1.
Giugno
1993 – Monti Adirondack
Le
facevano male i piedi, ma doveva correre. Non aveva altra scelta.
I
cattivi potevano essere dietro di lei. Era davvero
necessario che lei corresse. Più forte che poteva.
Sentiva
il cuore batterle all'impazzata. Nelle orecchie, nel petto, nei piedini
stanchi
come sulle dita ferite dai cespugli che, frenetica, scostava man mano
che
avanzava e che le graffiavano anche il viso, ma non importava.
Doveva
correre.
Un
latrato. Due. Infine tre. Sempre più forti, sempre
più vicini.
Lacrime
calde e salate cominciarono a scorrerle copiose sul viso quando una
serie
infinita e bellissima di sommessi uggiolii la raggiunse, insieme a
lingue
bagnate e tartufi umidi.
Crollò
perciò a terra stremata, piena di graffi brucianti e
contusioni un po’ ovunque
ma fu felice di tutto ciò, perché sapeva di
essere libera, di essere viva.
Quando
una lama di luce le ferì gli occhi, quindi, non se ne
spiacque.
Era
salva.
Non
doveva più correre.
***
Maggio
2015 – Nederland (Colorado)
Il
risveglio, come sempre, fu pessimo.
Ma
di che si stupiva, ormai?
Erano
decenni che non dormiva un sonno decente, decenni che si risvegliava
ansimante
nel suo letto, le coltri bagnate come il viso, il respiro azzerato e le
mani
strette a pugno.
Gli
psicologi erano stati carini con lei, persino premurosi e, per anni,
l’avevano
avuta in cura perché superasse quella brutta esperienza. Col
procedere del
tempo, avevano seguito procedure diverse in base alla sua
età, strategie sempre
nuove per uccidere i cattivi nella sua
mente.
Divenuta
adulta, i cattivi si erano nascosti, si erano fatti più
furbi ed era rimasta,
sopra a qualsiasi altra cosa, la paura. Strafarsi di lorazepan,
comunque, non le era
sembrato il modo
migliore per sopravvivere agli incubi e agli attacchi di panico
improvvisi.
Anche
se, per un po', aveva tentato anche quella carta.
Quando,
però, si era resa conto di quanto interferisse con i suoi
studi e la sua già
esigua vita sociale, aveva preso la scatola dei farmaci e l'aveva
gettata nel
cestino della sua camera da letto.
Insieme
alle sue ultime sicurezze.
Gli
incubi erano tornati con forza, ferendola, mordendola, facendola
letteralmente
scappare dal Campus della Columbia University per rifugiarsi nelle
più sicure –
pur se non amate – stanze di casa sua, a New York.
Non
le era mai piaciuto abitare lì, troppo vicina al padre,
troppo vicina ai
ricordi. L'alternativa, in ogni caso, le era parsa così
tremenda da farle
preferire quel piccolo prezzo da pagare, rispetto al grande incubo
giornaliero
che aveva vissuto al Campus, dopo la rinuncia ai farmaci e
l’abbandono di
Sherry.
Sherry
Kerringhton, la sua unica, vera amica, era stata la sua salvezza per
due
semestri ma, resasi conto di non avere niente a che fare con quegli
studi, si
era trasferita in altro loco. Naturalmente, complice il suo carattere
protettivo, era rimasta sempre in contatto con lei, ma la distanza
aveva
congiurato contro il suo sistema difensivo, distruggendola.
Aveva
quindi mandato giù l’ennesimo boccone amaro,
terminato gli studi in giornalismo
con il massimo dei voti e spedito fior di curricula per
entrare nelle
migliori testate del Paese, ma era stata una casa editrice quasi
sconosciuta ad
attirarla.
E
una fotografia.
La
prima volta che l’aveva vista, si era trovata nello studio
del suo ultimo
psicologo. In una bella rivista patinata dedicata ai viaggi on-the-road, Emily si era persa in
contemplazione di un lago, di
alture impervie, di un luogo a lei estraneo e disperso nel nulla.
Lontano
da tutto.
Nel
giro di un mese o poco più, aveva accettato l'impiego in una
piccola casa editrice
di Boulder, Colorado – impegnata nella stampa di guide
turistiche, libri
fotografici e quant'altro – e aveva cercato casa a Nederland.
Non
certo i Paesi Bassi europei, bensì un piccolo abitato di
millecinquecento anime
in Colorado, sulle sponde del lago Barker, un bacino artificiale creato
in
pieno territorio indiano.
Grazie
ai buoni ufficio di zio Harry, il fratello della madre, aveva trovato
una
società di costruzioni di Denver specializzata nelle
ristrutturazioni e, dopo
aver accettato il loro preventivo, aveva fatto iniziare i lavori di
ripristino
di un vecchio casolare.
La
notizia aveva ovviamente scioccato la sua famiglia, in particolar modo
sua
madre, ma nessuno aveva tentato di fermarla.
Jamie
– suo fratello minore – le aveva invece augurato
tutta la fortuna del mondo,
regalandole una cucciola di berner sennenhund dal
pelo nero, bianco e
marrone.
Emily
l’aveva amata al primo sguardo.
Sherry,
che nel frattempo si era data al non facile lavoro di cacciatrice di
taglie, si
era presa l’incarico di rendere la sua nuova casa il
più sicuro ed efficiente
possibile e, assieme a lei, era partita per Nederland per sovrintendere
i
lavori.
Nei
quasi sei mesi che erano serviti per sistemare ogni cosa, Emily aveva
fatto la
spola dall’albergo in cui aveva preso in affitto una stanza
al cantiere della
sua nuova casa e, ogni notte, aveva tentato di cacciare i demoni dalla
sua
mente.
Non
era stato per niente facile abituarsi a quei silenzi, alle occhiate
curiose
della gente, alle mille domande sul suo trasferimento e sulla sua vita
precedente, ma aveva desiderato con tutto il cuore riuscire in
quell’impresa.
Alla
fine, comunque, era venuta a patti anche con quel suo essere ‘la tipa nuova’,
costruendosi una sua
posizione sociale all'interno di una cittadina poco abituata ai
cambiamenti.
Lo
sceriffo l'aveva riconosciuta quasi subito e si era offerto di aiutarla
ad
ambientarsi, paterno come nessuno era mai stato nella sua giovane vita
e
protettivo non meno di Jamie, il suo dolce e amato fratello.
Michael,
o Mike, come preferiva essere chiamato – e non certo sceriffo
Meyerson –
l'aveva aiutata a familiarizzare col luogo, a presentarle le persone
giuste...
ad avere un po' meno paura della propria ombra.
Si
era persino recato al poligono di tiro con lei, ogni tanto, giusto per
tenersi
un po' in allenamento e, al tempo stesso, per rendersi conto della sua
bravura
con la pistola che deteneva regolarmente.
Quel
cambiamento così radicale, però, aveva soltanto
raggirato gli incubi, mutandoli
in qualcosa di più viscido e meno diretto. Quando il periodo
del rapimento si
avvicinava, infatti, il suo umore peggiorava ogni volta, e non era dato
sapere
come si sarebbe risolto.
Senza
soluzione di continuità, la colpiva al fianco e sempre in
modo diverso, da una
diversa angolazione, così da non concederle mai una difesa
adeguata.
Sarebbe
mai guarita da quelle paure?
Era
migliorata, ma non abbastanza.
Con
gli occhi pesti e il respiro nuovamente sotto controllo,
scacciò quei pensieri,
guardò torva la sveglia – segnava le cinque e
ventisei – e, biascicando
un'imprecazione, tolse la suoneria per poi alzarsi.
Non
sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, a quel punto.
In
un angolo della sua stanza, spaparanzata sul suo enorme cuscino-cuccia
a forma
di Totoro1, Cleopatra levò il
musone enorme e uggiolò al suo
indirizzo.
“Buongiorno,
Cleo.”
Subito,
il bovaro bernese si levò dal suo cuscino e
trotterellò allegro e fedele
accanto alla sua padrona, che lo carezzò sulla testa e la
possente schiena
pelosa prima di infilarsi in bagno.
Come
se questo avesse dato il via alla giornata, Cleo scese al pian terreno,
uscì
dalla sua botola – motorizzata, e azionabile solo con la
zampa di Cleopatra –
per raggiungere il giardino e, dopo aver fatto i propri bisogni,
tornò in casa.
Lì,
si accoccolò accanto alle ciotole del cibo e
aspettò fiduciosa l'arrivo di
Emily, che sarebbe giunta nei minuti successivi, come sempre.
Tutto
era scandito dalla puntualità, dalla regolarità,
dall'abitudine, e questo dava
sufficienti sicurezze a Emily per permetterle di non impazzire, di non
scorgere
mostri a ogni suo passo.
Dopo
cinque minuti netti, passati soprattutto a lavarsi la faccia per
svegliarsi, la
padrona di casa raggiunse infine la cucina, estrasse il sacchetto delle
crocchette per riempire la ciotola a Cleo, dopodiché si
occupò dell'acqua.
La
routine quotidiana era la sua salvezza dai pensieri molesti, lo sapeva
bene.
A
volte, però, avrebbe voluto rimanere a letto a poltrire fino
alle dieci del
mattino, oppure ubriacarsi senza avere il terrore del 'dopo'.
Forse
ci sarebbe arrivata, un giorno.
Dopotutto,
aveva solo trent’anni e una vita davanti.
Non
doveva darsi per vinta solo perché, fino a quel momento, non
aveva mai preso
una sbronza in vita sua, o fatto qualcosa al di fuori della propria
routine
quotidiana.
La
terrorizzava non avere il controllo sulla propria vita e, peggio
ancora, sul proprio
corpo.
Ubriacarsi
le avrebbe negato quel conforto primario, e sapeva bene di non
poterselo ancora
permettere.
Lasciarsi
andare alle prime sbandate, durante il periodo collegiale, e scoprire
in
qualche modo l’argomento ‘sesso’,
era
stato traumatico, per lei. Non era mai riuscita a portare a termine
nessun tipo
di rapporto e, le poche volte che aveva tentato un approccio
più serio, era poi
scappata a gambe levate, facendo infuriare il suo ragazzo di turno.
Quando,
poi, aveva davvero desiderato
aprirsi, dare tutta se stessa a qualcuno, era sbarellata di brutto,
apparendo
in tutto e per tutto una pazza e, al malcapitato, non era rimasto altro
che
darsi per vinto.
Non
doveva essere stato bello svegliarsi, nel bel mezzo della notte, con
una
ragazza nel letto che urlava e strepitava come se la stessero sgozzando.
Figurarsi
prendersi una sbronza colossale, eliminare la realtà per
l’irrealtà, le
certezze per le insicurezze del risveglio.
No,
meglio evitarlo, almeno per il momento.
Si
scaldò quindi del caffè, molto più
nelle sue corde, accompagnandolo con
pancakes fumanti e sciroppo d'acero.
Mentre
il sole sorgeva anche in quell'angolo di paradiso, illuminando le acque
cristalline
del lago Barker – che lei poteva scorgere dalle finestre di
casa – decise cosa
avrebbe fatto quel giorno.
Si
sarebbe dedicata alla fotografia, così da iniziare il suo
nuovo libro
illustrato sulle montagne del Colorado.
Per
quella prima settimana di lavori, avrebbe dedicato tempo e lavoro alla
zona nei
pressi di Nederland, dopodiché avrebbe allargato il tiro.
Sperando,
nel contempo, di imbattersi in qualche fotogramma da urlo.
Quando
la pendola in cucina segnò le sette, Emily batté
una mano sulla coscia per
richiamare a sé Cleopatra e, assieme, uscirono di casa per
avviarsi verso la
rimessa.
Lì,
caricarono il necessario per le escursioni sul comodo pick-up che Emily
aveva
acquistato direttamente a Nederland e, con un sorriso sulle labbra,
partì alla
volta di una nuova giornata assieme al suo fido cane.
***
Le
rilevazioni stratimetriche non erano il suo dio, onestamente, ma ci si
pagavano
le bollette e, in attesa di poter appendere 'la pala al
chiodo', come
diceva sempre lui, andava bene anche così.
La
Silver & Gold Consolidated –
appaltando i lavori all’impresa edile
in cui lavorava come geologo – lo aveva mandato a Nederland
per scoprire l’eventuale
fruibilità delle vecchie miniere del Colorado.
Poiché
pagavano fior di bigliettoni, per farlo, il suo avido capo lo aveva
inviato lì
subito, con la garanzia che ditta appaltatrice gli avrebbe fatto
trovare un
degno appartamento in cui soggiornare durante i lavori.
Avviare
uno studio privato e farsi un nome non era facile, ma lui e suo
fratello Rick
ce la stavano mettendo tutta per mettersi in proprio e lasciare il buco
di
ufficio in cui venivano sfruttati come schiavi.
Tra
le sue analisi del terreno e la capacità di costruire case
di Rick, avrebbero
messo in piedi una società di costruzioni coi fiocchi, a
tempo debito, ma ci
volevano pazienza, fatica e soldi.
La
ditta che l'aveva spedito lì aveva staccato il primo assegno
praticamente a
occhi chiusi e, per i mesi che gli sarebbero serviti per completare il
lavoro,
il suo capo avrebbe guadagnato a sufficienza da rendere felice anche
lui.
Quando
avessero risparmiato abbastanza, lui e Rick avrebbero detto addio a
titolari e
capo uffici rompipalle e si sarebbero messi in proprio. Più
nessuno avrebbe
camminato sopra le loro teste come se fossero stati il pavimento di una
discoteca, dettando ordini insulsi o richieste impossibili da portare
avanti.
Ma
ora si doveva lavorare per gli altri, e alle
condizioni indicate da
altri.
Non
aveva neppure idea di che casa gli avessero affittato per quel lavoro
– o
avevano optato per un appartamento sgangherato? – ma,
dopotutto, il paese di
Nederland non poteva essere così grosso.
Avrebbe
trovato il buco in cui dormire con il suo nome sopra, e lì
avrebbe soggiornato senza
alcuna difficoltà.
Il
cartello all'ingresso del paese parlava di millecinquecentootto anime
allegre e
felici – almeno a giudicare dagli
smile appiccicati
sopra – quindi non avrebbe impiegato molto a trovare il posto
giusto, indicato
sulla e-mail inviatagli la sera precedente.
Non
potevano esserci certo miriadi di viuzzole impossibili da trovare, in
quell’angolo di Colorado popolato da foreste, no?
Prima
di tutto, però, doveva rimpinguare le sue riserve personali,
perciò... pancia
mia fatti capanna!
Parker
Jones rallentò perciò il pick-up fino a fermarsi
dinanzi a un diner
dall’aria invitante, dotato di un'ampia
serie di vetrate su cui pendevano enormi tendoni rosso fuoco e la
scritta, a
caratteri eleganti, 'Italians do it better'.
L’uomo
sorrise spontaneamente nel rammentare il vecchio commento di Madonna
che,
decenni addietro, aveva fatto in merito alle presunte
abilità sessuali degli
italiani e, nello spegnere il motore, si guardò intorno
pieno di curiosità.
Che
ci fosse un’italiana – o un italiano –
dietro a quello slogan neppure troppo
indiretto? O intendevano dire, meno maliziosamente, che la cucina di
quel posto
era migliore delle altre perché fatta da italiani?
Nel
parcheggio dinanzi alla tavola calda, comunque, Parker notò
altri mezzi e,
attraverso le vetrate, poté scorgere l'andirivieni di almeno
un paio di
cameriere, oltre a parecchi avventori ridenti e gaudenti.
Sia
come sia, sembra che la gente ci venga volentieri, pensò tra sé
l’uomo, scendendo dal pick-up verde
militare, che usava ormai da anni per quel genere di lavori fuori sede
e,
soprattutto, fuori strada.
Parker
non avrebbe mai utilizzato la sua Ford Charger nera del ‘69
per quel genere di
lavori. Il solo pensiero di sovraccaricare i sedili in pelle con i suoi
strumenti, lo faceva rabbrividire.
Il
buon profumo di pomodoro fresco e basilico, che aleggiava nei pressi
della
porta, strappò Parker dai pensieri sulla propria auto - che
gli era quasi
costata un rene - ed entrò con un gran sorriso.
La
cameriera più vicina all’entrata, lesta e gentile,
gli sorrise subito in
risposta ed esordì con un allegro tono di contralto.
“Buongiorno,
signore. Le serve un tavolo?”
“Anche
uno sgabello al banco” dichiarò lui, guardandosi
intorno pieno di curiosità.
Stampe
di luoghi di villeggiatura italiani, un bello stucco veneziano nei toni
del
giallo e dell'avorio alle pareti e tanti, tanti morbidi divanetti su
cui accomodarsi
per pranzare.
Era
un locale dalle tinte calde – dai rossi divanetti ai tavolini
color ciliegia –
e, a quanto pareva, dove la gente era invogliata a chiacchierare e ad
alzare il
tono della voce per farsi sentire.
Non
c'era musica di sottofondo; nessuno l'avrebbe sentita, o apprezzata.
Era il
vociare caciarone della gente a fare da colonna sonora a quel luogo,
all’apparenza così alla mano e familiare.
Quando
Parker si accomodò al bancone, in marmo bianco e dalla
superficie lievemente
grezza e porosa, salutò con un cenno e un sorriso una donna
che stava servendo della
birra a un altro avventore.
Più
vicina ai sessanta che ai cinquanta, la mora signora in carne
replicò al saluto
prima di avvicinarsi e dire: “Faccia nuova, direi. Io sono
Gilda Mattei, la padrona
della baracca. Cosa ti posso offrire, straniero?”
Parker
sorrise spontaneamente di fronte a quel viso così gioviale
e, data una scorsa
veloce al menù plastificato che se ne stava appoggiato su un
leggio proprio sul
bancone, mormorò: “Direi di cominciare con una
birra fresca e un piatto di
maccheroni al formaggio.”
“E
maccheroni siano” assentì Gilda, scribacchiando su
un notes veloce come il vento
prima di passare il biglietto a una delle cameriere, che
sparì oltre la porta
della cucina in un gran svolazzare di capelli biondi e gonnellina a
balze rossa
e bianca.
Messasi
poi a spillare la birra richiesta, la matrona si rivolse a Parker e
domandò: “Cosa
ci fa un cittadino di Denver qui tra le montagne di
Nederland?”
Indicandosi
con ironia, Parker esalò confuso: “Si sente
così tanto?”
“Per
chi sa ascoltare, sì” annuì la donna,
ridacchiando. “Ebbene?”
“Rilevamenti
stratimetrici e carotaggi nella zona adiacente alle vecchie miniere,
oltre a un
controllo delle miniere stesse. Voglio controllare se c'è
ancora roba buona.”
“Oh...
un geologo, quindi. Privato, o in concessione?” si
informò la donna, sollevando
curiosa le sopracciglia nel passargli la pinta appena spillata.
Ridacchiando
di quell'interesse così poco mascherato, Parker
sorseggiò la birra – decisamente
fresca e dissetante – e ammise: “Lavoro a cottimo
per una ditta del Middle
East. Ma prometto che non causerò problemi, sarò
bravo con i vicini e non
disturberò le figlie di nessuno.”
Gilda
scoppiò a ridere di gusto, a quel commento e, nel battere
una mano sul braccio
dell'uomo, esalò divertita: “Credimi, ragazzo, le
signorine di quassù sono
toste, e non si fanno abbindolare da un belloccio di città.
Neanche da uno
carino e simpatico come te.”
Parker
rise a sua volta, seppur più sommessamente ma, quando
sentì il tintinnio della
porta d'entrata – cosa che lo portò a voltarsi in
preda alla curiosità –,
dovette bloccarsi dalla sorpresa.
Un
bel bovaro bernese fece il suo ingresso con passo ciondolante e sicuro,
seguito
dappresso da una donna alta e slanciata, dalla corta chioma bionda e un
sorriso
un po' timido ma sincero.
Ma
non fu quello a colpirlo così tanto, o a sorprenderlo.
Fu
la sua totale estraneità a quell'ambiente, a mandarlo
letteralmente in
confusione.
Certo,
era vestita più o meno come gli altri, con scarponcini
usurati, pantaloni da
escursione e una camicia a quadri nei toni dell'azzurro, da cui
spuntava una
semplice T-shirt bianca e un fazzoletto rosso e blu legato al collo.
Era
il suo viso a renderla diversa, distinguibile tra la massa come una
creatura
fuori dal tempo e dalle dimensioni. Come una rosa in un campo di
margherite, o
una pietra preziosa nel mezzo dell’arenile di un fiume.
Aveva
un volto cesellato, quasi etereo, circondato da ciocche corte e bionde,
scompigliate
con eleganza, e che facevano da sfondo a profondi occhi da colomba, un
misto
tra il ghiaccio e l'azzurro del cielo.
La
pelle, eburnea e priva di imperfezioni, era leggermente arrossata dal
sole di
quel giorno di primavera inoltrata, oltre che dall'aria frizzante di
montagna.
La
giovane salutò Gilda con un bacetto veloce sulla guancia
prima di accomodarsi
con naturalezza al bancone, quasi fosse un’abitudinaria, in
quel posto, e su
quello sgabello in particolare.
Il
suo bovaro, docile e silenzioso, si accoccolò ai suoi piedi
e chiuse gli occhi,
tranquillo e a modo come pochi altri cani Parker aveva visto in vita
sua.
Persino quelli di suo padre, per quanto ben addestrati, tendevano a
essere più
dispettosi.
La
ragazza ordinò senza guardare il menù,
confermando l'ipotesi di Parker sulla
sua abitudine a visitare quel diner e,
quando Gilda le portò un succo di frutta all'arancia, la
titolare disse: “Non
sei più l'ultima arrivata, cara. Puoi fare la ruota come un
pavone, adesso.”
Sobbalzando
leggermente a quella notizia, la donna volse lo sguardo in direzione
della
persona indicata da Gilda e Parker, vistosi preso di mira,
levò una mano per
salutarla.
“Salve”
esordì lui, studiandone le reazioni.
Il
sorriso tornò a essere un po' timido pur se aperto e genuino
e gli occhi, per
un attimo, si distolsero dal suo volto per poi tornarvi, quasi
obbligati a una
prova di coraggio.
Una
timida patologica? Forse.
Comunque,
era davvero carina.
“Salve
a te. Mi hai reso un gran servizio, sai? Mi posso togliere di dosso la
targa
dell'ultima arrivata” ironizzò lei, mettendo in
mostra graziose fossette sulle
gote e confermando così le sue supposizioni.
Quel
timbro vocale, quel modo cortese di parlare e l’accento
elegante, erano prove
inequivocabili; non era del Colorado, ma dell’East Coast.
Washington, forse, o
New York.
“Rimarrò
per qualche mese e basta. Vale lo stesso?” si
informò allora lui.
“Sì,
è valido” annuirono all'unisono sia Gilda che la
donna bionda. Quest’ultima, a
quel punto, mimò il gesto di togliersi di dosso qualcosa
– probabilmente, il
famoso e sopraccitato cartello di ultima
arrivata – e, soddisfatta, finse di gettarlo via.
Questo
fece ridere Parker che, spontaneamente, allungò una mano
verso di lei.
“Parker
Jones, lieto di
conoscerti.”
“Emily
Poitier. Piacere
mio” replicò lei, stringendo con forza quella
mano.
Carattere
deciso ma un po' timido, pensò ancora
lui, chiedendosi contemporaneamente perché la stesse
analizzando a quel modo.
Una
vocina cattiva e puntigliosa gli fece notare che Emily era una bella
donna, probabilmente
molto più intelligente e matura di lui, ma Parker la mise a
tacere
immediatamente.
Non
aveva bisogno di impelagarsi con una rappresentante del gentil sesso,
specialmente
dopo la quasi totale disfatta subita da Janice.
Il
passaggio delle unghie sulla sua schiena – e sul conto in
banca – gli doleva
ancora.
Suo
fratello minore Quentin aveva avuto ragione da vendere, quando gli
aveva dato
del pazzo, non appena aveva saputo del loro matrimonio a Las Vegas.
Rick, il
piccolo di casa, invece, si era limitato a una scrollata di spalle e un
sospiro.
Il
solito, taciturno Rick. Avrebbe dovuto insospettirsi, di fronte ai suoi
silenzi, invece si era lasciato guidare dalla sensualità
esplosiva di Janice, e
ora ne pagava – in tutti i sensi – lo scotto.
Non
ci si sposa a Las Vegas con la fidanzatina del liceo. Può
portare solo guai.
Il
bovaro scelse quel momento per aprire gli occhi e, vedendo la padrona
protesa
verso una persona sconosciuta, levò il musone bicolore e
scrutò il nuovo
arrivato con attenzione.
Avvedendosene,
Parker sorrise teso e domandò: “Devo
preoccuparmi?”
“Cleopatra,
lui è Parker. E' un amico. Amico”
disse quieta la donna, carezzando gentilmente il cane.
“Oh,
una lei.”
Sorridendo,
l’uomo allungò cauto una mano perché la
cagnolona gliela annusasse.
Quando
si ritenne abbastanza al sicuro per una grattatina dietro le orecchie,
si mosse
con calma e le disse sommessamente: “Sei proprio un bel
bovaro, sai, Cleopatra?
Dovrei farti conoscere Roscoe… diventereste amici, mi
sa.”
“Conosci
la razza?” gli domandò Emily, curiosa.
Mentre
i loro piatti venivano serviti, fumanti e profumati, Parker
assentì.
“I
miei genitori e uno dei miei fratelli minori si occupano della fattoria
di
famiglia, oltre che del bestiame. E, per tenere d'occhio le vacche al
pascolo,
usano tre bovari come la tua. Athena, Artemide e Afrodite. Roscoe,
invece, è un
bastardino che gli ho portato io, per riportare un po’ di
equilibrio in casa.
C’erano troppe donne, a sentire mio padre, e così
l’ho accontentato.”
“Appassionati
di A e di divinità greche?” sorrise divertita
Emily, accentuando le fossette
sulle gote.
Sì,
era davvero carina.
“Esatto”
assentì lui. “Nostra madre, in particolare. Il suo
sogno più grande sarebbe quello
di visitare Atene ma, come immaginerai, una fattoria porta via un sacco
di
tempo.”
“Credo
di sì. Quanto a Roscoe, che incrocio
è?” annuì Emily, addentando con
passione
la carbonara dai profumi inebrianti che aveva ordinato.
“Mmmh. Gilda, devo dare
un bacio a Scott. Stavolta, è semplicemente
divina.”
“Quel
ragazzo mi sbaglierà i prossimi venti piatti, se gli dai un
bacio. Sai che ti
muore dietro” brontolò gentilmente la donna, pur
sorridendo.
“Mamma!
Ti ho sentito!” sbraitò una voce maschile e assai
giovane, da dietro la porta da
saloon che separava la cucina dal locale.
Tutti
risero di quel richiamo stizzito e imbarazzato, Parker compreso che,
all’improvviso, sentì un peso sospetto contro una
gamba e, curioso, abbassò lo
sguardo per capire cosa fosse stato.
A
sorpresa, Cleopatra si era addossata completamente alla sua gamba e
ora, col
musone poggiato sul suo ginocchio, lo stava osservando in rapita
ammirazione.
Sorpreso,
Parker attirò l’attenzione di Emily ed
esalò: “Che le prende?”
Emily,
a quel punto, sorrise divertita e sì, sorpresa, prima di
dire: “Pare che tu le
piaccia. Deve essere stata la risata. Cleo ama sentir ridere le persone
e, se
il suono le piace, fa così.”
Del
tutto conquistato dalla cagnolona, Parker allora si piegò
fino a darle un bacio
sul naso, mormorando: “Anche tu mi piaci tanto,
Cleo.”
Emily
osservò l’intera scena con espressione sbalordita
e Gilda, nello scrutare il
tutto da dietro il banco, ammiccò al suo indirizzo come a
dire ‘però!’.
“Si
vede che sei abituato ad avere dei cani, e ad apprezzarli. E’
raro che Cleo si
esponga così tanto” chiosò a quel punto
Emily, chiedendosi se dovesse fidarsi
al pari del proprio cane di quel curioso nuovo arrivato.
“Mi
piacciono molto, e si vede che i cani lo capiscono. Con Roscoe successe
così. Quel
bastardino è una via di mezzo tra un corgi e un bassotto, ma
ha la grinta e
l’autostima di un alano, e io lo adoro”
commentò Parker, tornando alla sua
pasta ma con il dolce peso di Cleo ancora appresso alla sua gamba.
Rivolto
poi a Gilda, celiò: “Non può dare torto
al ragazzo, comunque, Gilda. Come si
può non essere affascinati da una così attraente
ragazza?”
“Oh,
non ti ci mettere pure tu, straniero...”
brontolò amabile Gilda, utilizzando quella parola, 'straniero',
come se
fosse stata 'caro'. “... lo so anch'io
che Emily è adorabile, ma non
vogliamo che la signorina qui presente si monti la testa.”
Ciò
detto, diede un affettuoso buffetto con fare molto materno sulla
guancia della
donna, ed Emily ridacchiò imbarazzata.
A
quanto pare, non c’è il pericolo che si dia delle
arie,
constatò Parker.
Forse,
era una specie di gioco tra di loro.
Che
fossero parenti?
L'entrata
in scena dello sceriffo non smorzò le chiacchiere e neppure
i sorrisi, a
riprova di quanto fosse ben voluto dalla comunità.
Gilda
gli offrì subito una birra analcolica e l'uomo,
nell'accettarla, diede un
grattino a Cleopatra prima di scrutare con fare indagatore il nuovo
venuto.
“Non
ci conosciamo, se non erro, giovanotto” esordì lo
sceriffo, lanciando poi una
strizzatina d’occhio a Emily a mo’ di saluto.
“Parker
Jones, sceriffo. Sono qui per conto della Silver &
Gold Consolidated
per dei rilevamenti piezometrici nei dintorni, oltre che all'interno
delle
miniere della zona. Dovrebbero aver già inviato la
documentazione, con i relativi
permessi per gli scavi.”
“Mmmh,
allora deve essere quel plico enorme che
è arrivato tramite e-mail
stamattina. Quando ho visto il numero delle pagine, ho preferito uscire
per una
passeggiata” ironizzò lo sceriffo, facendolo
ridere. “Sono Michael Meyerson. Per
qualsiasi problema, mi chiami pure.”
“Non
mancherò” assentì Parker, ritrovandosi
a rilassarsi sotto quel caldo sguardo
color cioccolato. Sembravano tutti molto simpatici e alla mano, da
quelle
parti.
Detto
ciò, lo sceriffo si volse verso Emily e, come un fiore
baciato dal sole, un
sorriso paterno fiorì sul suo volto abbronzato e di uomo di
mezza età.
“Ragazza,
come stai oggi? Sei sempre in giro a fare foto, ultimamente.”
“Sto
cominciando un nuovo progetto, e voglio delle inquadrature favolose per
il mio libro”
assentì lei, gratificandolo di un sorriso ai limiti
dell'adorazione.
Parenti?
Amanti? No, amanti, no, rimuginò tra
sé Parker, chiedendosi che tipo di rapporto vi fosse tra di
loro.
Era
evidente quanto lo sceriffo fosse protettivo con lei, e quanto Emily
stessa gli
fosse affezionata, ma non sembrava che avessero una tresca o qualcosa
di
simile.
E
poi, a conti fatti, perché stava ficcanasando tanto?
Le
chiacchiere perdurarono, a ogni modo.
Alcuni
dei presenti – che avevano ascoltato con curiosità
le novità di paese – si
dichiararono disposti ad accompagnare Parker per i boschi, e altri si
offrirono
di aiutarlo in caso di lavori pesanti.
Lui
ringraziò tutti, e annotò un paio di numeri di
telefono e qualche indirizzo,
prima di estrarre il portafogli per pagare.
Depositate
due banconote da venti, rifiutò il resto e disse a Gilda:
“Va bene così. I
maccheroni erano ottimi, e la birra mi ha fatto davvero bene.
Può dividere la
mancia con le due cameriere.”
Le
ragazze lo ringraziarono con ampi sorrisi e la padrona del locale,
assentendo,
infilò il resto in un barattolo di vetro, dichiarando:
“Sei partito col piede
giusto, straniero, ma se fai soffrire le mie ragazze con il tuo bel
faccino da
ragazzo di città, ti castro con la mannaia da
macellaio.”
Parker
scoppiò a ridere di gusto, di fronte a quella palese
minaccia ma lo sceriffo,
scuotendo il capo, esalò esasperato: “Gilda, ti
prego. Non davanti a me! Sai
che potrei considerarla una minaccia e far scattare una
denuncia.”
“Oooh,
ma per l'amor del cielo, Mike! Come se tu non mi conoscessi!”
ironizzò la
donna, scuotendo una mano con fare insofferente.
“Già,
per l’appunto. Io. Il signor Jones
è arrivato sì e no da un'ora, e l'hai
già minacciato di una cosa innominabile.
Cosa penserà della gente di Nederland?”
“Tutto
il bene possibile” sottolineò Parker, afferrando
il suo marsupio dallo sgabello
dove lo aveva appoggiato. “Ci si vede in giro.”
Già
pronta a uscire a sua volta, Emily lo accompagnò all'uscita
assieme a Cleo e,
nel lasciarsi alle spalle la cacofonia del posto e un saluto
generalizzato,
disse divertita: “Gilda non è pericolosa,
davvero.”
“Non
avevo alcun dubbio. Assomiglia troppo a mia madre, perché ne
abbia veramente
paura” ridacchiò Parker, lanciando un'occhiata
distratta al pick-up di Emily. “Solo
il giusto.”
Era
usato, sporco di fango e ben lontano dalla berlina fiammante che le
sarebbe
invece calzata a pennello.
Perché
continuava a non vedercela, in un posto così sperduto tra le
montagne?
“Hai
bisogno di una mano per trovare la casa che ti hanno assegnato?
Ricordami la
via, ti prego. L'ho scordata” gli domandò lei,
appoggiandosi al proprio
pick-up.
Nel
corso del pranzo, avevano divagato su mille argomenti diversi, quasi
come se si
fossero conosciuti da tempo ma, ben presto, Parker si era reso conto di
quanto,
quel comportamento, fosse un vizio di tutta la gente del posto.
Non
c'erano mezze misure, tutti erano cordiali e affabili, ma dovevi essere
disposto a fare altrettanto, per essere accettato, altrimenti rischiavi
di
essere chiuso fuori da qualsiasi dialogo.
A
lui stava bene. Non aveva peli sulla lingua, e parlare gli piaceva. Sua
madre
gli aveva sempre detto di avere una lingua supplementare da qualche
parte,
perché aveva sempre parlato per venti.
“Direi
di aver più o meno capito... svolto a sinistra e, dopo un
paio di case, giro
ancora a sinistra, lungo la strada che si inerpica sul monte. Cento
metri e
sono arrivato” ricapitolò lui.
“Esatto”
annuì la donna.
“Tu
dove stai? Se posso chiedere, è ovvio.”
“Al
42 di Ponderosa Drive, che poi è quella casa
lassù. Si vede anche da qui. A due
piani, in legno scuro e con le persiane verdi” gli
indicò lei, allungando il
braccio destro.
Le
maniche raccolte mettevano in evidenza un avambraccio tonico ed
elegante, al
cui polso erano allacciati un numero apparentemente infinito di
braccialetti in
pelle, corda e stoffa.
Insomma,
di tutto un po' ma, in generale, si trattava di oggetti semplici, di
prodotti
artigianali del posto.
Quello
sinistro era identico, a cui si erano uniti, forse per uno sfizio del
momento,
anche due braccialetti in argento e lapislazzuli, di chiara foggia
anazasi. E non
portava l'orologio.
“Molto
carina. Spero che la mia sia almeno presentabile. Non è
detto che le ditte
siano larghe di manica, in casi come questo”
ironizzò Parker, piazzando le mani
sui fianchi con aria rassegnata.
Emily
rise sommessamente, ma la risata le morì in gola un attimo
dopo quando, a
sorpresa, una berlina scura si fermò a pochi passi da loro.
Dal
finestrino abbassato comparve il volto piacente e rilassato di un uomo.
Doveva
essere un suo coetaneo, pensò spontaneamente Parker,
inquadrando un viso dalla
barba volutamente incolta, capelli volutamente spettinati e sorriso volutamente simpatico.
Anzi,
forse il sorriso era volutamente
tranquillizzante, come se non volesse spaventare la destinataria di
quel saluto
cortese. Ma perché?
“Ciao,
Emy. Sempre a caccia della foto perfetta?”
“Come
sempre. Ciao, Tony” gli sorrise lei, seppur in maniera molto
formale. Come se
volesse mantenere le distanze ma, al tempo stesso, desiderasse
avvicinarsi a
colui che le aveva parlato.
Anche
l'uomo in questione parve accorgersene, perché
sospirò impercettibilmente prima
di tornare all'attacco, con un sorriso sempre amichevole ma molto
più formale.
“Inutile
chiederti se sabato sera sarai libera per la festa al Lodge. Immagino
che il
libro ti tenga impegnata fino a tardi.”
“Già.
Finché non lo avrò terminato, sarò sua
prigioniera” cercò di ironizzare la
donna, le mani che nervose giocherellavano con i bottoni della camicia
a
quadri.
“Ti
lascio andare, allora. Non voglio farti perdere del tempo” si
affrettò a dire
il giovane, quasi avvertendo su di sé il nervosismo della
donna.
Poi,
rivolgendosi a Parker, allungò una mano e disse:
“Anthony Consworth, figlio del
titolare del 'Nederland Lodge and
Cafè'.
Molto piacere.”
“Parker
Jones, piacere mio.”
“E'
qui in qualità di geologo” gli spiegò
Emily, come se sentisse la necessità di
mettere i puntini sulle 'i'.
Di
quale parola in particolare, Parker non fu del tutto certo.
“Oh,
capisco. Qualcuno interessato alle miniere. Beh, buon lavoro e, se le
servono
vecchie mappe della zona, ne abbiamo di molto dettagliate,
nell’albergo. A
presto, Emy” chiosò l'uomo, salutandola con un
cenno prima di ripartire.
Emily
sospirò e Parker, avvedendosi del suo imbarazzo,
mormorò: “Ex?”
“Eh?
Beh, ecco...”
“Lascia
stare, non sono affari miei” replicò lui,
sorridendole cordiale.
Lei
allora scoppiò in una risatina nervosa, esalando:
“Oddio! Non è questo il
problema. Tanto, nel giro di una settimana, lo sapresti comunque, e
anche da
fonti ben poco attendibili. Qui, anche i muri hanno orecchie. Nelle
piccole
cittadine, tutti sanno di tutto. Stavo solo cercando di fare un
riassunto
mentale che fosse anche comprensibile alle tue orecchie.”
“Ah”
esalò lui, parecchio sgomento.
“Per
farla breve, quando sono venuta a stare qui, cinque anni fa, ho vissuto
per un certo
periodo nell'albergo di Anthony, in attesa che terminassero la
ristrutturazione
della mia casa. Questo ha fatto nascere una certa amicizia, tra me e
Tony, e la
gente ovviamente ha ingigantito a dismisura le cose.” Non era
esattamente la
verità, ma poteva anche andare.
“Lui,
però, mi è parso davvero
interessato.”
“Oh,
e lo è. Lo so” assentì lei, con un
risolino vagamente imbarazzato. “Sono io
che, insomma... non sono interessata ad avere uomini che mi girano
intorno, per
il momento. Così, caso mai dovessi sentire certe
chiacchiere, saprai già dove
tira il vento.”
“Opinioni
di prima mano. Sono sempre le migliori” assentì
Parker, comprendendo appieno il
suo imbarazzo.
Un
conto era nascere in una comunità e
abituarsi fin da piccoli agli usi e
costumi delle persone del posto, un altro era arrivarci da adulti, con
abitudini e usi diversissimi.
“Ora
devo scappare. Voglio controllare il lavoro di oggi al computer, prima
che
faccia buio. Ci si vede in giro” disse Emily, aprendo la
portiera per Cleopatra
prima di salire al posto di guida.
“Ciao!”
Parker
la osservò inerpicarsi lungo la via sterrata, e sparire
dietro una nuvoletta di
terriccio e polvere.
E
così, Emily Poitier aveva uno spasimante non corrisposto ma,
evidentemente,
molto cocciuto e molto disponibile al tempo stesso.
Meglio
di Beautiful.
Con
un risolino, saltò sul suo pick-up per raggiungere
finalmente la sua casa,
sapendo già che, durante quel breve lavoro a Nederland, si
sarebbe divertito.
N.d.A.: comincia qui una nuova avventura, tra le lande selvagge delle Montagne Rocciose. Ben presto scopriremo mille altri personaggi, perciò preparatevi. Il viaggio ha inizio.
1 Totoro: personaggio fantasy creato dalla penna di Hayao Miyazaki.