Crossover
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Autore: Registe    27/06/2021    4 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 14 - I raminghi dei Bassifondi







L'arena gladiatoria del Sindacato Crymorah








“Come hai detto?”
L’assolo di batteria pompato a tutta potenza dagli impianti acustici intorno all’arena soffocò completamente la risposta di Freki. Vexen sussultò, senza sforzarsi di nascondere una smorfia di fastidio. Chinò la testa verso la pantorana, in modo da accostare il più possibile l’orecchio alle sue labbra. Malgrado fossero seduti vicini nella quarta fila delle gradinate, praticamente schiacciati l’uno contro l’altra dall’entusiasmo di una folla sgomitante e molto ubriaca, gli ci volle ogni milligrammo di concentrazione in suo possesso per riuscire a distinguere le parole di lei.
“È un po’ tardi per ripensarci adesso!”
Vexen strizzò gli occhi e si schermò il viso con la mano, infastidito dal fascio di luci stroboscopiche sparato improvvisamente sulle file di spettatori con la delicatezza di una bomba a grappolo. Nel buio della sala, le macchie colorate danzavano sul viso di Freki trasformandolo in un ritratto da artista visionario.
“Non mi piace affatto questa situazione!” gridò, oltre il frastuono sintetico dell’accozzaglia di suoni che il presentatore dell’evento si ostinava a definire musica. “Dovrai offrirmi qualcosa di più se vuoi continuare ad avere il mio aiuto. Altrimenti me ne vado in questo istante!”
Lei inarcò un sopracciglio con aria divertita. Vexen lesse la risposta sulle sue labbra, più che sentirla.
“Oh, te ne vai? E dove?”
La musica scelse proprio quel momento per terminare in un fischio acuto e perforante. Vexen si portò le mani alle orecchie e bestemmiò silenziosamente.
“Signore e signori, senzienti di tutte le specie! Siamo lieti di avervi insieme a noi in questa fantastica serata!” Il presentatore, un rodiano dal ventre pronunciato e la camminata ondeggiante avvolto in un gilet di paillettes azzurre, aveva riguadagnato rapidamente il centro dell’arena. Il microfono fissato intorno all’orecchio amplificava in modo insopportabile la sua vocetta dal timbro nasale.
“Siamo giunti al culmine del nostro evento: ho il piacere e l’onore di annunciarvi… “ sotto i riflettori, le paillettes scintillarono in un’onda azzurra al gesto teatrale del suo braccio. “... L’INGRESSO DEI COMBATTENTI!”
Il rombo di un’ovazione proruppe dalla folla. Numerose paia di piedi e zampe iniziarono a battere ritmicamente sugli spalti e Vexen dovette sopportare stoicamente gli schizzi di una bibita dall’odore di verdure marce piovuta sulla sua spalla da un punto imprecisato delle file posteriori.
Freki aveva ragione, era troppo tardi per ripensarci. Andarsene ora avrebbe significato aprirsi la strada a forza in un mare di corpi sudati e sperare di non essere calpestati dalla calca urlante. Vexen serrò i denti fino a farli stridere e incurvò le spalle, sforzandosi di occupare meno spazio possibile.
Le luci di scena adesso rimbalzavano impazzite su una serie di figure che facevano il loro ingresso nell’arena. Il termine “arena” in realtà era improprio: Vexen sospettava che inizialmente l’edificio fosse stato pensato per ospitare competizioni sportive più tradizionali - ai bordi del campo in materiale sintetico si distinguevano ancora tracce di numeri e linee di demarcazione - ma Freki gli aveva spiegato che ormai la struttura era celebre in tutto il settore per i giochi gladiatori sponsorizzati e organizzati dal Sindacato Crymorah. I rivenditori di rottami con cui avevano parlato erano stati unanimi nel riferire loro la stessa informazione: i due superstiti del trasporto ribelle abbattuto erano stati reclamati come “trofeo” dai membri del Sindacato e spediti a rimpolpare le fila dei guerrieri che quella sera avrebbero combattuto fino all’ultimo sangue per la gioia e l’intrattenimento della criminalità locale.
E questo riportava Vexen all’annosa domanda: che cosa ci stava facendo ancora lì?
La totale mancanza di crediti e di punti di riferimento nei Bassifondi lo avevano spinto a seguire la missione di Freki come un pezzo di legno trascinato dalla corrente. Ma non poteva continuare così ancora a lungo. Doveva formulare un piano d’azione.
Una leggera gomitata nelle costole lo distolse dai suoi pensieri.
“Occhi aperti. Dobbiamo riuscire a individuare i nostri uomini prima che facciano una brutta fine.” gli occhi di Freki erano fissi sulla quindicina di creature ora schierate al centro dell’arena. Il rodiano sbrilluccicante le stava presentando una per una, inventando sul momento soprannomi fantasiosi basati sulle loro caratteristiche fisiche più evidenti.
“Probabilmente saranno ancora feriti o malconci a causa dello schianto. Aguzziamo lo sguardo e cerchiamo di…”
Vexen non la ascoltava più. Lei dovette accorgersi che stava fissando un punto preciso nell’arena e forse, nella danza tagliente delle luci di scena, lo aveva persino visto impallidire.
“Trovato qualcosa?”
Vexen mormorò qualcosa di inintelligibile e distolse lo sguardo dal punto che stava osservando. Faceva un caldo dannato in quella bolgia stracolma fino all’inverosimile della peggior feccia della galassia. Intrecciò le dita sulle ginocchia, tormentandole e sentendole sudate, appiccicose. Percepiva la vertigine di trovarsi in equilibrio su di un filo sottilissimo. Era il proverbiale giocatore d’azzardo che ha appena pescato la carta in grado di svoltare la partita. Qual era la mossa vincente? Rischiare il tutto per tutto o continuare con un gioco prudente e moderato?
“Qualcosa non va? Cosa hai visto?”
Non poteva sfuggire a lungo al tono incalzante di Freki. Inchiodato dallo sguardo della donna ebbe una sola certezza: non era capace di bluffare come uno scommettitore professionista.
“... il loro aspetto non sarà dei più terrificanti, ma non sottovalutate la disperazione di un padre e un figlio che devono proteggersi a vicenda! Fate sentire un applauso caloroso per i RAMINGHI DEI BASSIFONDI!”
I riflettori vomitarono la loro luce implacabile su due umani stretti l’uno all’altro al centro dell’arena: il più anziano teneva una gamba sollevata da terra e si appoggiava a una cruda stampella che sembrava ricavata dall’arto inferiore di un qualche tipo di droide. Il giovane gli cingeva un braccio intorno alle spalle con fare protettivo, ma persino da quella distanza le sue labbra contratte tradivano la fatica e la sofferenza che doveva provare.
“Ehi? Even? Ti sei incantato?”
Non li aveva più visti da quando erano evasi insieme dal Baan Palace insieme a Camus e al commando ribelle, e anche in quell’occasione aveva scambiato con entrambi sì e no mezza parola. Ma non fece nessuna fatica a identificarli. La pelle scura, i capelli del più giovane raccolti in treccine aderenti al cranio, l’innegabile somiglianza nei tratti marcati del viso e nella fronte spaziosa: i due uomini sembravano la fotocopia l’uno dell’altro con una ventina d’anni di differenza.
Ironico come su un pianeta di decine di miliardi di abitanti fosse riuscito ad imbattersi proprio in Valygar e Lavok Corthala. Ironico e oltremodo irritante, visto che invece Zexion sembrava volatilizzato nel nulla.
Aveva trovato lo zio e il nipote sbagliati.
Finita la presentazione dei combattenti, i due ribelli furono spinti senza troppe cerimonie lungo un lato dell’arena insieme a tutti coloro che non avrebbero disputato il primo incontro. Le grida del pubblico ormai si innalzavano in una cacofonia di versi degni dei primi stadi evolutivi dell’homo sapiens, accogliendo con bramosia sanguinaria la sfida tra un grosso wookie dal pelo grigio e un’umana dall’aria nervosa che due membri del Sindacato sospingevano incontro all’avversario brandendo lunghe picche cariche di elettricità.
“L’uomo con la pelle scura e la gamba rotta.”
Con un lungo sospiro, Vexen si arrese allo sguardo inquisitorio di Freki e indicò in direzione di Lavok. Il mago ribelle era appiattito contro le transenne dell’arena, uno sguardo di puro terrore dipinto sul volto.
“Potrebbe essere anche il wookie, però” ribatté la pantorana. “Guarda, fa fatica a sollevare il braccio destro.”
In effetti l’umana impegnata nel combattimento aveva appena schivato un manrovescio goffo e impreciso in mezzo agli “oooohh” del pubblico. Il suo rivale era certamente più grande e più forte di lei, ma i suoi movimenti erano affaticati e legnosi come quelli di un droide non oliato.
Lo scienziato percepì i muscoli di Freki tendersi, sentì la donna raccogliersi accanto a lui, pronta a scattare. Senza fermarsi a riflettere allungò una mano e gliela strinse attorno all’avambraccio.
“Non è il wookie.”
Lo sguardo di lei divenne tagliente nella penombra, trapassandolo da parte a parte. La maschera della professionista imperturbabile si era scomposta per un attimo e Vexen fu sul punto di lasciar andare la presa, intimorito per la prima volta dal ghigno ferino della sua misteriosa compagna di viaggio. Deglutì e le affondò le dita nell’avambraccio con maggior forza, sibilando attraverso le ovazioni della folla e l’improvviso ruggito di dolore del guerriero wookie.
“Te l’ho detto. Voglio qualcosa in cambio.”
Doveva parlare a pochi centimetri dal suo viso per riuscire a farsi sentire.
Freki non si mosse, né cercò di divincolare il braccio dalla sua stretta. Sembrava aver dimenticato l’arena e il combattimento in corso, tutta la sua attenzione rivolta completamente su di lui. La maschera era tornata al suo posto, e Vexen ebbe di nuovo l’impressione sgradevole di essere soppesato come un animale da condurre al macello.
Le striature sulle guance di lei rilucevano come scie dorate nella penombra.
Poi, inaspettatamente, la donna sorrise.
“È un po’ difficile se non conosco il tuo prezzo.”
“Hai detto di essere un’abile informatica. Forse potresti cercare una persona per me.”
“Andata. E ora dimmi tutto quello che sai.”
Lentamente, Vexen aprì le dita e ritirò la mano. Gli sembrò di essere tornato a respirare dopo svariati minuti di apnea.
“Lavok e Valygar Corthala. Zio e nipote. Membri dell’Alleanza Ribelle. Vengono da un pianeta poco avanzato, ma il più vecchio dovrebbe avere capacità magiche.”
“Vedo che non sono l’unica ad avere contatti tra la ribellione” fece lei, senza perdere l’enigmatico sorriso. Poi tornò ad osservare l’arena con sguardo pensieroso. I due tirapiedi dei Crymorah stavano trascinando via la sagoma immobile del povero wookie mentre il rodiano in pailettes annunciava la vittoria della sua avversaria tra grida selvagge e i fischi di indignazione di chi aveva scommesso per il lottatore più grosso.
“Ascoltami bene. Quando ti do il segnale tira qualche gomitata a caso tra la folla e seguimi da vicino. Copriti la faccia e non perdermi mai di vista.”
“Aspetta, questo non era negli accor…”
“ORA!”
Fece in tempo a vedere Freki alzarsi ed estrarre un oggetto rotondo da una tasca, poi una coltre di spesso fumo grigio inghiottì le gradinate.
Non ci fu bisogno di tirare nessuna gomitata: la folla attorno a loro impazzì all’istante e Vexen si ritrovò di colpo al centro di un vortice di grida, spintoni, pugni tirati alla cieca e creature che cercavano di scavalcare le file di sedili per precipitarsi neanche loro sapevano dove.
Aggiunse le proprie imprecazioni a quelle del marasma che lo sballottava senza pietà da una parte all’altra. Cercò di riguadagnare la posizione eretta mulinando le braccia come un nuotatore che cerca di non affondare nel fango, ma nel tentativo di schivare una mano palmata diretta contro il suo viso impattò con la schiena contro qualcosa di duro e si sentì spezzare il fiato nei polmoni.
“Non perdermi di vista un benemerito ca… “
Un’altra mano emerse dalla cortina di fumo, ma stavolta era seguita da un paio di occhi color ambra fin troppo conosciuti. Il resto del viso della donna era già avvolto nel passamontagna che indossava quando l’aveva incontrata la prima volta. Vexen si protese per afferrarla e Freki lo tirò verso di sé, ordinandogli di aggrapparsi al suo braccio con tutta la forza che aveva.
Lo squillo penetrante di una sirena d’allarme si era sovrapposto alla cacofonia di urla. In un attimo le volute di fumo si tinsero del rosso sanguigno e intermittente delle luci di emergenza che entravano in funzione.
“Questo piano fa schi… “
“Reggiti forte. E copriti la faccia!”
Vexen usò il braccio libero per sollevare un lembo della sciarpa fin sopra il naso mentre Freki iniziava a trascinarlo dietro di sé. La vide poggiare il piede sullo schienale di uno dei sedili della fila inferiore e darsi la spinta.
Il suo cuore mancò un paio di battiti.
Lanciò un grido acuto mentre spiccavano il volo l’uno aggrappato all’altra, librandosi oltre le gradinate ormai semivuote e precipitando a velocità folle verso il centro dell’arena. Non era un salto naturale, non per una creatura della taglia e della fisiologia di Freki. Vexen ricordò confusamente il modo in cui lei aveva rallentato la sua caduta dopo la sparatoria con la polizia di Coruscant e fu sul punto di realizzare qualcosa, ma la connessione si perse tra il caleidoscopio di neon rossi e fumo grigio, mentre le barrette proteiche che aveva mangiato a colazione si esibivano in una serie di capriole nel suo povero stomaco.
Già era tanto se riusciva a mantenere la concentrazione necessaria a non vomitare o farsela addosso, figuriamoci riflettere lucidamente.
Infine, dopo un tempo che gli parve lunghissimo, toccarono terra. Il fumogeno lanciato da Freki non era arrivato a lambire il centro dell’arena, perciò Vexen fece appena in tempo a staccarsi dal suo braccio e a muovere un paio di passi scoordinati che la punta di una vibropicca sfrigolò a due centimetri dal suo orecchio. D’istinto si lasciò cadere su un fianco contro il pavimento in materiale sintetico e rotolò lontano dalla portata dello sgherro dei Crymorah che imprecava contro di lui in una lingua sconosciuta.
Freki invece si lanciò in avanti con un grido, lo superò e si gettò sui due tirapiedi roteando due corte vibrolame che Vexen non le aveva assolutamente visto estrarre.
Si tirò su a fatica su un gomito, ignorando i gemiti di protesta di praticamente tutti i muscoli del suo corpo. Freki si muoveva come una furia, così rapida che gli occhi dello scienziato quasi non riuscivano a seguirla. Uno dei tirapiedi, un gamorreano dalle gambette ricurve, emise un grugnito di trionfo credendo di averla infilzata con la picca, ma il suo muso porcino si aprì in una smorfia di stupore quando si accorse che, attaccato alla punta dell’arma come una lugubre bandiera, sventolava solo un lembo strappato del suo mantello.
L’istante successivo il gamorreano spalancò gli occhi e rantolò a terra, una delle vibrolame di Freki conficcata in mezzo alle scapole. Alle sue spalle, la donna gli sfilò l’arma dal corpo con un movimento fluido e si voltò a fronteggiare l’avversario rimanente prima ancora che il corpo del gamorreano scivolasse a terra.
Vexen si riscosse, sbattendo le palpebre più volte e rimettendosi in piedi a fatica. Iniziava a sentirsi troppo vecchio per tutta quell’azione. Si guardò intorno e cercò di fare il punto della situazione.
Le gradinate, ancora parzialmente avvolte dal fumo, si erano ormai svuotate quasi completamente dal pubblico, che aveva lasciato dietro di sé un cimitero di lattine vuote, rifiuti e oggetti dimenticati. Da alcuni ingressi nella parte superiore, tuttavia, si avvicinavano a gran velocità altre creature armate che avevano tutta l’aria di essere sgherri dei Crymorah molto, molto arrabbiati.
“Freki! Abbiamo compagnia!”
“Sbrigati a liberare i prigionieri, idiota!”
La donna era ancora impegnata in un corpo a corpo serratissimo con la seconda guardia e non aveva nemmeno alzato la testa per gettare un’occhiata ai nuovi nemici in avvicinamento.
Vexen si rese conto che gli uomini in alto non avevano ancora aperto il fuoco solo per via della scarsa visibilità causata dal fumo. Questo gli concedeva qualche secondo preziosissimo.
Corse a perdifiato verso il bordo dell’arena dove i gladiatori erano ammassati l’uno contro l’altro, ad eccezione del wookie che ancora giaceva nel bel mezzo del campo dove il suo carceriere lo aveva abbandonato al momento dell’attacco di Freki. Nessuno di loro aveva potuto approfittare del caos per tentare la fuga: delle rozze catene metalliche li tenevano legati alla transenna per mezzo di un anello infilato intorno al polso di ciascuno.
Vexen imprecò, estrasse un gessetto dalla tasca e, ignorando la trafila di suppliche e domande dei prigionieri, afferrò il braccio di Lavok e iniziò a disegnare rune alchemiche lungo il bordo del bracciale metallico alla massima velocità di cui era capace.
Il giovane Valygar tentò di frapporsi tra lo zio e il nuovo arrivato, ma la sua catena si tese al massimo impedendogli di muoversi come avrebbe voluto.
“Stai fermo!” gridò Vexen senza distogliere gli occhi dal suo lavoro. “Siamo dalla vostra parte!”
Il mago aveva decisamente visto giorni migliori: la barba era sfatta, le occhiaie marcate. A distanza ravvicinata l’odore di sudore misto a qualcosa che sembrava olio di motori risultava a malapena sopportabile.
Il suo sguardo tuttavia non aveva perso acutezza, e corse rapidamente dal bracciale al viso coperto di Vexen per poi illuminarsi in un’improvvisa realizzazione.
“Questi cerchi… sei il membro dell’Organizzazione!”
“Ora non è il momento. Stanno per spararci addosso!”
Come in risposta alla sua esclamazione, una salva di proiettili di blaster saettò sopra le loro teste. Negli ultimi giorni Vexen aveva imparato a riconoscere e temere quel suono più di ogni altra cosa al mondo.
Ma né lui né nessuno dei prigionieri furono colpiti. Lavok aveva sollevato la mano appena liberata e uno scudo impalpabile si ergeva adesso come una cupola tra loro e i raggi al plasma, che si infrangevano contro la sua superficie disegnando una moltitudine di cerchietti come sassolini lanciati sull’acqua.
Non a caso aveva scelto di liberare il mago per primo.
I prigionieri, tuttavia, erano ancora parecchi.
“Mi serve ancora un po’ di tempo!”
“Ricevuto!”
Percepì con la coda dell’occhio la sagoma agile di Freki saettare verso le gradinate. Doveva essersi liberata anche del secondo avversario, ma persino una piena di risorse come lei non poteva resistere a lungo contro una schiera di nemici che andava ingrossandosi minuto per minuto. Vexen si dedicò per prima cosa a liberare i prigionieri più in salute o che gli sembravano capaci di combattere; l’umana che aveva abbattuto il wookie scattò in avanti non appena il bracciale attorno al suo polso si sciolse in una colata di burro, afferrando la picca appartenuta al gamorreano e lanciandosi all’attacco subito dietro Freki.
Una mano appoggiata alla sua cruda stampella, Lavok continuava a tenere l’altra sollevata con il palmo in aria per tenere attivo l’incantesimo di scudo, ma il suo respiro iniziava a farsi sempre più affannoso.
“C’è un’uscita per i combattenti?”
Dovette ridisegnare per due volte l’ultima runa sul bracciale di Valygar. Sia le sue mani che quelle del ranger erano sudate e scivolose di unto e sporcizia e il gessetto si era spuntato, causando delle sbavature dagli effetti potenzialmente distruttivi. Interruppe il lavoro per un attimo, si asciugò la fronte con una manica e si rimise all’opera mordendosi l’interno del palato. Valygar ebbe la geniale idea di restare immobile e non mettergli fretta.
Ma non fu abbastanza geniale da impedire ai suoi dubbi di affiorare fino alle labbra.
“Come sappiamo che possiamo fidarci?”
 Vexen lottò contro la tentazione di aggiungere un glifo per trasformare tutta la peluria sul corpo del ranger in zucchero filato e rispose in mezzo ai denti: “Non pensavo ti interessasse la carriera del gladiatore.”
Un ultimo segno con il gessetto e anche quell’ennesimo bracciale si sciolse in una poltiglia giallastra. Dall’alto continuavano ad arrivare rumori di spari e grida, su tutte l’urlo di una voce femminile resa acuta dal dolore. Vexen si voltò di scatto, temendo che si trattasse di Freki: ma era solo l’umana di prima che precipitava giù per le gradinate con un foro fumante in mezzo al petto. Il tizio che aveva fatto fuoco non le sopravvisse di molto in ogni caso: con un salto degno di un’acrobata Freki gli piantò una vibrolama tra il collo e la spalla, centrando il punto di giuntura tra una piastra e l’altra della sua armatura protettiva.
Vexen si sentì afferrare per una spalla e girandosi si ritrovò a pochi centimetri dalla faccia di Valygar. I polpastrelli del ranger gli affondarono nella carne come punte d’acciaio, stringendolo in una morsa che non ammetteva repliche.
“Seguici. E non fare scherzi strani. Ti tengo d’occhio, alchimista.”
“Bel modo di ringraziare” sbuffò lo scienziato quando il ranger lo lasciò andare. Si massaggiò la spalla dolorante bestemmiando sommessamente.
Valygar si caricò sulle spalle lo zio che non poteva camminare - ma che continuava a mantenere la concentrazione sullo scudo - e gridò a gran voce agli altri prigionieri di venirgli dietro.
Guidati dal ranger, lo scienziato e la quindicina di prigionieri corsero diretti verso una porticina annidata sotto le gradinate, ma a pochi metri dalla meta lo scudo di Lavok sfarfallò come una trasmissione olografica dal segnale debole e sparì in uno sbuffo impotente. Il mago aveva perso i sensi, la testa reclinata sulla spalla del nipote. Un twi’lek alla destra di Vexen venne centrato alla nuca da un proiettile vagante a si accartocciò sul pavimento dell’arena senza neanche accorgersi di essere stato colpito.
“Dèi ladri!”
Vexen mise nelle gambe tutta la forza che gli restava. La maledetta porticina sembrava allontanarsi invece che farsi più vicina, e per un attimo lo scienziato fu certo che il suo cuore non avrebbe retto e si vide spiaccicato sul suolo dell’arena, il corpo crivellato di buchi fumanti.
Il calore di un laser gli sfrecciò a un millimetro dalla guancia. L’odore di plasma ionizzato gli aggredì le narici penetrando fin dentro al cervello.
“Serve una mano?”
Di colpo, Freki si era materializzata al suo fianco. Aveva ancora il volto coperto, ma lo scintillio nei suoi occhi d’ambra tradiva il sorriso che doveva allargarsi a dismisura sotto il passamontagna. Vexen non capiva cosa ci trovasse di divertente in tutta quella situazione, ma se non fosse stato impegnato a correre per la sua vita si sarebbe gettato ai suoi piedi per supplicarla di fare qualcosa, qualsiasi cosa per salvarli.
Come se gli avesse letto nella mente, Freki si voltò con una piroetta e sollevò una mano in direzione dei membri del clan Crymorah alle loro calcagna. Vexen osò appena voltare la testa, credendo a stento ai dati che i suoi occhi gli comunicavano: i raggi al plasma diretti verso di loro si curvarono a mezz’aria, deflettendosi in direzione dei loro inseguitori.
Valygar raggiunse per primo la porticina di duracciaio e iniziò a tempestarla di spallate. Vexen arrivò un istante dopo di lui e si appoggiò allo stipite, boccheggiando per la fatica.
“Alchimista! Renditi utile!”
Lo scienziato cercò di estrarre di nuovo il gessetto dalla tasca, ma il mozzicone gli scivolò tra le dita e rotolò sotto la fessura della porta. Imprecò sonoramente e tirò un pugno sulla lastra di duracciaio che servì soltanto a lasciargli un dolore sordo alle nocche.
“Usate questo!”
Freki, ancora in retroguardia, aveva lanciato verso di loro un piccolo oggetto, una sorta di disco piatto con una serie di sensori luminosi sulla superficie. Vexen ringraziò mentalmente la prontezza di riflessi di Valygar, che lo afferrò al volo con la mano non impegnata a sorreggere il mago riverso sulle sue spalle.
“Attaccalo alla porta e premi il pulsante!” gridò la donna. “Poi allontanatevi tutti di due passi!”
Il ranger obbedì mentre Vexen e altri prigionieri si appiattivano contro la transenna proteggendo la testa con le braccia. Il congegno si agganciò alla porta con uno schiocco sonoro e iniziò ad emettere una serie di bip a distanza sempre più ravvicinata l’uno dall’altro.
Freki intanto era stata raggiunta da un paio di assalitori. Aveva strappato a uno di essi la vibropicca e ora roteava l’arma davanti al corpo in un mulinello di saette per tenere entrambi a distanza.
La porta detonò con una deflagrazione contenuta, come se fosse semplicemente implosa su se stessa. Valygar scostò gli ultimi resti con una spallata e gridò al gruppo di correre a più non posso.
Vexen seguì il flusso di prigionieri verso l’aria finalmente aperta e libera. Prese una boccata a pieni polmoni, assaporando la sensazione del vento fresco della sera sul viso madido di sudore. Alle sue spalle, Freki protese una mano e con un grido acuto aprì il palmo in direzione degli inseguitori: i due sgherri vennero sospinti all’indietro con la forza di un proiettile e impattarono contro gli uomini che li seguivano a una certa distanza a blaster spianati.
L’istante successivo furono tutti fuori. I prigionieri liberati si dispersero in varie direzioni, e presto rimasero soltanto lui, Freki e Valygar con Lavok sulle spalle a saettare tra le piattaforme e i vicoli nel tentativo di mettere più distanza possibile tra loro e l’arena dei Crymorah.
Ben presto i rumori di spari e le urla si attutirono alle loro spalle fino a sparire del tutto.
Si fermarono a riprendere fiato su una piattaforma invasa dalla spazzatura di non sapeva più neanche lui che livello. Vexen appoggiò la mano a una grondaia e si piegò in due, boccheggiando per la fatica.
“Non male… alchimista.” Al suo fianco, Freki non aveva nemmeno il fiatone. “Non sarai capace di combattere, ma sei pieno di risorse.”
Vexen sollevò la testa e le rivolse uno sguardo di fuoco.
“Potrei dire lo stesso di te… cavaliere Jedi.”
  
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