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Autore: Princess_of_Erebor    28/06/2021    14 recensioni
Una fanciulla inaspettata... E un giovane dottor Enys. Due differenti personalità, una nuova realtà. Sullo sfondo, la selvaggia Cornovaglia del 1700 e alcuni personaggi ben noti, coinvolti in una storia diversa da quella che conosciamo. In questo progetto, voglio creare una protagonista femminile ispirandomi in buona parte alla sottoscritta. E se scrivere è un pò come vivere due volte, mi diletto a prendere vita attraverso le avventure di Jennifer.
Un racconto nato dalla passione per "Poldark" e dall'amore profondo che nutro per un personaggio che ha saputo sfiorare le più profonde corde del mio cuore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dwight Enys, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo III
 
 

 

“Possibile che tu debba sempre combinare guai?” tuonò Jennifer spazientita, scendendo cautamente le scale di legno tarlato. “Accidenti a me, non avrei dovuto seguirti fin quassù!”.
“Pensi che sia facile trattenere uno starnuto?” si difese Jinny, piagnucolando.
“Io ci riesco, se voglio”.
“Comunque ci siamo ritirate immediatamente, nessuno dei due ci ha visto”.
“Non ci scommetterei. Sottovaluti Ross, a lui non sfugge nulla!”.
“C’è un solo modo per esserne sicure: andiamo a verificare!”.
Attesero alcuni minuti prima di sgattaiolare fuori dalla stalla, quindi attraversarono l’acciottolato e giunsero al grande vaso di anemoni davanti alla casa, sforzandosi di assumere l’aria più indifferente del mondo. Un trafelato Jim Carter dal sorriso trionfante andò loro incontro e prese Jinny per mano.
“Ho vinto la caccia al tesoro! L’avresti mai detto, Jin? E’ il mio giorno fortunato! Vieni con me, voglio mostrarti il premio!”.
La ragazza protestò debolmente, ma lui non le diede retta e corse via portandola con sé.
Dopo essersi lisciata l’abito e sistemata i capelli scarmigliati, Jennifer – in piedi a pochi metri dall’ingresso – si guardò intorno: il pranzo era terminato da un pezzo, anche se l’assalto ai dolci e alle bevande era ancora in atto, allo stesso modo del divertimento e di un’allegra confusione. Nei pressi del meleto si svolgeva la premiazione del torneo di lotta libera: il vincitore era Mark Daniel che, giunto in finale, aveva battuto il fratello Paul. Demelza gli consegnò il trofeo, vale a dire un fazzoletto rosso sangue che il ragazzo si legò intorno al collo dandosi le solite arie da uomo forte e imbattibile; per protesta, o forse per dispetto, Jud Paynter – ubriaco fradicio – sputò sull’erba ai piedi di Mark, e furono costretti ad intervenire Paul Daniel e Will Nanfan per evitare che scoppiasse una seconda rissa, a cui stavolta non sarebbe seguito un premio. Le grida incollerite degli uomini erano sovrastate da quelle acute e spensierate dei ragazzini che si rincorrevano tra gli olmi, e dalle vocine angeliche delle bimbe che danzavano in un girotondo organizzato da “mamma” Zacky Martin, come quasi tutti la chiamavano. Le signore, accaldate e stanche dopo aver partecipato alla corsa in giardino, sedevano sulle panche all’ombra di un grosso olmo, bevendo tè e conversando del raccolto, di stoffe e del tempo; di tanto in tanto si scambiavano qualche succulento pettegolezzo. Nonna Daniel, un’arzilla signora alla soglia degli ottant’anni, chiacchierava senza sosta con Verity istruendola sul miglior modo per preparare un arrosto di rognone da leccarsi le dita. Beth, consorte di Paul, cullava la piccola Julia seduta sul prato, al riparo dal sole ancora cocente. I signori – quelli che non si ingozzavano di torta e che non erano interessati ai giochi – passeggiavano sorseggiando porto o sidro, mentre discutevano per lo più di affari.
Dov’erano finiti suo fratello e il signor Enys? Jennifer fece qualche passo verso uno dei tavoli imbanditi di prelibatezze tradizionali, decisa ad assaggiare la torta all’uvetta preparata da Jinny (la sua preferita), quando una voce familiare alle sue spalle la chiamò per nome.
“Ross!” esclamò con un lieve sussulto, voltandosi verso il fratello.
“Hai saputo? Ci sono due spie che si aggirano per la tenuta. Sono state avvistate nelle stalle, devi aiutarmi a scovarle!” sussurrò lui come in gran segreto, gli occhi seri nei quali balenava una giocosa ironia travestita da preoccupazione.
“Razza di idiota, ci hai viste! Ti prego, dimmi che il tuo ospite non si è accorto di nulla…”.
“Be’, poco fa mi ha confidato che trova irresistibile la curiosità sfacciata che nutri nei suoi riguardi. E non ha ancora avuto il piacere di ascoltare il tuo linguaggio scurrile!”.
“Smettila di prendermi in giro una buona volta!”.
“La canzonatura è una forma di affetto al contrario, sai che lo dico sempre a Demelza”.
“Ti farei assaggiare il mio pugno davanti a tutti, per dimostrarti il mio affetto al contrario!”.
“Vieni qui, puledra scalpitante” mormorò lui circondandole le spalle con un braccio. “Sei proprio una Poldark!”, aggiunse ridendo.
“Solo per metà, grazie a Dio!” ribatté Jennifer sbuffando, benché sotto sotto provasse un certo divertimento: adorava punzecchiare suo fratello tanto quanto lui adorava tormentare lei. Tutti quelli che li conoscevano, o che li vedevano insieme, non potevano fare a meno di considerare il loro rapporto solido ed equilibrato nonostante il divario di età, alcune diversità caratteriali e i frequenti battibecchi.
Senza smettere di ridere con voce sommessa, Ross si girò e vide Dwight in piedi sulla soglia di casa, il capo chino sul suo bicchiere di brandy mezzo vuoto; non si era mosso di un centimetro e si era a malapena guardato attorno, dopo la passeggiata in giardino. Ad una prima occhiata appariva annoiato, ma era più che altro a disagio e la cosa suggerì un’idea al signore di Nampara.
“Vieni con me, Jen!” ordinò il capitano a sua sorella, avviandosi a grandi passi verso l’entrata.
Lei lo seguì svogliatamente, ma nel giro di una manciata di secondi intuì quali erano le sue intenzioni e fu colta da una strana ansia; in ogni caso, era troppo tardi per tirarsi indietro.
“Dwight!”.
Nel sentirsi chiamare, il giovane sollevò finalmente la testa bionda dal bicchiere. “Permettetemi di presentarvi mia sorella! Jennifer…” continuò Ross rivolgendosi all’altra, “lui è il signor Enys, il nuovo chirurgo della Wheal Leisure”.
Dwight tese timidamente la mano: il tocco di quella pelle vellutata, con la sua candida freschezza, gli procurò un fremito di un’ignota emozione. Accennò un sorriso notando la stretta allo stesso tempo energica e gentile di lei, piuttosto insolita per una donna.
“Servo vostro, signorina” disse, facendo un piccolo inchino.
I loro sguardi si incrociarono e, in quell’attimo, il blu impetuoso degli occhi di lui si scontrò col vivido nocciola di quelli della fanciulla, come le onde che si infrangono sugli scogli. Rimasero così per qualche lungo istante finché Dwight, leggermente rosso in viso, ritrasse la mano esitante. Non aveva mai riscontrato che il brandy facesse accelerare i battiti del cuore, inoltre non aveva ingerito caffeina, eppure ad un tratto si sentiva come se avesse mandato giù dieci tazzine di caffè una dopo l’altra.
“Perdonate, signore” si scusò Jennifer col tono più garbato di cui era capace, “se ho infranto le regole del galateo, o del semplice buonsenso. Dovete sapere che, ogni volta in cui stringo la mano a qualcuno, mi assicuro che sia l’altro a lasciarla per primo; ciò garantisce un sottile ma notevole vantaggio in tutti i rapporti umani. Me lo hanno insegnato da piccola”.
Il dottore la guardò sorpreso; notò allora un luccichio di sfrontata soddisfazione accendersi nelle profondità di quelle iridi vivaci. Ne fu vagamente irritato, ma si sforzò di non darlo a vedere.
“Confesso” rispose con educazione, “che nemmeno il mio comportamento è solito rispettare scrupolosamente tutte le regole imposte dall’etichetta, dunque non c’è niente che io debba perdonarvi. Quanto al buonsenso, suppongo che la teoria che vi è stata insegnata sia valida, sebbene il vigore spontaneo della vostra stretta di mano vi abbia assicurato un vantaggio superiore a quello di una qualsiasi manovra studiata”.
Era una provocazione mascherata da complimento? Se le cose stavano così, quel tipo aveva qualcosa da imparare sul mondo femminile! Jennifer lo fissò per un breve momento con occhi infuocati, poi si lasciò sfuggire una risatina nervosa nella quale lui colse un velo di insicurezza.
“Manovra studiata, dite. Stiamo forse giocando a scacchi? Per vostra informazione” seguitò in tono freddo, “non in tutte le signore, specialmente se di buona famiglia, si nasconde una manipolatrice di uomini”.
Dwight avvampò. “Non è affatto ciò che intendevo…”.
“Devo avervi frainteso” lo interruppe prontamente lei, riprendendo a camminare con noncuranza attraverso il giardino. “O, forse, voi avete frainteso me. In ogni caso, non ha importanza”.
Nel frattempo, Ross si era allontanato di qualche metro e seguiva divertito la scena, nel tentativo di afferrare il moncherino scodinzolante della coda di Garrick; ormai, conosceva sua sorella al punto da prevedere la piega che avrebbe preso la conversazione. Se non altro, quell’adorabile canaglia stava intrattenendo il suo ospite con successo.
Subito dopo fu dato il via alle danze; molti degli invitati – alcuni a piedi nudi e col bicchiere in mano  – si scatenarono in un ballo tradizionale inglese accompagnati da un violino, un liuto e un flauto. Jennifer e Dwight si fermarono ad osservarli sotto l’albero di lillà.
“Siete nuovo del posto, signor Enys?” chiese lei. Poiché il silenzio tra loro si era fatto d’un tratto imbarazzante, l’unico modo per rimediare sarebbe stato rivolgergli una domanda, e quella fu la prima che le venne in mente.
“I miei genitori erano di Penzance, ed io ho vissuto a Londra per conseguire la laurea in medicina”.
“Avete esercitato altrove la vostra professione?”.
“Non ne ho avuto modo. Mi sono laureato al Royal College of Physicians all’inizio dell’anno, e non aspetto altro che fare pratica” fu la risposta del chirurgo, che si sentì sollevato dal fatto di poter cambiare argomento. C’era qualcosa, nello sguardo della ragazza, che lo indispettiva tanto quanto lo attiravano i suoi modi sorprendentemente schietti. Se pochi minuti prima era stato sul punto di abbandonare la conversazione, adesso era più che mai deciso a restare dov’era, a maggior ragione di fronte all’allettante possibilità di parlare del suo mestiere.
“Avete intenzione di intraprendere una specializzazione in particolare?” s’informò Jennifer, fingendo di non conoscere la risposta.
“Sono interessato alle malattie polmonari” spiegò Dwight con calore, incoraggiato dalle domande di lei. “Vostro fratello è convinto, come me del resto, che una comunità di minatori sia il posto più adatto per fare esperienza”.
“Sono d’accordo. I lavoratori che inalano ogni giorno polvere di carbone sono da considerarsi soggetti preziosi per i vostri studi. Dove alloggiate attualmente?”.
“Sono ospite dai Pascoe a Truro, ma vorrei affittare una casa non troppo distante da qui”.
“Credo che Ross possa aiutarvi”.
“Il signor Poldark è stato così gentile da offrirmi un impiego alla miniera, inoltre si sta adoperando per trovarmi un alloggio. Gli sono debitore. Spero che in futuro avrò l’occasione di ripagarlo”.
“Lo ripagherete facendo bene il vostro lavoro. Quanti anni avete, signore, se posso chiedere?”
“Ventiquattro”.
Seguì una pausa. Jennifer smise di fissare i musicisti e si concentrò su Zacky Martin, papà di Jinny, il quale, dopo aver persuaso la vecchia nonna Daniel ad alzarsi dalla panca, tentava – non senza fatica – di farle mettere insieme qualche passo di danza, tenendola per mano. La scena era talmente buffa a vedersi che, quando la nonnina lanciò in aria la sua cuffia macchiata e consunta con fare teatrale, tutti scoppiarono a ridere fragorosamente.
“Ebbene, siete senza dubbio il dottore più giovane che si sia mai visto da queste parti”. “E il più attraente”, avrebbe potuto aggiungere. Mentre parlava, Jennifer aveva afferrato una ciocca di capelli per arrotolarsela attorno a un dito: lo faceva ogni volta in cui si sentiva nervosa, e quel signor Enys aveva uno strano effetto su di lei.
“Mi auguro che, a dispetto della mia età, saprò rendermi utile e guadagnarmi la fiducia dei miei pazienti”.
“Non posso parlare a nome di altri, ma per quanto mi riguarda non ho alcuna stima dei medici e dei farmacisti. Se dovessi ammalarmi, preferirei lasciarmi morire piuttosto che farmi anche solo avvicinare da uno di loro!”.
Aveva pronunciato quelle parole con brutale franchezza, fissando distrattamente Jinny che ballava con la gonna agitata dal vento; si sarebbe aspettata di vederlo adirato, quantomeno seccato, invece Dwight si limitò a sorridere con condiscendenza.
“In certe situazioni, sono le persone che la pensano come voi ad avere più bisogno di coloro verso cui provano avversione. Accade più spesso di quanto non si creda” disse infine in tono amichevole.
“Il vostro è forse un modo gentile per augurarmi cattiva salute?”.
“L’unica cosa che mi sento di augurarvi è di non vedere mai un dottore in vita vostra, se non in circostanze liete. Il parto, ad esempio”.
“In questo momento non ho le doglie, eppure voi siete qui, davanti a me”.
Lui rise. “Non cercherò di farvi cambiare opinione, se è questo che temete”.
Avrebbe potuto persino riuscirci, pensò Jennifer; quegli occhi potevano convincerla di molte cose. Le ricordavano il blu prorompente del mare in tempesta. Tutte le volte in cui indugiavano su di lei, e aveva notato che lo facevano spesso, si sentiva annegare nelle loro deliziose profondità.
“Sono certa che i vostri studi in medicina vi abbiano sufficientemente preparato ad affrontare persone come me, potenziali cavie che si tengono lontane dalle grinfie di voi, spietati uomini di scienza. Dunque, penso che potreste tentare. Di farmi cambiare opinione, intendo. Sarebbe divertente!” suggerì, inarcando un sopracciglio con aria di sfida.
“A che scopo? Il disprezzo che nutrite per coloro che svolgono la professione medica sarà senza dubbio giustificato da valide ragioni” ribatté Dwight.
Era furioso. Con la sua ostinata insolenza, quella ragazzina si era spinta oltre il limite. L’aveva preso per uno stupido? Con quale diritto sminuiva le sue ambizioni e i suoi sacrifici? Lui aveva dedicato tutta la vita alla realizzazione del suo sogno. Notti intere passate sui libri; giornate di festa, col cielo sereno o con la pioggia battente, spese in solitudine a sperimentare pozioni su se stesso; interminabili ore di lezione – teorica e pratica – in cui la sua mente, il suo spirito e le sue energie convergevano in un unico, incrollabile desiderio: diventare un bravo dottore. E adesso non poteva tollerare di essere preso in giro. Nemmeno da una donna, per quanto avvenente fosse. Si voltò, posò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo vicino e fece qualche passo in direzione delle stalle.
Jennifer non si mosse. Una nube oscura le attraversò la fronte: ce l’aveva eccome, una valida ragione per detestare i medici! Tuttavia, mossa da un incontrollabile impulso dettato da un sentimento sconosciuto, si girò verso il chirurgo e lo raggiunse.
“Signor Enys, aspettate!”.
Lui si fermò.
“Credo che siamo partiti col piede sbagliato… Mi spiace se vi ho offeso”.
Colto di sorpresa, Dwight la scrutò in volto e si accorse che era del tutto seria.
“Vi andrebbe di ballare con una manipolatrice?” chiese Jennifer esitante, meravigliandosi di udire la propria voce pronunciare quelle parole.
Un simile invito, formulato con una brillante arguzia accompagnata da un sorriso sincero, era l’ultima cosa che lui si sarebbe aspettato.
“Con vero piacere, se a voi non dispiace danzare con uno ‘spietato uomo di scienza’…”.
Ogni traccia d’irritazione era svanita. Dwight ricambiò il sorriso di lei, quindi la prese per mano e si buttò nella mischia. Qualche minuto prima, su richiesta di alcuni invitati, i suonatori avevano mutato il repertorio attaccando un motivo dal ritmo più rilassato; la soave melodia che si propagava nell’aria densa di euforia pareva evocare storie fantastiche perdute nella memoria dei tempi.
“Ammetto di non vantare un gran talento come ballerina” si giustificò Jennifer con rammarico, prima di chinare il capo per fingere di concentrarsi sui goffi movimenti dei propri piedi. In realtà, voleva evitare che il suo cavaliere la guardasse in volto; sentiva di essere inspiegabilmente arrossita, ed era la prima volta che le capitava in presenza di un uomo.
“Come potete vedere, siete in buona compagnia” le fece notare il giovane con un’espressione a metà tra il divertito e l’impacciato.
Allora vide la sua dama alzare lentamente gli occhi su di lui, e i loro sguardi si incontrarono ancora una volta. Erano così vicini, ora. Dwight la fissò ammaliato: era la donna più graziosa che avesse mai visto. I folti capelli corvini, che le ricadevano ribelli sulle spalle, incorniciavano un viso minuto dai lineamenti delicati; i grandi occhi marrone chiaro, penetranti ed espressivi, la facevano assomigliare ad un cucciolo desideroso di coccole, quando non sprizzavano ironia e sarcasmo; l’abito di cotone, stretto in vita da un corpetto che si allacciava sul davanti, mettava in risalto una figura morbida ed armoniosa, mentre il rosso cremisi del tessuto sembrava omaggiare il candore della pelle attraverso la scollatura arrotondata. Ma la bellezza esteriore non era che un singolo aspetto di quella misteriosa creatura: c’era qualcosa di incredibilmente accattivante nei suoi modi, che la distingueva dalle altre donne.
Sotto lo sguardo della fanciulla, Dwight sentì il cuore battergli furiosamente nel petto. Ebbe l’impressione che il suo battito potente sovrastasse la musica e le voci tutt’intorno. Si domandò se lei si rendeva conto di quanto fosse bella… Bella ed intrigante, persino con quel lieve rossore che le imporporava le gote. Avrebbe voluto trovare le parole per dirle qualcosa di carino ed appropriato, tuttavia con le donne non ci sapeva fare – almeno così credeva – e un complimento mal riuscito lo avrebbe fatto apparire ridicolo, rovinando ogni cosa.
Ma la magia di quell’istante non era destinata a durare: delle grida improvvise fecero voltare i due ballerini e tutti gli altri. La musica si interruppe di colpo: Jinny era crollata sull’erba, apparentemente priva di sensi.




**-**





Nota dell’autrice:


In questo terzo episodio, nel quale mi sono immersa con profondo amore per via dell’incontro tra i due protagonisti, potete scoprire un giovane dottor Enys come lo avete conosciuto nel romanzo e nella serie televisiva: timido ma a suo modo deciso, umile ma orgoglioso del suo lavoro, pieno di entusiasmo e di ambizioni. Della sorella di Ross, invece, potete notare l’atteggiamento disinvolto e irriverente che cela un’insicurezza dalle misteriose fondamenta; non vi sarà di certo sfuggita la breve riflessione in merito a qualcosa che rimanda al suo passato… Per il momento non vi è dato sapere di più, ma se continuerete a seguire la storia non mancheranno le sorprese e i colpi di scena.
Una piccola curiosità: per la “manovra” di Jennifer ho preso ispirazione dalla frase di un telefilm, che mi è saltata in mente proprio mentre scrivevo.
Per concludere, ritengo doveroso fare una precisazione già accennata in precedenza: sebbene Jennifer presenti alcuni tratti caratteriali simili a quelli di Caroline, non è alla Penvenen che mi sono ispirata nel dare vita alla protagonista femminile di questo racconto, bensì alla sottoscritta. La “piccola” Poldark vuole essere infatti una me stessa in versione letteraria, che vive una storia d’amore col personaggio dei suoi sogni.
Un grazie vivace e sentito a tutti coloro che passeranno a leggermi, e ai lettori affezionati che lasceranno la loro graditissima recensione!
 
Claudia




 
  
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