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Autore: mattmary15    01/07/2021    0 recensioni
James Tiberius Kirk ha salvato il suo equipaggio con un gesto tanto eroico quanto disperato e ha battuto Khan al suo stesso gioco. Ora lo aspetta una buona convalescenza e il ritorno alla sua adorata Enterprise.
Probabilmente anche una medaglia e un picchetto d'onore. Questo almeno è quello che sperano Spock e Bones, gli amici sempre pronti a difenderlo. Sarà davvero così oppure una nuova avventura comincerà proprio dal punto in cui erano rimasti dopo l'ultima battaglia? La vita nello spazio non è facile, ma spingersi fin dove nessuno è mai stato prima si rivelerà piuttosto complicato. Jim, Spock e Bones dovranno andare oltre i loro limiti e, se possibile, riuscire a tornare indietro.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ogni medaglia ha due facce
Parte Terza



La base radio che Jim aveva preso di mira era un edificio più alto di quelli circostanti con in cima una gigantesca antenna.

“Come faremo ad entrare?” Chiese Burnham mentre fingevano di interessarsi entrambi ad una bancarella di spezie. Per fortuna il clima di Khitomer giustificava il fatto che si fossero tirati dei pesanti cappucci sulla testa e che delle grosse sciarpe gli avvolgessero collo e metà del viso.

“Una volta Bones ha preso per sbaglio dei dati da un laboratorio. Avrebbe meritato una medaglia per questo. All’epoca non lo sapevamo. Non sapevamo che quell’errore ci avrebbe salvati tutti. Pensammo che dovessimo sistemare la cosa. Decisi di entrare di nascosto nel laboratorio per rimetterli al loro posto.”

“Illegalmente?” Chiese, sorpresa, Micheal.

“Dimenticavo che sei la sorella di Spock.” Lei rise. “Sì. Non volevamo che il buon dottore passasse un brutto guaio.”

“Capisco. Cosa c’entra adesso?”

“Entrammo dal tetto. Lo stesso faremo adesso.”

“Dal tetto? Come pensa di arrivare fin lì?” Jim sorrise e con un dito le indicò un percorso che lui aveva tenuto sotto controllo fino a quel momento.

“Nel vicolo. Sicuramente uno di quei palazzi ha una scala d’emergenza o, perlomeno, dei condotti. Saliremo da lì.”

“Ammesso che funzioni, come entreremo?”

“Troveremo un modo una volta lassù ma, in linea di massima, credo che si tratterà di scassinare una porta o una finestra.”

“Lei crede?” Jim non si offese per il tono di quelle parole.

“Avanti, mi dica che è illogico.”

“E’ quello che farebbe Spock?”

“Proprio così.”

“Beh, io non sono Spock. Ammetto che non è un piano perfetto ma è un buon piano. Anche io credo sia l’accesso meno sorvegliato del palazzo.”

“Concordiamo?” Lei annuì.

“Questo è davvero strano. Non sono abituato al fatto che mi si dia ragione tanto rapidamente.”

“Ma lei è il capitano!”

“Questo non impedisce a suo fratello di dovermi comunque contestare la maggior parte del tempo. Cosa che, tra l’altro, definisce in modo significativo il nostro rapporto.”

Parlavano mentre si infilavano in una traversa della strada principale e si arrampicavano su una vecchia struttura in metallo che risaliva lungo il palazzo della base radio.

“Spock deve sempre dire la sua, anche a costo di apparire fuori luogo o insensibile.” Commentò lo specialista scientifico della Discovery e Jim le rivolse un sorriso comprensivo.

“È proprio così.”

“Ma la tiene in grande considerazione.” Precisò lei.

“Anche questo è vero. La consola sapere che la cosa è reciproca?”

“Sì.”

“Bene, perché potrebbe aver cambiato opinione su di me.” Micheal si fermò un attimo e poi riprese a seguirlo.

“Perché pensa una cosa simile? Sono convinta che tenga molto alla sua persona.” Jim si concesse una risata nervosa.

“Abbiamo rischiato la vita insieme molte volte. Di certo è mio amico ma a volte faccio fatica a comprendere alcune cose basilari che riguardano il suo comportamento.”

“Del tipo?”

“Non mi ha parlato di lei, ad esempio. Qualche mese fa gli ho presentato la mia famiglia. È stato a casa mia.”

“Beh, siamo venuti a prendervi su Nuova Vulcano. Ha di certo conosciuto nostro padre. In quanto a me, ci siamo persi di vista per un po’.” Si accorse che Jim aveva raggiunto la cima dell’edificio e le aveva teso una mano per aiutarla a scavalcare il parapetto. 

“Deve aver fatto qualcosa di sbagliato anche con lei. Ho forti dubbi che i motivi della vostra separazione siano dipesi da lei, Micheal.” Burnham scosse il capo.

“Non è stata colpa di nessuno dei due. Forse le maggiori responsabilità sono da imputare a me. Sarek ha scelto lui come candidato per l’Accademia vulcaniana e lui l’ha rifiutata. Ha rifiutato una cosa che io desideravo molto e ho scaricato su di lui la mia frustrazione. Ho capito in seguito che la colpa non era affatto di Spock. Lui ha seguito i suoi sogni. Io ho fatto lo stesso con i miei.”

“Già,” commentò Kirk controllando una porta di ferro che sembrava semi aperta, “e tra i suoi desideri c’era sposare T’Pring. Un’altra cosa che non sapevo di lui.” 

Micheal provò a vedere se la porta scorreva e, quando si accorse che cedeva sotto una leggera pressione, l’aprì completamente.

“Era necessario. I vulcaniani hanno necessità di avere una compagna prima che arrivi il Pon Farr.”

“Il Pon Farr?” Chiese Jim di getto. Si acquattarono contro una parete e diedero un’occhiata allo stretto corridoio e alla scala interna che dava al piano di sotto.

“Si tratta di un argomento privato. Spetta a Spock decidere se parlarne o meno.” 

“E mi liquida così?”

“Non posso fare diversamente.” Jim la prese per un braccio e se la tirò addosso un attimo prima che una guardia armata alzasse lo sguardo sulla rampa di scale che conduceva al loro nascondiglio.

“Non parliamone più e concentriamoci sulla missione.” Lei si allontanò dal suo corpo con un certo imbarazzo.

“Ha ragione. E’ stato svelto!” Lui le fece l’occhiolino e Micheal sorrise senza poterselo impedire. Quello era il fascino del capitano Kirk, la sua capacità di piacere a tutti.

“Facciamo così. Io vado giù a dare un’occhiata e, se posso, le faccio strada. Lei mi segue a distanza. Appena le guardie mi vengono dietro, lei entra nella sala radio e manda un messaggio.”

“Aspetti. Un conto è salire fin quassù senza una corretta stima dei rischi. Un conto è scendere al piano di sotto e lanciarsi incontro ad un pericolo concreto. Non pensa che se la prendono, esporrà la federazione al rischio di una guerra.”

“La sua preoccupazione per me è commovente!” La prese in giro lui. “Non ho niente addosso che indichi che provengo dal territorio della federazione. Non parlerò mai.”

“Non posso.” Fece lei trattenendolo per un braccio. “Spock mi aveva avvertita al riguardo e mi ha chiesto di impedirle di fare sciocchezze.” L’espressione di Kirk perse la presuntuosa sicurezza che aveva manifestato fino a quel momento e divenne quasi dolce. Così almeno sembrò a Micheal.

“Non è una sciocchezza. E’ logica. Io non conosco il klingon. Solo lei può mandare un messaggio. Non mi prenderanno, vedrà. In quanto a Spock, dirà che ha fatto tutto quel che poteva. Sa bene che se mi metto in testa qualcosa, nessuno può fermarmi.” Disse muovendo le mani e portandosele dietro al collo. “In quanto a simboli della federazione,” continuò porgendole un ciondolo, “conservi questo per me. Me lo ridarà più tardi.” Concluse consegnandole un distintivo della federazione stellare spaccato e saldato al centro che portava un incisione.

“Doveva toglierlo sulla Discovery!” Lo rimproverò lei.

“Non lo tolgo mai. Farò un’eccezione adesso. E importante per me.” 

Micheal lo ripose in tasca e lo lasciò andare.

Jim scese lentamente la rampa di scale che conduceva al piano inferiore e tramortì una guardia con un pezzo di tubo raccolto sul terrazzo. La fortuna era dalla sua parte dato che le guardie che difendevano il palazzo erano khitomeriane e non klingon. Altri due soldati finirono legati e imbavagliati nello stesso sgabuzzino che aveva accolto il primo.

Micheal dovette ammettere che Kirk era un ufficiale in gamba. Sapeva il fatto suo. Lo seguì fino ad un bivio. Lì Jim voltò a destra e trovò la sala radio. Fece cenno a Burnham che c’erano due persone dentro. Una era un klingon. Si abbassò e si fermò a prendere un respiro. Doveva pensare.

Cosa poteva fare per allontanarli da lì? Tornò indietro e raggiunse Micheal.

“Mi ascolti, Burnham, non posso mettere fuori combattimento i due che sono nella sala radio.”

“Affrontiamoli due contro due.” Rispose lei mostrando tutto il suo coraggio e la sua determinazione. Jim sorrise bonariamente.

“Non saremmo ad armi pari neppure se noi fossimo tre, mi creda.”

“Quindi?”

“Lei si nasconda dietro a quell’armadio, nell’altro corridoio, lo vede?” Lei annuì. “Io farò un pò di confusione nel corridoio. C’è un ascensore. Mi nasconderò lì dentro. Se sono furbi, mi seguiranno.”

“Potrebbero bloccare l’ascensore.”

“Potrebbero.”

“E’ una situazione senza via d’uscita!” Gli occhi di Kirk si illuminarono.

“Suo fratello non le ha detto che non credo nelle situazioni senza via d’uscita?” Lei non rispose alla domanda e Jim continuò. “Ora il messaggio. Mi ascolti bene e sarà un successo.” Si avvicinò all’orecchio della donna e le sussurrò le esatte parole. 

“Funzionerà?” Chiese Micheal.

“Funzionerà. Faccia in fretta ed esca da dove siamo entrati. Vada all’angolo con la strada principale e aspetti mezz’ora, non di più.”

“E se non arriva?”

“Se non arrivo, torna dal capitano Lorca e fate ritorno alla Discovery con il tardigrado. Assegna le funzioni di capitano della Enterprise a Spock come mio facente funzione e sparite dalla zona neutrale.”

“E lei?” Chiese Micheal prendendogli d’istinto un polso.

“Io non esisto. Riferirete a Pike e lui deciderà cosa fare.” Micheal annuì e lo lasciò andare. Lui fece per muoversi ma esitò.

“Burnham, un’altra cosa.”

“Dica.”

“Dia il mio ciondolo a Spock.”

“Come?” Jim le fece un’occhiolino.

“Si tratta di un argomento privato. Spetta a Spock decidere se parlarne o meno.” 

Kirk si voltò e raggiunse la porta della sala radio, attese che lei fosse nascosta e passò oltre dirigendosi verso l’ascensore. Lo chiamò al piano e tornò indietro. Si posizionò davanti alla porta, prese un respiro e si tirò su lo sciarpone lasciando scoperti solo gli occhi.

Aprì di scatto la porta e, senza dire una parola, lanciò il tubo dentro la stanza avendo cura di non danneggiare l’attrezzatura radio. Corse via non appena il klingon che era all’interno fece per andargli addosso gridando di fermarsi nella sua lingua.

Anche se Jim l’avesse capito, obbedire sarebbe stata l’ultima cosa da fare. Si accorse che l’ascensore non si era ancora aperto e si chiese solo in quel momento se per usarlo era necessario essere provvisti di un codice o di un badge. S’impose di seguire l’istinto e fece quello che si era prefisso di fare. Prese il corridoio e corse comunque verso l’ascensore.

Il klingon continuava a seguirlo ma l’altra guardia non sembrava voler lasciare la sala radio. Sperò che il Klingon chiedesse aiuto è così fu quando, sentendo le porte aprirsi alle sue spalle, Jim s’infilò nell’ascensore e fece chiudere le porte.

Il klingon avvertì la guardia khitomeriana di rimanere di guardia all’ascensore mentre lui scendeva al piano inferiore.

Micheal ebbe modo di entrare nella sala radio, mandare il messaggio e uscire non vista. 

Jim non ebbe la medesima fortuna. Si rese conto appena in tempo che nell’ascensore c’erano altre due guardie. Bloccò l’ascensore e partì una scazzotata che, in altri tempi e situazioni, avrebbe definito epica. Ebbe la meglio riportando diverse ferite tra le quali una al braccio che gli dava più dolore. Dovette ribloccare l’ascensore un paio di volte perché qualcuno, dal piano terra, lo stava chiamando e si sforzò di arrampicarsi sulla botola di servizio e, fuori da lì, sulla scala che conduceva ai piani superiori. Individuò la porta del piano della sala radio e cercò di uscire da quella ancora più su.

Stavolta era stato più fortunato perché non aveva trovato nessuno ad ostacolarlo, tuttavia si stava trascinando e ci stava mettendo più tempo del previsto. 

La porta del tetto era ancora aperta e questo gli diede fiducia sul fatto che Burnham fosse già sgattaiolato fuori indisturbata. Si sporse dal parapetto e vide un gran numero di soldati entrare nell’edificio. Sembravano grossi e ben armati.

Klingon’. Pensò Jim.

Tornò alla porta e la chiuse come meglio poté. Raggiunse la struttura che aveva fatto salendo e la percorse a ritroso.

Un sorriso sgargiante gli si dipinse sul viso quando riconobbe Micheal al punto d’incontro.

“Capitano, sta bene?” Gli chiese subito lei, preoccupata per i segni evidenti di lotta che Kirk nascondeva sotto al cappuccio.

“Provato ma intero. Quasi.” Disse tenendosi il braccio ferito con quello sano.

“Torniamo alla nave?” 

“No. Raggiungiamo gli altri alla bisca. Non sono tranquillo riguardo a Bones. Ha inviato il messaggio?”

“Affermativo. Come lei me lo ha dettato.”

“Bene. Andiamo.” Lui fece strada e Micheal lo seguì. Si convinse a non obiettare ma sapeva di non essere riuscita a mantenere la promessa fatta a Spock. Sospirò e si guardò intorno per accertarsi che nessuno li stesse seguendo. 

 

Bones guardò le carte e poi il piatto. Come i due precedenti, era ricco abbastanza da puntare ancora più forte di quanto avesse fatto fino a quel momento.

Fino a quel momento gli era andata bene. Talmente bene da ritenere che quella mano potesse essere l’ultima. Quanto diavolo poteva costare un maledetto mollusco gigante?

Ignorò ancora la presenza di Spock in piedi alle sue spalle e si concentrò sulla sua mano.

Allungò diversi darsek e sollevò lo sguardo sul giocatore di fronte a lui. L’unico rimasto a tenergli testa dato che altri due bifolchi avevano rinunciato ad ogni pretesa dopo essere stati ripuliti. 

Bones era convinto che il loro atteggiamento rinunciatario fosse dipeso essenzialmente dalla figura minacciosa di Spock. Dovevano averlo scambiato per uno scagnozzo al soldo del giocatore che li stava stracciando. 

Si sforzò di non sorridere all’idea per non dare vantaggi al suo avversario e attese che l’altro facesse la sua mossa.

Quello, di tutta risposta, gettò le carte sul tavolo in un gesto di stizza e rinunciò. Si alzò borbottando qualcosa in una lingua che McCoy non comprese e si allontanò.

Solo in quel momento il dottore sentì la voce di Spock che gli si rivolgeva senza farsi notare.

“È un bel bottino quello che ha racimolato. Credo possa bastare. Lei che dice?”

“Credo di sì. Andiamo?” Gli chiese mentre allungava le mani sull’ultima vincita. 

Proprio in quel momento però, un uomo non molto più vecchio di lui e con un’espressione sorridente, si sedette al posto del precedente avversario e gli toccò la mano ferma sulla vincita.

“Un’ultima partita, che dice?” Bones fu sorpreso da sentire un accento familiare e rimase un momento interdetto.

“Grazie, ma no.” Rispose ritirando la mano e tutti i soldi.

“Oh, avanti! Non è cortese ritirarsi mentre si sta vincendo, senza dare una possibilità di rifarsi al perdente!” Stavolta Bones rispose subito.

“Non ho vinto contro di lei. A quell’altro,’ disse indicando il khitomeriano che si era arreso, “ho dato diverse occasioni di riprendersi ciò che ha perso. Non sono soldi suoi.” Gli sembrava un ragionamento inattaccabile ma Bones commise il primo errore della giornata.

“Ed è qui che si sbaglia, temo. I soldi che si è giocato lui,’ disse l’uomo indicando il perdente che si era rifugiato al bancone degli alcolici, “sono miei. Mi presento, sono Harry Mudd capitano della Borders.” Disse tendendogli una mano. McCoy capì che non sarebbe stato facile sbarazzarsene.

“La Borders?” Chiese per prendere tempo e studiare quell’uomo curioso.

“Un vascello mercantile. Commercio qualunque cosa, signore. Se ha dei bisogni, chieda pure.”

“Non ho bisogno di niente.” Rispose lui respingendo nei recessi della sua mente la curiosità di sapere se mai possedesse un tardigrado.

“Peccato, sono sempre generoso nei confronti di quelli della mia razza. Lei è un terrestre, vero? Non verrà fuori che è un automa! In quel caso capirei come ha fatto a vincere tante partite di seguito.” A Leonard quell’affermazione non piacque.

“Ho vinto perché sono dannatamente bravo in quello che faccio.”

“Certo, certo!” Esclamò Mudd. “Allora mi concede una partita, signor?” McCoy allungò un pezzo darsek al centro del tavolo facendolo strisciare sul legno.

“Bones, è il mio nome. Una partita é quello che le concederò.” Mudd batté le mani e gli avvicinò il mazzo di carte.

“Dicono tutti così, sa?” Bones mischiò le carte e tagliò il mazzo. Mudd le diede e si fermò a guardare Bones ridendo.

Le parole del mercante si rivelarono profetiche perché Bones perse e volle la rivincita. Perse di nuovo e poi un’altra volta, innervosendosi sempre di più.

Spock capì che qualcosa non andava quando una carta che era già uscita dal mazzo, ricomparve tra le mani di Mudd una seconda volta. Si concesse di mettere una mano sulla spalla dell’amico e attirare la sua attenzione.

“Sta barando.” Gli sussurrò all’orecchio.

“Lo so!” Abbaiò tra i denti Bones, allontanandosi appena dal tavolo da gioco. “Che posso fare? Jim mi ha deliberatamente ordinato di non abboccare a quell’amo.”

“Perché continuare a giocare una partita truccata?”

“Perché ci servono i soldi. Li avevo quasi tutti e per colpa di quel maledetto, ora ce ne manca la metà.”

“Continuerà a perdere, se ne rende conto? Ho contato le carte e ce ne sono più di quante dovrebbero.”

“Vuole giocare al mio posto?” Sputò fuori Bones con rabbia.

“Non ne sono capace.”

“Allora non mi faccia innervosire, Spock.” Il vulcaniano scosse la testa. Se doveva dare un nome a quella sensazione che stava provando era sconforto o sconcerto. Non poteva dirlo con certezza.

La voce di Mudd li costrinse a tornare al tavolo da cui si erano allontanati per parlare.

“Continuiamo?”

“Credo che sarà la mia ultima partita comunque vada.” Asserì Bones.

“Allora giochiamoci qualcosa di speciale, le va?”

“Mettiamo tutto sul piatto?” Propose Bones che voleva farla finita in qualsiasi modo e pensava che avrebbe anche potuto tentare un colpo basso all’ultimo giro. Mudd rise.

“Ne ha di coraggio! Lei mi piace, Bones, ma quella non mi sembra un’offerta accettabile.” Affermò indicando il denaro racimolato davanti alle mani del dottore.” Il mio malloppo è più grande del suo. E sarei disposto a raddoppiarlo se lei volesse giocarsi qualcos’altro.” Bones lo guardò con perplessità.

“Qualcos’altro? Non ho nient’altro da scommettere.” Mudd gli agitò un dito davanti agli occhi.

“Sbagliato. Ha lui!” Disse indicando Spock. Bones non riuscì a nascondere né la sua indignazione né, tantomeno, la sua preoccupazione. 

“Lui? Guardi che è una persona! Come me e lei. Non possiamo giocarcela a carte.” Mudd allargò le braccia.

“Ma come si scalda! Non nego che sia una creatura vivente ma in quanto ad essere uguale a noi,” disse fermandosi e riprendendo a voce bassa affinché nessun altro potesse sentire, “non credo che lo sia. O vogliamo verificare chiedendogli di togliere il cappello?”

Spock sollevò un sopracciglio ma non diede alcun’altra soddisfazione al mercante.

“No.”

“Vede, signor Bones, non credo che lei abbia altra scelta. Se ora io mi alzassi e facessi un solo cenno con la mano, i miei amici klingon che sono seduti nell’altra stanza, correrebbero in mio aiuto. Io le sto offrendo una chance di uscirne vivi, per come la vedo io.”

Fu allora, mentre Bones era in preda allo sconforto, che Spock giunse in suo aiuto. Almeno così pensava di fare avvicinandoglisi e sussurrandogli poche parole.

“Accetti. E’ la cosa più logica da fare. Se sceglie di giocare ha comunque una possibilità del due virgola quattordici per cento che lui si confonda e perda.”

“Le sue deduzioni sono sconcertanti, Spock.” Commentò con l’ironia che Spock non comprendeva e finalmente realizzando cosa doveva passare Jim tutto il santo giorno in plancia.

“Sono logiche.” Bones perse la pazienza.

“Ti rendi conto che se perdo una stupida partita a carte, tu perderai la libertà e forse la vita?”

“Ho cieca fiducia nelle tue capacità. Fa quel che puoi e non avrò nulla da ridire. Dalle nostre azioni dipendono molte cose.” Bones annuì e si risedette al tavolo da gioco.

“E sia. Metta sul piatto il suo denaro e io farò lo stesso con il mio amico. Mi aspetto che lei sia di parola, se vinco.” Mudd sorrise e mischiò le carte. Bones stava per spezzare il mazzo quando una mano si posò sulla sua spalla e lo fermò.

“Non così in fretta, Bones.” Il dottore, nell’udire quella voce, sollevò immediatamente lo sguardo. Lo stesso fece Mudd, ritrovandosi un paio d’occhi blu addosso. Bones scattò in piedi felice come non mai e fece istintivamente un passo dietro al nuovo arrivato.

“Dio santo, quando sei arrivato?” Chiese rabbuiandosi non appena si accorse che aveva il volto tumefatto. “Stai bene, Jim?”.

“Sì. Sono qui da un po’ a dire il vero.”

“Da quanto?”

“Dal momento in cui questo signore ha cominciato a spennarti.” E fu allora che Mudd si schiarì la gola e li interruppe. 

“Signore, noi stavamo facendo affari. Lei è?” Jim mise su il sorriso più luminoso che aveva in repertorio e rispose.

“Tiberius.” 

“Tiberius? Bene, qui dobbiamo finire.” Disse Mudd riprendendo a mischiare le carte.

“Ho detto, non così in fretta.” Lo fermò di nuovo Kirk. 

“Forse, Tiberius, non è informato dell’accordo che ho fatto con il signor Bones.”

“No, signor Mudd, é lei a non essere informato. Ha preteso che il mio socio le concedesse la  rivincita adducendo come scusa che i soldi vinti fossero suoi e ora pretende che lui si giochi qualcosa che è mio.” A quelle parole sia Bones che Mudd finirono per guardare Spock che rimase imperturbabile. 

Senza che Mudd potesse reagire, Jim si sedette al posto che era stato di Bones fino ad allora, allungò una mano sul pacchetto di sigarette che quello teneva accanto ai soldi e ne sfilò una. Se l’accese e inspirò ed espiro il fumo. 

“Ha capito bene. Lui,” disse indicando Spock con la mano che teneva la sigaretta, “è mio. Quindi se desidera che venga messo in gioco, lo farò ad una condizione.”

“Parli.” Rispose in modo secco l’altro.

“Giocherà contro di me.” La faccia di Jim era tutta un programma ma Mudd non fece una piega. Scoppiò in una fragorosa risata e riprese a mescolare il mazzo.

“Sarà un piacere.” Jim batté le mani una volta e le sfregò mentre l’altro dava le carte. “Sembra impaziente!”

“Non gioco da una vita!” Esclamò Jim e, nell’udire quelle parole, Mudd fischiò.

“Non dovrebbe dire così! Che razza di giocatore confesserebbe la sua inesperienza?”

“Primo: non ho detto di essere inesperto.” Disse Jim prendendo le carte che Mudd gli aveva dato. “Secondo: sono uno che dice sempre le cose come stanno.” Concluse guardandole e sorridendo.

Se Mudd s’era illuso per un momento di ritrovarsi di fronte l’amico sbruffone e senza cervello del tizio con cui aveva giocato fino a quel momento, quell’idea se n’era andata rapida com’era venuta.

Più sconcertati, però, erano Bones che rimaneva ritto e teso di fianco a Spock e Burnham che, arrivata insieme a Jim, si era andata a sedere al bancone del bar dov’era anche Lorca.

I due si erano scambiati le informazioni che avevano raccolto e si erano mischiati ai curiosi che guardavano la partita.

“Crede che vincerà?” Chiese Micheal sorseggiando lo strano liquore blu che Lorca aveva ordinato per lei.

“Non so se vincerà, di sicuro lo sta disorientando.”

“Dovremmo riferire a Jim che Mudd é l’unico che possiede un tardigrado su Khitomer?”

“Adesso non servirebbe a niente. Si stanno giocando la nostra stessa vita. Non ci sarebbero motivazioni migliori neppure a cercarne.” Micheal annuì convenendo che il suo capitano aveva ragione e tornò a guardare i due uomini seduti al tavolo.

“Allora, Tiberius, che ha deciso?” Jim poggiò le carte sul tavolo e sospirò generando in Bones quasi uno spasmo. Poi sollevò lo sguardo e lo fissò sulla faccia di Mudd.

“Si dice che più si é sfortunati in amore, meno lo si è al gioco. Io sono talmente sfortunato in amore che sarei quasi tentato di alzare la posta!”

Stavolta persino Spock si mosse appena, stringendo le mani che teneva unite dietro alla schiena. La sua logica gli impediva di capire il flusso dei pensieri del suo capitano. Osservando Bones aveva compreso che il giocatore di poker fa di tutto per non far capire al proprio avversario quanto sia buona la sua mano. Jim, tuttavia, dall’inizio della partita aveva assunto un atteggiamento completamente diverso. Guardò Mudd che si era sporto in avanti poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.

“E cosa avrebbe da offrire?”

“La mia nave!” Disse imitando la postura dell’altro. “A condizione che lei faccia lo stesso.” Mudd si fece istintivamente indietro e Jim continuò.

“La mia nave e tutto quello che c’é dentro contro la sua e tutto quello che c’è dentro.” 

“Lei vuole rovinarmi, Tiberius?” Jim scosse le spalle.

“Mi piace giocare pesante. Tutto qui. Niente di personale.”

“D’accordo.” Rispose il mercante con uno sguardo cattivo.

“Mostri i punti, allora.” Lo sfidò Jim. Mudd, indossando un sorriso beffardo, girò le carte rivelando un poker d’assi. 

“Sono spiacente,” disse allegro, “anzi no. Non lo sono in realtà. Sono davvero curioso di vedere la sua nave, Tiberius.” Jim scosse la testa causando quasi un infarto a Bones.

“Cosa ho detto appena arrivato?” Chiese Jim. Mudd, con il suo bel sorriso ancora stampato in faccia, esitò. Jim girò le carte.

“Non così in fretta, Mudd, non così in fretta.” Pronunciò mostrando una scala reale di cuori.

“È impossibile!” Urlò il mercante. “Impossibile!”

“Perché?” Gli chiese Jim con un’espressione tremendamente seria. “Perché due delle carte che sono sul tavolo erano finite negli scarti appena un attimo fa? Due assi per la precisione. Uno decora la mia scala reale, l’altra il suo poker. Vero?”

“Sta insinuando che ho barato?

“Non mi ha ascoltato bene prima. Io sono uno che dice sempre le cose come stanno.”

“Davvero?” Mudd era furioso. “Vuole dirmi come stanno le cose? Glielo dico io, come stanno le cose, Tiberius! Ammesso che Tiberius sia davvero il suo nome.”

“Avanti, Mudd, lo faccia. Chiami i suoi amici Klingon. Non sarebbero i primi che prendo a calci nel culo oggi e non saranno gli ultimi se lei fa scoppiare un casino. Sappia però che Tiberius è davvero il mio nome e io so chi è lei.” Finalmente Bones vide il mercante esitare sul serio. Jim doveva averlo colpito nel segno. “Il suo nome è nel diario di bordo della U.S.S. Enterprise. Il capitano Christopher Pike ha tentato di arrestarla per contrabbando nello spazio della federazione. È fuggito e non ha mai scontato la sua pena. Potrei accusarla di cospirazione e tradimento e condannarla alla corte marziale, Harry Mudd.” Jim si era sporto ancora più in avanti e aveva sibilato quelle parole a pochi centimetri dal viso di Mudd. Il famigerato mercante era impallidito.

“Chi diavolo è lei?”

“James Tiberius Kirk, capitano della Enterprise. Vogliamo giocare d’azzardo Mudd? Le sue carte sono schifose se pensa di fare affidamento sui Klingon. Se ci denuncia, dirò che è una spia della federazione. Vuole scommettere?” Mudd scosse la testa in segno di diniego e Jim gli sorrise come se non lo avesse minacciato fin ad un attimo prima. “Bene. Allora ascolti la mia offerta.”

“Un’offerta?” Stavolta Mudd era davvero disorientato.

“Esatto. Lei si tiene la sua nave e i nostri soldi.”

“Anche i soldi?” Jim annuì.

“Però ci trova un tardigrado. E ci fa uscire da questa bettola tra i suoi uomini. Se torniamo alla nostra nave senza problemi, ognuno torna alla sua vita e lei prende il bottino. Ok?” Mudd non ci pensò su.

“Affare fatto.” Disse alzandosi e facendo per andare verso il bancone. Jim lo trattenne per un braccio.

“Cosa abbiamo detto sulla fretta? Non è per mancanza di fiducia ma i miei amici vengono con lei e tengono i soldi per il momento.” Mudd acconsenti senza fiatare e si allontanò scortato da Lorca e Burnham.

“Piccolo bastardo! Lo hai messo nel sacco! Come diavolo hai fatto?” Jim fece spallucce.

“Fortuna.”

“Se posso permettermi,” intervenne Spock, “ha dimostrato molta abilità nel ricordare il diario di bordo della nave. Da vero capitano, aggiungerei.” Jim allungò le labbra in un sorriso sforzato. Non  sapeva dire se l’affermazione di Spock poteva essere considerata un complimento.

“Abbiamo comunque un problema.” Disse incrociando le braccia.

“A quale ti riferisci tra i tanti?” Chiese ironicamente il dottore.

“Se pure Mudd ci lascia partire senza fare storie, cercherà sicuramente di vendere l’informazione ai Klingon.”

“Le possibilità che questo si verifichi sono del novantaquattro virgola sette per cento.” Asserì Spock.

“Così poche?” Chiese Jim e Bones sorrise. Stavolta toccò a Spock storcere il naso.

“Sono pur sufficienti a spingerci a non fidarci di lui.” Disse il comandante.

“Lo sono.” Confermò Jim.

“Quindi che facciamo?” Chiese Bones.

“Lo portiamo con noi.” Rispose Kirk con decisione.

“Ma il patto prevede che non lo arrestiamo. Glielo hai promesso.”

“E non lo arresteremo. Gli chiederemo di darci un passaggio sulla Discovery perché la nostra nave è in avaria.”

“Ma la nave non è in avaria, capitano.” Precisò Spock.

“Per questo ci precederai e la manometterai tu, Spock.” Gli occhi di Jim brillarono per un momento come facevano tutte le volte che pensava di aver avuto un’idea geniale. Nel sentirsi chiamare per nome in quel modo, Spock sentì riaffiorare il legame che aveva allentato volontariamente durante il periodo della convalescenza di Jim. Annuì e basta. “Niente proteste?” Chiese perplesso Jim.

“No, capitano.” Jim attese un attimo prima di proseguire e sorrise quando il suo primo ufficiale riprese. “Tuttavia, devo fare presente che, così facendo, Mudd conoscerà l’esatta posizione della nave.” Bones annuì e guardò Jim.

“Per tornare a riferire ai Klingon dovrebbe metterci il tempo a noi necessario per collegare il tardigrado alla rete di spore. A quel punto, anche se dovessero venire a cercarci, noi avremo già effettuato il salto, giusto?”

“E se non funzionasse?” Chiese preoccupato Leonard.

“Un po’ di ottimismo, Bones!”

“É inutile sottoporre questo tipo di questioni al capitano, dottore. Si rifiuta di considerarle.” Bones annuì e Jim fece spallucce. Si voltò e raggiunse fuori dal locale Burnham e Lorca. Il braccio cominciava a dolergli seriamente, ragione per cui si augurò che, per una volta, filasse davvero tutto liscio.

  
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