni e dalla parte sbagliata. Ora era ferma, quel carattere lasciato a lungo sepolto nell’oblio, era riemerso. Prese un vestito giallo ocra, era esattamente così che si sentiva quel giorno. Lo infilò, prese le ballerine viola e indossò anche quelle. Le mancava solo la borsa per spiccare il volo, era altrettanto viola quella che scelse.
Lasciò la stanza, nel marasma più totale. Scese la scala a chiocciola e si ritrovò nel centro della hall, s’avvicinò alla porta che aprì e poi subito chiuse alle sue spalle.
Girovagava per la città, quando si sentì una pacca sulla spalla. Si girò, era un uomo con una divisa da alto ufficiale, aveva una balda raffinatezza incredibile. Scambiarono due chiacchiere, poi, prima che lui se ne andasse, le parlò di un evento in maschera che si teneva presso il castello di quella località proprio la sera stessa. Lei era curiosa e, proprio per questa curiosità, non stava più nella pelle. Escogitò un altro piano, non voleva tornare a casa.
Così continuò a camminare, finchè sulla destra non si ritrovò in corrispondenza di una sartoria. Era troppo emozionata, quindi, si precipitò ad entrare. Bizzeffe di stoffe di vario tipo imbandivano ogni centimetro di quel piccolo ambiente, sui manichini, per gli scaffali, appesi al muro in carta da parati color avorio, persino sul biondo parquet che fungeva da pavimento. Le voleva proprio tutte, c’era l’imbarazzo della scelta. Alla fine optò per un abitino in pizzo e seta color champagne, era proprio delizioso. Ad esso era accorpata una maschera blu oltremare. Prima di pagare e lasciare quel ben di dio, si accorse che c’era dell’altro. Fu così che venne rapita da un paio di decolletè dorate in camoscio, potevano essere perfettamente abbinate con l’outfit prima scelto.
Come s’avvicinò alla cassa, la commessa di quell’antiquariato le consigliò una pochette in velluto bordeaux, una parure di perle e diamanti, una fascia di viscosa, rete e piume, una trousse nuova di zecca. Ritornando alla cassa, la ragazza propose di anticipare la preparazione.
Così, Chiara uscì dal negozio già abbigliata con il vestito della festa. Strada facendo, ma non troppa da quando uscì dal botteghino, notò le tre arpie e cercò invano di evitarle.
“Dove vai?” chiese con mimica piuttosto arcigna la più anziana del trio fermandola bruscamente.
“All’evento in maschera!” esclamò Chiara.
“Neanche per sogno!” replicò la donna.
In breve tempo e in poche parole fu lasciata al macero.
Tutte, fuorché lei, riluttante, fecero ritorno alla mansione. Le contemplava ancora per un po’, si allontanavano sempre più fino a diventare solo un puntino tra gli alberi e gli edifici in lontananza e, un secondo dopo, erano completamente sparite dalla sua vista. Lei non perse le staffe, una soluzione sarebbe venuta a galla sempre, già una le era riuscita benissimo, come le aveva ridotte.
A quel dunque, girò i tacchi a sua volta, ignorando ogni cosa e riprese a camminare, escogitando una nuova via d’uscita.
Arrivò di nuovo alla boutique dove ritrovò la solita commessa, sull’uscio che la invitò ad entrare, lei acconsentì. La fanciulla le raccontò tutto, in poche parole, non voleva perdere altro tempo. Da quel rapido discorso si decifrò persino la sua passione per la moda. Fu così che le due ragazze si misero a cucire e, alla fine, uscì fuori qualcosa meglio di prima.
“Con quale mezzo pensi di andare?” chiese a un certo punto la commessa.
“Credo… no, col bus!” rispose la principessa.
“...Non sarà un po’ troppo dozzinale? Che ne pensi di una Bugatti? É per metà auto e per metà carrozza, bombata proprio come una zucca! Una è nel retro, è davvero molto carina!” suggeriva la donna.
“Non pensavo, ci fossero anche delle auto, qui! Vediamola, pure!” disse con delicata meraviglia la giovane.
La donna fece come aveva promesso.
“Ti porterà il Signor Andrea! Sarà la tua guardia del corpo! Però, c’è una condizione! Lui lavora la notte e non può rientrare prima di mezzanotte! Se non vi ritroverete all’entrata del castello, non godrai più della sua protezione!” specifica la giovane signora.
“Non si preoccupi, va bene lo stesso, a mezzanotte mi farò ritrovare, lo faccio per non essere scortese con voi!” si giustificò la ragazza.
La commessa ridacchiò in segno d’accordo. Intanto erano passate delle ore da quando Chiara aveva fatto ritorno al negozio d’epoca e il fatidico momento era, ormai, quasi giunto. Si doveva preparare, lo fece. La Bugatti, per quanto non assai grande fosse, era veramente spaziosa e confortevole. Vernice blu notte, fuori, pelle color porpora, dentro.
Il viaggio non fu molto lungo e non ci volle molto per raggiungere la destinazione. L’uomo, da gran cavaliere, una volta parcheggiata momentaneamente l’auto, proprio in corrispondenza dell’entrata, la spense, aprì la portiera e scese. Allo stesso modo, aprì la portiera posteriore dov’era seduta la fanciulla, afferrò la sua mano gracile, la baciò con gentilezza, s’inchinò. Dopo il rituale, la invitò e l’aiutò ad uscire dall’abitacolo. Al di là del mezzo, si ergeva un imponente cancello in ferro battuto in stile floreale. Poi, era la volta dell'interminabile gradinata dotata di un corrimano in pietra levigata, piuttosto raffinato e invitante. Altrettanto la folla, uomini e donne pullulavano in ogni direzione.
Tutti fecero spazio per farla avanzare, a partire dai soldati che erano disposti in un certo ordine militare. Era la perfetta sconosciuta e come le perfette sconosciute veniva trattata così, con risonante rispetto. Nessuno poteva capire chi fosse, nemmeno il principe che l’accolse in ballo, nemmeno le tre arpie, che, si chiedevano, come tutte le altre signore, con sentenzioso tono da pettegolezzo, riguardo a ciò. Chi era realmente quella sagoma che danzava con il più gettonato di tutta la serata. Eppure lei lo riconobbe, l’aveva visto solo qualche ora prima, lei era troppo criptica per essere riconosciuta e altrettanto e non altrettanto per rapire un cuore, dal primo momento, senza nemmeno farla a posta. C’era riuscita anche qui, nonostante era un uomo tremendamente difficile da conquistare, aveva molte pretendenti, in particolare una al quale era già predestinato. Però è vero pure che a lui non importava affatto volendo lei e basta, volendo solo lei e ad ogni costo. Il ragazzo si continuava a chiedere ripetutamente chi fosse, lei continuava a non palesarsi. Non voleva rovinare tutto ma alla fine si convinse, alla fine lo stava per fare. Era giunto il momento, il momento in cui le lancette stavano rintoccando la mezzanotte.
“Devo andare!” replicò la principessa.
Lasciò delicatamente le mani dell’uomo e corse fino alla gradinata pavimentata in marmo Carrara bianco, abbellita al centro con un lunghissimo tappeto rosso.
Lui le correva dietro come per riafferrarla, ma lo fece solamente e alquanto invano.
Nessuno riuscì a starle dietro, più correva più perdeva colpi, come quella scarpetta che le scivolò lungo il tragitto dal suo piccolo piede affusolato rimanendo inerme nel bel mezzo dell'infinita moquette color cremisi, era veramente una scarpetta di cristallo.
Fatto ritorno alla boutique, c’era sempre la signora ad accoglierla affettuosamente come sempre.
“Non andare a casa, dormi qua da me!” propose la donna con un filo di voce apprensivo.
Lei acconsentì, come poteva non fare altrimenti. Intanto, vedendo che non ritornava, le tre donne cominciarono a preoccuparsi.
“Dove mai può essere?” chiese una di loro inarcando il sopracciglio come puro segno d’insinuazione.
Continuò così a suggerire loro di andare a cercarla proponendo persino di andare a controllare al negozio, nel caso fosse stata lì. Le altre concordarono e si avviarono verso la destinazione prefissata. Arrivate sul posto, come tante detective, incominciarono a ispezionare. Ora chiedevano il tono della commessa non era dolce come sempre ma piuttosto risoluto, non le invitò ad entrare, cercò di evitarlo. Soggiunse così un uomo in divisa da alto ufficiale, un uomo sulla terza età all’incirca. Recava in mano un cuscino su cui era posata una scarpetta cromata e scintillante, voleva capire a chi appartenesse.
“Di chi sarà mai questa scarpetta?” chiese il gentiluomo.
S’impuntarono così Anastasia e Genoveffa, senz’alcun contegno come sempre. Era una scarpetta di dimensioni piccole per il loro piede, non poteva essere certamente di una di loro.
La commessa, che riconobbe tanto quella scarpa, mandò a chiamare la fanciulla e la fece accomodare, com’era ormai sua abitudine, sull’ottomano al centro della stanza.
“É sua!” annunciò la donna.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo, senza capire veramente cosa sarebbe successo dopo. Finalmente aveva ritrovato la scarpetta della sua nuova amica, era ormai sicura di averla persa. Più preoccupata era, più la donna la tranquillizzava, alla fine riuscendoci completamente, in fondo l’aveva trovata però aspettava lo stesso il momento che se la sarebbe ripresa, un momento che in realtà non arrivò affatto.
“Fate passare il signore!” ordinava la commessa.
Tutti fecero spazio e l’uomo avanzò. Era proprio vicino al piede della fanciulla quando andò tutto in frantumi, esattamente come la scarpetta.
“Vi aggiusto la giacca che si è alzata, Signore!” astutamente lo avvertì inscenando Antonietta.
Tirò d’improvviso la giacca, poi lo spinse violentemente in avanti. La ragazza, allora, non si perse d’animo e incominciò a parlare.
“Funzionerà, zoppicherò e dondolerò! Avrò anche l’altra ma voglio essere più comoda e originale: perché usare una scarpa di cristallo quando scalza o, ancora meglio, posso mettere una calza insieme a una ciabatta e avanzerò di più?” ribatté superandoli, il suo intuito funzionava.
Fu così che il principe e Chiara vissero per sempre felici e contenti.
   
 
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