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Autore: JoiningJoice    30/06/2021    0 recensioni
Lo guarda così, il capo inclinato, i capelli biondi che gli scivolano davanti al volto. Roger non accenna a ritrarsi o a contrattare. Non ritorna mai sui propri passi, aspetta che siano gli altri a raggiungerlo, e David non è quasi mai a disposto a compiere il primo passo. Quella sera sì: si sporge e prende la sua sigaretta in bocca. Sente le sue dita contro le labbra e per qualche ragione non abbassa gli occhi, ma fissa quelli scuri di Roger.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: David Gilmour, Roger Waters
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Piece for Assorted Lunatics

 

 

                      Londra è una città che David non comprenderà mai. Non ne comprende le migliaia di sfaccettature, né comprende come possano coesistere. Da ragazzo la amava di un amore spropositato, genuino ed infantile – ma ora, a ventotto anni, quella magia si è persa; diffusa nella nebbia di Novembre, ridotta a un cumulo di foglie autunnali schiacciate dalle suole delle scarpe dei passanti, evanescente nelle risate e nelle voci e nella birra spillata a litri per poche sterline.

                      Siede in un pub di cui non ha memorizzato il nome, stanco. La sua anima ha le stesse proprietà di quella della città: smarrita tra le nubi di fumo, nella musica suonata dal vivo da un gruppo di ragazzi inesperti. Li osserva, nel parco nell’angolo; osserva l’energia che impiegano in ogni nota, ogni accordo, la sinergia tra i membri del gruppo, i sorrisi eccitati e il sudore sui loro volti sbarbati. Il suo sguardo scivola al boccale pieno a metà, ai bicchieri lasciati vuoti da Richard, Nick e Roger. Sono spariti tutti, chi in bagno, chi a parlare con un gruppo di ragazze. È rimasto solo Roger, che però non siede al tavolo. Non sembra essere capace di rimanere fermo troppo a lungo nello stesso punto: c’è sempre qualcosa da fare, qualcosa da dire, a cui pensare. Ora è in piedi contro una colonna, tiene il tempo del giovane bassista del gruppo che, ignaro di quell’esame, impiega tutto se stesso nella performance.

                      Roger solleva la sigaretta alle labbra e per un attimo, quando la accende, il suo profilo si illumina a giorno. È un faro in quella nebbia artificiale, i lineamenti non meno duri e scolpiti della pietra e del cemento; un’immagine moderna e viva che appartiene ad un museo, alla polvere, agli sguardi dei visitatori. David allunga la mano verso il boccale e affoga quei pensieri in un sorso di birra. Quando riabbassa il bicchiere e torna al mondo reale Roger lo sta guardando, le labbra appena dischiuse in una smorfia simile a un sorriso. Indica il gruppo di ragazzi con un cenno della testa. David solleva le sopracciglia, annuisce in segno di approvazione. Sono bravi, forse non lo sono abbastanza, ma sa benissimo che a Roger non interessa: vive troppo in quell’istante per preoccuparsene. Lo guarda allargare le braccia e accogliere in sé quella cacofonia di suoni, chiudere gli occhi e assimilarla, il dio della musica che dona la propria benedizione a quei pagani inconsapevoli. David ride, suo malgrado.

                      Si domanda se quei ragazzi facciano sul serio, se sappiano ciò che li aspetta nel mondo reale –  tutte le discussioni, tutta la fatica, i compromessi accettati a denti stretti, il risentimento ingoiato a forza – tutto ciò che consegue il volersi definire un gruppo. “Ne dovrete ingoiare, di merda”, direbbe loro, se solo ne avesse l’occasione; e poi si ritrova a chiedersi cosa direbbe loro Roger.

                      Deve smettere di pensare a lui. Ci pensa troppo spesso, e troppo spesso in termini a cui non è abituato. Solo la definizione che da di lui – la statua, il dio – dovrebbero metterlo in guardia, ma è troppo sbronzo e troppo stanco per voler comprendere davvero cosa provi, quali siano le implicazioni. Lo guarda di nuovo e si irrigidisce nel rendersi conto che Roger si è avvicinato, che sta afferrando la sedia di fronte alla sua e si sta sedendo. Tira dalla sigaretta e getta la cenere nel bicchiere di Rick, nonostante il posacenere sia alla sua portata. Guarda David e la sua espressione si distende in un sorriso lento.

                      « A che stai pensando? », gli domanda. David beve un altro sorso di birra, anziché rispondere. Non subito. Il tempo di pensare a una scusa.

                      « Non ti piacerebbe saperlo. »

                      È il turno di Roger di alzare le sopracciglia. « Sorprendimi. », lo incita, ridendo. Le dita scivolano sulla sigaretta, che stringe tra indice e medio; la libera dalla costrizione delle proprie labbra e gliela porge. David fa per prenderla, ma Roger si ritrae. Scuote la testa. « Un tiro per i tuoi pensieri. »

                      Questa volta è lui a ridere. « Che cazzo di scambio sarebbe? », borbotta, scuotendo la testa. Lo guarda così, il capo inclinato, i capelli biondi che gli scivolano davanti al volto. Roger non accenna a ritrarsi o a contrattare. Non ritorna mai sui propri passi, aspetta che siano gli altri a raggiungerlo, e David non è quasi mai a disposto a compiere il primo passo. Quella sera sì: si sporge e prende la sua sigaretta in bocca. Sente le sue dita contro le labbra e per qualche ragione non abbassa gli occhi, ma fissa gli occhi scuri di Roger. Lui non sorride. Lo guarda in una maniera strana, peculiare, esclusivamente sua. È uno sguardo che David conosce, e nel recepirlo si allontana, la boccata di fumo amara in bocca. Sfiata contro il suo viso e Roger si ritrae.

                      « Sei un pezzo di merda. », dichiara, tossendo. L’incantesimo è sciolto, ma David non è più con lui: le note che sta ascoltando diventano quelle di Eclipse, la voce del ragazzo sconosciuto diventa quella di Roger, la stanza il palco dell’Empire Pool. Davanti a loro una folla urlante, sopra di loro le luci calde e soffocanti dei riflettori, alle loro spalle psichedelici giochi di colori. Le sue dita seguono gli accordi che ormai conosce a memoria e la sua voce segue quella di Roger. È dall’altra parte del palco, la batteria di Nick tra di loro, ma quando Roger si volta a guardarlo accade qualcosa di strano, magnetico. I suoi occhi sembrano splendere di luce propria, troppo bianchi, più veri e freddi di qualsiasi altra cosa li circondi – e forse è colpa di quello che ha preso prima dell’esibizione, forse è un inganno della sua testa, ma per un attimo David riesce ad abbandonarsi e tutto quanto scompare. Non è solo una questione fisica, materiale: si spoglia di ogni cosa, ogni pregiudizio e ogni rancore. Rimane solo con Roger, e la sua voce gli appare come una litania erotica e pericolosa. Non la segue perché deve, la segue perché vuole; la segue perché è l’unica cosa realmente esistente. Le loro liti gli danno ragione di esistere, gli danno una forma; la musica che scrivono assieme diventa un ponte tra le loro menti. Sono una cosa sola, sono perfettamente in sintonia e cazzo – ora sta immaginando come sarebbe se Roger allontanasse le mani dal basso e sfiorasse la sua schiena, i brividi che causerebbe, il riverbero che la sua voce genererebbe se lo facesse; ora lo sta immaginando nudo, premuto contro un muro, le dita intente a tirare i suoi capelli e il collo esposto per permettergli di succhiare, e mordere, e donargli qualsiasi stimolo David desideri. Sta immaginando la sensazione del suo cazzo contro la coscia, la foga con cui lo libererebbe dalla costrizione dei pantaloni stretti. Lo ha visto nudo, non ha bisogno di sognare ad occhi aperti per figurarsi l’aspetto del suo corpo, e anche perdersi nella fantasia della violenza con cui lo spingerebbe contro il letto e pretenderebbe di avere il controllo – come sempre, come sempre – risulta fin troppo facile.

                      E cosa farebbe a quel punto? Quanto gli concederebbe? Sbatte le palpebre, un gesto che gli causa un fastidio pungente agli occhi. È di nuovo sul palco dell’Empire e Roger lo sta ancora fissando, le labbra che sfiorano il microfono davanti a lui.

                      And everything under the sun is in tune / but the sun is eclipsed by the moon. I suoi occhi tornano alla massa urlante e informe sotto di loro, un istante prima che David comprenda che in qualche modo – non gli è dato conoscere come – i suoi pensieri e quelli di Roger sono stati una cosa sola per un lungo, doloroso momento; ma è troppo tardi, forse è troppo presto.

                      Sbatte di nuovo le palpebre ed è di nuovo in un pub senza nome, in una notte senza tempo, davanti a un uomo senza perdono. Roger smette di tossire e si alza, scocciato. Mai troppo a lungo nello stesso posto.

                      « Se non hai intenzione di dirmi a che cazzo stai pensando non ho motivo di rimanere. », borbotta. Lascia cadere la sigaretta consumata a metà nel posacenere. « Tieni, Dave. Un regalo. »

                      Lo guarda dall’alto, in attesa di vedere cosa farà, e David pensa – riflette, pondera. Sa che esistono istanti che possono prolungarsi nel tempo, frazionarsi, dilatandosi fino ad inglobare un lasso che non dovrebbero essere in grado di coprire; momenti irripetibili e decisivi. Se ora si alzasse e prendesse quella sigaretta e si avvicinasse a Roger darebbe un senso a quell’istante, una ragione per esistere: sussurrerebbe in un suo orecchio parole che non ha mai detto a un uomo, gli direbbe di fotterlo, di aver capito che Roger lo vuole quanto lui. Osserva il tabacco bruciare, secondi scanditi da quella fiammella che risale in inscindibili ghirigori.

                      « Va pure. », lo invita. Riesce persino a sorridergli. « Tanto che cazzo te ne frega di quello che penso, Roger? »

                      Roger ride. Non è una risata divertita, è amara, velenosa. Gli da le spalle scuotendo la testa, frustrato. David lo guarda scomparire nella coltre di fumo, perdersi in mille e più frammenti. Torna ad essere una luce nella nebbia. Fa scivolare le dita verso il posacenere e recupera la sigaretta di Roger, quell’invito silenzioso, quella promessa vaga di qualcosa che entrambi non comprendono.

                      Ormai è ridotta a un mozzicone. La porta comunque alle labbra, ma tutto ciò che ottiene è di sentire le dita e le labbra bruciare. È troppo tardi. Forse è troppo presto.

 

 

 

 

Questa storia è stata scritta su commissione. I più sentiti ringraziamenti al committente, Alice!

Ho le commissioni aperte, se siete interessati: https://twitter.com/aggretsujo/status/1403073899605151748

Vi ringrazio per l'attenzione, alla prossima!

 

-Joice

   
 
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