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Autore: sallythecountess    17/06/2021    0 recensioni
Continuano le avventure dello stralunato Ian e della sua folle V. Riusciranno questa volta ad affrontare la vita matrimoniale e la prole?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo: il ritorno di Ian
Mi svegliai presto quel venerdì mattina, ma non aprii subito gli occhi. Cercai lei con la mano, di solito era sempre schiacciata contro di me, ma stavolta al suo posto trovai solo un cuscino. Provai allora a muovere le gambe, per sentire se ero solo nel letto e… non c’era nessun altro. Non ero abituato ad avere tutto il letto per me e mi fece uno strano effetto. Già…ma dov’erano tutte?
Ci misi un po’, ma poi mi decisi a uscire dal letto e andare in cerca della mia famiglia, mentre scendevo le scale, però, udii una serie di frasi sconnesse, risate, piccoli lamenti e qualcuno che gridava “Shh!” M’insospettii non poco, ma proprio quando stavo per voltare l’angolo ed entrare in cucina, mi trovai davanti mia moglie, scapigliata e bellissima, che spalancò gli occhi e mi fece segno di tacere e tornare di sopra, mentre diceva “Aspetta Olly credo che abbiamo dimenticato qualcosa in cucina”.
Così capii: eh già era il mio compleanno ed evidentemente le mie donne avevano qualcosa in mente. Che fantastiche donne! Erano abbastanza dispotiche e una vera seccatura quando volevano, ma anche dolcissime! Così mi rimisi a letto o quantomeno ci provai perché Buck e Sprink avevano preso il mio posto ancora una volta, e non avevano nessuna intenzione di farmi spazio e poco dopo qualcuno mi abbracciò fortissimo e sbaciucchiandomi tutto, tanto da farmi quasi soffocare, gridò “Auguri Papà!”. Le signorine mi avevano portato la colazione a letto, insieme a mia moglie che, ci crederete o meno, è una vostra vecchia conoscenza. La cara Signora V, aveva organizzato una sorpresa molto tenera, e per qualche minuto, le donne avevano calmato le mie ansie con le loro coccole. Peccato che con due gemelle i minuti di quiete sono sempre pochissimi, e quindi dopo qualche coccola era iniziato di nuovo il caos e lei aveva chiamato la tata per portarle a fare colazione. Come sapete la mia bellissima moglie aveva la vista lunga, e una volta soli mi disse piano “dai amore non essere preoccupato, andrà tutto bene…” perché aveva capito dove fossero i miei pensieri. E sapete cosa? Aveva anche un piano per distrarmi, che ci crederete o meno funzionò benissimo.
“Ti amo Ari…” le sussurrai dopo l’amore, e lei ridendo rispose solo che per lei era lo stesso, ma iniziò a rivestirsi, perché non potevamo lasciare quelle due troppo a lungo con la tata. Erano nella terribile fase dei due anni, e letteralmente avevano iniziato a mordere. Probabilmente era stato Sprinkles a insegnarglielo, l’insopportabile cane di Ariel, che continuava a odiarmi da sempre ormai, ma era diventato un bel problema. Volevo persino far fare loro l’antirabica, ma il pediatra era contrario.
La guardai mentre si vestiva, e per un attimo pensai che fosse davvero bella. Non c’erano stati grossi cambiamenti in quei pochi anni, se non probabilmente il fatto che, come me, aveva meno tempo da dedicare al suo aspetto, così si truccava e vestiva sempre in pochissimi minuti. Fortunatamente aveva fatto carriera con Greenpeace, e la tenuta d’ordinanza non era esattamente giacca e cravatta.
“Tesoro, dai fai almeno una doccia, altrimenti stordirai questo editore con la puzza!” aggiunse divertita e io provai in mille modi a convincerla a seguirmi, ma niente. Voleva assolutamente andare a controllare le gemelle, perciò mi sfuggì dalle dita, promettendomi che avrebbe avuto tempo per me dopo.
E così cominciai a vestirmi, con un miliardo di considerazioni per la mente. Era il mio compleanno, e quando si arriva a quarant’anni è tempo di bilanci, lo sanno tutti. Pensai un attimo alla mia vita e sorrisi. Ok, il lavoro era un casino e avevo due gemelle di due anni e mezzo che mordevano e ringhiavano come due cagnolini, però…ero felice. Certo le mie giornate erano piene di alti e bassi, alle volte le gemelle e V mi rendevano tutto incredibilmente difficile, ma per la maggior parte del tempo stavo bene. Facevo poco sesso, le mie figlie tendevano a essere un tantino dittatoriali, e V litigava sempre con i miei e con i suoi per l’educazione delle nostre bambine-cucciole, ma stavo bene.
Ero molto innamorato, se volete saperlo, e tutte e tre quelle teste ricce riuscivano ad avere qualsiasi cosa da me, con quei loro occhioni e i sorrisi splendidi. Lo so che state pensando che sono un coglione, ma non lo sono sempre stato?
Se ci aveste visto uscire in macchina quella mattina, o una qualsiasi mattina, probabilmente avreste pensato ‘oh che carini’. Ovviamente però le mie care ragazzine avevano ereditato il simpatico carattere della famiglia di Ruiz, per cui tra loro era un continuo di liti e scenate. E la regola tra loro era una sola: se le davano all’ultimo sangue. Questa cosa ovviamente ci preoccupava non poco, Ariel aveva persino seguito dei seminari sulla gestione dei conflitti, e provava sempre tantissimo a mediare, a insegnare loro a parlare, a dirsi le cose. Era molto preoccupata, perché ci teneva che imparassero a rispettarsi a vicenda, e l’avevo anche beccata a versare qualche lacrima, perché temeva che non sarebbero mai diventate adulte predisposte al dialogo. Che ne pensavo io? Beh…ero sposato con lei! Ve lo ricordate suo nonno, no? E mia suocera? Diciamo che avevo parecchi esempi di personaggi “non predisposti al dialogo” nella mia vita. Perciò ero un tantino più flessibile e meno allarmato dalla loro brutalità. E a volte, devo essere totalmente onesto, dopo ore e ore del “bastone del chiarimento” e di altre migliaia di cavolate pedagogiche che Ariel aveva imparato, ero talmente cotto da lasciarle da sole a risolvere i loro conflitti.  Così un giorno, dopo ore e ore di tentativi di mediazione,e botte da orbi date con il bastone del chiarimento, mi girai e dissi con aria severa“potete per favore litigare a bassa voce?” e V mi prende ancora in giro per questo. State pensando che sono un pessimo padre? Eh, lo capisco.
Capitolo 2: Ody  e Olly
Ok, ok volete sapere di più di loro, vero? Ma come di chi? Avete iniziato a distrarvi anche voi? Delle mie piccole ragazzine-cane. Allora vi racconto tutto: le mie due bambine si chiamano Audrey, Iris e Olive, Isabelle Watt. La storia dei loro nomi è molto divertente e lunga e risale a quel momento speciale in cui abbiamo scoperto che non aspettavamo un cuoricino solo, ma ben due.
Non avevo dormito per una notte intera in attesa della prima ecografia, perché ragazzi ero felicissimo. Lei, invece, era un po’ nervosa, perché temeva che il viaggio e il regime di vita che aveva avuto durante la missione di pace, avessero fatto del male a quel bambino a cui teneva tanto. Così arrivammo con due stati d’animo totalmente diversi dalla ginecologa, che leggendole in viso l’incertezza le chiese seria se volesse tenere il bambino, facendomi venire un infarto.
Ariel sorrise soltanto e confessò piano le sue paure, spingendomi a stringerla e a tenerle la mano. E poi successe una cosa strana. Il medico accese l’ecografo e ridacchiando disse piano “oh signorina Ruiz vedrà che sorpresa…” allarmandoci entrambi. E poi lo sentimmo: era un suono strano, aveva un eco che non capivamo, e io mi spaventai a morte, ma la dottoressa disse piano “ben due cuoricini…” facendoci sciogliere come due idioti.
Due cuoricini, era bellissimo, ma significava anche che dovevamo pensare a ben due nomi, e credetemi: non fu facile. Ne vagliammo un sacco, e ridemmo anche un sacco cercando i nomi online, ma dare un nome a una persona era una cosa che mi preoccupava.
“Tanto qualunque nome daremo loro, ci verranno rinfacciati un giorno perché ne avrebbero preferito un altro, non lo sai?” mi disse ridacchiando, e io pensai solo “ah beh, adesso va meglio” ma le risposi che se non lo aveva fatto lei che aveva il nome della sirenetta, non vedevo come avrebbero potuto farlo i miei figli.
“Ah vedi? Adesso ho il nome della sirenetta, prima era quello di uno spirito mite e diafano. Come cambiano le cose dopo aver fatto sesso…” ribattè odiosa e acida, ma io le giurai eterno amore e la riempii di coccole e per quella sera fu finita lì.
Fu un periodo molto dolce la gravidanza di Ariel, scandito non solo dal mio matrimonio, ma da tanti piccoli momenti felici, come i primi acquisti per le mie figlie, il momento in cui abbiamo fatto sistemare la loro stanzetta, il giorno dell’annuncio ai parenti, e quelli degli annunci agli amici, che avevano pianto sulla spalla di Ariel, neanche fossimo a un funerale. Il loro primo calcio, guardando un film in bianco e nero, e soprattutto il giorno in cui abbiamo scoperto che quelle due erano femmine, e credetemi abbiamo pianto per due ore, e solo dopo molto tempo lei è riuscita a dire “piangi perché avrai altre due donne simili a me?” facendomi ridere. Lei era bellissima incinta, e ho perso il conto di quante ore ho passato a guardarla, ma anche ad accarezzarla e a farle dei massaggi per alleviare i problemi legati al pancione. Eppure non si lamentava mai, ma tendeva a sopravvalutare le sue forze, come sempre, e quindi il weekend prima della nascita di quelle due avevo dovuto letteralmente supplicarla di non fare un viaggio di trecento chilometri per una staffetta del canile. Poi le ho rinfacciato per anni di aver avuto ragione, ma questa è un’altra storia.
Ci mettemmo mesi per scegliere i nomi di quelle due, e non per colpa di Ariel. Ovviamente. Per calmare i nostri genitori, che insistevano ad avere voce in capitolo, ci eravamo accordati e ne avremmo scelto uno a testa. Lei, però, aveva deciso in pochissimi minuti: Olive. Era la versione inglese del nome della mamma di Raul da poco scomparsa, e io pensavo che per la mia piccola fosse letteralmente perfetto. Olive Watt…insomma sembra il nome di un avvocato o di un dottore, no? Vi risparmio la reazione di mia moglie al mio commento sugli avvocati, ma lo sapete che non li amava molto.
A quel punto, però, le pressioni sociali erano tutte su di me, perché dovevo trovare il nome per la sorella di Olive, e non mi veniva in mente nulla. Alcuni nomi li scartavo ancora prima di proporli e altri mi sembravano non all’altezza, e insomma arrivammo davvero all’ultimo momento per sceglierlo. Ariel me ne proponeva sempre alcuni, e devo dire che erano anche belli, ma volevo essere io a sceglierne uno per mia figlia. Lei, invece, segretamente era certa che avremmo scelto uno dei suoi, e alcuni me li riproponeva ciclicamente nella speranza di convincermi.
 E poi accadde il miracolo: una sera, circa tre settimane prima del parto mi accovacciai sul divano insieme alla mia mogliettina. Mi piaceva tanto quando metteva la testa sulle mie gambe e mi permetteva di accarezzarla tutta, e così spensi la testa. Faceva zapping e improvvisamente notò che un canale trasmetteva un vecchio film con la Hepburn, e Ariel lo aveva lasciato per me, e si era addormentata godendosi le mie coccole. Ci misi un po’, ma poi ebbi un’illuminazione e decisi di chiamare la mia piccolina Audrey. E l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era “E’ ovvio! Ma perché non ci ho pensato prima?”
Nella mia mente era il nome adatto alla sorella di Olive. Una giovane intellettuale bella, colta, incredibilmente elegante e fine. Nella mia mente funzionava, ma avevo una paura folle di dirlo a V, insomma se me lo avesse bocciato credo che mi sarei messo a urlare nomi a caso. Così, accarezzandola sussurrai piano “amore” e il verso che seguì mi fece capire che non era completamente in coma, dunque spavaldo aggiunsi “Ho deciso: Audrey” E lei rispose solo “no…io Ariel. Hai scelto la donna sbagliata…”
 E mentre la guardavo con aria perplessa lei spalancò gli occhioni verdi, sorrise e ridacchiando rispose “sì, ok, Audrey mi piace”. E così, incredibilmente, ero riuscito a scegliere un nome prima del parto.
 Certo in teoria era perfetto, mi aveva anche permesso di stare per un’ora accoccolato con lei a pensare al loro futuro e a inventare storie su loro adulte. Sì perché me la immaginavo la mia bellissima Audrey Watt, una scrittrice in erba o una giornalista, bellissima e sofisticata.
“Sì, Ian, ma resta figlia mia, quindi tutto questo modo di fare sofisticato non so da chi dovrebbe ereditarlo. Ok, saprà parlare un po’ di lingue e accudire gli animali. Probabilmente sarà anche una che legge, per merito tuo, ma…resta mia figlia eh!” mi rispose seria, ed io la strinsi soltanto e continuai a parlarle di come sarebbero state le nostre ragazze da grandi, facendola sorridere.
Volete sapere poi com’è finita? Indovinate chi aveva ragione? I due nomi da donna colta, elegante e sofisticata sono letteralmente scesi giù per lo sciacquone e invece del nome di una delle donne più eleganti del mondo, mia figlia viene chiamata come il cane di Garfield!!  Già perché nessuna delle due testoline era in grado di pronunciare il nome dell’altra e così Audrey e Olive sono diventate Ody e Olly. Due magnifiche bimbe, vagamente possedute, con i capelli biondi e l’atteggiamento da cuccioli di cane. Voi starete pensando “Che carino Ian con due figlie femmine” ma credetemi la situazione non era affatto semplice. Ariel ci aveva preso sul loro essere figlie della natura, ed era carinissimo il loro modo di giocare con i cani e rubare i loro giocattoli, del resto c’era Sprinkles a proteggerle fin da quando erano nel grembo materno, quindi sarebbe stato strano il contrario. Erano molto belle, e anche bambine intelligenti il giusto, ma tra le liti e la loro abitudine di manifestarsi sempre a sorpresa, non ci rendevano la vita facile.  Ariel era molto orgogliosa di loro e le adorava letteralmente, con un amore che mai avevo visto in una madre. Aveva pazienza con loro, ci parlava moltissimo, da sempre, e tirava fuori un lato che neanche io avevo mai visto. Devo dirvelo, diventare madre l’aveva resa più dolce anche con me, e io ero innamorato pazzo di quelle tre matte. Eppure le detestavo letteralmente quando interrompevano i nostri momenti romantici, che sinceramente non erano molti. Alle volte dovevamo aspettare anche un’intera settimana per avere qualche momento solo per noi e nel pieno delle coccole loro arrivavano e gridavano “Maaa falla smettere!”e lì partiva tutta la psicologia del conflitto, che mi stava davvero stufando.
 Ammetto che non era facile vivere con tre donne come loro, e che più di una volta ho pensato “Se prendo un aereo per il Costarica adesso non mi troveranno mai” ma quando ci mettevamo tutti a letto e loro si portavano la mia mano vicino alle guance e dicevano “coccole” io ero l’uomo più felice del mondo. Idiota? Eh già…è innegabile. Purtroppo l’amore è amore ragazzi, non ci posso fare nulla. Adoravo stringerle, coccolarle e inventare storie con loro e per loro. Per quanto mi facessero impazzire, arrabbiare, urlare, e desiderare di strozzarle e correre via lontano, io…semplicemente ero pazzo di quegli occhietti e di quei musetti lentigginosi! Sì, sì lo so che non ne esco fuori bene da questa cosa, credete che mi faccia piacere? Non avevo mai conosciuto quel tipo di amore, ma ne ero completamente soggiogato.
Fisicamente erano un mix perfetto dei pregi miei e di Ariel: avevano i suoi capelli, le mie lentiggini e il mio naso, ma le guance rosee di V e la sua magnifica bocca carnosa. Erano gemelle eterozigote, quindi non proprio identiche. A distinguerle, in realtà, c’erano pochi dettagli di cui uno solo molto evidente, che però spesso mi sfuggiva: il colore degli occhi. Ody aveva gli occhi verdi di Ariel e Olly aveva i miei occhi blu. Per il resto invece erano quasi identiche, anche il taglio degli occhi era lo stesso e loro giocavano costantemente con me, o forse è meglio dire contro di me. Già perché io non riuscivo facilmente a capire chi fosse chi, e quasi sempre loro mi imbrogliavano. E avevano solo due anni e mezzo.
Tutte queste mie considerazioni furono interrotte dalla mano di Ariel, che schioccò le dita davanti alla mia faccia per farmi tornare concentrato! Eh già eravamo arrivati al nostro solito luogo per la colazione, ma io preso da un milione di pensieri neanche me ne ero accorto e stavo mettendo sotto una povera suora, la quale, che  ci crediate o no, mi fece un gestaccio, lasciando me e mia moglie quasi sconvolti.
Capitolo 3:
Ci fermammo alla pasticceria per fare colazione, come sempre e avevamo intenzione di dedicarci al nostro solito rito mattutino, ma un rumore ci accolse da lontano e Ariel mi strinse forte la mano. Raul e Isabelle stavano discutendo a voce alta, come sempre ultimamente. C’era aria di crisi tra loro e questo aveva tolto il sonno a mia moglie, perché il loro matrimonio stava veramente andando a rotoli. Sapete com’è quando una storia è finita, no? Ci si attacca per qualsiasi cosa e onestamente non ricordo il motivo di quella lite, ricordo solo che provai a mettere una mano sulla spalla a Raul per consolarlo, ma lui decise di allontanarsi da solo, lasciando lei a imprecargli contro a distanza.
Era una donna molto dura, la mia cara suocera, e lo era sempre stata anche con sua figlia, tanto che, come sapete, Ariel aveva molti problemi con le emozioni. Diceva sempre che con me stava imparando a viverle e a non nasconderle, e io le sono sempre stato grato per questo, ma onestamente mi faceva paura quel lato di lei. E neanche lei ne andava fiera. Durante i primi tempi della gravidanza aveva un sacco di dubbi, temeva di non essere in grado di fare la madre, di non sapersi lasciare andare con le bambine. Eravamo molto preoccupati per questa cosa i primi tempi, ma poi la pancia era cresciuta, erano arrivati i loro nomi, e con questo un enorme amore. Ariel era attentissima a loro, e aveva smesso con tutto quello che amava per il loro bene. Non fumava, non beveva neppure il caffè, era a dieta ferrea e aveva dovuto rinunciare persino ad alcuni compiti di volontariato, perché temeva di essere morsa da qualcuno e metterle in pericolo. Quando poi erano arrivate, ragazzi, avevamo entrambi pianto di commozione e così era arrivata la certezza che lei non era come sua madre. Aveva ereditato in parte il carattere di sua madre, era ovvio, ma la signora Watt era dolce con me…quando voleva!
 Entrato nella pasticceria mi sedetti al mio solito tavolo nell’angolo e aprii il giornale. C’era gente e tutti erano troppo indaffarati per darmi retta, così decisi che avrei dovuto fare da solo e mi avviai verso la cucina per prepararmi il mio caffè, quando dalle porta scorrevole entrò la mia Ari col le mani impegnate e la mia solita colazione. Con sguardo sorpreso, ma allo stesso tempo dolce, disse “E che ci fai in piedi? Fila al tuo tavolo, di corsa.”
Obbedii, e lei fece una cosa che faceva sempre: da sempre la mattina si sedeva sulle mie ginocchia mentre leggevo il giornale e lo leggeva insieme a me in silenzio. Era uno dei miei momenti preferiti della giornata, perché finivamo sempre col farci qualche coccola o effusione. Quella mattina, però, era lei quella distratta e sfiorandole la guancia con un dito le chiesi cosa avesse, ma lo immaginavo. Per l’ennesima volta mi chiese sconsolata“credi che divorzieranno?” ed io pensai solo “spero di sì per tuo padre”, ma non volli dirglielo. Ci pensai un po’ mentre le accarezzavo il braccio e il viso, poi per fortuna fummo disturbati da nonno Angus e le sue perfide nipotine che dovevano rubarci il posto e dunque non ne parlammo più.
Rimasi a badare alle bambine e ad Angus in pasticceria per tutta la mattina e alle quattro andai al mio appuntamento con l’editore, un po’ agitato. E non avevo torto.
“Ian non ti farò perdere tempo, abbiamo  deciso di non rinnovarti il contratto. Niente di personale, è solo che negli ultimi 5 anni non sei riuscito a proporci nulla e noi non possiamo continuare a investire su di te, capisci?”
Capivo? Capivo. Questo cambiava le cose? Per niente. Ero ufficialmente un disoccupato e dovevo sfamare…ben dieci bocche. Mi portai le mani in faccia, ma non sapevo cosa dire, quando il mio interlocutore continuò “Ad ogni modo quando avrai qualcosa da farci leggere saremo molto felici di farlo, ma per ora le nostre strade devono separarsi. Spero che tu mi capisca.”
Uscii da quel bar completamente sconvolto, tanto da fare quasi un incidente con la macchina. Ero completamente fuori, non riuscivo a pensare e neanche a dire nulla. Cosa avrei dovuto o potuto fare adesso? Restare senza lavoro alla mia età, con una famiglia è davvero da irresponsabili. Era tutta colpa mia e del mio dannatissimo blocco dello scrittore.
Rimasi qualche minuto a pensare e poi ebbi l’unica idea razionale: telefonare al mio vecchio capo. Roger, il mio team manager a Los Angeles, mi aveva sempre detto che con il mio curriculum avrei potuto riavere il mio posto di lavoro in ogni momento, ma era soltanto una frase di cortesia. Ci eravamo sentiti qualche volta in quegli anni, e mi aveva chiesto spesso se avessi qualche giovane collega che volesse inserirsi nel settore.
 Lo chiamai per chiedere se avesse contatti in Inghilterra, e se potesse in qualche modo aiutarmi, ma lui mi offrì immediatamente un posto alquanto prestigioso. Era veramente folle. Una fortuna sfacciata. Servivano idee nuove, ed io da veterano avrei avuto la possibilità di dirigere un team creativo. Tutto bello, eh, peccato che ci fosse un’unica, enorme condizione: prendere o lasciare. Provai a chiedere tempo, per confrontarmi con mia moglie, ma Roger rispose solo “me ne sto già pentendo Ian, forse non sei l’uomo per noi” così preso dal panico accettai. Pentendomene dieci minuti dopo, perché non era un gesto maturo, ma ero in crisi e temevo di lasciare le mie figlie sul lastrico. Iniziai a pensare a come avrebbe reagito Ariel, e mi vennero i brividi. Si sarebbe infuriata stavolta, ed era giusto perché avevo preso una grossa decisione senza interpellarla, ma lo avevo fatto in buona fede quindi avrebbe capito, no? Sarebbe andato tutto bene, mi dissi scioccamente e tutto felice mi avviai verso la mia festa di compleanno.
Capitolo : una festa e una porta sbattuta
Rientrai a casa frettolosamente, volevo parlarle prima della festa e speravo di riucire a risolvere tutto il più presto possibile per poi goderci una notte romantica. Avevo fatto un errore, e sapevo che se la sarebbe presa, così volevo togliermi quel peso dallo stomaco. Immediatamente, però, notai che tutto era spento, neanche i cani vennero a salutarmi.
“Sorpresa!”
 Sbucarono tutti fuori da ogni parte di casa mia, e lei…oh lei era da far liquefare gli occhi. Indossava un vestito che le avevo regalato, nero, corto, aderente e scollato! Quando glielo avevo regalato, in realtà, mi aveva preso in giro in tutti i modi perchè non le sembrava una cosa che potesse realisticamente indossare, ma ragazzi le stava da Dio. La strinsi forte e le sussurrai all’orecchio “Ti devo parlare” ma lei sorridente disse “Hai tutta la notte per dirmi tutto quello che vuoi… Siamo soli per le prossime 24 ore…è o no il regalo che volevi?”
Era assolutamente magnifico. Nessuno ci avrebbe disturbato per un giorno intero, ma c’erano un miliardo di cose da fare e impacchettare perché in America ci aspettavano il più presto possibile. Cercai di non pensarci, di godermi la festa, ma non ero dell’umore adatto. Ero inquieto e volevo parlarle del nostro trasferimento immediatamente, anche perché dovevamo dirlo ai suoi e ai miei e…quello mi peroccupava realmente. Mio padre, il suo e Angus avrebbero sicuramente tentato di uccidermi. Cosa dovevo fare allora? Tirarla in un angolo e costringerla ad ascoltarmi? Eh no, non potevo farlo, non potevo rovinare la festa. Finalmente tutti andarono via e mi trascinò letteralmente di sopra, mentre un po’ sbronza, un po’ euforica giocava a fare la seduttrice togliendomi la cravatta e la giacca e baciandomi come probabilmente nessuno mai è stato baciato. Era tutto molto divertente in realtà, lei voleva sedurmi, mentre io non pensavo ad altro che al modo giusto per dirle che dovevamo andarcene. Divertentissimo. Così mi feci coraggio e provai a dirle “Amore ti devo parlare, è importante…”ma lei si tolse il vestito e scaraventandomi sul letto chiese “Adesso? E’ questo che vuoi? Parlare? Ne sei certo??”
 Ero senza fiato e quindi non riuscii a dire una parola; come uno scolaretto impacciato mi limitai a fare cenno di no con la testa e lei sedendosi addosso a me cominciò a baciarmi, a sbottonarmi la camicia e sussurrò soltanto “dopo parliamo di quello che vuoi, ma io ho tanta voglia del mio amore…”ed io, semplicemente, smisi di pensare.
 Una volta finito l’abbracciai, era stesa nel letto di fronte a me con gli occhi chiusi e uno splendido sorriso. Rimasi un secondo a guardarla, era l’immagine esatta della tranquillità, col viso disteso, gli occhi chiusi, i capelli dispersi sul cuscino e la sua bellissima bocca increspata in un sorriso. Erano quelli i momenti in cui mi accorgevo di amarla sul serio. Quei piccoli momenti in cui mi accorgevo che malgrado il carattere temibile, era piena di poesia. Restai a fissarla per qualche altro secondo, sapevo che dopo avremmo litigato, quindi volevo godermi qualche attimo di quiete prima che cominciasse la tempesta. Poi tirai fuori il coraggio, la strinsi contro il mio corpo, annusai i suoi capelli e dolcemente le dissi “possiamo parlare adesso?” facendola sbuffare forte. Ancora nuda si stropicciò gli occhi, si sedette nel letto e con aria seccata disse “Cosa c’è?Che ho fatto stavolta?”
Non sapevo bene come iniziare, così, ovviamente, cominciai nel modo peggiore possibile. Le presi il viso con le mani e mentre accarezzavo le sue labbra con il mio pollice sinistro le sussurrai solo “Tu lo sai vero che sei tutto per me? Insomma non solo ti amo, ma credo che mi esploderebbe la testa se tu mi lasciassi.”
 Avevo sbagliato, lei s’innervosì, mi tolse le mani dal suo viso e disse “ah bell’inizio! Riformulo la domanda: che hai fatto?”Era seduta di fronte a me con uno sguardo inquisitorio spaventoso, così strappai il cerotto e le dissi  tutto insieme: “Niente, o meglio niente di grave. E’ solo che non mi rinnovano il contratto di edizione. Ma prima che tu ti preoccupi e vai in ansia, devi sapere che il tuo caro maritino ha riavuto il suo vecchio contratto come sceneggiatore, e  gli hanno aumentato lo stipendio!Quindi amore mio dovremo tornare in America tra pochi giorni, anzi veramente il prima possibile, ma staremo bene e le bambine avranno molte opportunità.”
 Non mi lasciò finire, si portò una mano al cuore e mise l’altra sulla mia bocca e ridendo disse “solo questo?”
 Annuii sorpreso, perché non mi sembrava di averle detto una cosa da poco, ma per lei sembrava avessi detto una sciocchezza. Mi abbracciò forte e disse “Cazzo Ian chissà che mi aspettavo”e mentre io pensavo a quanto fosse strano e surreale quello che stava succedendo, lei mi diede uno scappellotto sulla testa e disse “Ma mi hai fatto morire di paura, stronzo!”
Poi con un sorriso dolcissimo e una tenerezza francamente inappropriata, mi chiese quanto mi avesse ferito quella notizia, se aveva devastato totalmente il mio ego. Ok, la verità era che ovviamente lo aveva fatto, perché non è mai bello sentirsi dire “ok, non sei abbastanza bravo, vattene”.  Glielo dissi, lei mi ascoltò con fare molto comprensivo e poi accarezzandomi sussurrò che avremmo trovato una soluzione, e gliel’avremmo fatta vedere. La prima volta pensai che non avesse capito, così le spiegai di nuovo la storia della California, e lì lei fece una strana smorfia e mi disse piano “Ian…dobbiamo per forza?” lasciandomi per un attimo interdetto. 
“Amore mio, ma non capisci? Non c’è un’altra soluzione! Ho quarant’anni e sono uno scrittore fallito, nessuno mi offrirà un lavoro adesso o almeno non con quello stipendio! Insomma credo che il massimo che troverei è un lavoretto da 1000 sterline al mese, come facciamo a sopravvivere?” le dissi sconsolato e lei annuì soltanto, ma aggiunse piano “…però non ci hai neanche provato. E poi non è detto che 1000 sterline non ci bastino, insomma messe insieme al mio stipendio…”
“Non sei brava a fare i conti…” le ruggii con un po’ troppo astio, e lei sconsolata rispose solo che neanche io ero molto bravo se pensavo che trasferirmi dall’altra parte del mondo avrebbe risolto i miei problemi.
“Ma è esattamente così, invece!” Ruggii ancora una volta risentito e lei stringendosi nelle spalle mi rispose “perché? Perché ti darebbe la possibilità di liberarti di me e delle tue figlie?”
Non capii quella frase, onestamente. Fraintesi e arrabbiatissimo le chiesi soltanto se quello significava che non mi avrebbe seguito e lei ruggì solo “e come, eh? Come credi che potrei fare a mollare tutto e correre dietro a te in pochi giorni?”
Rimasi per un attimo senza parole, perché da ragazzino scemo interpretai quella frase come un suo momento di orgoglio e le dissi piano “…se mi amassi, riusciresti a farlo…” rendendola furiosa.
Era rimasta abbastanza calma fino a quel momento, ma poi ovviamente si infuriò e alzando la voce mi chiese se l’amore significasse rinunciare a se stessi e a tutto, annullandosi solo per salvare l’ego ferito dell’altro. Io rimasi senza parole per qualche istante e lei lo fece: si alzò, recuperò i suoi vestiti e fece per uscire.
“Fermati…” le dissi, afferrandole un polso, ma lei senza guardarmi disse piano “Stanotte mi serve spazio, Ian. E probabilmente serve anche a te. Temo che dobbiamo rivedere le priorità della nostra vita, perché sembriamo molto lontani in questo momento…”
“La mia priorità sei tu Ariel, e le nostre figlie…” le dissi serio, cercando per un attimo di addolcirla e ci riuscii, perché per un secondo mi sorrise.
“Non è così Ian, purtroppo. Se fossimo noi la tua priorità capiresti perché è assurdo prendere una decisione così senza tenere in conto delle opinioni della tua compagna di vita…” aggiunse risentita.
“Ariel quello è stato uno sbaglio, mi sono fatto prendere dal panico, ma ammettilo: se restassimo qui le ragazze avrebbero forse un terzo delle opportunità di studio e lavoro che ci sono in California…”
“… ma crescerebbero con la loro famiglia. In un ambiente sereno e protetto, in cui possono assorbire i valori giusti…” concluse con enormi occhioni, e per un attimo mi sentii in colpa da morire, ma poi tornai sui miei passi e lei sconsolata mi spostò la mano e disse piano “pensiamoci.”
“Non c’è da pensare Ariel, dobbiamo solo partire…” le dissi serio, ma lei scosse la testa e disse solo “non è così semplice…”un attimo prima di prendere la porta, lasciandomi senza fiato. In realtà ero sicuro che lei volesse dormire in camera delle bambine o in salotto, ma mi prese un colpo quando sentii il rumore della porta del garage. Mia moglie stava andandosene, per la prima volta in tanto tempo e io avevo il cuore totalmente spezzato.
Rimasi per un po’ a pensare alla parola “spazio”. Non ne avevamo mai avuto bisogno, eravamo sempre insieme, sempre appiccicati, eppure ora sembravamo ai poli opposti del globo. Le scrissi mille messaggi e provai a chiamarla un sacco di volte, ma solo dopo un’ora mi rispose e disse solo “spazio Ian…”
“Ok, ho capito, posso sapere almeno dove dorme mia moglie stanotte?” le chiesi sconvolto e parecchio agitato e lei sussurrò piano “a casa dei miei. Sono arrivata adesso. Buonanotte…”
“Ari ti prego…” aggiunsi sconvolto, e parecchio triste anche e lei rimase soltanto in silenzio. Era il suo modo di dire “che cosa vuoi?” ma io feci finta di non aver capito e dissi piano “ti amo, e voglio partire con te. Per favore…”.
“Ma non lo capisci proprio che è impossibile se devi partire così presto come dici?” rispose seccata ed io…ragazzi, non avevo capito niente. Aggiunsi un altro “per favore” ma lei ruggì solo un saluto e chiuse la conversazione, lasciandomi da solo in quel letto che avevamo diviso mille volte.
Fu una notte d’inferno, ma alle sette decisi di andare in pasticceria. Volevo fare colazione con lei, dividere un muffin e un caffè e fare pace, ma quando arrivai nessuno sapeva nulla di lei. Provai a richiamare e non mi rispose, non l’avevano vista e a me prese un infarto.
Molly e Raul mi squadrarono con fare preoccupato, perché evidentemente non stavo dando una buona impressione, ma decisi di non dire nulla e uscii dicendo a Raul che avevamo avuto solo una banale discussione da genitori.
Provai a richiamare altre volte, spaventato a morte, ma lei mi scrisse solo che era molto indaffarata e non aveva tempo di parlarmi.
“Torni da me dopo il lavoro Ari?” le scrissi sconvolto, perché non ce l’avrei mai fatta a dormire di nuovo senza di lei, ma lei non mi rispose. Nel frattempo, invece, mi arrivarono i biglietti e il contratto da firmare, così dovetti iniziare ad avvisare almeno i miei genitori.
Sapevo che non ne sarebbero stati entusiasti, perché letteralmente amavano le mie figlie. Mia madre comprava loro strani vestiti in continuazione, cappelli e fermagli imbarazzanti che sembravano usciti dagli anni 80, con fiocchi e tulle e Ariel cercava sempre di assecondarla, ma diventava sempre più difficile. Spesso ridevamo di quegli outfit improponibili, eppure mia moglie aveva un fortissimo senso di gratitudine, e insisteva molto affinchè ringraziassimo sempre tutti per quegli orrendi regali.
Anche mio padre era parecchio preso da quelle due, e quella mattina decise di prenderle immediatamente per mano e portarle a vedere il giardino, mentre mia madre con fare serio mi chiedeva cosa avessi di strano.
“Partiamo. Dobbiamo trasferirci, per lavoro. Purtroppo mi hanno licenziato e ho trovato solo questo…” provai a spiagare e i miei genitori si fissarono con aria spaventata, ma mi chiesero solo se avessi bisogno di denaro. Spiegai tutto, del lavoro, della lite con Ariel e loro furono incredibilmente comprensivi. Mia madre si offrì anche di telefonarle, ma onestamente non andavano troppo d’accordo, quindi le dissi di evitare.
 E poi si guardarono di nuovo, mi presero la mano e sorridendo come non aveva mai fatto mia madre disse “Capirà Ian, capirà. Stai facendo la cosa giusta e lo fai per loro, non c’è nulla di sbagliato nel voler provvedere alla propria famiglia! E’ solo che lei vorrebbe restare qui con i suoi e non puoi darle torto, ma questa è una di quelle situazioni in cui non è colpa di nessuno! Anche noi vorremmo che voi restaste ma…non ci possiamo fare nulla! Succede nei matrimoni di litigare forte, ma non significa proprio niente! Stanotte lasciaci le bambine, portala a cena fuori, sii dolce e vedrai che capirà e ti seguirà senza battere ciglio!”
Non sarebbe stato così, ma provare non mi avrebbe fatto male. Così dopo aver abbracciato mia madre e anche mio padre, filai a casa per fare una doccia e cercare di convincerla a trascorrere la serata con me, eppure non avevo neanche idea di cosa mi stesse aspettando.
Capitolo: un chiarimento
Arrivai a casa immerso nei miei pensieri. Continuavo a provare a scriverle e a chiamarla, e rimasi molto sorpreso quando sentii la sua suoneria entrando in casa.
Feci il suo nome, ma non sentì, e con il cuore in gola la cercai per tutta la casa. La trovai molto indaffarata nella nostra stanza da letto. Lei e i cani avevano deciso di preparare le mie valigie, e ora ogni mio vestito era pieno di pelo e forse anche di altro, dato che Amelie e Buck stavano coccolandosi sui miei pigiami.
“Allora partiamo?” provai a sussurrarle dolcemente, sforzandomi di essere più dolce che potevo, perché quella resa da parte sua dimostrava un enorme sforzo e volevo farle capire che avevo apprezzato.
“Parti Ian…” mi rispose, fissandomi all’improvviso e a me venne un infarto.
“Non voglio partire da solo Ariel, non posso stare senza di voi…” provai a sussurrarle con le lacrime agli occhi, sconvolto all’idea che stesse realmente lasciandomi.
“Eh ma non ci sono altre soluzioni…” rispose, accarezzandomi i capelli e io mi sentii parecchio confuso e bisbigliai appena “amore una soluzione si trova. Ti prego, non può costarmi il matrimonio un maledetto lavoro…”
“Scemo…” sussurrò tenera, e in quel momento mi baciò con moltissima dolcezza. E niente ragazzi, non ci stavo capendo un cavolo. Così le chiesi spiegazioni e lei sussurrò “Ian le bambine non hanno il passaporto. Non abbiamo un visto per partire e io devo anche trovare un sostituto per Greenpeace. Partirai tu, ti faranno il contratto e il visto, poi ci raggiungerai per fare i documenti per le nostre figlie e verremo anche noi…”
In quel momento non volli sentire altro, e la spinsi sul letto, scocciando molto i nostri cani innamorati.
“Ti amo Ariel, ti adoro…” le sussurrai, coprendole il corpo di baci e lei non disse nulla. Solo molto dopo mi sussurrò piano “…allora farai il single per un po’. Pare che possano volerci anche sei mesi…” ed io rimasi senza parole.
“Sei mesi è troppo!” risposi agitatissimo, ma lei si strinse nelle spalle e fingendosi indifferente mi disse piano “non fare finta di essere dispiaciuto amore, sei mesi senza le tue tre donne è una gran bella vacanza!”
“No, assolutamente…” risposi serissimo, e poi stringendola sussurrai “Ariel io non sto con te perché non ho di meglio da fare, ma perché ho bisogno di te. Non c’è cosa che io riesca a fare senza pensare che vorrei sentire la tua opinione, senza volerne ridere con te o condividere. Sei la mia donna e la mia compagna e io…non posso stare sei mesi così, dai”
Lei rise, ma non voleva parlare e disse piano “…sì, ma sei mesi senza liti Ian…” ed io risi. Ok, quello era piacevole, ma ero triste sul serio, così mi afferrò il viso con le mani e disse solo “Lo so. E’ strano essere genitori, perché da un lato ti manca avere del tempo per te, ma dall’altro ti manca un pezzo senza di loro…”
“Non hai capito, eh biondina? Mi manca un pezzo senza di voi, Ariel…” le confessai sospirando e lei stringendomi forte disse piano “stessa cosa qui. Mi mancherà tutto di te, ma sono pochi mesi e ce la faremo…”
“E non mi lascerai dopo tutto questo tempo a distanza?” le chiesi, annodando i suoi riccioli tra le mie dita. Lei mi fissava con un’espressione dolcissima, e due occhioni enormi, ma rise sentendomi dire quelle parole e rispose divertita “che stupido che sei! Credi sul serio che rinuncerei all’amore della mia vita, nonché padre delle mie figlie, per un po’ di lontananza? Al massimo può farci bene. Insomma se non ti lascio perché mi assilli con la pulizia, hai la fissazione per l’ordine e appena appoggio qualcosa da qualche parte misteriosamente la trovo piegata e riposta o buttata, sciacqui i piatti dopo che li ho lavati, passi giorni interi a togliere i peli dei cani da ogni singola superficie lavabile, mi obblighi a vedere i film noiosi e parli in latino con le nostre figlie, perché dovrei lasciarti per sei mesi lontani? Ian, forse non ti è chiaro, ma io ti amo e ho promesso davanti ad un prete di amarti sempre e di seguirti ovunque. Hai capito testone? Ovunque. ”
“Sembra che tu abbia bisogno di una pausa da quest’uomo così noioso…” le risposi un po’ seccato e ferito, ma lei stringendomi al petto sussurrò “no, mai. Lo voglio così, anche se è il peggior rompipalle della storia” e io la baciai, ma la signora si rimise a fare le valigie.
“Dimmi che mi chiamerai sempre Ari…” le dissi, fissandola da lontano, con il magone e lei annuì e basta.
“E che non darai confidenza a quel maiale del fruttivendolo che ti fissa sempre il sedere, né a quel simpaticone del papà di Micheal che ti tampina da due anni, e neanche al fattorino della pizza che te la fa avere a forma di cuore…” aggiunsi, ormai in piena paranoia.
 “Hey signor Watt, sei tu che torni single e senza famiglia, sai? Io resterò comunque una madre, avrò comunque le mie figlie sempre dietro. Quello libero che torna alla sua vecchia vita da playboy californiano sei tu…”
La strinsi fortissimo, allora, perché non volevo assolutamente che la pensasse così, ma lei aggiunse piano “…non stare così. E’ solo una cosa temporanea. Una piccola pausa, una vacanza. Insomma alle volte siamo davvero insopportabili e forse un po’ di lontananza ti aiuterà a capire quello che hai! O forse semplicemente ti innamorerai di una cubana e ci mollerai…”
“Mai Ariel, mai…” le dissi pianissimo e lei scuotendo la testa mi prese in giro per un po’, ma poi mi strinse. Finimmo i bagagli e poi facemmo una cosa che per noi era il massimo del taboo: le coccole. Non avevamo mai il tempo per coccolarla, e così me la godetti per un po’ tra le braccia, senza pensare a nulla in particolare e lei mi strinse fortissimo.  Poi dopo circa venti minuti di relax in cui io ero felice e tranquillo lei disse una cosa che mi terrorizzò, sul serio! “Sai vero che dovrai dirlo alla mia famiglia? Come credi che reagiranno?”
Ah lo sapevo benissimo: mi avrebbero ucciso! Gli portavo via la loro Ariel e le loro piccole, nonno Angus mi avrebbe decapitato gridando frasi ispirate in stile Highlander! Così mentre ci pensavo…lei che ormai mi leggeva la mente e sapeva quasi sempre a cosa stavo pensando, sorrise e disse “Stai immaginando la tua testa su una picca, eh?”
 “Ah più o meno. Vorrei che ci fosse un modo facile…”
“Non c’è un modo facile, ma tu hai il diritto di decidere della tua vita e anche in parte della nostra, e credo che dobbiamo considerarci fortunate ad avere un uomo come te che si preoccupa per noi. A volte penso che, dipendesse solo da me, le nostre figlie sarebbero delle piccole selvagge ignoranti. Sono tanto felice che tu sia il loro padre.”
“Ari…posso registrarlo per la prossima volta che farò una cazzata?” le dissi ridendo, ma lei mi prese in giro e basta.
E così sprecammo parte della nostra serata romantica a parlare con la famiglia di V, che come previsto la prese male. Quando ci videro arrivare si allarmarono, e quando V gli disse “Sediamoci” si  terrorizzarono e Raul chiese “divorziate?”
 Lei sorrise, mi prese la mano e disse “No, ma dobbiamo andare via dall’Inghilterra. Ian deve tornare a lavorare in America e partirà domani sera. Io e le piccole resteremo per un po’, fino a quando non avrò i loro documenti e poi andremo a vivere tutti in California!”
Angus non disse una parola, semplicemente sbattè il pugno sul tavolo, si alzò e andò via e quando V provò a dire qualcosa lui gridò soltanto “Non voglio vedervi adesso, potrei dire cose di cui mi pentirei! Mi state portando via le mie nipoti e non posso dirvi quello che penso di voi ora.”
Ariel sorrise e scosse la testa, io invece non riuscii a capire. Molly sorrise e cercò di giustificarlo dicendo “non dategli retta, è solo sorpreso, insomma lo siamo tutti.” Guardò Isabelle e Raul cercando complicità ma…non la trovò. Raul ci guardò malissimo e disse “e da quando lo sapete?”
Ariel spiegò loro tutto quello che era successo il giorno prima, e Raul allora mi guardò con l’aria di chi è stato tradito e disse “Ah queste sono “cose da genitori”?”
 Annuii, ma non potevo sorridere, mi sentivo incredibilmente in colpa e avrei voluto che tutto questo fosse finito il prima possibile ma…non finiva mai! Anche Isabelle aveva qualcosa da dire e…ebbe l’effetto di una bomba carta!
“E così lui parte e tu lo segui come un cagnolino? Senza badare alla tua famiglia, al tuo lavoro qui e al fatto che sei felice? E’ questo che ti ho insegnato? Davvero? Ed io che credevo di averti insegnato a pensare con la tua testa e ad essere indipendente. Sei un fallimento Ariel. Rimani qui, tieni con te le bambine e lascialo andare per la sua strada…”
 Ora, conoscendo Ariel pensai che sarebbe esplosa, ma non lo fece. Mi guardò, si alzò e disse “In nessun universo mamma. Noi abbiamo bisogno l’uno dell’altra, e questo si chiama amore, non debolezza. E anche senso di responsabilità verso quelle due piccole che sono innamorate pazze di lui e che lui adora. E sì, sono felice qui, mi mancherà la mia famiglia e mi piace il mio lavoro, ma ho scelto di dare altre priorità alla mia vita, e queste tre persone per me contano più di tutto. Quindi, sinceramente, non me ne frega un cazzo se una persona egoista come te non riesce a capirmi.”
 Era letteralmente calato il gelo in sala e nessuno osava parlare. Io, lo ammetto, ero imbarazzato e non sapevo bene cosa pensare o dire o fare. E poi lei continuò “In fin dei conti non ho mica bisogno del vostro permesso? Giusto per essere chiari: non vi sto chiedendo di approvare le nostre scelte, ma semplicemente di prenderne atto. Non partiamo per cambiare aria, ma perchè Ian non ha lavoro. Adesso noi andiamo via, passeremo domani con le bambine, vi prego di comportarvi in modo civile davanti a loro. Buonanotte.”
Così uscii da casa loro senza dire una parola, ma devo dire che il discorso di Ariel mi era piaciuto da morire. Quando non era aggressiva con me, ma con qualcun altro la adoravo! Mi aveva difeso da ogni tipo di attacco e poi…beh quello che aveva detto su di lei e sulle bambine mi aveva colpito così, mentre lei guidava assorta nel suo mondo, canticchiando la solita musica mi avvicinai al suo collo e le sussurrai “ti amo!” E lei…si terrorizzò e per un attimo rischiammo di finire fuori strada, ma andò bene.
   
 
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