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Autore: MrStank    01/07/2021    0 recensioni
[Crossover 9-1-1/9-1-1 Lone Star] - [20.175 parole]
[Evan "Buck" Buckley/TK Strand, Carlos Reyes/TK Strand, Evan "Buck" Buckley/Eddie Diaz, Evan "Buck" Buckley & TK Strand, Eddie Diaz & Carlos Reyes]
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La vita è fatta di scelte, o almeno è quello che continuiamo ostinatamente a ripeterci.
Ma cosa succederebbe se il proprio mondo venisse capovolto in pochi istanti? O meglio, in poche parole?
.
«Cosa è successo?»
Qualcuno gli stava chiedendo qualcosa, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.
Qualcuno aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.
Mise a fuoco colui che gli stava parlando con il volto accartocciato dal dolore.
Batté le palpebre.
Oh, lui non si è rassegnato, pensò.
«TK!»
Il suo nome, insieme alle vigorose scosse che stava ricevendo, lo fecero tornare violentemente alla realtà.
«Cosa cazzo è successo?!» ripeté l'uomo fuori di sé.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!
Sono felice di poter condividere con voi qualcosa che è nella mia testa da un po' e che sono finalmente riuscita a mettere per iscritto.
Spero possa piacervi tanto quanto è piaciuto a me scriverla!

Quello non può essere altro che l’inferno, pensò TK.

Quando una settimana prima era scoppiato un incendio nel Whitewater-Baldy Complex della Gila National Forest, nessuno alla caserma si era aspettato di dover mandare supporto alle squadre locali. Le fiamme avevano iniziato a consumare la foresta a causa di un fulmine che era caduto in una delle parti più impervie della zona e che, alimentate dal vento, si erano congiunte con un altro principio di incendio situato più ad ovest.

Quando i due incendi avevano cominciato a muoversi simultaneamente e ad allargarsi verso la Gila Wilderness, iniziando a coprire tutta l’area boschiva intorno, da Silver City erano partite richieste di aiuto. Diverse squadre erano cominciate ad arrivare da Phoenix, Tucson ed Albuquerque, città più prossime all’incendio. Successivamente si erano mossi anche elementi provenienti da caserme più lontane, come quella di Austin.

«Non ho mai visto niente del genere», sussurrò Marjan con gli occhi che non riuscivano a staccarsi dalle fiamme e dal fumo che si vedevano provenire dalla foresta.
 
Erano partiti all’alba e, dopo una dozzina di ore di viaggio, erano finalmente giunti a Pinos Altos, dove i vigili del fuoco avevano stabilito il centro operativo per la gestione dell’emergenza.
Il capitano Strand, Paul, Marjan, TK e Carlos, erano smontati velocemente dal camion e avevano raggiunto la tenda in cui venivano coordinate le operazioni.

«Papà, da questa parte», disse TK conducendo il gruppo verso il tavolo dove veniva registrato l’arrivo dei nuovi elementi. 

«Capitano Owen Strand, Caserma 126, Austin, Texas», disse il capitano. «Con me ci sono i vigili del fuoco Marjan Marwani e Paul Strickland, il paramedico TK Strand e l’ufficiale di polizia Carlos Reyes. Siamo a vostra disposizione».

L’addetto incaricato, dopo aver porto i suoi ringraziamenti per il celere intervento, indicò loro di andare all’esterno e di unirsi alle squadre che si stavano formando.
Carlos, in quanto poliziotto, dovette raggiungere la tenda dove la polizia gestiva le sue operazioni, separatamente rispetto a quelle dei pompieri.

«State attenti», disse questi rivolto a tutti, leggermente preoccupato. «Ci vediamo dopo babe», sussurrò a TK prima di allontanarsi.

⋄◉⋄


Se possibile, fuori da lì il caos era ancora maggiore: vigili del fuoco e paramedici sciamavano verso le rispettive unità, chi pronto a partire e chi appena tornato. Alcuni chiamavano a gran voce i nomi dei propri compagni mentre altri sembravano perdere tutte le forze non appena si permettevano di lasciarsi cadere a terra.

L’attenzione di TK venne attirata da un gruppo di pompieri che sembravano scalpitare per partire.

«Capitano Strand, Sergente Andrew Keenly, caserma 52, Phoenix», si presentò uno di loro. «Io e la mia squadra ci stiamo dirigendo all’interno con un A.P.S., se voleste unirvi raggiungeremmo il numero idoneo per ottenere il permesso di partire».

«Siamo dei vostri», rispose velocemente Owen facendo cenno alla sua squadra di salire sul mezzo.

Imboccarono presto la strada che portava all’interno della foresta.
TK rimase colpito da come l’atmosfera mutò velocemente man mano che si addentravano in essa: i colori della natura venivano gradualmente mangiati dal fuoco che era mantenuto a distanza dalla strada da decine di suoi colleghi, in modo che gli altri avessero la possibilità di aggirare l’incendio ed intervenire in altri punti.

Guardò i propri amici e gli altri vigili del fuoco che li accompagnavano: erano tutti tesi, pronti ad intervenire per domare il più grande incendio che si era mai sviluppato in New Mexico.
Non era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, l’incendio scoppiato mesi prima in Texas era stato il suo battesimo di fuoco. Battesimo di fuoco. Si trattenne dallo sbuffare una risata al crudo gioco di parole. 
Quella volta aveva rischiato di perdere suo padre. Sapeva che il loro era un lavoro pericoloso, ma non per questo sarebbe mai stato pronto ad accettarlo placidamente. Ancora una volta si stavano dirigendo verso ciò da cui le persone normalmente fuggivano.
Pensò a Carlos e fu felice di sapere che, almeno quella volta, non sarebbe stato troppo in pericolo: la polizia si occupava semplicemente di gestire gli arrivi dei vigili del fuoco e di monitorare le aree di accesso alla foresta.


TK venne riportato alla realtà da una gomitata di Paul, che gli fece cenno verso suo padre.

«… distintamente, io e il sergente Keenly di terremo in contatto per eventuali azioni congiunte. Forza, andiamo», concluse il capitano Strand.

TK seguì Paul con aria interrogativa, accorgendosi in quel momento che i colleghi della caserma di Phoenix si erano già allontanati.

«Questa è la nostra area di azione, il ranch sta venendo evacuato da altre squadre, a noi tocca controllare che non ci siano civili rimasti bloccati nelle zone di campeggio vicine. Le squadre lavoreranno separate», riassunse l’uomo. «Ma dove avevi la testa?»

TK evitò di rispondere e si guardò nuovamente intorno.

Il fumo avviluppava tutto ciò che era alla sua portata. Le fiamme erano ancora lontane, ma se il vento avesse cambiato direzione, sarebbero potute giungere dove si trovavano abbastanza velocemente.
Dal punto in cui si trovava, era possibile distinguere il sentiero e in lontananza, le sagome dei primi bungalow che avrebbero dovuto controllare. 

Avevano lasciato l’A.P.S. nel punto in cui la strada era bloccata dal tronco di un albero caduto, insieme ad altri mezzi di soccorso che erano giunti con loro per prestare assistenza medica.
L’aria era pesante e le tute ignifughe erano ancora più difficili da portare a causa del calore.
Si avviarono verso la prima area attrezzata e controllarono ogni punto.
Il capitano Strand e Marjan si allontanarono sulla destra mentre TK e Paul si diressero a sinistra.

«Allora? A cosa stavi pensando prima?» chiese curioso Paul. «Non ti ho mai visto così distratto prima di entrare in azione».

«Pensavo all’ultima volta in cui ci siamo trovati ad affrontare un incendio del genere», rispose TK.

Paul si irrigidì leggermente al ricordo.

«Già», gli fece eco TK.

«Credi che ci siano anche i ragazzi della 118?» chiese l’uomo.

«Non lo escludo, sono arrivate squadre da tutti gli Stati vicini», rispose il più giovane. 

Potrei chiedere a Buck, pensò.
Da quando si erano conosciuti in Texas, lui e l’altro pompiere erano diventati amici. Più o meno. Ad essere onesti si erano scambiati solo alcuni messaggi ed un paio di chiamate, poche ma sufficienti per consolidare il loro rapporto.
Legare con Buck era stato... naturale. Non si pianifica di “prendere in prestito” un'autopompa con chiunque, dopo tutto. Non avevano avuto bisogno di molto tempo per piacersi e capire di essere esattamente sulla stessa onda.

«Pensi che sia davvero rimasto qualcuno?» chiese per cambiare argomento. 

Paul scrollò le spalle. L'incendio si era sviluppato parecchio più a ovest rispetto alla zona che stavano evacuando, ma il vento aveva già potato che lì l’aria mefitica tipica dei roghi.

«Probabilmente no, saranno rimasti solo quelli del ranch. Organizzare i trasporti per gli animali non deve essere veloce, tanto meno in un’emergenza come questa», gli rispose.

I due continuarono la ricerca ma senza risultati, sembrava che fortunatamente tutti i campeggiatori avessero capito l’antifona e si fossero allontanati.
Dopo un'altra decina di strutture arrivarono alla fine del campeggio dove si ricongiunsero a Marjan ed Owen che stavano parlando con altri pompieri.


Una volta avvicinatisi, TK riconobbe in quelle persone alcuni membri della 118, in particolare Eddie ed Hen. 

«Ci stavamo proprio chiedendo se ci foste anche voi», disse dopo aver salutato entrambi con un sorriso.

«Come avremmo potuto perderci tutto questo?» domandò ironicamente Eddie. «Pensavo che Buck ti avesse scritto».

«Uhm, no. O quanto meno non che io sappia, in mezzo alla vegetazione non prende più di tanto», rispose TK. «Dov’è, a proposito?» chiese, stranito dal fatto che si fosse unito volontariamente ad una squadra diversa rispetto alla propria. O che si fosse allontanato da Eddie.

«Si sta occupando del ranch», si intromise Hen chiedendo poi ironicamente: «Voi due ne avete ancora per molto?»

Eddie e TK scossero la testa.

«Prima che ci raggiungeste, insieme abbiamo concordato che Marjan rimarrà con loro a presidiare questa zona, qui è dove tutte le unità portano eventuali civili. Il sergente Keenly e la sua squadra stanno perlustrando nei campeggi più in basso, ci coordineremo anche con loro. Noi tre, invece, proseguiremo verso il ranch», disse Owen indicando sé stesso, TK e Paul.

Si avviarono verso nord, seguendo il sentiero che Hen aveva loro indicato.
Dopo un quarto d’ora di cammino a TK parve di sentire delle voci in lontananza, qualcuno sembrava stesse chiamando aiuto, aggiungendo qualcosa riguardo ad un edificio aggredito dalle fiamme.

«Avete sentito che voi?» chiese ai compagni per esserne certo.

Gli altri due annuirono e si mossero velocemente verso il luogo da cui provenivano le voci.
Dopo aver oltrepassato gli scheletri di due tende, videro due signore con un bambino che cercavano di ripararsi dalle fiamme provenienti da un bungalow vicino.
Quando esse li videro avvicinarsi, cominciarono a gridare più forte.

«Venite, dobbiamo allontanarci da qui, è pericoloso», disse loro il capitano Strand avvicinandosi. 

Una delle donne fece resistenza, presa dal panico. «No! Un suo collega è rimasto intrappolato dentro, era entrato per andare a recuperarlo», urlò indicando il bambino vicino a loro.

«Non è uscito? Quanto tempo fa è successo?» chiese guardandosi intorno.

«Credo… credo che siano passati una decina di minuti», rispose la signora, «Benjamin… Ben ha detto che l’ha aiutato a venire fuori ma che non l’ha seguito».

Preoccupato, il capitano annuì. 

«D’accordo, ascoltate: mettete della stoffa davanti alla bocca e scendete lungo il sentiero. Fra un centinaio di metri o poco più incontrerete alcuni colleghi. Seguite le loro indicazioni, qui ci pensiamo noi», disse con voce irremovibile. «Paul, va con loro, avverti i soccorsi della nostra posizione e di un possibile ferito», continuò rivolgendosi all’uomo. «Muovetevi!»

Paul annuì, prese in braccio il bambino e si incamminò lungo il sentiero insieme alle due donne, le quali lo seguirono continuando a lanciare occhiate verso la struttura in fiamme, leggermente più convinte.
Quando scomparvero dalla loro vista, TK si avvicinò al bungalow.
La parete ad ovest era stata aggredita dalle fiamme, innescate da scintille portate dal vento, ma forse, forse sarebbe riuscito ad entrare e tirare fuori il collega.
Era consapevole del grande rischio che stava assumendo. Sei un paramedico, non un eroe, gli sussurrò la sua mente, ma sentiva il bisogno, la necessità di trarre in salvo la persona all’interno. Come se, nel caso in cui non avesse almeno provato, lo avrebbe rimpianto per sempre.

«Vado a dare un’occhiata dentro, ti chiamo se lo trovo», disse a suo padre.

Questi, dopo aver valutato attentamente lo stato del bungalow e le variabili che si sarebbero potute verificare, annuì, pronto ad intervenire se il pericolo si fosse accentuato. 

TK prese un respiro profondo e si avvicinò alla struttura che, nonostante tutto, sembrava ancora abbastanza solida. Scacciò il volto di Carlos dalla mente e le parole che si erano scambiati prima di separarsi. Riusciva già ad immaginare la sfuriata che il suo ragazzo gli avrebbe fatto una volta che fosse venuto a conoscenza delle sue azioni avventate.


Una volta all’interno, TK non poté fare a meno di tossire, l’aria era satura di fumo.
Si guardò intorno ed cominciò ad ispezionare tutte le camere, ma non trovò nessuno.
Nel momento in cui stava per tornare indietro notò un’altra uscita e, non lontano da essa, una macchia di sangue. Ottimo, pensò. Il vigile del fuoco era probabilmente riuscito ad uscire, ma avrebbe dovuto trovarlo comunque. E in fretta.
Una volta all’esterno cominciò a guardarsi intorno fino a che avvistò quella che pareva una divisa qualche decina di metri più a sud e si diresse verso di essa.
A terra, vicino a dei cespugli, c’era l’uomo che stava cercando, svenuto.
Il suo cuore perse un colpo nel riconoscerlo: era Buck della 118 di Los Angeles, il compagno di Eddie.

«Papà, l’ho trovato!» urlò. 

TK si inginocchiò accanto a lui, controllandogli immediatamente i parametri vitali.
Il respiro era lento ma costante, aveva una mano tagliata e quasi sicuramente una commozione cerebrale. 
Aspettò che il padre lo raggiungesse prima di intraprendere qualsiasi manovra utile a fargli riprendere conoscenza.

«TK, dobbiamo andare via subito», iniziò Owen. «Ma è...» continuò inginocchiandosi accanto alla figura sdraiata.

«Sì, è Buck», gli confermò TK mentre posizionava l’uomo svenuto supino.
«Tienigli le gambe alzate», disse al padre mentre cercava di arieggiargli il viso. «Il vento sta girando, vero?»

«Sì, dobbiamo allontanarci in fretta», rispose Owen.

Vedendo che Buck dare i primi segni di ripresa, il capitano si allontanò per controllare lo stato del sentiero da cui erano venuti.
Purtroppo sembrava che il vento giungesse smorzato nel punto in cui avevano soccorso l’altro pompiere, ma allontanandosi nella direzione da cui erano venuti, questo si rafforzava e sferzava l’ambiente con folate calde, piene di fuliggine.
L’esperienza gli suggerì che era probabile che i colleghi avessero perduto il controllo sulle fiamme, le quali si stavano quindi avvicinando, più o meno indisturbate, alla loro posizione.
 
⋄◉⋄


Quando Buck rinvenne la prima cosa che riuscì a mettere a fuoco furono un paio di occhi muschiati che lo fissavano con sollievo.
Ci mise un attimo a ricollegarli al pompiere di Austin. O meglio, al novello paramedico.
Tentò di sorridere ma l’unica cose che gli riuscì fu una smorfia dolorante.

«TK?»
 
«Hey»

«Che diavolo è successo?» esalò Buck.

«In ordine hai salvato il bambino che era rimasto nel bungalow, devi essere svenuto ancora all’interno, ti sei ferito alla mano cercando di aggrapparti da qualche parte per non rovinare per terra», gli disse prendendogli delicatamente la mano e iniziando a fasciargliela alla meno peggio. «Sei riuscito ad uscire e ad arrivare fin qui per poi svenire nuovamente», concluse TK, leggermente imbarazzato per come avesse sommerso l’altro di parole. Bravo TK, esattamente così ci si dovrebbe rapportare ai feriti, pensò.

Buck si rilassò a sentire che il bambino stesse bene. 
Tossì, l’aria faticava ad entrare correttamente nei suoi polmoni e la testa gli stava scoppiando.

«Diagnosi?» riuscì a chiedere.

TK lo guardò sorpreso, ma avrebbe risposto allo sguardo intransigente che Buck gli rivolse se in quel momento non fossero stati raggiunti da suo padre.

«Hollywood! Felice che ti sia ripreso», gli disse il capitano Strand prima di farsi serio. «Non è prudente riprendere il sentiero da cui siamo arrivati. Il vento ha girato e credo sia più conveniente scendere verso sud. Dovremmo incontrare presto la strada o qualcuno della squadra di Keenly», concluse.

TK guardò il padre preoccupato, Buck non era certo nello stato di reggere uno sforzo fisico prolungato.

«Quando si parte?» tossì questi, sorridendo ironicamente.

TK sbuffò una risata di rimando prima di abbassarsi e mettersi un braccio di Buck attorno alle spalle, così come fece suo padre dall’altro lato. Si assicurarono che fosse abbastanza stabile prima di cominciare a scendere lungo il versante meridionale del piccolo rilievo su cui erano situati i bungalow.
L’aria si faceva sempre più pesante sia a causa della mutata direzione del vento, sia per lo sforzo a cui si stavano sottoponendo per portare in salvo il pompiere di Los Angeles.
Il volto di Carlos balenò nella mente di TK, ma questi lo scacciò subito. Se fosse uscito tutto intero da lì, forse il suo ragazzo sarebbe stato clemente. 

Avevano appena scorto in lontananza le luci di un’ambulanza quando Buck inciampò, rischiando di far rovinare tutti e tre al suolo.

«Scusate», sussurrò cercando di incamerare più aria possibile.

Pessima idea. La sua gola si riempì di fumo e non poté fare altro che iniziare a tossire violentemente. Si sentiva svenire di nuovo. Non riusciva a respirare.
TK guardò preoccupato il padre che si allontanò velocemente per andare a chiamare i soccorsi.
Poi fece sedere Buck per terra con la schiena contro un masso, cercando di fargli riprendere il controllo della respirazione, che nel frattempo era diventata sempre più rapida ed irregolare. 
Non ebbe successo.

Buck si sentì prendere dal panico, più aria inspirava più i suoi polmoni sembravano infiammarsi.
Era una situazione in cui non si era mai trovato, tendenzialmente gli anni di addestramento prendevano il sopravvento e gli permettevano di comportarsi nel modo più adeguato rispetto a ciò che stava accadendo. Questa volta non accadde e la sua agitazione non fece altro che aumentare.
Gradualmente le cose precipitarono.

«TK, non vedo più nulla», esalò Buck tremante.

Il ragazzo non rispose. Intossicazione da monossido di carbonio, livello sopra il 40%, gli suggerì l’addestramento.

«TK cosa cazzo sta succedendo?» chiese, il panico parlava per lui.

«Il tuo corpo reagisce al fumo. Papà è andato a chiamare i soccorsi. Saranno qui presto», riuscì a mettere insieme TK mettendogli una mano sulla spalla.

«Non voglio morire…» mormorò Buck tra un colpo di tosse e l’altro.

La situazione stava peggiorando rapidamente, TK ne era fin troppo consapevole.
La mancanza di ossigeno avrebbe portato rapidamente il suo amico a perdere conoscenza e poi alla morte se non si fosse intervenuti subito con l’ossigeno e magari con una camera iperbarica.

«Non morirai, te lo prometto», disse invece, cercando di mantenere saldo il suo tono di voce.

A Buck continuava a mancare l’aria. E più ne cercava più quella sembrava non voler entrare nei suoi polmoni.

«Merda, succederà. Dove… dove finirò?» chiese forse a sé stesso.

Il fumo continuava a raschiargli la gola.

«Alla peggio in un letto di ospedale, Buck. Smettila di parlare. Per favore», lo pregò TK.

Gli sembrò di vedere muoversi fra gli alberi una barella e le divise dei soccorritori. O forse erano di pompieri. Non riusciva a capirlo.
Si rese conto solo in quel momento di avere gli occhi appannati.
Un singhiozzo gli scappò dalle labbra senza che potesse impedirselo.

«Non lo fare», tossì Buck afferrandogli alla cieca l’altra mano, «Non… non lo fare», gli disse cercando di non svenire.

TK non riuscì a trattenere un altro singhiozzo.

«Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo».

Il suo sussurro fu soffocato dalle voci dei paramedici che esortavano TK a farsi da parte.
Si rese a malapena conto di come il corpo di Buck fosse stato sollevato e messo su una barella, di come gli avessero posizionato la maschera per l’ossigeno e di come avessero iniziato a praticargli il massaggio cardiaco.

Calde lacrime gli scorrevano lungo le guance.
Si accorse di essere stato condotto dal padre verso la strada e fatto salire su una jeep che partì velocemente dietro l’ambulanza.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo

Singhiozzò ancora...

Si scoprì il polso sinistro.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo

... ed ancora.
Dovette sforzarsi di non pensare a Carlos e al dolore che gli avrebbe causato quando sarebbe venuto a saperlo. Perché sarebbe successo e non ci sarebbe stato modi di evitarlo.
 
Ci vediamo dopo babe

TK chiuse gli occhi sotto lo sguardo dolorosamente consapevole del padre.
 

Spero che il primo capitolo abbia attirato la vostra attenzione e che vorrete continuare a leggere. 
Ad occhio mi sembra che siamo poco meno di quattro gatti in questo fandom, ma spero che chi passi anche accidentalmente di qua voglia lasciarmi un commento.
A presto!
   
 
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