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Autore: Quasar93    29/06/2021    0 recensioni
Raccolta di fanfiction sul periodo della guerra jōi, delle cronache dal fronte appunto. E' un lungo missing moments dove Gintoki, Katsura, Takasugi e più avanti anche Sakamoto si confrontano con gli orrori della guerra mano a mano che crescono sul campo di battaglia. Inizia poco dopo l'incendio alla Shoka Sonjuku quando Shoyo viene portato via e finisce poco prima della fine della guerra.
Le fanfiction sono collegate tra loro in ordine cronologico quasi come se fosse una long e i temi e i generi sono i più disparati, dall'angst al comico.
[Spoiler Shogun Assasination arc (flashback)] [canon compliant]
Genere: Angst, Comico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Sakamoto Tatsuma, Takasugi Shinsuke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era notte quando Gintoki si allontanò di soppiatto dall’accampamento che lui, Katsura e Takasugi avevano allestito insieme agli altri superstiti dell’attacco alla Shoka Sonjuku. Della scuola non era rimasto nulla, era bruciata fino alle fondamenta la notte in cui avevano portato via Shoyo e così lui e i ragazzi più grandi avevano creato una sottospecie di baraccopoli provvisoria per potersi riparare dai briganti e dalle intemperie. Chi aveva una casa e una famiglia a cui tornare era già andato via e i bambini orfani più piccoli erano stati portati alla scuola di un tempio, nella speranza che si prendessero cura di loro. Ormai, oltre a loro tre, vivevano lì solo una manciata di ragazzi dai 14 ai 17 anni.
Poche baracche di fortuna e poco meno di una dozzina di giovani senza nome e senza famiglia era tutto ciò che rimaneva del sogno di Shoyo, forse bruciato per sempre insieme alla sua scuola.
Gintoki però non poteva accettarlo, non voleva che tutto finisse in quel modo. Che tutto quello che lui e Shoyo avevano iniziato insieme bruciasse e si disperdesse insieme alla cenere nel vento.
Era per questo che, quella notte, col favore delle tenebre, si stava incamminando lontano dalla baraccopoli di soppiatto. Solo. Shoyo gli aveva fatto promettere di proteggere tutti gli altri fino al suo ritorno, ma non poteva certo aspettarlo per sempre. Quale modo migliore di proteggerli poteva esserci che non riportare indietro il sensei stesso?
Aveva già deciso come fare.
Si sarebbe unito all’esercito dei ribelli Joi, come volontario.
Dopotutto aveva riconosciuto il simbolo stampato sulle vesti dei loro aggressori, erano la Tenshoin Naraku, un corpo armato al servizio dello shogunato. Se si fosse unito alla ribellione avrebbe avuto molte più chance di trovarseli di nuovo davanti e raccogliere informazioni su di loro, informazioni che avrebbe usato per salvare il suo maestro.
Gintoki aveva pensato molto a quella scelta, dopotutto una vita intrisa di sangue sul campo di battaglia di una guerra che infuriava già da oltre 15 anni non era certo quello che Shoyo avrebbe voluto per lui. Ma doveva, doveva, farlo.
E doveva farlo da solo.
Era questa la conclusione a cui era arrivato, ormai un mese dopo gli eventi che avevano portato alla distruzione della loro casa, pensandoci e ripensandoci fino alla nausea.
Non poteva certo portarsi dietro gli altri, come avrebbe potuto proteggerli tutti in guerra?
No, avrebbe rischiato solo lui.
Dopotutto era abituato a sopravvivere da solo sul campo di battaglia, vivere di stenti e all’addiaccio e, se necessario, derubare i cadaveri pur di sopravvivere. Già una volta si era ostinatamente aggrappato alla vita in quel modo, poteva farlo di nuovo. La sua volontà di salvare il maestro sarebbe stata forte abbastanza da permettergli di farcela, ne era sicuro. E, infondo, non aveva nemmeno paura. Né della guerra, né del dolore, né della morte. Come poteva essere spaventato chi era già stato privato di ogni cosa? Chi non aveva più niente da perdere?
Si strinse nelle spalle mentre guardava quella che nell’ultimo mese era stata la sua nuova casa, ora abbastanza lontana da potersi accorgere di quanto fosse miserabile. Non ci aveva mai fatto molto caso prima. Da quando Shoyo era stato portato via le giornate per lui erano state tutte uguali, trascorse in un’alternanza di apatia e rabbia. Lui, Katsura e Takasugi erano stati molto sulle loro, cercando di darsi conforto a vicenda come meglio potevano. Non si erano parlati molto, ma la sola vicinanza degli altri e il sapere che tutti e tre si sentivano allo stesso modo era bastato per riuscire a tirare avanti almeno un po’.
Gintoki assunse uno sguardo triste al pensiero, gli sarebbe mancata la compagnia di quei due perdigiorno. Ma proprio perché erano le persone a cui più teneva al mondo (anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce) non poteva permettergli di seguirlo. Rischiava molto unendosi alle armate Joi e non voleva certo vedere morire un amico sul campo di battaglia. Era sopravvissuto a malapena alla perdita di Shoyo, se avesse perso anche solo uno di loro non era sicuro che ce l’avrebbe fatta ad andare avanti, che sarebbe riuscito di nuovo a respingere gli artigli della disperazione che lo attiravano a sé inesorabilmente.
Scosse la testa per cacciare via quei pensieri e continuò a camminare fino ad arrivare ad un cancello tori, che segnava definitivamente il confine dell’area che avevano occupato.
“Dove pensi di andartene tu?” sentì dire all’improvviso, da una voce pungente e familiare.
Da dietro una delle due colonne uscì Takasugi, fissandolo così intensamente che si sentì inchiodato al suolo da quello sguardo verde che brillava austero nella luce della luna.
“Pensavi che sarebbe stato così facile sbarazzarti di noi?” disse una voce più pacata alle sue spalle, mentre Katsura si alzava dall’albero sotto al quale era appoggiato. Nel buio non l’aveva notato, nemmeno passandogli accanto.
“Sei così idiota che pensavi che non ci fossimo accorti di cosa ti passava per la testa?” rincarò la dose Takasugi, facendo un passo verso Gintoki che si era bloccato sul posto, quasi intimorito. Di solito non si lasciava impressionare dai toni dell’amico, che ben conosceva e tendenzialmente ignorava, ma essere stato colto sul fatto in quel modo l’aveva destabilizzato. Dopo la fatica che aveva fatto per decidere di lasciarli lì al sicuro.
“Stai andando ad arruolarti tra i patrioti Joi, vero?” chiese Katsura, senza davvero aver bisogno di una risposta, che non attese “veniamo con te” sentenziò, avvicinandosi all’amico.
“Come se senza di noi potessi portare a casa quella pellaccia pallida che ti ritrovi” ghignò Takasugi, raggiungendo il duo.
Gintoki in tutto questo era rimasto silenzioso, non aveva risposto alla provocazione di Takasugi né alle affermazioni di Katsura.
“No” disse poi scuotendo la testa, deciso “andrò da solo. È una mia responsabilità, devo risolverla io” concluse, respingendo gli amici e facendo un passo avanti senza guardarli in faccia. Gli altri due rimasero un attimo sorpresi da quel comportamento così insolitamente freddo dell’altro. Poi Takasugi si riscosse e lo afferrò per una spalla, tirandolo indietro.
“Pensi che basti dire questo e andartene? Pensi che a noi stia bene rimanere qui ad aspettare che tu ti faccia ammazzare?” disse, senza lasciarlo andare.
“Takasugi… Non capisci, devi lasciarmi. Devo farlo. Devo riportare Shoyo indietro. L’esercito dei ribelli è la mia miglior occasione” sentenziò Gintoki appoggiando una mano su quella che Takasugi teneva sulla sua spalla, cercando di staccarla.
“E allora verremo con te” si intromise Katsura, più calmo degli altri due ma deciso e fermo sulla sua posizione “questa cosa riguarda te tanto quanto riguarda noi” ribadì, guardandolo serio e colpendolo più lui con quella frase che Takasugi col suo fare iroso.
“No” continuò però ostinato Gintoki, fermo sulla sua posizione “non permetterò che rischiate la vostra vita al fronte. Ci penserò io a riportare a casa il sensei, e poi riprenderemo da dove avevamo lasciato. Adesso lasciatemi andare!”
Fu in quel momento che, senza preavviso, Takasugi lo colpì al viso con un pugno così forte da farlo volare a terra e stava per avventarglisi addosso quando Katsura gli scivolò alle spalle tenendolo fermo per le braccia. Il ragazzo coi capelli viola era così arrabbiamo che se ne accorse a malapena, continuando a urlare contro Gintoki che, dal canto suo, era rimasto immobile là dov’era finito.
Io, io, ioIo riporterò indietro Shoyo. È una mia responsabilità. Basta Gintoki! È una nostra responsabilità!” gridò Takasugi, spingendo contro le braccia di Katsura per liberarsi ma l’amico era più forte del previsto e riuscì a tenerlo fermo. Per quanto gli desse ragione ora non era di fare a botte che avevano bisogno.
“Takasugi, non capisci…” iniziò il ragazzo coi capelli argentati, ma Takasugi non lo lasciò nemmeno finire.
“Oh io capisco Gintoki, capisco benissimo. Quello che non capisce qui sei tu. Shoyo non è stato portato via a te, è stato portato via a noi” concluse tagliente, ancora gridando. Rimase ancora un attimo in quella posizione, ansimando per il nervoso. “E tu lasciami andare” aggiunse scontroso, scrollandosi definitivamente di dosso Katsura.
Poi si avvicinò a Gintoki e lo sollevò per il bavero.
“Come ti sentiresti al nostro posto? Se uno di noi ti avesse ritenuto così debole e inutile da dover rimanere qui mentre rischia la vita al fronte? Pensaci, Gintoki, anche se non sei mai stato bravo a farlo” terminò, senza più urlare ma con ancora la voce carica di rabbia per quanto più fredda e lucida. Tenne l’amico in quella posizione ancora per un attimo, fissandolo intensamente negli occhi rossi che tentavano di fuggire il suo sguardo.
Poi lo lasciò andare e se ne andò, incamminandosi vero le baracche senza più dire una parola.
Gintoki tossicchiò piano, siccome Takasugi lo stava strangolando tenendolo in quella posizione, e si mise a sedere, pensieroso.
“Sai, Bakasugi sarà anche Bakasugi… Ma questa volta ha ragione” disse serio Katsura, inginocchiandosi accanto a lui e appoggiandogli una mano sulla spalla, tentando, perfino in quel momento, di rassicurarlo.
“Voi non potete capire…” ripeté ancora come un disco rotto Gintoki e Katsura sospirò, assottigliando lo sguardo.
“Se tu ci spiegassi forse capiremmo. Perché sai, ci sentiamo esattamente come te in questo momento e non riusciamo a capire come tu, pur sapendolo, voglia tagliarci fuori. Anche noi vogliamo riprenderci il maestro, combattendo con le unghie e con i denti se necessario”
“Questo… Spiegare intendo… Questo non posso farlo” incespicò Gintoki, con la voce incrinata dalla preoccupazione per qualcosa che Katsura non capiva. Aveva… Le lacrime agli occhi? Decisamente c’era qualcosa sotto.
“Perché no? Perché dovremmo avere dei segreti proprio ora? Ora quell’animale idrofobo non c’è, con me puoi parlare” scherzò Katsura, cercando di metterlo a suo agio per spingerlo a parlare.
Gintoki dal canto suo era preda di una confusione emotiva che lo confondeva terribilmente. Avrebbe voluto dire tutto ai suoi amici, della promessa a Shoyo e del fatto che voleva tenerli al sicuro, che sentiva che quanto successo fosse solo colpa sua, perché era stato catturato anche lui e che, in quanto primo allievo di Shoyo, spettasse a lui la responsabilità di rischiare la vita per salvarlo. Che non lo faceva perché li sottovalutava ma perché, al contrario, voleva essere l’unico a portare il fardello della guerra. Voleva che loro potessero continuare a sostenere il sogno di Shoyo una volta che fossero tornati, anche se lui fosse morto o tornato diverso da come era partito.
Ma poi non poteva fare a meno di pensare a come l’avrebbero presa, a come il loro orgoglio sarebbe stato ferito, a come si sarebbero sentiti messi da parte anche da Shoyo, che aveva fatto solo a lui quella richiesta assurda.
Vedendo che Gintoki non diceva ancora nulla Katsura decise di incalzarlo, scoprendo un po’ le carte e sperando di far leva su qualcosa che lo facesse esplodere.
“Gintoki, forza. È palese che ci sia qualcosa sotto”
L’altro ragazzo non rispose, cercando di riordinare i suoi pensieri e di pensare a una scusa plausibile, fuggendo lo sguardo dell’amico.
“Gintoki?” chiese ancora Katsura, vedendo che non riceveva alcuna risposta.
“Gintoki? Parlami”
Il ragazzo coi capelli argentati stava per scoppiare, il fiume di emozioni che stava trattenendo non era più contenibile e le domande incalzanti di Katsura lo spingevano a dover pensare più velocemente. Doveva trovare una scusa, e in fretta. O tutto quello che si era ripetuto fino alla nausea nello scorso mese sarebbe uscito come un fiume in piena.
“Gintoki, cosa sai che non sappiamo? Devi dircelo. Ce lo devi” incalzò ancora il ragazzo coi capelli lunghi, cercando lo sguardo di Gintoki, che lo evitò.
Katsura lo chiamò ancora, era visibile che stesse per cedere e ormai non avrebbe lasciato perdere.
“Gintoki!” gridò, scuotendolo per le spalle.
Solo allora il ragazzo coi capelli argentati sollevò lo sguardo e lo fissò intensamente negli occhi, con un’espressione triste al punto da deformargli il viso in una smorfia e gli occhi lucidi.
“Mi ha fatto promettere!” gridò in faccia all’altro, svincolandosi dalla sua presa e battendo i pugni per terra con rabbia, nascondendo le lacrime che avevano iniziato a bagnarli il viso.
Tutto quello che si stava tenendo dentro ora voleva prepotentemente uscire.
“Quella notte, mentre la scuola bruciava. Mi ha fatto promettere che vi avrei protetti tutti, in sua assenza. Come, come posso portarvi in guerra con me?” chiese disperato, senza rialzare la testa.
Katsura rimase un secondo in silenzio, poi lo colpì piano alla base del collo.
“Certo che sei proprio un idiota” sentenziò, lasciando Gintoki spiazzato “era tutto qui?” sdrammatizzò, mentre l’altro alzava la testa sorpreso, solo per trovare Katsura a guardarlo dall’alto in basso con un sorriso soddisfatto.
Gintoki non rispose e così riprese la parola Katsura.
“Gintoki, so perché non ce l’hai detto, posso capirlo. Soprattutto conoscendo Takasugi. Però pensi davvero che qui saremmo al sicuro? Che prima o poi non avremmo la tua stessa idea? Anzi, stavamo per proporti proprio di partire per il fronte. Se tu te ne fossi andato avremmo solo finito per dividerci e saremmo stati tutti molto più in pericolo. Andiamo insieme, combattiamo insieme. Riportiamo a casa il sensei insieme. Insieme potremo proteggerci molto meglio che tutti sparpagliati no?” sorrise, alzandosi e porgendo una mano a Gintoki, che la afferrò troppo imbarazzato per rispondergli.
“Non dire niente a Takasugi però, ok?” commentò solo, avallando il suo discorso senza dirlo apertamente. Katsura annuì.
“So tenere un segreto, ma con lui ora ti scusi tu” sghignazzò il samurai coi capelli lunghi, mentre Gintoki sospirava.
Mentre tornava insieme a Katsura verso l’accampamento si ritrovò a sorridere. Dopotutto era contento di essersi tolto quel peso dallo stomaco e sicuramente l’idea di poter contare sui suoi amici anche in guerra lo faceva dormire più tranquillo.
“Grazie” bisbigliò a mezza voce, rivolto a Katsura, ma senza volere davvero che lo sentisse.
“Mh? Hai detto qualcosa Gintoki?”
“No no, stavo solo pensando che Takasugi ora mi darà il resto eh?”
“Probabile”
“Me lo sono meritato”
“Già”
“Posso contare sul tuo aiuto”
“Assolutamente no”
 
 
Qualche giorno dopo – zona per il reclutamento di nuove truppe per l’esercito Joi
 
 
“Un passo avanti il prossimo gruppo” decretò il funzionario addetto alla selezione dei volontari e Gintoki, Katsura e Takasugi fecero un passo avanti.
Si trovavano nel cortile di una grande magione che ora fungeva da base dei Joi e in piedi con loro c’erano quasi un centinaio di altri uomini, quasi tutti più grandi di loro. Procedevano a gruppetti di 3 che venivano via via esaminati dal funzionario e dalla commissione. Prima li facevano parlare un po’ e, se erano interessati, li facevano combattere contro un loro guerriero scelto. Se alla fine li ritenevano idonei li sottoponevano una veloce visita medica per poi smistarli nei vari plotoni.
“Nome, cognome, clan di appartenenza”
“Gintoki Sakata, allievo della Shoka Sonjuku, non appartengo a nessun clan”
“Kotaro Katsura, allievo della Shoka Sonjuku, non appartengo a nessun clan”
“Shinsuke Takasugi, allievo della Shoka Sonjuku, non appartengo a nessun clan”
Risposero, rimanendo sull’attenti, lo sguardo fiero e deciso come mai in vita loro mentre stringevano i pugni ai loro fianchi per la tensione.
“E ditemi, perché dovremmo voler prendere nei nostri ranghi tre figli di nessuno nelle vostre condizioni? Si capisce che non mangiate come si deve da tempo, siete vestiti di stracci e avrete a malapena l’età per arruolarvi. Siete forse qui per scroccare vitto e alloggio? Vi avviso, quelli come voi non hanno vita lunga nell’esercito dei patrioti” sentenziò duro il funzionario, squadrandoli con cipiglio severo dall’alto in basso.
“Nossignore” risposero in coro, mantenendo il loro sguardo fiero, senza farsi intimorire.
“Dateci una spada, vi dimostreremo di cosa siamo capaci” aggiunse solo Gintoki, sfidando il funzionario.
“Già. Non ci servono titoli pomposi o vestiti eleganti. Siamo samurai, la spada è la nostra anima. Che sia lei a parlare” Continuò Katsura, pacato ma deciso.
Takasugi avrebbe voluto dire qualcosa di tagliente, nel suo stile, sulla falsa riga del valiamo molto di più noi di questi fighetti buoni solo a sbandierare ai quattro venti il loro cognome, ma per fortuna tacque.
Non avevano nulla dalla loro parte, né un nome prestigioso, né armature finemente rifinite. Solo loro stessi, la loro volontà e l’arte della spada che Shoyo gli aveva insegnato.
“E sia, così ci libereremo facilmente di questa feccia” sentenziò il funzionario, senza degnarli di uno sguardo. Il guerriero scelto da loro salì in arena e indicò Katsura, probabilmente lo voleva come primo avversario.
Il ragazzo coi capelli lunghi si avvicinò all’arena con calma e portò la mano destra all’elsa della spada che teneva in cintura, tenendo la saia con la sinistra.
Il funzionario diede il via e il guerriero Joi gli scattò contro velocissimo, ma Katsura non si scompose, allargò appena la posizione delle gambe e, non appena il suo avversario fu a tiro lo scartò del minimo indispensabile, estraendo in quell’istante la katana e colpendolo con la base dell’elsa dritto alla bocca dello stomaco. Soddisfatto rinfoderò la spada senza nemmeno girarsi a guardare l’avversario che boccheggiava a terra cercando di respirare.
Il funzionario rimase sbigottito e ci mise più tempo del necessario a blaterare qualcosa sulla fortuna del principiante e a mandare velocemente un altro patriota a sostituire quello che ancora non riusciva ad alzarsi.
“Voglio quello che se ne sta lì senza dire niente” grugnì quest’ultimo indicando Takasugi, che sorrise sadico.
“Ohi Ohi” disse solo Gintoki, ridendo sotto i baffi. Takasugi? Quello silenzioso?
Il funzionario diede il via e il patriota joi non fece nemmeno in tempo a sfoderare la katana che Takasugi gli era addosso. Squarciò l’aria con un fendente diagonale a pochi centimetri dalla sua faccia per spaventarlo mentre con la saia che impugnava nell’altra mano lo colpì forte alle gambe, facendolo cadere. Senza dargli il tempo di rialzarsi gli puntò la katana alla gola, calpestandolo con un piede.
“Se non parlo è solo perché la mia opinione su tutto questo ci farebbe buttare fuori ancora prima di provare. E ho i miei motivi per voler combattere questa guerra” sussurrò tagliente, in modo che solo il suo avversario potesse sentirlo. Dallo sguardo terrorizzato che gli rifilò seppe che non avrebbe parlato.
Il funzionario rimase allibito per la seconda volta. Quegli straccioni stavano mettendo fuori gioco i suoi soldati in meno di un secondo. Riluttante mandò in campo un terzo uomo. Gintoki si avvicinò pigramente, scaccolandosi con nonchalance.
Teneva la katana sulle spalle, appendendocisi con entrambe le braccia, come se non gli interessasse davvero usarla.
Il suo avversario non sapeva come comportarsi, aveva visto i suoi compagni essere battuti con velocità sorprendente da quei ragazzini venuti dal nulla e ora aveva onestamente paura di quello che l’ultimo di loro avrebbe potuto fare. Gintoki dal canto suo continuava a camminare tranquillo verso l’avversario e non smise nemmeno quando il funzionario diede il via. L’altro, sorpreso, rimase fermo immobile. Dopotutto Gintoki non aveva assunto una posa da combattimento, si stava limitando a camminare nella sua direzione. Quando decise che il ragazzo coi capelli argentati era troppo vicino sguainò la spada e si mise in posizione di guardia, gambe alla larghezza delle spalle e katana impugnata a due mani davanti a sé.
Gintoki, imperterrito, continuò a camminare, fin quasi a trovarsi al suo fianco. Il patriota non lo stava attaccando, nonostante tutto tenendo la spada in quel modo il ragazzo era disarmato e non se la sentiva di combattere con disonore. Quando il samurai coi capelli argentati si trovò perfettamente alle spalle dell’avversario si girò verso di lui e iniziò a sussurrargli all’orecchio.
“Ehi tu. Non so se te ne sei accorto ma… Il tuo soldato del piano di sotto è sull’attenti!” il patriota tentennò un attimo e Gintoki rincarò la dose.
“Eh sì! Proprio adesso. Si vede chiaramente una grossa spada in mezzo alle tue gambe”
Il soldato arrossì, e inconsciamente abbassò lo sguardo per controllarsi le parti basse. Fu in quel momento che lo sguardo di Gintoki cambiò. Prese con una mano la katana ancora nella saia e lo colpì alla base del collo, con un colpo secco, facendogli perdere i sensi. Non si fermò nemmeno a guardarlo, raggiungendo i due compagni che se la ridevano. Dopotutto quella tecnica che Shoyo gli aveva insegnato funzionava!
Ora che i combattimenti erano finiti la folla degli altri aspiranti patrioti si lasciò andare a un applauso verso i tre ragazzi, che mandò su tutte le furie il funzionario, più di quanto il combattimento vile di Gintoki non avesse già fatto.
“Va bene, va bene. Siete dentro. Basta che vi leviate di torno. Andate a fare la visita medica e, per l’amor di dio, fatevi dare dei vestiti e delle protezioni decenti” disse, per poi avvicinarsi a loro e continuare a bassa voce “non potevo non ammettervi visto quanto esultava la folla. Ma i pezzenti come voi non mi piacciono. Col vostro stile di spada da strada e quei movimenti ridicoli. Oggi avete solo avuto fortuna. Disonorate il mio esercito e non saranno gli amanto il vostro problema” sentenziò per poi tornare al suo posto senza aspettare risposta.
Il trio si guardò e in quel momento scoppiarono a ridere a ad esultare. Ce l’avevano fatta, erano un passo più vicini a salvare Shoyo. Si incamminarono per la visita medica ancora ridendo e facendo il verso a quel pomposo funzionario. Andare in guerra non è qualcosa che dovrebbe renderti felice, ma al momento era l’unica cosa che potevano fare per riavere indietro il loro sensei e con lui quella parvenza di normalità che stavano provando a costruire.
 
Quella sera i tre ragazzi erano ancora all’accampamento base dove avevano sostenuto la prova di ammissione, avrebbero passato lì anche la notte. Il giorno dopo gli avrebbero detto a quale plotone si sarebbero uniti e sarebbero effettivamente partiti per il fronte. In quel momento erano appena usciti dal loro alloggio temporaneo indossando per la prima volta i nuovi vestiti da battaglia che avevano scelto, gettando finalmente gli yukata ormai davvero a brandelli con cui avevano vissuto negli ultimi tempi. Alcuni degli equipaggiamenti che avevano scelto avevano dovuto pagarli con i loro soldi, altri erano un anticipo sulla paga, però finalmente sembravano dei veri guerrieri.
Gintoki sfoggiava un kimono grigio che, sugli avambracci e sugli stinchi si infilava in protezioni rigide nere, dello stesso colore di una più grande che portava legata sul petto. Sopra indossava un lungo haori bianco. Aveva scelto solo colori in tinta coi suoi capelli, lasciando da parte il blu che sceglieva spesso per i propri yukata.
Katsura aveva optato per una tenuta simile, ma sui toni del verde, e si era legato i capelli diversamente dalla solita coda alta che aveva fin da ragazzino, lasciandoli cadere più morbidi sulle spalle per fermarli in fondo con un laccio.
Takasugi, dal canto suo, aveva scelto una lunga giacca da indossare su una camicia alla cinese e un paio di pantaloni neri, senza protezioni. Inoltre, mentre gli altri due avevano i sandali tradizionali da combattimento, lui indossava un paio di scarpe nere.
“ohi ohi, guardalo questo fighetto. Ti sei per caso dato alle mode amanto?” ridacchiò Gintoki, lanciando un’occhiata sorpresa all’abbigliamento dell’amico.
“Takasugi. Non è saggio andare in guerra senza protezioni” lo ammonì poi Katsura, facendolo innervosire.
 “Almeno io non sembro un lenzuolo ambulante” ribatté seccato, alludendo a Gintoki, che in tutta risposta lo afferrò per i bordi della giacca avvicinandolo a sé per iniziare l’ennesimo litigio.
“Bakasugi, lo sai che in guerra i nemici hanno le spade vero? Hai l’addome scoperto! Se ci tieni a morire almeno chiedimi di tagliarti la testa” commentò, con la voce che trasudava rabbia e fastidio.
“La testa dovrei tagliarla io a te!” ringhiò Takasugi, mettendo una mano in faccia a Gintoki nel tentativo di allontanarlo.
“In effetti con quei capelli è una testa facile da trovare e tagliare” sghignazzò Katsura, tenendosi a distanza di sicurezza dal calcio che il ragazzo coi capelli argentati tentò di rifilargli.
“Ma tu da che parte stai Zura!” si lagnò Gintoki, mentre Takasugi continuava a spingergli la faccia con una mano mentre con l’altra cercava di liberarsi.
“Non sono Zura, ma Katsura!” lo corresse l’amico, ridendo nel frattempo dell’espressione esasperata di Takasugi, che non riusciva a far mollare la presa a Gintoki che, nel frattempo, aveva ripreso a infastidirlo.
Mentre erano intenti a bisticciare un gruppo di giovani poco più grandi di loro passò di lì guardandoli e iniziando a parlare palesemente di loro in tono poco lusinghiero. Erano vestiti circa come loro, probabilmente erano a loro volta reclute fresche.
Takasugi se ne accorse e sospese le ostilità contro Gintoki, dandogli una gomitata nelle costole per fargli capire che ora c’era qualcun altro con cui prendersela.
“Ehi voi! Avete qualcosa da dire?” li apostrofò poi, con la voce ancora carica di irascibilità.
Il gruppetto si fermò e i suoi componenti li squadrarono dall’alto in basso, spocchiosi.
“No no, stavamo solo commentando come il vostro comportamento rozzo rispecchi il vostro grado. Feccia.” Commentò uno di loro e gli altri risero.
“Ehi!” gridò Takasugi, la mano già sulla spada. Stava per scattare contro di loro ma Katsura gli mise una mano sul braccio facendogli segno di no con la testa. Se avessero reagito rischiavano di essere buttati fuori già la prima notte.
“Com’è possibile che abbiate sconfitto dei veri samurai voi figli di nessuno. Sicuramente avrete usato qualche sporco trucchetto!” li derise un altro, facendo di nuovo ridere i propri compagni.
“Nessun trucchetto, eravate lì, abbiamo vinto in modo pulito. Se volete possiamo farvi vedere come si fa anche subito, non sei d’accordo Takasugi?” disse Gintoki, scambiandosi uno sguardo d’intesa con l’amico. Se c’era qualcosa di peggio di quando quei due litigavano tra loro era quando si alleavano per un comune scopo. Katsura intervenne di nuovo per fermarli.
“Takasugi eh…” disse un altro dei ragazzi più grandi “… ho già sentito questo nome. Tu venivi da un clan di samurai no? Come sei caduto così in basso? Ti hanno forse diseredato?”
“Anche l’altro, Katsura, ha un nome che una volta aveva un significato. Ma so che la sua famiglia cadde in disgrazia diversi anni fa” gli rispose un altro di loro.
“Mentre quello lì con quei capelli marci e gli occhi del diavolo è proprio un demone figlio di nessuno” continuò il primo, facendo un passo verso Gintoki che arretrò istintivamente.
“Takasugi, Katsura… Dopotutto potreste ancora tornare ad essere dei samurai. Mollate questo plebeo e unitevi a noi, potrete riabilitare i vostri nomi” parlò di nuovo, avvicinandosi ancora a Gintoki e afferrandolo per il bavero, trascinandolo poi davanti a tutti. Il ragazzo non reagì, solo per rispetto verso quanto pensava Katsura. Nemmeno lui voleva essere cacciato il primo giorno. Se così non fosse avrebbe già tagliato la mano di quell’idiota e gliel’avrebbe infilata dove non batte il sole.
“Forza, non abbiate paura. Unitevi a noi nel dare una bella lezione a questo idiota che si crede un samurai e sarete dei nostri. Vi servirà avere degli alleati, là fuori, sul campo di battaglia. Qualcuno che vi guardi le spalle. Vi basta aiutarci a portare fuori la spazzatura” continuò, costringendo Gintoki in ginocchio tirandolo per i capelli e sputandogli in faccia.
Katsura e Takasugi si guardarono, scambiandosi uno sguardo d’intesa, e camminarono per raggiungere l’amico.
“Riabilitare il nostro nome? Sono scappato dal mio clan di mia iniziativa” sentenziò Takasugi, facendo un passo avanti.
“E anche se la mia famiglia è caduta in disgrazia ha di certo molto più onore di gentaglia come voi” disse Katsura, avanzando a sua volta.
Erano arrivati al fianco di Gintoki, che li guardò confuso. Non si era deciso di evitare le ostilità?
“Inoltre, quello lì è di certo un idiota. Ma gli unici che possono chiamarlo in quel modo e sputargli addosso siamo noi” continuò Takasugi, colpendo con l’elsa della spada la mano dell’uomo che teneva stretto Gintoki.
“E in quanto ad avere la schiena coperta, siamo ampiamente a posto, grazie” concluse Katsura, aiutando l’amico coi capelli argentati ad alzarsi.
“Già…” disse finalmente Gintoki, con lo sguardo di qualcuno che finalmente può lasciarsi andare “… anche sul buttare via la spazzatura non avete tutti i torti. Sapete cosa ci piace dei figli di papà?” ghignò, guardando gli altri due.
“proprio niente!” gridarono in coro, prima di scagliarsi addosso al gruppetto che li aveva attaccati.
 
Quando ebbero finito con loro della decina di ragazzi che avevano attaccato briga era rimasto solo un mucchio di persone mezze svenute e rantolanti. Gintoki si era premurato di passare da ognuno a sputargli addosso, giusto per rendergli il favore. Poi, come se niente fosse, si sedette addosso al più grosso che c’era e, con nonchalance, si mise a mangiare uno snack che teneva in tasca.
“Certo che potevate dirlo subito che volevate menare le mani. Io ero già pronto a farmele dare per poter rimanere nell’armata e voi invece avete cambiato idea di testa vostra. Tanto è a me che hanno sputato vero?”
“Bhè, con la faccia da schiaffi che ti ritrovi mi sembra il minimo” ghignò Takasugi, sedandosi di fianco a lui, sullo stesso tizio.
“Sei fortunato che sono stanco per picchiarti e che ho la bocca troppo piena per sputarti” bofonchiò Gintoki, finendo però per scambiarsi uno sguardo d’intesa con l’altro.
“Che faremo se ci cacceranno?” chiese ancora il ragazzo coi capelli argentati, stavolta rivolto a Katsura.
“Andremo per conto nostro. Ci saranno altri distaccamenti delle armate Joi da qualche parte. Magari troveremo gente migliore”
“Già… Bhè alla fine non importa, finchè ci saranno due idioti come voi a coprirmi le spalle so che potremo andare ovunque” sorrise Gintoki, guardando il cielo.
Anche Takasugi sorrise, mentre con un calcio rimandava a dormire la loro ‘panchina’ che si stava svegliando.
 
 
La mattina dopo all’appello mancavano quasi tutte le nuove reclute, ad eccezione del trio della Shoka Sonjuku e di un paio di ragazzi sui trent’anni. L’altra decina di rampolli che avevano selezionato il giorno prima erano misteriosamente assenti.
Il funzionario che aveva presieduto al reclutamento era parecchio indispettito dalla cosa, e girava di qua e di là sbuffando. Gintoki stava per scoppiare a ridere, ma una gomitata provvidenziale di Katsura lo zittì prima che potesse farsi scoprire. Dopo circa una decina di minuti un messaggero arrivò a comunicare al funzionario che gli assenti erano tutti malconci in infermeria, qualcuno li aveva picchiati a mani nude e con la saia della spada. Non avevano tagli o fratture, ma non sarebbero stati abili al combattimento per qualche giorno.
Il funzionario squadrò i tre ragazzi più giovani e si avvicinò a loro.
“Se scopro che ci siete voi dietro a questa cosa vi faccio fare seppuku davanti a tutti. Solo della feccia come voi poteva scatenare una rissa con le nostre reclute migliori” sibilò, livido dalla rabbia.
“Mi scusi, signor funzionario, sta quindi dicendo che le vostre reclute migliori si sarebbero fatte mettere ko dieci contro tre da, e cito testualmente, feccia come noi?” rispose Gintoki, scaccolandosi e lanciando la caccola che aveva trovato sul kimono del funzionario.
“Già, è impossibile che tre figli di nessuno senza nome come noi possano picchiare a quel modo l’élite dei rampolli e uscirne completamente illesi no?” rincarò la dose Takasugi, fissandolo così intensamente da fargli fare un passo indietro.
“Siamo solo tre ragazzi di campagna che vogliono difenderei il proprio paese, è crudele da parte vostra sospettare di noi senza prove” concluse Katsura, mandando su tutte le furie il funzionario.
“Voglio questi tre fuori dal mio esercito ora!” gridò, ma venne subito raggiunto dal messaggero.
“Veramente signore, non possiamo. Sono gli unici rimasti e al fronte hanno bisogno di altri uomini”
Il funzionario era così arrabbiato che non riuscì a parlare, così parlò di nuovo il messaggero.
“nessuno dei ragazzi feriti ha fatto i loro nomi poi, non possiamo mandarli via senza prove. Quando gli abbiamo chiesto chi li aveva attaccati continuavano solo a ripetere terrorizzati ‘dei demoni‘ “
“E sia!” decretò il funzionario, guardando il trio con disprezzo, per poi andarsene.
I tre ragazzi si guardarono e sorrisero, l’avevano scampata.
 
Bonus scene –  diversi mesi dopo – campo sul fronte occidentale
 
“Shiroyasha eh? Questa cosa del demone non te la sei più tolta di dosso da quella sera a quanto pare” ridacchiò Katsura, attizzando meglio il fuoco attorno al quale erano seduti lui, Gintoki e Takasugi.
“Taci Zura, è una maledizione. Ormai nessuno ricorda quale sia il mio vero nome” finse di lamentarsi il ragazzo coi capelli argentati, nascondendo a malapena il sorriso orgoglioso che gli veniva fuori da quando aveva scoperto che gli avevano affibbiato un soprannome tanto altisonante per le proprie gesta.
“Bhe, nemmeno tu usi mai il mio. Ti ricordo che sono Katsura, non Zura”
“Come vuoi, Zura, o devo chiamarti la Nobile Furia?”
Katsura distolse lo sguardo per un attimo e tossicchiò piano arrossendo leggermente.
“Ma che è quella faccia? Ti piace così tanto quel soprannome? Ti sei pure scordato di correggermi!”
“Voi due da quando vi hanno assegnato un plotone state gongolando fin troppo” si intromise Takasugi, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
“Disse quello che aveva dato al proprio plotone perfino un nome. E tremendamente pacchiano anche” attaccò briga Gintoki.
“Esatto, chi mai vorrebbe chiamare le proprie truppe ‘armata dei soldati demoniaci’” resse il gioco Katsura, infastidendo l’amico.
“Sicuramente qualcuno con più buon gusto di chi chiamerebbe il proprio comandante ‘Shiroyasha’ o ‘Nobile Furia’”
“Sei solo geloso perché a noi i nomi li hanno dati mentre tu hai dovuto scegliertelo. Anzi, l’hai scelto per le truppe e siccome sei il comandante ta-dà! Il comandante del Kiheitai. Che fantasia!” trillò Gintoki, schivando un pugno di Takasugi nella sua direzione.
“Gintoki non brilla d’intelligenza, ma non ha tutti i torti, Bakasugi”
La discussione degenerò velocemente finché un messo non interruppe il litigio del trio che, nonostante avesse scalato velocemente la gerarchia dell’esercito grazie ai meriti sul campo di battaglia, era rimasto lo stesso gruppetto di perdigiorno litigiosi che seguiva le lezioni di Shoyo alla Shoka Sonjuku.
“Comandanti” salutò, tossicchiando imbarazzato mentre i tre si ricomponevano.
“Vi ho portato i nuovi soldati che faranno parte dei vostri reggimenti. Il loro plotone è stato annientato, purtroppo non sono tra i migliori combattenti, ma vi prego di prendervi cura di loro. Potete disporne come volete” spiegò brevemente, mentre dietro di lui arrivava un gruppetto di cinque o sei ragazzi. Il loro vociare su “Shiroyasha” e “il comandante del Kiheitai” tutto concitato era udibile fin da dove si trovavano i tre allievi di Shoyo.
“Bene, venite avanti allora” disse Gintoki.
Non appena il messo se ne andò e i ragazzi si allinearono entrambi i gruppi realizzarono una sola e lampante verità. Al loro servizio ora ci sarebbero stati i pochi sopravvissuti del gruppetto che gli aveva dato quel bel benvenuto il loro primo giorno.
Gintoki, Katsura e Takasugi si guardarono, e lo stesso ghigno si disegnò sui loro visi, mentre gli altri ragazzi sbiancavano.
“Il Karma è una puttana eh?” ghignò Takasugi, alzandosi insieme agli altri, che iniziarono a camminare verso il gruppetto.
“Già, e pare che finalmente abbiamo i soldi per pagarla. Altrimenti non mi spiego come mai questo gruppo di fessi ci sia stato affidato proprio il giorno prima del nostro turno di pulizie al campo” gli andò dietro Gintoki.
“Però più che una puttana è più una Oiran generosa, finalmente questi qui avranno la possibilità di confrontarsi coi loro pari. Domani è proprio il giorno di spalare gli escrementi dei cavalli” sghignazzò Katsura.
Mentre parlavano tra loro fingendo che gli altri non fossero nemmeno lì si avviarono verso i loro alloggi, passando ridendo a fianco dell’attonito gruppetto che non aveva osato spiccicare parola. Erano ancora immobilizzati dagli sguardi dei tre che, nonostante stessero scherzando, avevano delle espressioni demoniache tali da spaventare perfino i kami.
  
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