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Autore: Farkas    20/06/2021    2 recensioni
Le sorelle Halliwell e i loro compagni hanno affrontato tante sfide nella loro vita, ma forse la più grande è l'essere diventati genitori.
Fare il genitore è molto più dura che che affrontare le forze del male, ma può dare molta più soddisfazione.
Una raccolta che presenta alcuni importanti momenti tra i figli delle sorelle e i loro genitori.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Paige Matthews, Phoebe Halliwell, Piper Halliwell, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Genitori e figli

Capitolo 12: La giornata del papà

 
“La compassione non è una relazione tra il guaritore ed il ferito. È un rapporto tra eguali. Solo quando conosciamo la nostra stessa oscurità possiamo essere presenti nel buio degli altri. La compassione diventa reale quando riconosciamo la nostra comune umanità” - Pema Chödrö
 
 
Rimpianto, curiosità e doveva ammetterlo noia. Ecco cosa lo aveva portato a seguire il ragazzo dopo che aveva svelato la verità a Phoebe. Anche se ormai sapeva tutto era ridicolo sperare che qualcosa cambiasse.
Aveva visto il rapimento e il salvataggio dall’ex-moglie, ed era rimasto sconcertato dall’identità del soccorritore quanto quest’ultima (a onor del vero Julian aveva avuto una mezza idea di lasciare Phoebe come l’aveva trovata, ad attendere la fame e la sete, ma non era crudele fino a quel punto). Quindi concentrandosi sull’altro mezzodemone l’aveva raggiunto a Boston… o meglio aveva cominciato a fissare Boston dal Vuoto.
Boston. Chissà come e perché era finito a vivere lì.
Julian. Si chiamava così. Quell’essere così simile a lui, suo figlio. Chi aveva scelto quel nome? La messicana con cui viveva forse?
Quel cupido aveva avuto tre mini-Phoebe che lo avrebbero sempre amato a prescindere da tutto il resto. A Cole era toccato quel tipo che gli somigliava tanto. A guardalo bene, poteva vedere anche abbastanza dei suoi genitori in lui, ma dei lineamenti di Phoebe non aveva ereditato proprio un bel niente. L’unico tratto che avessero in comune era il colore degli occhi, ma lo sguardo del ragazzo non aveva nulla a che vedere con quello della strega. Era il suo sguardo, solo marrone invece che verde.
Comunque se era stato un colpo scoprire di avere un figlio, lo era stato anche scoprire che fosse al servizio di Tremotino. Aveva sentito parlare di quello lì, ma d’altronde chi non ne aveva sentito parlare? La sua misteriosa organizzazione era una leggenda. Esisteva da millenni e se ne sapeva pochissimo. Tremotino e i suoi servitori colpivano all’improvviso, poi tornavano a sparire nell’ombra a volte anche per decenni. Il mago non era leale a nessuno se non a sé stesso, e i suoi seguaci erano leali unicamente a lui.
Tanti credevano fosse solo un personaggio leggendario e invece…
In ogni modo Cole non era interessato a Tremotino ma alla vita di suo figlio e a coloro che ne facevano parte. Subito dopo Reyna e Bay nella gerarchia affettiva di Julian veniva Gayle, una maga al servizio di Tremotino. Se Reyna era sua madre e Bay sua sorella, Gayle era la zia figa.
Poi c’erano gli stregoni buoni Robert e Barry, Emmett il figlio sordo di Robert e fidanzato di Bay, e Caitlin la skinwalker ragazza di Barry.
Infine c’era la ragazza di Julian (una mezzodemone con poteri precognitivi? Il figlio di Benjamin non riuscì a trattenere una breve amara risata, quando lo seppe. Il destino talvolta sapeva essere proprio beffardo). Un bellissimo e pericolosissimo fiore venefico…
Per quanto alcuni non fossero proprio tipi rispettabilissimi, Cole fu costretto ad ammettere che nel complesso era tutta brava gente e ciascuno di loro teneva sinceramente a Julian, ma non riusciva a capacitarsi di come suo figlio potesse preferire loro a Phoebe.
 
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I dieci anni pattuiti con Tremotino finirono, ma Julian decise di rimanere al servizio del mago. Quello era l’unico modo di vivere che conoscesse e non aveva voglia d’impararne un altro. E poi perché avrebbe dovuto? Il lavoro gli piaceva, era affezionato ai colleghi e credeva in ciò che facevano.
D’altronde non era certo l’unico che avesse scelto di rimanere al servizio di Tremotino. Reyna non ne era stata proprio felicissima, ma aveva capito. In fondo lei aveva fatto lo stesso.
Un’altra cosa di cui la messicana non era stata felicissima, ma che aveva dovuto accettare era stata Elena. Per quel poco che ci aveva avuto a che fare a Reyna, non era mai piaciuta: intelligente, subdola e misteriosa, sembrava capace di volgere qualunque situazione a suo vantaggio. In più paragonate a lei, parecchie modelle sembravano più adatte a pulire un porcile che a sfilare in passerella… un’arma che la donna sapeva benissimo di avere e che non si faceva il minimo scrupolo a sfruttare.
Tremotino aveva deciso di mettere lei e Julian in coppia per una missione importantissima e i due si erano ritrovati a passare un sacco di tempo insieme… scoprendo di avere personalità e interessi simili. In più finirono anche per salvarsi la pelle a vicenda, in un sacco di occasioni.
Julian si era ritrovato a pensare a Elena sempre più spesso. Tutto gliela faceva tornare in mente. Lo zampillio della fontana vicino a casa, gli faceva pensare alla sua risata, i raggi del sole riflessi sul vetro, brillavano come i suoi occhi e la sua voce ... era avvolgente, maliarda e irresistibile come ogni altra cosa di lei. Quei lineamenti perfetti, quella chioma folta e setosa… quelle manine deliziose… quel suo modo di camminare…
“Piantala imbecille!” si redarguiva ogni volta che la sua mente deviava verso quella donna. “Tu non sei fatto per queste cose! Vuoi finire come tuo padre e tuo nonno?”.
Non che Elena non avesse problemi del genere: in effetti aveva cominciato anche lei a essere presa dal pensiero dell’altro mezzodemone sempre più spesso, e sempre più a lungo. Sapendo che si sarebbero dovuti vedere, aveva passato almeno quaranta minuti davanti allo specchio a scegliere il look ideale.
Julian era così bello. E forte. E sotto quella scorza dura, anche gentile.
Era ovvio che aveva sofferto come lei. Forse per questo si trovavano così bene insieme. Lui la ascoltava. La capiva. E passare tempo con lui, la faceva sentire felice.
Pensieri pericolosi per una che non voleva legami, quelli. Ma Elena proprio non riusciva a impedirsi di farli. Né di sospirare dolcemente mentre li faceva.
Fu solo quando Tremotino protestò per la lentezza del loro lavoro che i due si resero conto di stare procedendo come lumache. D’altronde passare metà del loro tempo a chiacchierare di qualunque stupidaggine venisse loro in mente, e l’altra metà a sospirare pensando l’uno all’altra aveva decisamente diminuito la loro operatività. Così si ritrovarono a dover lavorare il doppio.
Mentre correva a prendere il necessario per ultimare una pozione, il tacco di Elena si ruppe e lei cadde… o meglio sarebbe caduta, se Julian non l’avesse subito presa fra le braccia.
Un attimo dopo la ragazza alzò lo sguardo e gli occhi dei due s’incontrarono. Marrone nel marrone. Dolore nel dolore. Mezzodemone e mezzodemone. Elena si alzò sulle punte, mentre Julian si chinò verso di lei. Le loro labbra si incontrarono a metà strada, mentre gli occhi si chiudevano. Dopo il bacio, Julian la prese in braccio.
-Vieni con me- sussurrò Elena teletrasportando sé stessa e il ragazzo nella sua camera da letto.
Non ci fu corteggiamento, non ci fu seduzione. Semplicemente accadde. E poi accadde di nuovo. E ancora e ancora. A Julian ed Elena pareva di aver finalmente ottenuto qualcosa di cui avevano avuto fame per tutta la vita, e di non essere in grado di saziarsene.
Inoffensivo, in genere era l’ultima parola da usare per descrivere Julian Turner ma era proprio così che si riduceva in quei dolci momenti rubati con Elena. La testa appoggiata sulle sue ginocchia, le belle mani della ragazza che lo carezzavano, gli occhi totalmente persi nei suoi, diveniva incapace di far altro che vezzeggiare la sua amante in ogni modo possibile.
E poi quando si baciavano… aveva l’impressione che le loro bocche fossero fatte apposta. E che lui ed Elena fossero essere venuti al mondo, solo per rendersi felici a vicenda.
Tutte le sue difese crollarono. Un giorno in cui erano finiti a parlare di come Tremotino li aveva reclutati Julian arrivò anche a parlarle di Elizabeth, della Sorgente, di Phoebe e di Cole. Cose di cui non aveva mai parlato, adesso diventavano cose che desiderava condividere.
Un tempo, Elena avrebbe sfruttato l’amore di un essere così potente in cento modi diversi, ma solo l’idea di manipolare Julian, la faceva sentire un mostro di doppiezza.
Inizialmente non dissero nulla a nessuno. Mica era una cosa seria o almeno così si dicevano. Ma Reyna notò di come Julian, anche a missione ultimata, passasse sempre meno tempo in casa e di come quelle volte che c’era, sembrasse sempre con la testa fra le nuvole.
Poi la donna trovò una macchia di rossetto viola, su una delle camicie del figlio. Elena adorava mettere il rossetto viola.
In ultimo rilevò anche come ogni volta che ci fosse bisogno di una veggente per qualcosa, suo figlio volesse rivolgersi ad Elena. Come si precipitasse da lei, ogni volta che aveva una minima scusa per farlo. E di come alle riunioni, si sedessero sempre vicini.
Alla fine Reyna, ormai certa del fatto suo, decise di prendere la situazione di petto appena ne ebbe una possibilità.
- Senti, per le intenzioni di quella strega Elena dice…- cominciò Julian.
-Sembra che l’opinione di Elena conti moltissimo per te-.
-Be’ è una veggente potentissima… e poi è anche molto intelligente-.
-Ed è bellissima- osservò Reyna sperando che i suoi sospetti fossero infondati.
-Lo è- convenne in tono sognante il ragazzo.
-Dimmi un po’… per curiosità, cosa pensi, la renda così affascinante? -.
-Cosa non ha che la renda bella? - fece perplesso il ragazzo, prima di parlare di dettagli dell’aspetto di Elena, impossibili da notare per un osservatore occasionale.
-E tu ne sei innamorato- concluse Reyna trovando che quel tono dolce e carezzevole con cui descriveva la ragazza (che per lei era stato un’ulteriore prova), stonasse in bocca al figlio.
-Sì. Cioè… COSA?! Ma quando mai. Io… - fece Julian sconvolto quando si rese conto che Reyna aveva portato lì il discorso, solo per coglierlo in flagrante.
La donna scosse il capo: -Elena. Proprio Elena. Non ti ho mai visto interessato a una ragazza, da quando ti conosco. Pensavo tu fossi gay, asessuale o che… e invece ti sei fatto accalappiare da Elena-.
Come se Elena avesse la peste! La sorpresa di Julian si mutò in collera.
-Che c’è che non va in Elena? Ti ricordo, che sono un mezzo mostro quanto lei… o Bay-.
-Lo so, ma…- cominciò Reyna. - Insomma… ha quasi seicento anni! -.
-E allora? Potrei vivere benissimo quanto lei! -.
-Sì, ma non potrai mai colmare questo divario… insomma lei è una donna con secoli di vita sulle spalle e tu…-.
-Sono un bambino? -.
-Ma certo che no. Purtroppo, dubito che tu abbia mai potuto esserlo, ma soprattutto… -.
-Soprattutto? -.
-Senti tu sei una brava persona. Mi hai sempre dato l’impressione di esserlo. Elena… non tanto. Non dico che non tenga a te o a quello che c’è fra voi… ma temo tenga molto di più a sé stessa- buttò fuori d’un fiato Reyna.
Il volto del ragazzo venne trasfigurato dalla collera.
-Mamma, te lo dico con garbo e gentilezza: FATTI I FATTI TUOI! - sbottò prima di sparire in una fiammata.
Reyna nel mondo normale e Cole nel vuoto gemettero in sincrono. Per quel poco che aveva visto di Elena, Cole tendeva a dare ragione alla messicana.
 
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Julian la mattina dopo, si risvegliò nel letto di Elena. Saputo tutto, lo aveva fatto restare con lei.
-Senti… perché oggi non facciamo qualcosa insieme? - azzardò il giovane Turner, mentre la sua amante si pettinava di fronte a un grosso specchio.
-Qualcosa insieme? - ripeté voltandosi verso di lui. - Intendi tipo… passeggiare tenendoci per mano? O andare al cinema? -.
-Tipo. Ma se non vuoi…-.
-Non è questo- si affrettò a rispondere Elena. - Ma vuol dire che vuoi che io sia… la tua… ragazza? -.
-Sarebbe così terribile? -.
-No, ma… ecco… be’… non ho mai avuto una relazione del genere. Finora ho sempre fatto… come facevo con te, ecco-.
-Ah- rispose Julian sentendosi in bocca il sapore della cenere.
-Fammi finire! Non ho mai fatto niente così ma… potrei provare. Mi piacerebbe provare. Con te- annunciò prendendogli la mano.
-Sul serio? -.
-Sul serio-.
Un tenero bacio sugellò le loro parole.
“Brava Reyna. Hai contribuito a farlo cadere definitivamente ai suoi piedi” pensò con acredine Cole. “Urgh… meglio sloggiare” aggiunse vedendo che Elena si era rituffata sotto le coperte.
 
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Julian ed Elena passeggiavano per Boston tenendosi per mano. Si erano baciati, avevano fatto l’amore e si erano salvati la vita a vicenda un sacco di volte, eppure li imbarazzava tenersi per mano.
“Cosa diavolo fanno i fidanzati per passare il tempo?” si chiedevano disperatamente i due.
“Forse dovrei comprarle qualcosa per celebrare che ora siamo una coppia vera? Ma non sarà troppo azzardato?”.
“Dovrei fare qualcosa per lui forse? Magari provare a spronarlo a parlare con Reyna? E se pensasse che non voglio che dorma da me stasera? Ma mica possiamo già metterci a convivere, no?”.
Alla fine si concessero pizza e cinema, più per istinto che per ragionamento. Cole che aveva visto ogni cosa, aveva un po’ riso della loro imbranataggine, ma poi se ne era andato. Non voleva spiare il loro appuntamento. Non lo avrebbero mai saputo, ma gli pareva una cosa indelicata. Certo, tecnicamente era un pezzo che spiava Julian… ma in fondo il suo era un caso particolare. Un padre aveva pure il diritto, di sapere qualcosa della vita di suo figlio, perfino in quel modo vigliacco.
Fu solo quando cominciò a nevicare che si rese conto che erano quasi cinque mesi che guardava Julian. Non aveva idea di cosa stesse facendo Phoebe e si rese conto con stupore che nemmeno gli importava. Non quanto di Julian perlomeno.
 
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Il giorno dopo mentre tornavano da una puntatina al Museum of Fine Arts* Julian disse che doveva parlare col capo.
-Ottimo! Ho da fare anch’io. Non dal capo-.
-Allora ci vediamo dopo? -.
-Certo! Dormirai da me anche stasera, no? -.
-Sì. Se non ti dà fastidio…-.
-Mi rende felicissima! -.
-Fa piacere anche a me! -.
“Soprattutto perché usiamo lo stesso letto… e perché ieri ci siamo andati alle otto e ci siamo addormentati a mezzanotte!” pensarono all’unisono i due.
 
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Reyna stava facendo zapping quando di colpo le comparve di fronte Elena.
-Volevo solo dirti, che in questi giorni, Julian è stato con me- esordì la ragazza, dopo il sobbalzo della messicana.
-Me l’ero immaginato-.
-Senti, non mi voglio mettere in mezzo a una famiglia… mi è già capitato a metà ‘800 e be’… senti a me Julian piace davvero-.
-Sarà-.
-Tu e Bay siete importanti per lui. Tanto. Non voglio rovinare le cose fra voi-.
-Siamo qui. Lui deve solo tornare-.
-E lo farà. Ma tu non puoi costringerlo a scegliere tra noi due. Non ne hai il diritto-.
-Non voglio che si ritrovi in una relazione come la mia. Non voglio che tu lo faccia soffrire, come ho sofferto io-.
-Io un’anima ce l’ho- osservò Elena. - E a te non è andata così male. Sei tu, che gli stai facendo passare, quello che hai passato tu-.
Reyna la fisso sconcertata: - E tu come… -.
-Parlaci-tagliò corto la ragazza prima di sparire.
 
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Poco dopo Elena era ritornata a casa per trovare lì Julian.
-Ecco… visto che ora sei la mia ragazza… ho pensato di prenderti un pensierino- esitò il ragazzo, porgendole un pendente di giada a forma di serpente che si mordeva la coda. – L’ho preso simile al tuo bracciale preferito…-.
-È bellissimo- rispose Elena scostandosi i capelli dal collo. - Mettimelo-.
Il ragazzo eseguì, mentre Elena decideva di dirgli del messaggio di Reyna solo la mattina seguente.
“Ah, la fase luna di miele… l’abbiamo mai davvero vissuta io e Phoebe?” si chiese Cole osservando la scena.
 
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Cole si sentiva abietto a invidiare Julian, ma lo invidiava. Non poteva farci niente.
Suo figlio aveva una famiglia anche se adottiva, degli amici e l’amore. Lui invece era lì a fare il guardone.
Gli sarebbe piaciuto tanto parlargli almeno una volta. Certi giorni, si chiedeva cosa avrebbe fatto se avesse saputo della sua esistenza prima. Lo avrebbe usato per cercare di riallacciare i rapporti con Phoebe, probabilmente. Ma in fondo con loro due sarebbe stato più felice… no?
Non avrebbe mai conosciuto Reyna, Bay, Elena e tutti gli altri suoi cari certo. Però… non sarebbe stato naturale che lui, Julian e Phoebe vivessero insieme? Ma ormai a che serviva pensarci? Le cose erano andate come erano andate.
-Solo una volta… vorrei tanto parlarti solo una volta figliolo- sospirò Cole, mentre guardava Julian passeggiare con Bay.
E forse in quel momento passava una stella cadente, perché quel desiderio sarebbe stato esaudito dopo un anno.
 
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Elena nei secoli si era fatta un bel po’ di nemici. E una delle peggiori era una kitsune di nome Fujiko che aveva tutte le ragioni di odiarla a morte: la mezzodemone tanto per cominciare aveva mandato in rovina l’impresa della sua famiglia usando le sue doti di veggente per conto dei loro rivali in affari, poi li aveva anche derubati di parecchi artefatti magici e in ultimo aveva bruciato la loro casa (tutto per ordine di Tremotino).
Fujiko però era riuscita a trovare un oggetto magico molto potente. Ed ora non vedeva l’ora di provarlo sulla veggente.
Finalmente l’aveva trovata, e con sua sorpresa l’aveva vista con un uomo. Tuttavia non poteva sapere se fosse qualcuno che aveva intortato col suo aspetto incantevole o se era un altro mostro come lei. Poco importava. La sua vendetta veniva prima di tutto.
 
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Elena e Julian stavano passando una tranquilla serata di coccole davanti al caminetto, prima di doversi separare a lungo.
-Mi mancherai tantissimo quando sarai in missione a Xanten - sospirò Elena appoggiando la testa sulla spalla del giovane Turner.
-Anche tu- ammise l’altro. -Vorrei tanto che potessi venire con me-.
-Purtroppo, il capo ha bisogno di me qui- sospirò Elena.
-Temo dovrà arrangiarsi allora- fece una voce.
Elena e Julian si voltarono di scatto: di fronte a loro c’era una tipa bionda, con gli occhi verdi e infossati, magra da far paura. Stringeva in pugno una katana e aveva uno sguardo completamente allucinato.
Urlando si lanciò contro i due innamorati. Immediatamente una katana comparve anche nelle mani di Julian, che parò l’assalto della bionda ringhiando: - Hai scelto, l’appuntamento sbagliato da rovinare! -.
La donna sbuffò e fece un salto indietro, emettendo un ringhio. Poi cominciò a trasformarsi: il naso si allungò, diventando nero, e mentre la bocca si ingrandiva insieme ai denti che mutarono lentamente in zanne, anche le orecchie si allungarono, ricoprendosi al contempo di peluria arancione. Julian tuttavia non ne fu affatto impressionato.
-Ho amici kitsune. So benissimo cosa sei e cosa puoi fare. Non hai una possibilità contro di me. Hai solo tre code- sentenziò prima di muovere la spada nella sua direzione, scatenando una potente folata di vento.
-Ma un momento… la tua spada…-.
-È quella spada, sì-.
-Neanche la mia è un’arma comune- ruggì la volpe a tre passando all’attacco.
In breve la volpe capì di essere in svantaggio, ma a lei bastava un unico colpo. Sussurrò qualche parola e la sua katana brillò di luce. Elena sgranò gli occhi e quando si rese conto di cosa stava per succedere. Fu l’istinto a guidarla: prima che la lama potesse colpire Julian si gettò nella mischia, colpendo la nemica con una sfera di energia. Ma il suo intervento fece volare via la katana in direzione di Julian e con un urlo, la ragazza si gettò sul fidanzato per proteggerlo. Appena la lama la ferì, il corpo della donna fu avvolto da una luce identica a quella che aveva avvolto la katana. Un secondo dopo Elena crollò al suolo priva di sensi.
Julian ebbe in breve ragione della kitsune, ma per quanto la sua amata avesse solo una lieve ferita sulla schiena, non accennava a riprendersi.
Fujiko si risvegliò grazie a una secchiata d’acqua gelida.
-Dimmi cosa hai fatto ad Elena- esordì Julian senza preamboli.
-Ti avverto: so difendermi bene dagli altri telepati. E sono protetta da incantesimi della verità e simili- rise la kitsune.
-Vorrà dire che userò il vecchio metodo- ringhiò Julian facendo comparire una scintilla elettrica nella sua mano destra.
-Co… vuoi torturarmi! -.
-Sì-.
-Sì?!-.
-Alcuni ora lo chiamano “Interrogatorio potenziato” ma io sono tradizionalista- abbaiò il ragazzo scagliando la folgore sulla malcapitata.
La kitsune tenne duro, ma alla fine prima di perdere i sensi per la ventisettesima volta, trovò la forza di bofonchiare: -La mia spada le ha tolto l’anima, esiliandola al confine fra questo e l’altro mondo. Nel Vuoto Cosmico tra la vita e la morte-.
 
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Il demone-stregone si fiondò a chiedere aiuto al mago che una volta sentito tutto sospirò e disse: - Brutta storia. Il Vuoto Cosmico è sospeso fra tutte le realtà ed è inaccessibile, a meno di essere morti, o moribondi. Non è certo un posto da cui i vivi possano andare e venire-.
-Non possiamo lasciare l’anima di Elena lì- fece Julian in tono implorante.
-Certo che non possiamo- sbuffò Tremotino.- E’ una lavoratrice eccellente, come te. Ma dovrò studiare un po’, prima di trovare un modo per liberarla. Ti farò sapere. Comunque se può consolarti, anche la sua anima è in una sorta di coma. Non si accorgerà nemmeno di cosa le è successo. Chi si sarebbe aspettato di rivedere quella spada-.
Cole aveva sentito tutto ed era subito partito alla ricerca della bruna.
 
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Julian nutriva una gran fiducia nel capo, ma l’attesa lo stava facendo diventare matto. Passava delle ore a guardare il corpo inerte della donna che amava e da cui era amato a chiedersi perché mai dovesse essere successo a lei. Tutti fecero del loro meglio per consolarlo, ma solo vedere Elena riaprire gli occhi avrebbe potuto rassenerarlo.
L’esperienza della malattia, mancava nella sua vita. Aveva visto molte morti violente, ma non sapeva come ci si sente quando la vita di chi si ama è consumata poco a poco. Certo, era un male magico, ma il succo era quello.
Julian si tormentò per due lunghissime settimane, fino a che il capo arrivò con una boccetta.
-Questa ti spedirà nel Vuoto. Il legame fra voi ti aiuterà a trovarla, e a riportarla indietro. Ma sappi che mezzodemone o no, strappare l’anima dal corpo per spedirla altrove, non è esattamente una cosa sicura. Se non torni presto, potresti rimanere bloccato anche tu. Puoi restare senza rischi per un’ora, ma poi…-.
-Julian ti prego, pensaci. È una cosa pericolosissima- implorò Reyna.
-Per me lei lo farebbe-.
Questo era vero. Aveva malgiudicato Elena: sapeva benissimo cosa le sarebbe successo, visto aveva svolto ricerche su quell’arma nel tentativo d’impadronirsene e comunque si era messa in mezzo per proteggere Julian.
-Senti, mi dispiace. Sono stata irrispettosa sulla tua relazione. A me Elena non piace, ma se lei ha scelto te e tu hai scelto lei, sono cose che non mi riguardano. Ma ti prego, dacci il tempo di cercare un’alternativa-.
Cole si sentiva ancora peggiore di prima, ma sperava che un’alternativa non ci fosse. Voleva parlargli. Almeno una volta.
Tuttavia non fu proprio di entusiasta di vedere Julian afferrare l’ampolla e trangugiarne il contenuto tutto d’un fiato, prima che Reyna potesse impedirglielo. Un attimo dopo piombò svenuto sul pavimento.
-T’illudevi davvero di convincerlo? - domandò Tremotino.
-No, però ci speravo- ammise la messicana.
- Rischierebbe la vita per ognuno di noi. Cosa non farebbe per la donna di cui è innamorato? - commentò il mago. - Ma non sarebbe la prima volta che se la cava in una da solo in una situazione difficile. Io pensò che ce la farà-.
-Io pure. Ma una madre, non può certo essere contenta di vedere suo figlio in pericolo… specie se è per una donna-.
 
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Julian riaprì gli occhi e si ritrovò in un posto perfettamente uguale a quello in cui si trovava il corpo di Elena. Temette che non avesse funzionato, ma poi una voce lo chiamò.
Il demone-stregone si voltò e si trovò di fronte a un uomo quasi identico a lui: aveva il naso un po’ più lungo e gli occhi verdi, ma la somiglianza tra i loro lineamenti era incredibile.
Per una frazione di secondo sperò che la sua fosse solo una stupida congettura, poi quello disse: - Ciao, figliolo. Papà è qui-.
 
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Julian non si era mai neppure sognato di ritrovarsi di fronte a quell’uomo e in vita sua non gli aveva mai dedicato più di una dozzina di pensieri. Le pochissime volte in cui era saltato fuori il suo nome, quando viveva con Elizabeth il suo resoconto era stato “Il mio peggior fallimento. Un ottuso, incompetente, che aveva come massima ambizione, leccare i piedi di una lurida troia imbecille”. Va detto che Julian condivideva ogni singola parola, (in particolar modo le ultime tre) ma non riusciva a non provare un po’ di pena, per quel poveraccio le rare volte che gli veniva in mente. In fondo era stato una vittima come lui: della Sorgente, della Veggente, di Elizabeth e soprattutto della stupidità di Phoebe Halliwell. E poi non aveva colpa delle sue sciagure. Ragion per cui decise di provare a porsi nei suoi confronti con gentilezza.
-Tu… sei…-.
-Tuo padre. Cole Turner-.
“Ma se quando mi hai concepito, eri posseduto. Sei stato un donatore di sperma e basta. Perlopiù costretto” pensò stizzito Julian. Poi però si ricordò del suo proposito e decise di non dar voce a quei pensieri.
-E che ci fai qui? -.
-Ci sono rimasto bloccato quando sono morto. Non posso andare avanti e non posso tornare indietro. Sono qui condannato a vagare in questo niente-.
-Una bella noia-.
-Neanche l’immagini. Posso sapere come sei sopravvissuto? -.
Julian rimase in silenzio un istante prima di rispondere: - Nonna. Sono cresciuto con lei… per un po’-.
Al solo sentir nominare sua madre, Cole sbiancò: - Mi dispiace-.
-Anche a me-.
-E dov’è adesso? –.
-L’ho incenerita qualche anno fa- borbottò il ragazzo.
-Quanto t’invidio-.
Il figlio di Reyna rimase lì a fissare il suo interlocutore, allibito. Era la conversazione più surreale della sua vita. Poi di colpo si ricordò del perché era lì.
-Sentì sto cercando…-.
-L’anima di Elena, lo so. Ho… visto. Da qui si può vedere qualunque luogo se ti concentri abbastanza-.
La potenzialità della cosa, per un attimo affascinò il Turner più giovane. Poi però, realizzò l’implicazione di ciò: -Cioè, ora che quella deficiente non è più un soggetto interessante mentre fa la doccia, hai cominciato a spiare me- tradusse Julian.
-Ehm… be’… ecco… sì. Ma cerca di capire… io volevo… conoscerti in qualche modo-.
Julian stava per dirgli dove doveva ficcarsele quelle cretinate, ma l’altro lo interruppe.
-Non capisco perché tu non sia mai andato a cercare Phoebe-.
-Ne sei il motivo non vivente. Le mie probabilità di sopravvivenza, erano molto più alte con nonna, che con quella troia. Lei perlomeno aveva la scusa di essere un demone, per essere un genitore orribile e un’uxoricida-.
Cole doveva ammettere che capiva, i pregiudizi del figlio, ma si sentì in dovere di spezzare una lancia in favore di Phoebe: -Senti non sarà né una santa, né un genio, ma è una brava persona. Se tu provassi a darle una poss…-.
-Preferire morire, che vivere insieme a quella gentaglia! – ruggì l’altro e pareva pronto a iniziare una filippica decisamente lunga sul perché, ma Cole decise di giocare d’anticipo: -Come preferisci. Il diritto di dirti quello che devi o non devi fare, suppongo di essermelo giocato da un bel po’-.
-Sul serio? -.
-Senti, sarà il nostro unico incontro, questo. Non voglio sprecarlo a sentirti che mi urli addosso. Sei soddisfatto della tua vita? -.
-Sì-.
-Allora, non ti dirò niente. Hai fatto meglio di me, poco ma sicuro-.
Julian non poteva permettersi il lusso di un lungo discorso strappalacrime in quel momento. Doveva spicciarsi. Il capo gli aveva garantito solo un’ora.
-Senti, non ce l’ho con te, ma ho un tempo limite. Siamo franchi… eri addirittura posseduto quando… insomma tu e io, non abbiamo granché da spartire. Semplicemente siamo stati messi nei casini dalla stessa gente, solo che io poi ne sono uscito. Se vuoi parlare va bene, ma prima devo salvare Elena. Verrò riportato indietro tra un’ora, mia madre lo farà di certo. Fammela cercare-.
C’era una tale angoscia in quella voce che Cole ne fu commosso: - L’ho già trovata io. Solo… non volevo che tu te ne andassi subito. Ora ti porto da lei-.
Un attimo dopo Cole lo afferrò per un braccio e i due sparirono in una nuvola di polvere. Davanti a loro, c’era Elena, anche lì profondamente addormentata. Immediatamente il suo amante la prese tra le braccia, per poi prenderle la mano.
-Non ho idea di come svegliarla, temo-.
-Io però sì. Quando saremo fuori. Grazie- borbottò.
Il figlio di Elizabeth era dubbioso. Avrebbe voluto dire tanto, ma non gli veniva in mente nulla.
-Senti… non dirò che hai sbagliato a venire a salvarla, ma cerca di non basare tutta la tua vita su di lei. Amare qualcuno al punto da non dare più valore a sé stessi… è pericoloso. Io l’ho fatto e sono finito qui-.
-Io ho molte altre persone da amare. Ma non rinuncerò mai a stare con lei. Fino a che lo vorrà anche lei, ovviamente-.
I due rimasero ad attendere, fra impacciati silenzi e impacciati discorsi, fino a che esattamente un’ora dopo Tremotino fece ingoiare a Julian l’antidoto e lui ed Elena vennero trascinati fuori dal Vuoto.
Cole non se lo sognava nemmeno, ma aveva fatto a Julian un’impressione molto migliore di Phoebe. Avesse farfugliato scuse, o avesse cercato di dirgli che gli voleva bene, Julian non gli avrebbe mai creduto, così come non aveva creduto a Phoebe. Nemmeno si conoscevano, e di certo non poteva mancargli. La distanza, il voler rispettare i suoi spazi, invece gli erano parsi più autentici, più reali.
Una volta che la sua amata si fu svegliata, Julian avrebbe tanto voluto fregarsene di Cole. Solo che non ci riusciva. Si sentiva in debito. E come poteva lasciare qualcuno in quel… niente? Dopo una settimana di tormento interiore, decise di andare dal capo a implorare aiuto.
-E perché vorresti tirarlo fuori? Non ho mai avuto l’impressione che ti mancasse la figura paterna. Anzi credevo considerassi tuo padre solo un grosso imbecille- commentò il mago quando Julian ebbe esposto il suo caso.
-Be’ sì. E certo non era un modello di virtù. Ma direi che la sua punizione l’ha avuta-.
“E sinceramente l’idea di avercelo sempre che mi fissa non mi piace per niente” aggiunse tra sé e sé il giovane Turner.
-Oh, d’accordo. Ma senza corpo… dovremmo mandarlo dall’altra parte, e sarebbe complicato. Ci vorrebbe un ricevente e… -.
-A quello ci penso io- tagliò corto Julian. -Solo dimmi se devo tornare là per liberarlo -.
-No, visto che è cosciente. Ovviamente sai che essendo in stasi lo puoi riportare qui. E hai deciso di farlo. Fai pure, ma ai materiali, dovrai pensare tu. Io mi limiterò a insegnarti l’incantesimo-.
 
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Julian dovette dare una veloce spiegazione ai suoi amici. Da solo ci avrebbe messo una vita per recuperare il necessario. Ammise che c’era suo padre nel Vuoto, ma a sorpresa, nessuno fece domande.
–Allora mi aiuterete? -.
-Certo che ti aiuteremo- sbuffò Robert. - Quando mai tu non hai aiutato noi? Te lo dobbiamo-.
-Non sia mai che non aiuti il mio futuro suocero… o il mio futuro marito. Sto scherzando, non sono ancora pronta a fare progetti del genere! -.
-Ah, Julian, avessi visto la faccia che hai fatto! - rise Barry. - Credo che se ti avessimo dato dell’assassino saresti stato meno sconvolto. Comunque conta su di me-.
-E su di me- aggiunse Caitlin.
-E me- fece subito Bay.
-Ci sono anch’io- fece Emmett coi segni.
Julian si voltò verso Reyna. La messicana sbuffò: - Questa è la parte in cui dovremmo mettere tutti le mani una sull’altra e urlare “Andiamo squadra”? Comunque se posso ti darò una mano-.
-Io però volevo che ci toccassimo le mani urlando “Andiamo squadra” - protestò Barry. - Mi sono sempre piaciute quelle scene nei film! -.
Caitlin sbuffò: - Sempre maturo mio marito. Vabbè se proprio ci tieni... coraggio ragazzi allunghiamo le mani. Anche tu Julian! In fondo stiamo aiutando te! -.
Julian gemette. Va’ a capire come, Barry riusciva sempre a tirarlo nelle sue buffonate.
 
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Sei mesi dopo tutto era pronto.
Cole non aveva guardato Julian mentre parlava con gli amici (ora che lui sapeva della sua presenza si sentiva stranamente imbarazzato), perciò rimase sorpreso, quando una sorta di potentissima raffica di vento lo travolse, gettandolo a tutta velocità contro una parete fantasma della stanza di Phoebe (ogni tanto guardava anche lei, ma non l’aveva mai spiata sotto la doccia o in momenti intimi).
Vide una grande luce, poi non percepì più nulla.
 
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Cole percepì qualcosa sotto di sé. Sentiva dei suoni. Emise un gemito.
-Era ora- sbuffò una voce. Per quanto non avesse urlato, fu più che sufficiente a forargli i timpani.
Aprì gli occhi e subito li richiuse. La luce benché fioca, glieli bruciava. Poi si rese conto che stava toccando un materasso.
-Piano, piano- fece la voce. - Vuoi un po’ d’acqua? -.
Cole si azzardò a riaprire gli occhi. E cacciò un’esclamazione di sorpresa. Di fronte a lui c’era Julian.
-Allora? Tutto bene? -.
-Ma… ma… come… dove…- boccheggiò.
Poi si ricordò che stava toccando il materasso. E chi gli davano fastidio occhi e orecchie.
-Ho di nuovo un corpo- ansimò esterrefatto.
-Identico a quello con cui sei nato. Ricreato con un po’ dei resti del nonno e di nonna, di sangue di unicorno, veleno di basilisco e piuma di fenice per prevenire la tua prossima domanda-.
Guardò fuori dalla finestra.
-Non sembra Boston-.
-E non lo è. Ci troviamo a Houston. In una casa in affitto. Ci dovevo venire per lavoro e ho pensato che fosse un posto buono come un altro per il tuo ritorno-.
-Il tuo lavoro? Chiami così servire Tremotino?-.
-È un’occupazione eccitante, stimolante e anche divertente, certe volte. E poi abbiamo un alto scopo-.
-Sarebbe? -.
-Riservato. Non si dice agli estranei. E tu non ti fare strane idee. Ti ho tirato fuori da lì perché mi pareva inumano lasciartici, ma ciò non implica che io nutra dell’affetto per te-.
-Sarebbe a dire che ti faccio pena- tradusse Cole.
“Be’ sempre meglio che essere odiato”.
–Grazie. Io… non so cosa dire. Grazie-.
Il ragazzo distolse lo sguardo. Quella situazione lo metteva a disagio.
-Non vuoi Phoebe, non vuoi me. Be’ suppongo di non poterti biasimare, almeno non per la seconda decisione-.
-Non è per quello. Ora posso dirti perché non ho mai cercato la troia -.
-Se proprio non vuoi chiamarla per nome, almeno non usare quel termine di fronte a me. Anzi non usare niente che equivalga alla parola “Prostituta” -.
-Perché non volevo essere accettato per interposta persona come te. Nessuno di quella famiglia teneva davvero a te. Nessuno di loro era tuo amico. Ti tolleravano solo per compiacere una di loro. Io non voglio quello. Voglio essere amato per come sono fatto io, con le mie qualità e i miei difetti. Non voglio qualcuno che mi stia accanto, perché pensa di doverlo fare, per rimorso o perché ci si aspetta che lo faccia. Né intendo farlo io-.
C’era del vero in quel ragionamento, Cole dovette ammetterlo, ma si sentì comunque in dovere di dire: - Be’ all’inizio sarebbe stato come dicevi tu, ma poi col tempo…-.
-Quella gente non merita il mio tempo- tagliò corto l’altro. – E poi chi mi garantisce che non sarebbe finita come con te? -.
-Nessuno. Però…-.
-Non desidero più tornare sull’argomento. La mia vita attuale come già ti ho detto, mi sta benissimo. Non sarà il massimo, anzi certi giorni è un vero schifo, ma è lo schifo che mi sono scelto. Non intendo barattarlo per un gruppo d’imbecilli con un ego grosso come la Russia-.
-Be’ io certo non posso costringerti. E so che hai della gente che tiene davvero a te. È per questo che ho detto che sei stato più bravo di me a gestire la tua vita… ma mettiti un po’ nei miei panni. Senza di te, cosa dovrei fare? -.
-E io che ne so? Che facevi prima di conoscere la tro… la strega? -.
-Il mercenario e l’assassinio su commissione-.
-Ed eri bravo? -.
-Ero uno dei migliori-.
-Ottimo. E allora ricomincia da lì-.
-Co… mi stai dicendo che a te andrebbe bene che io…-.
-Ma cosa caspita centra cosa andrebbe bene a me? Sei tu che devi decidere cosa fare della tua vita. Ce l’avrai pure avuto un hobby, una passione, uno scopo prima d’incontrare quella là-.
-Be’… volevo recuperare l’anima di mio padre. Tuo nonno Benjamin-.
-E non ci sei mai riuscito? -.
-Be’ sì, ma con tutta la storia di tua madre, non ne ho mai fatto niente*. Mi è un po’… passato di mente immagino-.
-Avevi l’anima dell’uomo che ha dato la vita per provare a salvarti che tra parentesi era tuo padre, e ti è passato di mente decidere cosa farne. Complimenti- fece il figlio dandogli un’occhiata di disprezzo, che fu dolorosa almeno il doppio di quelle di Phoebe.
Cole sospirò: - Tu non sei uno che si fa molti problemi a dire ciò che pensa, eh? -.
-Neanche un po’. Meglio sincero che ipocrita-.
Il figlio di Benjamin fece vagare lo sguardo per la stanza. C’erano un piccolo televisore su un tavolino, una cassettiera stile barocco su cui erano ripiegati diversi vestiti nuovi. Sul tavolino invece c’era una busta da cui usciva un delizioso odorino. Hamburger e patatine. Era tutto molto spartano, ma confortevole.
-Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa dopo tutti questi anni e ti ho preso un po’ di vestiti. Dovremmo avere la stessa taglia, ma se così non è, andrò a cambiarli-.
Mentre si godeva il primo pasto da decenni, l’ex-avvocato rilevò che anche se nulla lo costringeva a rimanere, Julian non se ne era andato.
Di colpo gli venne in mente una meravigliosa possibilità.
-Senti so che hai già fatto moltissimo per me e che non ho il diritto di chiederti nulla ma ti prego dimmi… se io ti portassi l’anima di tuo nonno, potresti ricorporizzarlo come hai fatto con me? -.
-È un processo laborioso, ma sì, potrei. Se un’anima non è mai passata oltre, si può riportarla indietro-.
-E lo faresti? - .
-Ho qualche questione urgente di cui occuparmi al momento… ma se ho dato un’altra occasione a te, immagino sia giusto farlo pure con il nonno- bofonchiò Julian. -Però… tu sei pur sempre un mezzodemone e non sono passati nemmeno trent’anni da quando sei morto. E poi dal Vuoto Cosmico ti sei tenuto aggiornato. Lui era un mortale ed è morto a fine ‘800. Come pensi si troverebbe nel mondo moderno? -.
Quella era un’affermazione troppo vera per poterla ignorare. Cole si chiese se volesse davvero fare qualcosa di buono per suo padre o se volesse semplicemente un affetto vicino. Poter contare su Julian era tutt’altro che scontato.
-Potremmo chiedere a lui- azzardò. -Recuperata l’anima, potremo usare la magia per interrogarlo e sapere se preferisce andare nell’aldilà o vivere in un mondo diverso da quello che ricorda-.
-Ok- disse semplicemente l’altro.
 
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Saputo che dovevano recarsi a San Francisco Julian era stato irremovibile nell’andarci in piena notte.
-Non voglio imbattermi in nessuno di quelli neppure per sbaglio- aveva sentenziato.
-San Francisco ha quasi un milione di abitanti- era stata la replica di Cole.
-E l’ultima volta che ci sono stato ho incontrato comunque tu-sai-chi. Preferisco ridurre al minimo il rischio-.
-Posso andarci da solo. Ti giuro che non andrò a dire a Phoebe dove vivi o cose simili-.
-E se t’imbattessi in un pericolo? Pensi davvero di riuscire a gestirlo dopo quasi trent’anni come fantasma? -.
Cole lo fissò sorpreso: - Stai dicendo che sei preoccupato per me? -.
-C’è voluto un sacco di tempo e di fatica per ricrearti il corpo. Preferirei che ti durasse un po’- rispose stizzito l’altro.
Per la prima volta da chissà quanto tempo Cole sorrise.
 
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Per fortuna nel recuperare l’anima di Benjamin non ci furono intoppi. Quando gli spiegarono l’accaduto e gli dissero che se voleva, potevano riportarlo in vita, la risposta dell’uomo fu positiva e suo nipote si mise subito al lavoro
-Non ho mai visto una pozione e un incantesimo più complicati- fece allibito il mezzodemone vedendo la lista.
-Che ti aspettavi, che fosse facile ricreare corpi? - replicò il demone-stregone. - Per fortuna mi sono fatto una scorta di tutti gli ingredienti-.
Ci volle una settimana per preparare il tutto ma alla fine la pozione fece effetto e venne ricreato un corpo identico a quello che Benjamin aveva avuto prima di morire. Con la mano tremante Cole avvicinò l’anima del padre al suo viso
e questa venne subito risucchiata. Poco dopo l'uomo si svegliò. E furono lacrime e abbracci. La mattina dopo trovò suo figlio (che strano dirlo)
intento ad armeggiare con uno zaino. -Te ne vai? -.
-Sono contento che nonno stia bene, ma non posso trattenermi. Lavoro. E poi sono preoccupato per un amico che non sento da un po’, voglio andare a trovarlo. Comunque prima vi avrei svegliato, parto solo tra un paio d’ore-.
-Ti rivedrò? -.
Il ragazzo lo fissò: - Sì. Verrò a vedere come state. Però non credere che questo implichi chissà che. Siete soli, e non avete idea di che fare al mondo. Mi sento responsabile di voi. Ma da qui a dire che vi voglia bene…-.
Cole alzò le mani: - Lo so, non mi devo fare strane idee. Comunque potremmo lavorarci… se ne hai voglia- aggiunse frettolosamente.
-Forse. L’affitto è pagato per un anno, poi se tu o il nonno vorrete lavorare, vedrò se posso trovarvi qualcosa-.
-Se avessi bisogno di contattarti? -.
Per un attimo Cole temette di aver tirato troppo la corda. Poi Julian prese un foglietto e ci scrisse sopra un numero di cellulare.
-Ma sia chiaro: chiamami solo per le emergenze-.
-Devo sapere un’ultima cosa. Se tu domani dicessi a Tremotino che non vuoi più lavorare per lui… cosa farebbe? -.
-Mi ringrazierebbe per ciò che ho fatto e mi augurerebbe buona fortuna per tutto ciò che intendo fare-.
-Sicuro? -.
-Sì. Ma non lo dovrà fare, perché io voglio lavorare per lui-.
-E perché? -.
-Perché credo in quello che fa-.
-Saprò mai cos’è? -.
-Ne dubito. Altre domande? -. Il suo tono voleva chiaramente dire “Smettila di andare sul personale”.
-No. Solo… grazie di tutto-.
 
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Qualche ora dopo suo padre si svegliò ed entrò in cucina.
-Dio, mi ricordo di te ancora come un bimbo di tre anni… e ora sei un uomo. Dov’è Julian? -.
-Se n’è andato. Ma credo che tornerà-.
-Cole… mi spiace. Avrei dovuto fare di più per salvarti da Elizabeth… ma… ma…-.
-Hai fatto tutto quello che potevi. Vedi papà. Io… ho vissuto una vita fatta di malvagità, odio, violenza e follia. Ma per una volta… ho una persona che mi vuole bene vicino e un’altra che credo vorrebbe, volermene. Vorrebbe volerne a tutti e due… penso. Spero. E voglio credere che questo funzionerà-.
Julian si fece rivedere un paio di settimane dopo. Rimase qualche ora e poi sparì. Tornò dopo un mese e si fermò pure a dormire. Qualche tempo dopo, andarono tutti e tre a farsi una pizza. Arrivò il giorno in cui disse che non dovevano chiamarlo solo per le emergenze. Di tanto in tanto, prese a chiamare lui.
Un giorno si presentò portando un’ex-demonessa Kyra, che dovette sistemarsi da loro fino a che non le avessero trovato un’altra sistemazione (con un certo sconcerto un mese dopo, Cole la trovò intenta a baciare suo padre). Il giorno della festa del papà, si ritrovò una cartolina d’auguri nella buca delle lettere.
Cole non aveva idea di come si potesse preferire qualcun altro a Phoebe. Non aveva idea di come si potesse preferire lui a Phoebe. Ma non aveva bisogno di capirlo. Era solo dannatamente felice che Julian l’avesse fatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  • Uno dei più grandi musei degli Stati Uniti d'America. Possiede più di 450.000 opere d'arte che fanno di questa collezione una delle più complete del continente americano.
 
  • Le armi di Julian e Fujiko appartengono entrambe alla mitologia giapponese. Quella di Julian è Ama no Murakumo o Kusanagi o Spada del Paradiso (una traduzione più corretta sarebbe spada del cielo però, visto che nello scintoismo il paradiso non c’è o almeno non come il nostro), arma che fu usato da Susanoo dio del mare e delle tempeste per sconfiggere il terribile mostro Yamata no Orochi. Quella di Fujiko invece si chiama spada Totsuka e venne usata dal dio Izanami contro Kagutsuchi, il dio del fuoco che aveva bruciato dall’interno sua madre Izanagi uccidendola. Presumibilmente può intrappolare gli esseri viventi, perché Kagutsuchi viene giudicato ancora vivo nello scintoismo.
 
  • Il Vuoto Cosmico è uno degli elementi più sprecati di tutta la serie. Ma com’è possibile, che nessuno, abbia mai tentato d’impadronirsi di un luogo tanto utile? Se da lì è possibile vedere ogni cosa e spiare chiunque senza che nessuno possa accorgersene è un posto dall’utilità incalcolabile. Chiunque vorrebbe sfruttarlo a suo vantaggio. Questo sarebbe stato un ottimo scopo da dare a un cattivo magari anche principale per l’ottava stagione e avrebbe potuto concludere degnamente la storyline di Cole facendolo andare nell’aldilà. O almeno potevano dare una ragione sul perché nessuno ha cercato di sfruttare il Vuoto Cosmico, quindi l’ho fatto io.
  • Davvero. Cole recupera l’anima di suo padre nell’episodio 3x20 Strategia finale, ma poi la cosa non viene mai più nemmeno menzionata! Streghe aveva il difetto di presentare personaggi secondari e sottotrame interessanti che avrebbero meritato un bell’approfondimento e poi di gettarle nel dimenticatoio dopo appena un episodio.
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE

 
Ok, qui sono stato sdolcinato al massimo, ma la famiglia Turner ha avuto una quantità impressionante di sfiga per tre generazioni e mi fa sinceramente pena, quindi ho voluto in qualche modo rimediare. E pure per Kyra, mi è dispiaciuto quindi ho voluto annullare anche alla sua morte. Sono sensibile se mi ci metto, che volete farci.
L’idea delle resurrezioni di Ben e Kyra e la loro relazione, l’ho presa da un fumetto dedicato alla serie (ne sono usciti diversi negli Stati Uniti e anche romanzi, spesso contrastanti fra loro e con gli eventi del telefilm, a livello logico, quindi non credo si possano considerare canon).
Francamente è l’unico elemento di trama di suddetto fumetto che ho trovato valido e ho voluto recuperarlo (la storia davvero troppo esagerata, stravolge completamente l’universo e le regole della serie e non si adatta affatto a essa. Perdono significato e importanza eventi fondamentali per la continuity e ci sono errori di logica, davvero banali. Certe scene andrebbero bene per Marvel e DC, ma non per Streghe. Vengono rimessi in scena, in modo poco brillante nemici del passato e le protagoniste a volte risolvono tutto così facilmente, da suscitare antipatia. Davvero un prodotto scarso, e lo dico da grande appassionato di fumetti. I disegni non sono male, lo riconosco, ma è l’unica cosa positiva che mi viene da dire).
Il capitolo è venuto un po’ lungo, ma dovevo pur presentare Elena, no? Nel capitolo 8 era solo accennata e mi son detto che meritasse un po’ di spazio extra. Ora di lei che ne pensate?
Volevo descrivere nel dettaglio anche il processo per la resurrezione dei Turner, ma così il capitolo sarebbe diventato di una lunghezza abnorme. In più, mi pare un tema abbastanza interessante da meritare di essere trattato a parte. Credo che scriverò ancora su questa generazione, ma solo quando avrò concluso questa raccolta.
Alla fine Cole ha avuto l’occasione di essere un padre. È strano ma mentre m’immaginavo la storia di Julian, non sono mai riuscito a dargli un padre adottivo.  Reyna è venuta fuori abbastanza facilmente, ma non sono mai riuscito a dargli una figura paterna diversa da Cole. Lo so che può sembrare sciocco, ma mi sarebbe parso di defraudarlo di qualcosa.
Cole non era proprio una brava persona questo lo ammetto, ma quello che gli è successo è stato davvero ingiusto ed esagerato (e gli capita perfino di peggio, in quell’orribile fumetto. Altra ragione per cui non mi piace). Prima di essere posseduto dalla Sorgente aveva davvero voltato pagina, la colpa di ciò che ha fatto dopo è stata pure di Phoebe. Io almeno la vedo così. E poi non è che avesse avuto una vita facile.
Non so, penso che il suo personaggio meritasse un’uscita di scena migliore. Sarebbe stato molto più dignitoso che una volta tornato avesse svelato la faccenda della possessione a Phoebe per poi lasciarla perché deluso da lei e dalla sua famiglia o che morisse e basta, se proprio non si voleva avere due sorelle accasate.
Dato che Wyatt è il detentore di Excalibur, ho voluto dare un’arma magica leggendaria anche a Julian. Ne ho scelto una appartenente alla mitologia giapponese, per rimarcare ancora di più quanto sono diversi Wyatt e Julian.
Be’ ho chiacchierato a sufficienza. Ringrazio come sempre i fedeli, fenris, Giadastales e apeirmon per aver recensito lo scorso capitolo. Ci si vede nelle recensioni!
  
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