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- D'un tratto
- la luna riuscì a passare per quell'ammucchiata
- di nubi e a sistemarsi bella linda
- tonda nel cielo; più morbida
- ed evanescente, più tonda e bella
- brillava nell'acqua del fiume,
- dove un rapido vapore passando,
- la sbrindellò.
- (Un tratto della poesia "La luna coperta" di Rino Passigato)
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Il
risveglio fu un improvviso spalancarsi di cielo pieno di nuvole davanti
a sé.
Fece la
smorfia con cui di solito ci si protegge dalla luce, ogni ricordo della
sera
prima era come velato da una patina di attutimento; gli occhi gli si
erano
fatti sempre più piccoli dal sonno, e poi si era svegliato.
Tramortito
fece per alzare il braccio sinistro e sfregarsi gli occhi col pollice e
l’indice, ma qualcosa gli fece resistenza; improvvisamente
era difficile
muoversi.
Si divincolò
con una comica confusione tra vergogna ed irritazione per sfilarsi
dalla presa
di Bulma, che aveva prediletto il suo petto come guanciale e era
avviluppata al
suo braccio con la tenerezza e l’amore con cui ci si
abbraccia al peluche che
assolve l’importante compito di conciliarci al nostro sonno
profondo.
Bulma si
mosse infastidita e picchiò la testa contro la roccia dietro
di sé. Scattò in
avanti col busto e le mani afferrate alla nuca, soffocando con i denti
l’urlo:
il dolore l’aveva distinto benissimo nel sogno leggero che
già dissolveva e
impallidiva contro la forza dirimpetto della luce fuori dal sonno.
Smarrita,
superfatta di trovarsi lì, talmente abituata era a trovar
sotto un divano e il
groviglio di una coperta, si mise a tastare e a guardarsi in giro.
Ma non
era solamente agitata perché non si trovasse in una casa,
era secondario, aveva
il senso che non avrebbe dovuto essere sola, di essersi addormentata
col sottofondo
più morbido del silenzio di un respiro e di un cuore che
batteva contro
l’orecchio.
Alla fine
sbuffò, contrariata, ragionò come il suo orgoglio
voleva che ragionasse e
mentre si raddrizzava piano e stirava il vestito di balze con la mano
pensò che Vegeta
fosse troppo assorto nel ruolo del guerriero Sayan duro e puro per
poter
pensare di rimaner lì a vegliare sul suo sonno, anche giusto
perché volesse
assicurarsi di conservarla per il plenilunio; non voleva più
aggiustarsi il suo
piano? Si permise di compiacersi ed il labbro superiore si
stirò in un
sorrisetto strano che non donava alla sua bellezza azzurra per
contrasto con l'aspetto angelico.
Per il
sonno in arretrato il suo volo verso casa fu malfermo e diseguale e, insonnolita che
era, cominciava a
perdere il controllo dei nervi e l’attenzione perdeva presa
sui contorni delle
cose.
Dormire
sul suo divano le avrebbe fatto bene almeno fino alla festa.
Eppure,
con un senso di più fine della ragione, sentiva che ci fosse
ancora qualcosa ad
incombere sul suo destino.
-Sarà
bellissima, sarà stupenda, la vedrò per la prima
volta tutta intera!- Lah era
in paradiso.
Bulma,
tesa, in ripensamento si artigliava i capelli con le mani, li tirava
su, li
teneva in pugno in una coda, li scioglieva lungo le spalle in tanti
marosi
azzurri, ne attorcigliava ciocche attorno all’indice, li
tormentava come se venisse da
loro la colpa di tutto e se li gettava dietro le spalle.
-Ci sono
le nuvole- ringhiò con la voce depressa di chi vien a
proclamare la stessa cosa
la seconda centinaia di volte perché il messaggio ha
problemi a filtrare –non
si vedrà nulla!-
-Si
schiarirà! Ne sono sicuro, me lo sento qui!- si batte i due
pugni sul petto stretto,
poi unì le mani e si rivolse al soffitto come uno che prega
–Oggi facci vedere
una luna piena stupenda- recitò. Chiaro che per lui
l’apparizione del disco
avesse il valore di una festa e non della fine del mondo “non
ne sa niente!”
pensò Bulma “e non è chiaro neppure a
me ciò che accadrà!” si disse.
Dopo i
capelli toccò alla coda, se la legò sotto la
gonna corta in modo che non
facesse impressione alla gente.
Lah con
quell’egoismo della felicità le sorrise nel tal
candore dei suoi otto anni, che
lei, alla vista di Maya appariva con più risalto abbattuta e
floscia sotto
tutti i problemi.
-Allora?
Tu non ne sei impaziente? Io si? E tu? E tu?-
Bulma
deglutì.
Maya, con
la sua finezza di fiuto, sentiva il disagio nell’aria e guardava Bulma
perforandola con lo
sguardo da dietro.
Bulma
effettivamente percepì un dolore ficcante alla nuca e si
voltò verso la donna
venuta dalla stanza attigua.
-Cosa
c’è?- fece una smorfia, seccata,
appuntò i gomiti, e ricambiò lo stesso sguardo
squadrandola dalla cima delle antenne allo smalto delle unghie.
Era a
piedi nudi decorati con l’henné, sotto tutti i
bracciali che portava non si
vedevano più caviglie ed avambracci.
L’abito
era senza maniche, d'un candore smagliante, lungo e stretto ad
evidenziare il punto vita
sottile con una cinta rossa, Bulma si sentì impallidire al
confronto.
Le
antenne lunghe e nervose, che aveva gettate dietro la schiena, si
intrecciavano
e si scioglievano tra loro allo stesso modo di un terrestre che si
sfrega le
mani con risolutezza preparandosi a adempiere qualcosa di ingrato.
Dallo
strofinio crepitavano sprazzi di corrente.
-Nulla…-
era evidente che non capiva l’insistenza di Bulma a
presentarsi ad una festa, e
si vedeva che non si era mai fatta vedere molto nella città
per pura
abitudinaria asocialità.
Ma suo
figlio era felice di andarci e questa era l’unica cosa che la
mandava avanti
nel suo proposito. Lah saltellava raggiando gioia dagli occhi grandi di
blu
monocromo e scuro verso tutta la casa.
Afferrò
Bulma per entrambi i polsi con ansia di far tardi, tirando con
imprevista forza
verso l’uscita.
-Dai!
Dai!- faceva estasiato –Dai! Dai!- indicava a dito i fari
delle coreografie
luminose che superavano i grattacieli e brillavano nel fiume.
La festa
aveva esattamente l’aspetto del grande caso planetario che
Bulma si era
immaginata: un corteo esaltato di gente fatta, procedeva per le strade
inglobando e fagocitando chi trovava di traverso alla strada.
Lo
spirito che presiedeva all’euforia generale della festa si
impossessava di loro
per trascinarli nell’ eccitazione con cui si ballava,
cantava, si correva per
arrivare in testa.
Una corte
di aliene vestite come damine bianche dalla faccia pitturata
d’argento e
polveri blu interpretavano con grazia la parte di tante piccole lune al
seguito, coprendo la scia della sfilata di polvere argentea e svolazzi
dei loro
veli trasparenti.
In cima
al corteo i funamboli camminavano sulle mani, in mezzo alla folla
qualche
alieno schioccava le dita e da queste partiva un fuoco
d’artificio incorporeo
che travolgeva di luce purpurea e di fiammate la folla festante.
Al centro
un carro con una strana forma di stereo accompagnava con musica la
marcia
entusiasta di milioni di gente, insieme ad aliene dalla pelle di un
verdastro
sgradevole a contrasto col tema argentato a cui si ispirava
l’aspetto di tutti,
ma con i visi delicati di donne
terrestri e voci da soprani talmente potenti ed aggraziate da commuover
fino
alle lacrime.
Bulma
rimase, contro tutti i suoi sforzi, intrappolata e sedotta da tutta la
bellezza
della corte della luna, dalle voci bellissime,
dall’eterogeneità di razze
vestite tutte dello stesso tema, dalla maestria dei funamboli che
improvvisavano con doti straordinarie, che i terrestri non potevano
immaginare
di imitare nemmeno nei loro sogni più vivaci, salti di
metri, avvitamenti,
piroette.
Lo
spirito della corrente d’eccitazione padroneggiò
anche la sua volontà e la
buttò sempre più a fondo nella marcia allegra: si
sparse la faccia di
brillantina blu, saltava a ritmo di tutti, ogni tanto faceva bella
mostra si
sé, dell’arte di volare, la gonna le si sollevava nella
corrente e lei si stagliava in volo
contro la luce dei fari sul cielo di nuvole. Perdette d'occhio il
rischio che si correva comunque (la luna, dietro le nuvole, continuava
sempre a esistere) e perdette Maya e Lah.
Ritrovò
Maya con la faccia tutta pitturata come le damine e come lei,
volteggiava nel bel mezzo di
un gioco pirotecnico. Tutti gli alieni, e soprattutto quelli che non
erano
natali del pianeta, facevano bella mostra di doti magiche, senza meno
anche Lah
e Maya si esibivano.
Vide Lah
in testa al corteo dei funambuli che correndo urlava “Bastone
allungati”.
Ficcò il
bastone in una buca nell’asfalto: l’asta si
piegò e come una catapulta lo
proiettò verso l’alto, lui era in paradiso e si
soffocava con le risate.
Eppure,
di solito quando qualcosa è troppo bello per esser vero,
vuol dire che non lo è:
Bulma, improvvisamente ferma in strada, mentre quella corrente di gente
entusiasta le scorreva attorno e le scivolava addosso, sentiva che era quello il
caso.
C’era un
ombra scura sulla città, e non si trattava di nuvole.
Come in
risposta affermativa, due mani come badili si chiusero sui suoi fianchi
stretti
e tirarono verso acque più tranquille. Fece ogni resistenza:
si attaccò alle
braccia di sconosciuti, urlò aiuto, si aggrappò
con tutte le forze ad un lampione,
che come pastella prese l’impronta dell’interno del
suo pugno stretto. Quando
fu fuori dal cuore vivo della festa uno dei badili le tappò
la bocca, troppo
enorme anche per morderlo, l’altro la inchiodò a
qualcosa di duro. Girò la
faccia per quanto glielo permettesse la mano ruvida e si accorse di
essere
attaccata a Napa.
In
risposta al suo sguardo terrorizzato il gigante si leccò le
labbra -Ma che
bella mise- il vestitino striminzito le parve più
striminzito che mai e sotto
la seconda pelle della brillantina sentì il sangue alla
faccia un po’ per la
vergogna un po’ per l’aura che saliva.
A testa
in giù le svolazzò davanti prima la folta
capigliatura di Radish poi la faccia
del medesimo che calava per mettere il viso in linea col suo.
Fece una
smorfia, raddrizzò il volo e le atterrò davanti
coprendola tutta nella sua
ombra.
-Ma
guarda come siamo carini questa sera- proseguì Napa, che si
beccò uno occhiata assassina
dal compagno.
Bulma si
agitò per resistere alla stretta e rispose sotto la mano, ma
ne venne fuori un
verso simile a –Afhiupho!-
Vegeta
venne fuori dalla zona di semiombra dove era stato fino ad allora,
nella solita
posa statuaria, con gli occhi stretti che splendevano come diamanti
appuntiti e
duri.
Bulma lo
vide ammantato del fascino che gliene veniva ad essere nel suo elemento
ideale e per un attimo fu spaesata sul modo di reagirvi. Se dar retta
all’istinto di esser docile e contrita che ispirava Vegeta o
se resistere una
volta di più a tutta l’arroganza con cui i Sayan
speravano di fruir della sua
nuova energia così disgustosamente affine alla loro.
Perché,
ne era certa: se erano lì, se lei era lì con
loro, era perché le strade
attraverso cui può compiersi un destino sono tante, ed il
destino di Bulma era
davvero ingrato.
Mezz’ora
dopo
-Dov’è?
Bulma dov’è?-
-Mamma!
Mamma!- pianse Lah –L’abbiamo persa di nuovo.
L’abbiamo persa di nuovo-
-No, Lah.
Non piangere. Non è persa, è da qualche parte- Si
inginocchiò davanti a lui,
asciugò una lacrima e gli prese il viso nelle mani.
-Vola in
alto. Più in alto che puoi. Cercala da là. Non ho
mai visto nessun altro con i
capelli azzurri-
Lah tirò
su col naso, annuì, e decollò.
Era
preoccupata, Maya: il giorno di luna piena Bulma, l’ultima
Sayan di cui si
sappia sul pianeta, sparisce. Il cielo non dava nessun segno di
schiarita, non
c’era verso che Maya conoscesse in cui si potesse trasformare
un Sayan senza
luna piena. La corrente d’eccitazione l’aveva
completamente abbandonata.
Passò
mezz’ora.
L’ignoranza
di tutte le maschere e di tutte le persone smascherate, degli acrobati
e delle
damine, ma soprattutto la musica che le suonava vibrando attorno, ed
anche dentro il torace, erano
tutte cose che, mentre si sforzava a pensare, contribuivano a
mantenerla in uno
stato di esasperazione non lontano dalla pazzia.
Si prese
disperata la fronte tra le mani, mentre le antenne le si rizzarono in
tutta la
lunghezza
sulla testa, rendendola alta più di tre metri.
Intanto,
sul tetto, una luna sorgeva pallida e languida come un fantasma.
Radish lo
fissò una volta di più con gli occhi che lo
volevano uccidere.
-Che
vuoi! Non vorrei che le esplodesse il vestito!-
-Efhplohdule!-
si agitò Bulma sotto la mano –Uhaaaa-
piagnucolò -Nun vullioh efhplohdule! Nun
fhatumu efhplohdule!-
-Le tappi
bene quella bocca?- Vegeta con somma sopportazione si infilò
la mano nel collo
della battle-suite cavandone fuori un telecomando con due pulsanti:
“accendi” e
“spegni” e tre occhiali dalle lenti gialle che
passò ai suoi soci.
Napa
liberò la bocca della ragazza solo per schiaffeggiarla
facendole uscire il
sangue dal labbro.
Il pianto
nella voce di Bulma si attenuò di nuovo nel palmo della mano
di Napa e anche le
lacrime finirono tra le sue dita.
La
giovane Sayan si dibatté nella rete come un pesce in fin di
vita, che
nonostante sia più morto che vivo ha ancora in corpo
l’istinto della
sopravvivenza a perseverare al posto della ragione. E così
resistere per lei
era l’ultima fatica prima di diventare una distruttrice della
risma adatta alla
sua razza: se così doveva andare, voleva ricevere il
battesimo del sangue
non senza non poter dire di avervi opposto ogni brandello di forza.
La gamba
sinistra si allungò a dare un calcio alla tibia di Napa, non
si illuse neanche
per un momento di fargli male, ma si azzoppò da sola.
Siccome
insisteva a provare Napa la sollevò da terra lasciandola
scalciare a vuoto. Se
la sistemò meglio in braccio, tappò meglio gli
urli e seguì Vegeta fuori dal
vicolo.
Uscirono
nella luce del lampione, passando per una strada secondaria adiacente,
anche lì
la corte della luna aveva lasciato il segno del suo passaggio.
Due vie
oltre la festa continuava ignara.
-Bulma!-
La
ragazza sollevò gli occhi lucidi al cielo alla ricerca
dell’ultima speranza. Lah
era un puntino sulle nuvole che veniva verso di lei. Bulma si
spaventò ancor di
più di quello che stava per succedere: si dimenò,
urlò sotto la presa di Napa,
cercò di far capire a Lah di allontanarsi, poiché
lei stessa non sapeva quanto
poco avrebbe risposto delle sue azioni.
-Chi
sono? Bulma!- urlava, e tutti ora guardavano il piccolo alieno viola in
mezzo
al cielo.
Vegeta
brandì il telecomando ironicamente cerimonioso
all’indirizzo di un palazzo
dietro il quale la sfilata carnevalesca era nel pieno dei suoi
festeggiamenti, che
non si facevano certo scoraggiare dalla mancanza della festeggiata.
Sembrava
che per la luna non ci fosse un momento migliore in cui fare un
ingresso
trionfale nel cielo.
Indirizzò
a Bulma un sorriso che diceva “Alla fine ho vinto
io” ed in merito a questo schiacciò
il pulsante “accendi”.
Un raggio
partì dalla macchina sul tetto del grattacielo e la sua luce convergeva
tutta in un disco
pallido che simulava, raggiandole intorno, onde Bluz. Lah si stagliava
proprio
davanti alla luna, oltre i palazzi qualcuno alla festa se
n’era già accorto, ma
Bulma era immobile, Napa le aveva liberato la bocca. Non urlava
più, ma aveva
le labbra schiuse delicatamente e gli occhi spalancati quanto li aveva
grandi,
le pupille si dilatavano lentamente e specchiavano la luna.
Dalla
gola le salì una specie di risucchio strozzato, come se
stesse per morire
asfissiata, la coda le si era liberata dal nodo e le si agitava sotto
la gonna.
-Beh?-
fece Napa che ormai l’aveva lasciata del tutto e le stava
dietro fissandola da sotto
gli occhiali –perché non si trasforma?-
Radish
gli diede uno scapaccione sulla nuca –La prima volta ci vuole
un po’ di tempo,
e poi lei è una femmina!-
All’improvviso
un battito di cuore violento scosse le spalle di Bulma, poi, dalla gola
le salì
di nuovo il rumore di soffocamento e grugnì qualcosa con
dolore –Non respiro!
Non respiro!-
I colpi
si erano fatti più veloci e ora la squassavano tutta, e Lah
aveva la curiosa
impressione che i vestiti le aderissero di più.
Ad ogni
pulsazione del cuore una specie di corrente elettrica la attraversava
facendola
vibrare di dolore, ad ogni ripresa sembrava incurvarla ed allargarle
spalle e
collo. Ora aveva grosse spalle forti e gobbe come quelle di una scimmia
e un
mostruoso collo taurino, anche le braccia sembravano più
lunghe.
Bulma ruggì
di dolore con la voce umana quanto l’aveva alta, e come nello
sforzo di uscire
dalla sua pelle prese a contorcersi in maniera sempre più
rivoltante, finché
non divenne il doppio dell’altezza di Napa con grossi tendini
tesi come corde
di chitarra.
Lah rimaneva
con la mascella cadente diviso tra il sollievo di essere troppo in alto per
essere nella portata di Bulma e tra il dubbio che si sarebbe ingigantita.
Bulma ora
era tre metri di muscoli fuori taglia ed il vestito le si era
sbrindellato
addosso, ma sulla nuca il pelo azzurro le si infittiva e le spuntava
incolto
sulla schiena, il pelo delle sopracciglia aveva debordato su tutta la
faccia ed
il muso le si allungava ed imbruttiva come quello di una scimmia ad
ogni
pulsazione del corpo.
La coda
azzurra, ora, era spessa come un palo della luce…