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Autore: Mary Rosemary    24/06/2021    2 recensioni
L'opprimente oscurità continuava a crescere e crescere, soffocando la luce solare in una coltre di nere nubi; alzare lo sguardo era a lei pressoché impossibile.
Concentrati sui tuoi nemici continuava a dirsi concentrati su ciò che devi fare: poco importava se il sole era scomparso, aveva il potere di fermare tale disastro e non ne era minimamente spaventata.
Oppure lo era?
-
Che Tecna avesse sbagliato? No, impossibile.
L'aveva vista provare innumerevoli volte che la percentuale di fallimento della missione fosse ad un livello talmente basso da esser considerato trascurabile: disturbare il corso del tempo non era cosa da farsi, ma quale alternativa avevano?
Dopotutto a mali estremi, estremi rimedi, così aveva sentito dire.
Non c'era altro metodo per salvare la Dimensione Magica e, seppur avesse voluto optare per una variabile meno pericolosa del piano, aveva ammesso di non aver avuto altra scelta che partecipare attivamente.
“Ma cos'è successo? Perché siamo qui e non a Magix?”
“Questo posto è Magix”
Genere: Angst, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti, Winx
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IX.

Issues


This is the death of me, I feel it constantly
Just like an enemy that wants to see me bleed
So I try to be silent while my words they explode like hand granades
I just gotta stay calm, before I let this time bomb blow up in my face.”
Issues – Escape the fate





Scuro sangue, sangue del suo sangue, sgorgava in zampilli tiepidi da una delicata pelle di qualche tonalità più scura della sua; la carne lacerata ancora pulsava debolmente sotto l'esaurirsi dei battiti del cuore.
E lei non riusciva a smettere, non riusciva a fermarsi: ormai
pregna del liquido ripeteva il movimento con rinnovata forza, come se tutti i colpi che aveva inferto fino ad allora non fossero stati sufficienti.
Il coltello affondava in una pelle fatta burro,
penetrando in profondità ancora e ancora, sempre più a fondo a far a brandelli i muscoli e i nervi; forse solo così si sarebbe finalmente liberata senza la paura che, un giorno, quel corpo sarebbe tornato a cercarla vendicando l'omicidio, uccidendola sotto l'ira dei suoi colpi.
U
n paio di occhi chiari, sgranati e spenti, offuscati dalla morte, erano puntati sulla ragazzina ansimante che non aveva visto crescere, una bestia che non aveva colto nel suo formarsi; quella stessa ragazzina in rosso dalla sporca espressione carica d'odio, le lacrime agli occhi mentre ora le pugnalava il collo, ora il petto, ora le spalle.
Aggrappata al
l’arma, arrestò il suo folle attacco solamente quando vide l'ultima goccia di sangue versarsi sulle sue cosce sottili: e con un conato, poi un altro, la coscienza tornava a impadronirsi di lei, sussurrandole con intensità crescente la gravità del massacro che aveva appena concluso.
Era
come esser stata svegliata da un incubo tremendo, per poi scoprire che la scena che stava mettendo a fuoco davanti a sé fosse più che reale.
L’
ammasso di tagli, sangue, membra e brandelli di tessuto rossi e pendenti era stato sua madre; ed era stata lei a farle ciò.
L’aveva uccisa, l’aveva uccisa e aveva continuato ad accoltellarla anche dopo aver sentito il suo ultimo respiro.
Ma non aveva avuto scelta, si
era giustificata, pulendosi le mani sulle parti ancora bianche della camicia da notte.
Aveva trascorso le due giornate per intero, fino all'ultima sera, in un limbo: un piede ancora nella giovinezza, l'altro nell'oscurità e nel terrore, alla mercé di chissà quale presenza.

I loro corpi saranno a vostra disposizione presto.” aveva sentito sua madre pronunciare.
I loro corpi saranno a vostra disposizione presto.”
S’era chiesta fino all
o sfinimento cosa significasse.
E si era chiusa in sé stessa abbastanza a lungo, nel
la paura racchiusa da tali parole: i cerulei occhi sgranati nel vuoto a cercare una risposta, il respiro mozzato e le labbra che involontariamente ripetevano e ripetevano la frase.
Il fatto che si riferisse a lei e alle sorelle le era apparso talmente limpido da non lasciarle alcun dubbio, abbastanza sicuro da abbandonarla in un nauseante stato di trance.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Oh non sarebbe finita bene.
E come ne sarebbe uscita?
Non poteva esser conscia dell'intrinseco significato di una vita, non aveva idea di quanto valesse né la sua, né quella delle sorelle, né quella di chissà quale altro essere magico; ma sapeva che non voleva morire, e non voleva veder morire le uniche persone a cui teneva.
Era stata costretta ad una scelta: o lei, o loro.
Non
voleva ucciderla, mai l’avrebbe voluto se le circostanze non l’avessero richiesto; aveva pensato a molte alternative prima di capire di non averne alcuna.
Del resto non era in grado di fare altrimenti: n
on aveva imparato che a distruggere, era stato stupido da parte sua pretendere di essere capace d'altro.
Aveva osservato le sorelle con una velata nostalgia per quei due giorni:
Darcy aveva dodici anni ed usava spesso leggere anche per tutto il giorno, ignorando le esercitazioni. Aveva cambiato occhiali da poco, preferendo un modello più piccolo rispetto al precedente, che quasi le faceva sparire il viso nelle tonde lenti: o meglio, aveva espresso la sua preferenza alla madre e aveva sperato nella fortuna.
Tutto ciò a cui poteva avere accesso erano trattati o racconti riguardanti Whisperia, il loro paese natale, in una lingua rigorosamente differente da quella parlata: non poteva permettersi ciò che veniva venduto a Magix, sarebbe stata una distrazione dagli studi a lei destinati.
Nel guardarla, ad Icy si era stretto lo stomaco e l'espressione, lasciata incontrollata, aveva assunto un'ombra di tristezza – o qualcosa che ci fosse andato vicino.
Stormy aveva appena compiuto undici anni e ancora sfoggiava una mentalità alquanto infantile: cercava di uscire di nascosto per esplorare, conoscere, e aveva un’avversione non indifferente verso gli ordini che la madre le dava.
Ribelle quanto la sua chioma, veniva ripetutamente ripresa e sempre più le stava apparendo chiaro ciò che per tutta la vita la gente sarebbe andata ripetendo.
Ch'era un'incapace, che non avrebbe mai concluso nulla.
Al momento era intenta a dondolarsi sul davanzale, carezzata dal tiepido vento estivo. Se avesse continuato a ricevere un colpo dopo l'altro la sua pelle si sarebbe fatta fragile e violacea; il suo animo debole e senza vita. E sarebbe stata soffocata una volta per tutte.
Immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non avesse agito in fretta,
aveva levato ogni dubbio: Icy sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
A
veva pensato di agire da sola, evitando accuratamente lo scontro diretto, e senza esitazione l'aveva fatto: aveva lasciato esplodere le emozioni che aveva compresso fino ad allora, ed era saltata al collo della madre, lacerandolo da parte a parte con la lama che, forse con troppa forza, stringeva nella mano. E non s'era fermata a ciò, ma fendendo un colpo dopo l'altro aveva continuato a trafiggerla: con un movimento quasi meccanico e perpetuo del braccio, affondava ed estraeva il coltello, e il sangue schizzava e schizzava sul suo viso contratto dal dolore, sulle sue braccia, sul suo petto, che irregolarmente si alzava e si abbassava.
Una volta svuotata da tale odio s'era allontanata ad ammirare la sua opera, e aveva deglutito a fatica un conato di vomito: il raccapricciante cumulo di carne rossa davanti a lei era sua madre.
E l'aveva fatto lei, tutta da sola.
Senza l'aiuto delle sorelle, si era detta, con una malsana punta d’orgoglio.
Le dita che erano rimaste aggrappate all'arma la lasciarono in un colpo solo: il rumore metallico risuonò come una sveglia nei suoi timpani e in un attimo si era ritrovata chin
a sul lavandino a tossire e sputare, l'esofago in fiamme e le lacrime agli occhi per lo sforzo. Giunse troppo in fretta la soffocante sensazione che non avrebbe saputo definire: la sensazione creata dall'immagine ormai impressa nella sua mente che le stava tirando la pelle del petto dall'interno, mozzandole il respiro; e che le stava facendo bagnare le palpebre e generava della sua gola dei raccapriccianti rantoli. Doveva essere qualcosa di spaventoso e il non poterlo riconoscere rendeva il suo corpo, sporco e colpevole, ancora più teso e nervoso.
Si chiese più e più volte cosa stesse succedendo.
Dove avesse sbagliato.
Infinite coltellate fendevano l'aria vicino al suo orecchio,
accompagnate dal il rumore degli schizzi che seguivano l’alzarsi del suo braccio, dal tepore del liquido che le scivolava sotto la veste; aveva ucciso, aveva ucciso e stava impazzendo; il sangue su di lei era ancora caldo e pulsante, passava sotto la sua pelle ed entrava nella sua carne.
La carne di un assassino.
Bruciava sulle guance e doveva tornare indietro, indietro in quel corpo che non avrebbe dovuto toccare, non avrebbe dovuto
macellare: era sua madre, una figlia doveva voler bene alla propria madre e lei invece le aveva tagliato la gola e pugnalato il torace una ventina di volte almeno; e cos'era diventata, cosa diavolo era diventata.
U
n panico mai provato prima la cingeva a sé mentre in silenzio urlava contro quel riflesso che non riconosceva: chiedeva chi fosse, quando s'era sostituito a lei, perché aveva fatto ciò a l'unica cosa che la teneva attaccata alla vita; perché, perché buttare via tutto così presto. E continuò ancora per poco nella quiete della notte, fino a che il suo viso non tornò alla solita espressione impassibile che tanto le donava: il suo cuore rallentava considerevolmente la corsa e le restituiva la dignità persa nelle tubature del lavello.
Il rassicurante freddo l'abbracciò di nuovo,
sfiorandole il sudicio volto e consigliandola dolcemente sul da farsi. E dopo poco tempo era tornata a riconoscersi nel riflesso della finestra, candida e pulita dal crimine che aveva commesso: gli occhi lo guardavano con fare maniacale fra i capelli ancora umidi e lasciati sciolti, cercando una qualsiasi traccia di impurità; ma no, era sempre lei.
S
empre la stessa di prima.
S'era preoccupata per niente, dopotutto: era bastato pulire un po' e seppellire i propri sensi di colpa – se così potevano essere chiamati – in fondo al torrente insieme all'arma e al sangue lavato via dalla camicia da notte; era bastato asciugarsi per un po' vicino al camino acceso, forzandosi ad osservare Eris gelida ed immobile, la bocca spalancata e lo sguardo rivolto nella sua direzione; e svegliare le sorelle mantenendo l'alibi che andava creandosi nella sua testa.
Un paio di sopravvissuti all’ira delle antenate, originari di Domino, erano venuti per cercare vendetta; sarebbero tornati per loro, pertanto dovevano muoversi e correre il più lontano possibile; non era una giustificazione infallibile, ma era la migliore che era riuscita a pensare in pochi minuti di riflessione.
Alle sorelle, spaventate da un risveglio così brusco, era bastata.
Icy s
i decise ad uscire dalla soffocante dimora una volta per tutte, lasciandosela alle spalle: il corpo ancora tremante apriva la strada alle altre due bambine e la sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante, di indispensabile, per poter scampare al crimine commesso.
Ma non aveva tempo per assicurarsene: sforzandosi nel regolarizzare il respiro, procedette nel silenzio più assoluto, convinta di aver seppellito con la sua coscienza quella storia.
Eris tornò quella sera, tornò per anni e non se ne andò mai completamente.
Nonostante ciò mai Icy avrebbe ammesso di aver provato qualcosa nel compiere il suo primo omicidio: né
che ancora ricordasse ossessivamente le azioni da lei compiute della serata; ma la macabra posa e quegli occhi che non smettevano mai di scrutarla, osservarla o giudicarla…
Scacciando nuovamente le vivide immagini color cremisi, si era passata una mano sulla fronte, spostandosi appena i capelli dal bianco viso: il sole aveva cominciato a levarsi sopra alle montagne, donando una rosea sfumatura ai suoi sensibili occhi.
Senza perdere troppo tempo, si sollevò dai sedili posteriori e indossò la voluminosa giacca di pelle che aveva usato come coperta. Aveva fatto parecchia strada senza scorgere nemmeno la minima traccia della sorella, ma avendo estorto un giorno libero al suo asfissiante compagno avrebbe potuto dedicarsi ulteriormente alla ricerca.
Altrimenti tutto ciò che
stava facendo, e aveva fatto, sarebbe stato completamente inutile.
Lasciarsi alle spalle una lunga scia di omicidi in ogni posto nel quale avesse messo piede aveva portato l'unico vantaggio di poter tenere al sicuro le sorelle; sentire l'unica certezza che aveva sviluppato fino ad allora venir meno, la indusse a stringere istintivamente le mani sul volante, come quella sera, nell'ombra, aveva fatto con il manico del lungo coltello pregno del suo stesso sangue.




107 giorni, 5 ore, 17 minuti, 45 secondi alla fine.




Aveva cominciato ad abituarsi alle notte di Magix: buie quanto il giorno, senza stelle.
Certe notti ombre di creature magiche sempre in guerra le une con le altre venivano proiettate sul muro, al quale il materasso sui cui riposava era appoggiato, dal bagliore dei fuochi; aveva smesso di spaventarsi come la prima notte, eppure il sonno tardava a venire e, con il passare dei giorni, le sue otto ore di riposo si erano già ridotte a cinque scarse.
Fortunatamente aveva scoperto subito che nemmeno Stormy dormisse granché; spesso sembrava aver preso il detto ‘dormire con un occhio aperto’ troppo sul serio, e Musa non poteva fare a meno di continuare a domandarsi se non ci fosse una motivazione a spingerla a farsi cauta e stranamente silenziosa.
Usciva dall’appartamento solo per stretta necessità, o per quello che lei chiamava lavoro: una sorta di incarico da mercenario che sfruttava la sua velocità nel raccogliere informazioni, o oggetti preziosi da una o dall’altra gang, per poi darsela a gambe e consegnarle al miglior offerente.
Lavoro sufficiente a giustificare un nascondiglio a prova di inseguitori, ma non l’atteggiamento schivo, coperto con un tono superficialmente amichevole, che aveva mantenuto durante la loro convivenza.
Cercò di capire quali fossero i dettagli che la strega voleva nasconderle a tutti i costi, studiando i suoi comportamenti molto più controllati rispetto a come la ricordasse; osservando il modo in cui si assicurava che le uscite non potessero essere viste o sfondate dall’esterno, come sopprimeva la propria energia magica per evitare di essere rintracciata.
Precauzioni che la Stormy che aveva conosciuto lei non avrebbe mai preso, che andavano oltre al semplice adattamento ad una situazione critica.
E una sera, dopo pomeriggi trascorsi in chiacchiere di circostanza – non poteva dirsi esattamente a suo agio con la strega – Musa ebbe il coraggio di rendere sonora la domanda che aleggiava nella sua testa da quando l’aveva incontrata.

Perché sei venuta a Magix se sapevi a cosa andavi incontro?”
La scorse girarsi nella penombra, scostandosi le lenzuola dal viso; le piantò gli occhi verdi addosso come ad assicurarsi che le avesse davvero parlato.
“Beh, non potevo approfittarmi per così tanto della tua ospitalità. Tu e tuo padre non dovete mantenere anche me.” disse a mezza voce; Musa sostenne il suo sguardo, tentando di delineare gli occhi e il labiale insieme, ma il buio andava riempiendosi di ricordi che non le appartenevano, ricordi in cui Stormy era impegnata a raccogliere i suoi averi nella stanza degli ospiti, a Melody.
Ricordava le sue mani e il suo ginocchio sinistro premere senza pietà sulla valigia che aveva appena comprato, imprecando fino a chiuderla.

Non sei mai stata un disturbo per noi, lo sai. Ti davi anche da fare.” si accorse a malapena di quello che disse, mentre l’immagine di Stormy che presentava a lei e il padre, inginocchiati l’uno di fronte all’altro davanti al tavolino basso, il primo pasto commestibile che era stata in grado di preparare le passava davanti agli occhi.
“Fatemi aprire la finestra, che qui si sta crepando di caldo” aveva borbottato appoggiando i piatti, e subito aveva fatto scorrere la vetrata alle spalle di Musa, facendo entrare una tiepida brezza estiva che, per qualcuno che era stato ai fornelli per almeno un’ora, doveva essere rinfrescante e rigenerante.
L’aveva vista prendere un ampio respiro, prima di sedersi a gambe incrociate al lato corto del tavolo.

Ero comunque un’altra bocca da sfamare. E poi non volevo mettervi nei casini.” le rispose, immergendola in un’altra onda di memorie: Stormy s’era immobilizzata con la tazza di tè in mano, con le gambe a dondoloni tra le sbarre di legno del portico; teneva gli occhi sgranati e la bocca socchiusa, non le aveva risposto e si era chiusa completamente in sé stessa.
Da allora,
come se qualcun altro le avesse piantato in testa quell’idea, aveva deciso che doveva andarsene; e doveva farlo in fretta.
Si era alzata e si era chiusa nella sua stanza, impacchettando tutto ciò che poteva; Musa percepì il dolore e la solitudine che la sua partenza aveva lasciato nella dimora.
“Quali casini?” le chiese, facendosi più vicina a lei; la scorse esitare, passarsi nervosamente una mano tra i ricci corvini.
Riconobbe lo stesso gesto di quando l’aveva fermata sulla soglia, chiedendole spiegazioni; e lei s’era scusata perché non poteva dirle niente, intrecciando le dita nei suoi capelli e voltandole le spalle; era stata l’ultima volta che l’aveva vista, prima di ritrovarla tutta impolverata, tra le strade malmesse di Magix.
Casini con le mie sorelle.” rispose stringata.
Un nuovo risentimento animò le parole di Musa; parole che le scivolarono dalla lingua come se non fosse
in grado di controllarle.
Credo tu mi debba una spiegazione, a questo punto. Siamo in questa situazione insieme: è chiaro che non posso tornare su Melody, visto che a quanto pare i trasporti saranno bloccati, quindi non ha senso che mi tagli fuori dai tuoi problemi. E poi non mi hai mai dato una spiegazione quando te ne sei andata, vorrei capire se sono io il problema e mi stai mentendo o…” si prese una brevissima pausa, che tuttavia bastò alla strega per inserirsi nel discorso.
Tu non sei e non sarai mai il problema, Musa. Cazzo, mi hai tirata su dalla strada, mi hai servita e riverita e io non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me, ma tu non ti meriti di esser trascinata nei miei casini. Sono casini belli grossi.” la sua voce si era aperta ad una nota dolce che la fata credeva non avesse.
“Non mi credi abbastanza forte per poterti aiutare?” le chiese, addolcendo
il tono a sua volta, ma senza rinunciare a una punta di orgoglio.
Forse nemmeno io sono abbastanza forte.” ammise, distogliendo gli occhi con vergogna per ciò che aveva appena detto; nonostante la situazione, a Musa venne da sorridere con benevolenza.
“Ma sì che lo sei. E ora lo sono anche io, posso darti una mano.”
Ripiombarono in un silenzio momentaneo; dopo qualche attimo, Stormy si mosse per avvicinarlesi, guardandola fissa negli occhi; affondò la bocca sotto le coperte, appoggiando il mento sulla sua spalla, come a volerle rivelare un segreto.
“Me ne sono andata perché mi ha chiamata Darcy. Ha detto che qualcuno stava cercando di rintracciarci, e che secondo lei quel qualcuno era nostra sorella maggiore – Musa ricordò che negli anni che avevano passato insieme non aveva mai osato chiamare sua sorella maggiore per nome – e me l’ha detto con un’urgenza tale che non me la sentivo di ignorarla. Era veramente spaventata.”

E quindi sei andata da lei?”
Sì – rinforzò la sua affermazione annuendo con il capo – o almeno, per un po’ di tempo. Poi mi sono trovata qualcosa da fare che potesse farmi almeno capire che cazzo stesse succedendo. E, oltre a quello, cercare di anticipare mia sorella nella sua ricerca; se la trovo prima io e la ammazzo posso risolvere il problema alla radice.”
La fata faticò a capire se stesse scherzando o meno; il tono non l’era parso serio, eppure non scorgeva nessun segno del suo caratteristico sorrisetto sarcastico.

Mi sembra un po’ esagerato.” le disse quindi in modo leggero, evitando di caricare le parole di una serietà che avrebbe potuto troncare la discussione.
Stormy fece un’alzata di spalle, piegando la testa verso sinistra per appoggiargliela sulla spalla scoperta; Musa si stupì di non provare nessun disagio nella vicinanza, accogliendo la sensazione di comfort e abitudine che quel gesto le infondeva.

Se ci cerca per eliminarci è legittima difesa; altrimenti può anche continuare a farsi i cazzi suoi, per quanto me ne freghi.”
Quindi mi stai dicendo che con Darcy hai risolto.”
Già.”
E aggiunse subito dopo: “In fondo non è così male.”
Il silenzio calò nuovamente nella stanza, un silenzio differente dai precedenti: non era pregno di tensione
e attesa, non era segnato dalla difficoltà nel portare avanti una conversazione che Musa, nel suo mondo, non era abituata ad avere; era bensì confortevole, s’incastrava perfettamente nel loro discorso senza prendere troppo spazio, né troppo poco.
Eppure qualcosa accadde: parevano due paia di passi, accompagnati da bisbigli tenui che si riverberavano nella tromba delle scale dell’edificio; Stormy si separò velocemente da Musa, che si tirò su seduta di scatto, concentrandosi sulla frequenza dei suoi in grado di amplificare con il suo potere.

Non è possibile.” bisbigliò, fissando il suo sguardo sulla porta d’entrata.
Cosa non è possibile?” domandò brusca la strega, alzandosi e prendendo grandi passi verso la porta per assicurarsi che la magia che proteggeva le vie di accesso o uscita del locale fosse ancora al suo posto.
Ah, non fa niente. Tanto la porta è incantata, nessuno è ancora riuscito ad entrarci; e se entrano li carbonizzo.” disse voltandosi verso la fata, dopo non aver ricevuto nessuna risposta.
Musa si alzò lentamente in piedi; conosceva le due voci in procinto di avvicinarsi, eppure non riusciva a fidarsi dei suoni che percepiva; se Tecna aveva trovato un modo per rintracciarle tutte, perché non l’aveva fatto prima?
Perché le aveva permesso di trascorrere più di una settimana rinchiusa nel bilocale di Stormy per evitare di venir uccisa dai malviventi di Magix?
I passi si fermarono davanti alla porta; la fata chiuse la distanza che la separava dalla sua ex nemica e, in un bagliore purpureo e violaceo, permise che un paio di grandi ali luminose emergesse dalle sue scapole.




107 giorni, 4 ore, 53 minuti, 20 secondi alla fine.




L’appartamento dev’essere protetto con la magia; ecco perché il segnale continuava a sparire e riapparire.” dichiarò Tecna, analizzando con sguardo attento quella che sembrava essere una porta di legno malmessa, il cui spazio tra le assi rivelava un ambiente oscuro e polveroso.
Aisha avvicinò con cautela il viso alle fessure, strizzando un occhio per poterci guardare attraverso; l’ambiente appariva sgombro e minuscolo, con una sola finestra, dalla quale penetrava la scarsa luce proveniente dalle strade; il pavimento era composto da piastrelle rotte e intonaco scrostato, coperto da uno spesso strato di polvere, che non presentava alcuna traccia di passaggio per almeno un anno intero.
Tirandosi indietro, si sporse verso Tecna per controllare che il suo palmare segnalasse proprio l’interno della stanza; la mappa che era andata componendosi gradino dopo gradino mostrava esattamente la conformazione della stanza, e Musa era rappresentata vicino alla porta.

Sì, dev’essere una barriera – si convinse allora – E suppongo che Musa non possa neanche sentirci da là dietro.”
Non ne ho idea. Potrebbe non essere in grado di disattivarla.” alzò lo sguardo verso la porta, distendendo una mano; il palmo aperto percorse l’altezza del legno con lentezza, arrestandosi appena prima di sfiorare il suolo.
Nel momento
in cui raddrizzò le ginocchia, linee verdi perpendicolari si allungavano dallo stipite alto, lungo i lati lignei della cornice, innervando la superficie fino al cemento spoglio; Tecna le seguiva attentamente con lo sguardo, assottigliando gli occhi per poter mettere a fuoco i dati in codice binario che comparivano nei quadrati creati dalla griglia.
S
postò gli occhi da uno stipite all’altro, toccando il quadrato centrale per studiare il grafico che la sua magia aveva composto. Appoggiò il polpastrello sul picco di magia nera, prima di rivolgersi alla compagna.
Potremmo avere una pista, Aisha. La traccia di ogni magia è riconoscibile e riconducibile al suo proprietario.” disse a mezza voce, spostando il viso dall’alto in basso per cercare il punto debole da forzare per aprire una breccia nella barriera: ogni barriera ne aveva uno, l’aveva scoperto nel suo primo anno ad Alfea.
Stai dicendo che questa traccia è già nel tuo database?” tentò la compagna.
Esattamente.” le rispose, appoggiando il pollice sulla vena della superficie magica; aveva sempre trovato abbastanza ironico pensare che le barriere fossero come vetro: un colpo ben assestato nel punto giusto era sufficiente a farle andare in frantumi.
Ruotò il polso, circoscrivendo l’area più fragile con attenzione;
nel compiere il lento movimento guardò Aisha con la coda dell’occhio.
Concentra la tua energia, quando ho finito dovrai colpire questo punto con un attacco abbastanza potente da rompere la barriera.”
La principessa di Andros annuì.

Dobbiamo aspettarci uno scontro, suppongo. Ipotesi su chi potremmo trovarci davanti?”
Tecna alzò nuovamente lo sguardo verso la porta, osservando nuovamente il grafico nel quadrato centrale, prima di dischiudere le labbra per rispondere.
Aisha la precedette, agguantandola per una spalla e tirandola indietro con forza; con l’altra mano aveva già formato uno scudo a proteggerle.
La porta si era aperta con uno schianto, rivelando un piccolo appartamento illuminato flebilmente dai fuochi di strada.

Che cazzo fai, ma sei scema?!” si sentì una voce irritata fuori dal loro campo visivo; ma entrambe le fate, pronte all’attacco, s’erano bloccate davanti alla persona che sostava sull’uscio, le cui grandi ali passavano a malapena dalla cornice della porta.
Era Musa.

Siete veramente voi?” chiese subito, portando le mani davanti a sé per preparare un eventuale attacco. La diffidenza veniva da entrambe le parti, siccome Tecna la stava già scrupolosamente analizzando dai piedi alla punta dei capelli con lo sguardo.
Sì che siamo noi, ti abbiamo trovate grazie al dispositivo che ha sviluppato Tec. Ricordi? Per evitare che ci perdessimo se fosse successo qualcosa, come infatti è successo.” le rispose Aisha, più positiva nell’ignorare il dubbio sull’identità della fata della musica; ma rivolse uno sguardo nervoso alla zenithiana prima di continuare.
Tecna annuì appena.

Affermativo, è veramente Musa.”
Stiamo cercando anche le altre; prima ci uniamo, meglio è.” aggiunse la fata dei fluidi.
Quindi queste due stanno dalla tua parte?” la voce tornò a farsi sentire, e la sua proprietaria uscì dalla penombra per squadrare le nuove arrivate con un’espressione scettica; il suo corpo minuto, coperto solo da una maglietta oversize che le arrivava fino a metà coscia, contrastava in modo netto con l’aspetto etereo dell’Enchantix di Musa.
Nonostante nessuna delle due l’avesse mai vista così, con i capelli arruffati e l’impronta del cuscino sulla guancia, non mancarono di riconoscerla.

E me lo chiedi anche? Non sarei qui a parlarci se non stessimo dalla stessa parte.” le disse Musa, inclinando la testa nella sua direzione e rivolgendole un sorrisetto appena accennato.
Stormy ricambiò velocemente lo sguardo, prima di riportarlo sulle fate, ancora in silenzio e con gli occhi fissi su di lei.

Allora falle entrare. Più ce ne stiamo qui con la porta aperta, più attireremo l’attenzione.” e fece loro segno con la mano di entrare in modo frettoloso.
Quando le due fate
furono entrambe in salotto, la strega delle tempeste cacciò fuori la testa, guardandosi intorno, prima di chiudere e porre le mani pregne di magia sul legno della porta.
Aisha ne approfittò per avvicinare le labbra all’orecchio di Musa, non mancando di tenere d’occhio i movimenti della strega.

Cosa ci fai qui con quella?” sussurrò.
La fata della musica si fece tesa, mettendosi sulla difensiva.

Se non avessi incontrato lei probabilmente sarei morta, quindi se sto bene e al sicuro è solo merito suo. E poi credo sia palese che almeno lei non c’entra niente con tutto questo casino.” disse, trattenendo a stento l’asprezza che le era rimasta in gola dopo il litigio con Stella.
Quanto era passato? Le sembrava di essersi separata da lei e da Bloom da mesi, eppure non doveva esser passata più di una settimana.

Dopo ciò che ci ha detto Faragonda, è probabile che le Trix non lavorino insieme. Quello che stai dicendo non è una novità per me, ci ho pensato a lungo venendo qui.” intervenne Tecna
Siete state ad Alfea?” Musa aggrottò le sopracciglia, accorgendosi di come il ricordo della scuola per fate si fosse offuscato di fronte alle immagini di un passato che non le era mai appartenuto.
Con ogni probabilità, la Musa che era al momento non aveva mai frequentato il college, e i due anni passati in compagnia delle sue più care amiche andavano svuotandosi di significato.

Sì, non riusciresti a capire quanto è cambiata neanche se te la descrivessi nei minimi dettagli.” rispose Aisha con una smorfia poco rassicurante. La melodyiana poteva solo immaginare il peggio.
Come dicevo – riprese Tecna, infastidita dall’essere interrotta – sono arrivata a costruire un’ipotesi, confermata dall’atteggiamento di Stormy nei tuoi, e di conseguenza nei nostri, confronti:
le streghe potrebbero avere un ruolo marginale in tutta questa faccenda, o addirittura nessun ruolo.”
E allora chi avrebbe fatto un casino di queste proporzioni?” chiese la principessa di Andros, scettica.

Tecna rifletté un momento; il suo sguardo ricadde su Stormy, che staccava le mani dalla porta con uno sbuffo mal contenuto.
Ne riparliamo quando saremo sole.” sussurrò la fata, in parte celando il fatto che non avesse una risposta a quella domanda. O almeno, non ancora.
La strega tornò da loro, squadrandole una seconda volta.

Fammi capire, ce ne sono altre come te, Musa? Perché se ce ne sono, non ho tutto lo spazio del mondo per nasconderle nel mio appartamento.” fece, incrociando le braccia.
Altre tre, ma se conosci qualche posto sicuro possiamo trasferirci altrove. E poi dovremmo avere un p
iano per allora?” le rispose Musa, rivolgendo uno sguardo esitante a Tecna, che annuì.
Ho già qualche idea, si può pensare a qualcosa di più concreto.”
A
tali parole, Stormy piegò le labbra in un sorrisetto.

Beh, se quello che volete fare è far saltare questa società di merda, allora ci sto.”
Aisha si voltò verso Tecna con le sopracciglia aggrottate, schiudendo la bocca per sussurrarle ‘non vorrai…’; ma la compagna la precedette.
In un certo senso. Più siamo, meglio è, quindi siediti: ti spiegherò tutto.” disse alla strega, che prese a sedere sul divano con un ghigno soddisfatto.
Includere Stormy nella loro operazione poteva sembrare una decisione affrettata, ma tenendola all’oscuro dei dettagli più oscuri – come il fatto che Tecna avesse tutte le intenzioni di cancellare l’errore che aveva creato quella linea temporale, eliminando di conseguenza anche lei – sarebbe stata un aiuto prezioso.
Per quanto sia lei che Aisha fossero in grado di orientarsi con la carta sul suo palmare, avere al proprio fianco qualcuno che conosceva la città dall’interno, pericoli compresi, era un vantaggio che Tecna non voleva lasciarsi scappare.

Allora sputa il rospo.” le disse la strega, incrociando le gambe e affondando comodamente la schiena tra i cuscini.









Avvertenze e condizioni per l’uso:
Sono stupita dal fatto che questa volta, invece che un anno e mezzo, ci ho messo solo tre mesi.
Non abituatevi troppo, ma io stessa sono esaltata da questa “conquista”; in ogni caso mi sento di scusarmi, perché è comunque un tempo di aggiornamento imbarazzante.
Al momento sono presissima con la sessione (infatti non so manco come sono riuscita a tirar fuori questo capitolo, forse perché era già mezzo pronto da quasi un anno), quindi non saprei dare una data al prossimo aggiornamento. Forse settembre? Spero veramente di sì.
E’ estate e auguro a tutti un’estate divertente e finalmente un po’ più libera dalla pandemia. Divertitevi voi che potete!
Ringrazio, come sempre,
Ladynabla, Ghillyam e Applepagly (che so che lurka sempre perché me lo dice) per essere onnipresenti e sopportare questo tempo di aggiornamento veramente incredibile, nonché sorbirmi i miei scleri su vari argomenti, compreso il tempo che non è mai abbastanza.
Siete veramente la forza che spinge il mio cervello, fuso e disfatto, a farmi scrivere.
Questa storia andrà avanti ancora un bel po’, perché io stessa voglio vedere la fine.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi, siete preziosissimi e sono davvero contenta se la storia vi piace e vi tiene compagnia durante questi mesi estivi (anni, contando che l’ho iniziata tipo nel 2018?).
Se avete voglia, ditemi cosa ne pensate! Anche con un messaggino, non serve per forza la recensione.
Alla prossima missione, sperando di vedere il giorno in cui il mio ginocchio sarà a posto e non continuerò a rompermelo.


Mary

   
 
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