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Autore: AlsoSprachVelociraptor    23/06/2021    0 recensioni
Due amici- Lloyd, un Velociraptor ed Earl, un Citipati- vivono nella tranquilla e desertica Djadochta. Un giorno, dopo la morte del ricchissimo nonno di Lloyd, i due devono recarsi nella lontana città di Hell Creek, scontrandosi con l’enorme e forse pericolosa fauna locale.
Ce la faranno i due piccoli teropodi a compiere la loro missione, ovvero trovare la cugina perduta di Lloyd e affidarle l’eredità del nonno, senza venire spennati vivi?
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Questa storia è un esperimento: una storia fantasy “tranquilla”, quasi slice of life, ambientata in un mondo moderno abitato da dinosauri senzienti.
Ho cercato di mantenere la storia più scientificamente accurata possibile, anche se saranno presenti dinosauri di diverse epoche geologiche assieme, e i nomi delle città sono presi dai nomi dei siti fossiliferi.
Storia adatta a tutti, non solo agli appassionati di dinosauri!
Buona lettura!
Genere: Avventura, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alle quattro del mattino in punto, come Earl si aspettava, suonò la sveglia. Era un vecchio modello, una radiosveglia in plastica grigia e coi bottoni grossi, fatta per dinosauri di taglia medio-piccola come lui. Earl non se ne prendeva una nuova perché le misure erano cambiate negli anni, e i tasti troppo piccoli per le sue lunghissime mani da maniraptoride- ovvero i mani da presa, come diceva lo stesso nome. Quelle di Earl erano grosse, le tre dita lunghissime, in un modo quasi ridicolo, e coperte da corte penne nere e arancio scure. 

Con una manata precisa e coordinata negli anni, pigiò il tasto giusto per spegnere quell'abominio di canzone che era partito dalla radiosveglia appena accesa. 

Earl si alzò a fatica dal suo nido, circolare e dai bordi rialzati ma forse un po' piccolo per lui, stiracchiandosi la coda su cui aveva dormito sopra per sbaglio ed ora era tutta anchilosata e formicolante. Aveva dormito malissimo, e a malapena, ad essere sincero. 

Sì, era anche un essere crepuscolare e preferiva di gran lunga vivere la notte fresca e ventosa che il giorno caldo e asfissiante, ma era già capitato che avesse, al contrario, dormito con la luna e lavorato col sole.

Ma adesso non si trattava di lavorare per permettersi qualche sfizio pericoloso in un vicolo buio di Djadochta. Earl si era ripulito. Non faceva più quella vita. Non si iniettava più schifezze tra le piume ormai mancanti del suo interno braccio ormai spelacchiato.

No, Earl era un dinosauro nuovo, faceva un lavoro dignitoso- controllava le prenotazioni e gli appuntamenti alla clinica di Steven, suo amico d’infanzia e datore di lavoro e psicologo. Era un asso al computer, le sue lunghe dita erano utili nel digitare velocemente alla tastiera, non solo per spegnere vecchie radiosveglie, e aveva una buona memoria.

Earl sbadigliò, ancora stanco perchè aveva dormito un sonno agitato quella notte. Quel mese che era passato da quando Lloyd gli aveva proposto (ma più imposto) di accompagnarlo a Hell Creek l’aveva trascorso facendo continui straordinari sul lavoro, lavorando tutta notte e anche tutto il giorno al computer di Steven, e Steven, che era un Halszkaraptor gentile e sempre pronto ad aiutarlo, aveva anche accettato di alzargli lo stipendio quel mese.

Earl appena scostò le tende scure, rivelando un cielo rosso fuoco, e un timido puntino bianco appena sopra le palazzine all’orizzonte, contornato da una pallida aureola lilla. Pensò che il sole, -quando non era una palla bollente di fuoco nel cielo- fosse bellissimo, e che la natura gli stesse cercando di regalare un’impressione positiva del giorno, rispetto alla notte. Non c’erano bellezze del genere nel cielo buio e tetro della notte!

Questo portò un sorriso sul becco di Earl, che decise di lavarsi, poi fare una veloce colazione e di chiedere a Steven o a Morgan, fratello gemello di Steven e al momento disoccupato- e, a quanto sembra, non intenzionato a trovare un lavoro- di portarlo all'aeroporto con la loro auto nuova. Earl non aveva né auto né patente, entrambi lo spaventavano troppo. Odiava gli esami e odiava guidare, la sensazione di essere alla guida di un ammasso di latta potenzialmente mortale a ogni suo minimo errore gli faceva rizzare le piume sulla nuca.

Scrollandosi questi brutti pensieri di dosso che l’ansia di dover fare un volo intercontinentale di diverse ore a bordo di una scatola ancora più grossa di metallo, di sorvolare un intero oceano senza avere nessuna possibilità di cambiare il suo destino in caso che qualcosa fosse successo qualcosa di imprevisto, si tolse di dosso la vestaglia da notte, sfilandosela a fatica dal lunghissimo collo sottile, e facendo attenzione a non impigliare il colletto né nella sua cresta né nel suo becco, entrambi arancioni, come mani e piedi e la pelle sotto le piume nere.

Entrò nel box quadrato che era la sua doccia, forse un po’ piccola per un teropode di due metri e mezzo come lui, chiuse il vetro attorno a quel cubicolo e accese la doccia sopra la sua testa, che emise il solito getto caldo d’acqua intermittente per colpa delle tubature un po’ vecchie. Earl gonfiò tutte le piume e iniziò a scrollarsi l’acqua di dosso, spruzzandosi le piume gonfie e separate le une dalle altre con il bagnoschiuma in spray che usavano tutti i dinosauri dotati di piume, perchè era virtualmente impossibile pulirsi per bene con i saponi solidi o liquidi in bottiglia come facevano i fortunati pieni di scaglie. 

Dopo un’ultima scrollata di piume, Earl uscì dalla doccia, dirigendosi in cucina con ancora le zampe zuppe d’acqua. Il pavimento era freddo e scivoloso sotto le sue zampe, ma era pulitissimo- Earl odiava la sporcizia. Gli ricordava un passato che voleva totalmente dimenticare, fatto di svenire in vicoli bui e sporchi. 

Earl si sentiva lo stomaco sotto sopra- il pensiero del cambiamento, del viaggio in aereo, di rivedere suo fratello dopo così tanti anni, di doversi allontanare da Djadoctha- ma decise comunque di mangiare. Non aveva voglia di vomitare su un aereo, e rendere quel viaggio che sicuramente sarebbe stato un inferno persino peggiore. Si appollaiò sullo sgabello al tavolo da pranzo e si spalmò della marmellata di cotogna su una fetta biscottata di miglio, azzanandola col suo forte, grosso becco, abbastanza affilato da non frantumare la fetta biscottata in mille pezzi con un morso. Non aveva voglia di pulire, ora che doveva partire.

Controllò il cellulare che aveva lasciato a caricare sul bancone in cucina quella notte, un po' piccolo per un dinosauro della sua stazza e decisamente vetusto ma funzionale, e lesse i messaggi in sospeso che, quella notte, suo fratello Brendan gli aveva lasciato.

"Va bene, alle tre del pomeriggio sarò all'areoporto." diceva un messaggio.

"Mi sei mancato, non vedo l'ora di vederti. Che la Dea di Basalto ti protegga." Invece recitava l'altro, che Earl lesse più lentamente, e rilesse un paio di volte.

Anche ad Earl era mancato suo fratello, in tutti quegli anni. Brendan non sapeva dei problemi di abuso di sostanze che Earl aveva avuto in quegli anni, o forse aveva intuito qualcosa, chissà. Brendan era sempre stato un tipo ricettivo e sveglio, che capiva troppe cose per il suo bene- e la sua tranquillità ne rimetteva sempre.

Chissà se avrebbe fatto stare in pensiero suo fratello. Chissà se Brendan sarebbe stato ancora felice di incontrare Earl, se sapesse cosa il Citipati aveva combinato in quegli anni.

Earl sospirò, rimettendo giù il cellulare dopo aver controllato l'ora. Quattro e mezza, tempo di prepararsi, perché il suo aereo sarebbe partito alle cinque e un quarto.

Dopo essersi infilato la sua solita stretta giacca in pelle piena di borchie, pantaloni sempre in pelle talmente stretti che la coda a malapena riusciva a uscire dall'apposito buco sul retro, un foulard (sempre nero) a proteggere il collo troppo lungo dalle intemperie che aveva paura di trovare ad Hell Creek e un cappello (nero) dietro la cresta sul suo becco, Earl rimirò tra le lunghe dita artigliate i nuovi stivali che aveva comprato giusto il giorno prima. Sia suo fratello che Lloyd che Steven gli avevano consigliato di comprarsi un paio di scarpe per Hell Creek, le cui strade erano spesso umide, ricoperte di asfalto più o meno sconnesso, e non c'era nessuna soffice sabbia soffiata dal vento del deserto a coprire il duro manto stradale. 

Se li infilò velocemente, le dita tremanti nel farlo. Era così spaventato… Strizzò gli occhi, pregò la Dea di Basalto perchè quel viaggio andasse bene. Non era un tipo particolarmente religioso- nessuna divinità l’aveva aiutato nei momenti peggiori della sua vita-, ma ora si sarebbe aggrappato a tutto pur di sentirsi meno da schifo.

Prese da vicino la porta, dove l’aveva lasciato, il borsone da palestra in cui aveva messo tutta la roba che gli serviva per quel quasi mese di viaggio- al pensiero che tutto ciò che valeva per lui stesse in una borsa divenne un po’ più triste per la sua situazione, la sua patetica vita. 

Controllò diverse volte che tutto nel suo minuscolo, patetico appartamento fosse spento e non in pericolo e uscì da esso, una sensazione di morsa alla bocca dell’esofago e la voglia di appallottolarsi in un angolo e lasciar perdere quest’idea strampalata dell’avventura nella lontana Laramidia, separata dall’Asia da un vasto oceano su cui avrebbe dovuto volare.

Sul pianerottolo, però, due piccole figure lo stavano aspettando.

“Allora, sei pronto?” chiese uno dei due quasi identici Halszkaraptor. Erano Steven, il suo datore di lavoro, e Morgan, suo fratello gemello. Erano entrambi sì e no grossi la metà di Lloyd- ma pur sempre più del doppio del professor Arthur. Piccoli dromeosauridi semi-acquatici, Steven- dalle piume nere e più corte e soffici rispetto al fratello e i grandi occhi blu era più gentile, amorevole e sempre pronto ad aiutare, e infatti faceva lo psicologo. Il gemello più grande- almeno così si reputava, Morgan, aveva le piume lunghe e bionde e gli occhi blu ben più affilati e sguardo spietato come il suo carattere. Erano entrambi stati compagni di classe di Brendan, fratello maggiore di Earl, e ora erano suoi vicini di casa. I due gemelli raramente si separavano- dove c’era uno, c’era quasi certamente anche l’altro. Morgan era forse quello più indipendente, ma sempre opprimente sulle spalle del povero Steven- e, in un certo senso, anche di Earl.

Steven li salutò entrambi, sorridendo ad Earl dolcemente con i suoi tantissimi piccoli, tremendi dentini. “Buona fortuna! E prendi dei souvenir, così poi li mettiamo nello studio! Oh, e salutami Bren, mi raccomando!” cinguettò Steven, quasi più felice ed emozionato del viaggio di Earl che Earl stesso.

Morgan si rigirò la piccola sigaretta tra le dita palmate, fissando Earl con quel suo solito sguardo simile a stalattiti, fredde e pendenti proprio sul collo del Citipati, pronte a cadere e perforarlo. “Steven lavora, ti accompagno io all'aeroporto. Hell Creek è un posto lontano e pericoloso, sei sicuro di volerci andare da solo?”
“Non sono da solo, c’è Lloyd…” pigolò Earl, stringendo con forza la tracolla del borsone. Un suo artiglio si incastrò nella stoffa della tracolla, sfilacciandola un po’. 

“Ah, Lloyd, certo, c’è da fidarsi.” ringhiò Morgan , con una smorfia di rabbia che si era formato sul bel muso, le lucidissime penne dorate che si erano rizzate al suo collo. “Potessi, verrei anch’io. A salutare Brendan e a proteggere te. E anche Brendan. È sempre stato così dolce e ingenuo, sempre pronto ad aiutare gli altri…”

Morgan alzò lo sguardo su Earl, almeno un metro più alto di lui. “..beh, vi somigliate, da questo punto di vista. Tranne che Brendan è coraggioso, tu un po’ meno.”

Purtroppo, Morgan non aveva piume sulla lingua, ed Earl ci aveva fatto il callo con il suo modo rude, ma suppose che parlare con dei dromeosauridi fosse così. E i maschi di dromeosauro erano rinomati per essere più calmi e gentili delle femmine, le matriarche delle famiglie e quelle che sì, facevano le uova, ma le lasciavano a covare ai maschi. Questo lo facevano tutti i maniraptoridi, dato che anche Earl e suo fratello Brendan erano stati cresciuti dal loro gentile padre dalle piume scure e gli occhi dolci. 

Morgan allungò un suo corto braccio verso la maniglia dello sportello della sua automobile, non di lusso ma abbastanza grossa per un dinosauro di piccole dimensioni come lui- che d’altezza arrivava a malapena al metro. Un auto abbastanza grossa per Earl da riuscire a infilarsi sul sedile del passeggero, schiacciando il collo contro il petto e i gomiti ben serrati al corpo. 

“Tutto bene?” chiese Morgan, un cuscino sotto al sedere per riuscire a vedere fuori dal parabrezza, anche se le auto dei teropodi avevano a malapena quello che si poteva definire sedile. A lui non piaceva essere piccolo. La sua personalità era più grossa di qualsiasi sauropode. Earl pigolò in affermazione, grato all’Halszkaraptor per scarrozzarlo fino all'aeroporto di Barun Goyot, dato che Earl non aveva né patente né auto.

“Non solo per la macchina. Intendo… con tutto, no.” continuò Morgan, mettendo in moto l’auto. Le sue lunghe, sottili zampe artigliate pigiavano con forza sui pedali, il piccolo artiglio sul primo dito che produceva un nervoso ticchettio ogni volta che frenava e accelerava. “Con l’aereo, con il rivedere Brendan dopo… dopo tutto quello che è successo, con l’allontanarsi da Djadochta…”

Earl gli sorrise, quando l’Halszkaraptor si voltò per un istante a guardarlo negli occhi. “Lo psicologo, dei due, non è Steven?”

Morgan rise a voce alta, la sua voce melodiosa e limpida. Morgan era considerato particolarmente attraente per un maniraptoride- dove i tratti femminili come piume chiare e colorate e artigli affilati erano considerati tratti fisici estremamente ricercati. Ed, ovviamente, Earl non ne aveva nemmeno uno.

Earl non aveva ancora dato nessuna risposta a Morgan, e sapeva che lui ne pretendeva una. Sospirò. “Io… ho paura. Sì che ce l’ho. Però voglio farlo.”

“E fai bene.” cinguettò Morgan, un sorriso sincero- e stranamente poco aggressivo- sul suo muso.

Le strade di Djadochta erano ampie, a senso unico e più corsie da per grandezza della vettura, e come al solito la corsia per auto piccole e medio-piccole era la più trafficata. La tentazione di passare nella carreggiata per auto di megateropodi o sauropodi era tanta, ma la paura di venir schiacciato dalle mastodontiche ruote delle loro auto era di più ancora. Meglio imbottigliati nel traffico che schiacciati sotto decine e decine di tonnellate di ferraglia e dinosauri giganti.

Morgan fermò l’auto nel parcheggio dietro l'aeroporto, dove il rombo dei motori degli aerei in partenza quasi copriva le loro voci. Earl allungò il collo fuori dal finestrino, ad osservare con infantile curiosità un grosso aeroplano passare proprio sopra l’auto di Morgan, a molti metri d’altezza.

Earl rientrò con il collo dentro il veicolo, guardando Morgan, che sembrava tutto ad un tratto minuscolo, fragile, un pulcino dalle piume d’oro e gli occhi blu pieni di apprensione.

“Non credo in dio, ma.. Delle volte, è un conforto. Un legame.” disse lui, allungando tra i grossi artigli di Earl un ciondolo di pietra scura, nero e pesante. Era un oggetto votivo della divinità principale dell’Asia, la Dea nera di Basalto, che si diceva avesse distrutto il mondo in un oceano di lava per ricostruirlo più puro. A Hell Creek, come in tutta la Laramidia e anche l’Appalachia (i due continenti più occidentali), da quello che aveva detto Brendan ogni tanto, non credevano nella Dea di Basalto ma in un Dio luminoso che discendeva dal cielo. Un luogo lontano con un dio straniero e sconosciuto.

“Ricordati che, qui, ci mancherai.” gli disse Morgan , allungandosi per schioccargli un bacio tra le piume nere e gonfie sul viso di Earl, che non seppe cosa dire- le parole si incastrarono e persero nelle sinuose curve del suo lungo collo prima di arrivare al suo confuso, impaurito e imbarazzato cervello.

Il tono rassicurante di Morgan fece germogliare un seme di speranza nel cuore di Earl, sotto tutti quegli strati di magliette di band metal e catenelle d’acciaio e la giacca di pelle borchiata. Strinse il ciondolo di fredda pietra nera tra le dita. 

Non era ancora andato via, e già gli mancava casa.

 
   
 
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