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Autore: Darkandstormy    04/07/2021    0 recensioni
Il passato continua a bussare alla porta...Mel, insieme alle sorelle Macy e Maggie, cerca di cominciare una nuova vita lontano dai demoni e dalle sue origini, ma ben presto scopre che dietro un rapimento si trovano le forze del male e questa volta non sarà facile per lei confidarsi con le sorelle...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altro Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 UNO STRANO NUOVO INIZIO
<> grida Macy dalla sala da pranzo. <> risponde Maggie dalla sua camera da letto. <> le faccio eco io, per poi suggerirle <>. <> mi dice Macy, ma io la rincuoro dicendole <> <>. Dopo questo breve scambio di battute con mia sorella ritorno a fare quanto stavo facendo da almeno una buona mezz’ora, ovvero sfogliare e risfogliare un album di vecchie fotografie. Se la mamma fosse ancora qui ed entrasse adesso in questa camera sicuramente lo capirebbero anche i vicini, dal momento che si metterebbe a strillare rimproverandomi di tenere la mia stanza come se fosse un porcile. È vero, sembra che qui sia passato un tornado, uno tsunami o qualsiasi altra catastrofe naturale: scatoloni aperti e svuotati solo per metà, scarpe spaiate ovunque, vestiti gettati alla rinfusa sopra e persino sotto al letto… l’anta dell’armadio di mogano aperta, un cassetto sfilato, la giacca appesa alla maniglia della porta, l’abat-jour posata sul pavimento… forse se fosse appena esplosa una bomba ci sarebbe meno disordine! Avrei così tante cose da fare, da sistemare, ed è buffo che io sia appunto seduta sul pavimento a guardare fotografie, sfogliando il passato. Eppure non sono capace di fare altrimenti, quasi che l’album fosse una calamita e io un pezzo ferro permanentemente attratto da questa. Tra i numerosi scatti ci sono le cose e le persone a cui tengo di più al mondo. Ci siamo io e le mie due sorelle, io e Maggie con la mamma, io con papà Ray. C’è la nostra vecchia casa di Hilltown, una foto che ritrae noi tre sorelle davanti all’università, l’immagine di un ballo in maschera. Ma fra tutte c’è quella foto da cui non riesco a distogliere lo sguardo. È uno scatto semplice di un momento banale, che ritrae me e Niko sedute sul divano di casa. Deve avercela fatta Maggie quando aveva passato un periodo di passione per la macchina fotografica. Il sorriso di Niko mi fa battere il cuore ogni volta. Non avrei desiderio più grande che rivederla; purtroppo però non posso farlo, per lei, perché non voglio in alcun modo metterla nei guai. E poi ci sono loro, le mie sorelle, frammenti di me. Nonostante ritornare da e con Niko sia un mio grande anelito, le mie sorelle sono la mia vita e so che noi dobbiamo restare insieme, sempre, unite contro il male, perché, come ci ripeteva sempre la mamma (a me e a Maggie soltanto, dato che ancora non eravamo a conoscenza dell’esistenza di Macy) “niente è più forte del vostro legame di sorelle”.
Bussano alla porta, mentre io sono ancora “abbagliata” dalle fotografie <> <> <>. Macy entra e chiude silenziosamente la porta dietro di sé. <> <> <> <> <> mi chiede. Le allungo l’album e poi le spiego <>. Guardo mia sorella negli occhi e sento che vorrebbe dire qualcosa, ma non gliene do il tempo e aggiungo <<È come se avessimo perso per sempre il nostro posto nel mondo>>. Un sentimento di vera comprensione si fa strada nello sguardo di Macy che si siede accanto a me sul freddo pavimento e mi fa appoggiare la testa sulla sua spalla, come soltanto una sorella maggiore è in grado di fare. Stare così mi fa sentire protetta e al sicuro. Trascorrono alcuni minuti; non vorrei muovermi, ma devo farlo. C’è un’altra cosa che devo dire a mia sorella, così mi scosto leggermente e le confido <> <> mi incoraggia lei <<È per Maggie, penso stia soffrendo troppo. Cioè, tu la vedi come sempre: è allegra, briosa, vista dall’esterno sembra sempre la cara vecchia Maggie, ma secondo me non è più la sorella che conosciamo. Insomma, questi continui cambiamenti la fanno sanguinare dentro.>> <<È difficile per tutte noi, lo capisco ma…>> la interrompo <> <>. Macy mi abbraccia. Dopodiché si alza, dirigendosi verso la porta, ma prima di uscire si volta e mi propone <> <> le rispondo <>. Detto ciò mi alzo anche io e chiudo la porta della mia camera, lasciandomi alle spalle il caos e non preoccupandomene nemmeno, poi seguo Macy verso la stanza della nostra sorellina.
La porta è chiusa e da dentro proviene una musica assordante che, anche se non sono particolarmente ferrata in fatto di generi musicali, oserei dire metal. Macy prova a bussare, ma com’era prevedibile il fracasso impedisce a Maggie di sentire il lieve toc-toc, così naturalmente non ci risponde. Di conseguenza sono io ad avvicinarmi alla porta e provare ad abbassare la maniglia. Ma non succede niente. La porta è chiusa a chiave. Impreco tra me e me, poi comincio a battere forsennatamente i pugni sul battente. <> cerca di farmi ragionare Macy <> le domando <> <>. Lei estrae dalla tasca dei jeans il suo cellulare e avvia la chiamata. A causa della musica, noi che siamo fuori non riusciamo a sentire la suoneria del cellulare; tuttavia però Maggie doveva averlo in mano, perché risponde al secondo squillo. <>. Finalmente la musica viene spenta <> <> <>. Busso alla porta mentre Macy le dice <> <>. Dopo aver chiuso la chiamata, Macy rinfila il cellulare in tasca. Nel mentre la chiave gira nella serratura e Maggie apre la porta. La ragazza che mi trovo davanti, se non fosse mia sorella, la giudicherei conciata in una maniera un tantino imbarazzante: Maggie ha un top che le arriva a malapena all’ombelico e un paio di shorts sopra il ginocchio, le ciabatte a forma di unicorno ai piedi e una corona di fiori fra i capelli. Reprimo a stento una risatina, ma non riesco a frenarmi dal domandarle <> <>, si affretta a ribattere. Ad ogni modo Macy, da brava sorella maggiore, prende in mano le redini della situazione e le propone <>. Ma prima che Maggie abbia il tempo di rispondere io aggiungo <>. Maggie ride e dice <>. <>, esclama Macy, per poi sparire in camera sua. <>. Anche io guadagno la mia camera. Comincio a frugare nell’armadio alla ricerca di qualcosa di carino da indossare. Purtroppo il disordine non mi è di alcun aiuto e mi rallenta nel prepararmi. Alla fine scelgo un vestito nero con le maniche di pizzo, lungo fino al ginocchio. Vi abbino un paio di orecchini ad anelletta color argento e una catenina d’oro con una stella a sei punte. Anche i capelli non sono messi particolarmente bene, pertanto decido di raccoglierli in uno chignon. Indosso poi un paio di stivaletti col tacco e infine l’immancabile giacca di pelle nera. Afferro la pochette, esco dalla stanza e scendo in salotto. Macy è uno schianto: vestito di velluto verde che le copre appena le cosce, sandali allacciati alla caviglia, rossetto rosa pelle e ombretto dorato. Sembra una diva di Hollywood pronta ad un’apparizione in pubblico. <> <> <>. Macy guarda l’orologio <>. Ci sorridiamo con sguardo complice.
Passa un minuto, poi ne passano due <> dice Macy. <> le propongo <>. <> <> esclamiamo in coro e cominciamo a dirigerci verso l’uscita. Dal piano superiore proviene un rumore di passi e una voce grida <>. Dopodiché Maggie si precipita giù dalle scale in un turbinio di rosa pesca. Io e Macy ci fermiamo ad aspettarla, dopotutto non saremmo uscite davvero, non senza la nostra sorellina. Non appena ci raggiunge, Macy le domanda <> <> la rimbecca Maggie. Comunque, anche a mio parere, l’abbigliamento scelto da Maggie è forse un tantino eccessivo per una pizza fra sorelle. Il vestito, di un bel colore rosa pesca, è lungo fin sotto il ginocchio e abbinato a un paio di paperine rosa, con solo un accenno di tacco. Ma la cosa che salta maggiormente all’occhio sono i guanti bianchi lunghi fino al gomito. Questi sì che sono proprio in stile “principessa Disney”! Maggie, sentendosi osservata, esclama << La volete finire di puntarmi gli occhi addosso? Che ne dite se andiamo?>>. Senza darle alcuna risosta, Macy apre la porta d’ingresso e una folata di vento gelido ci investe. Rabbrividisco nel mio vestito forse troppo corto per una serata di primavera e propongo perciò di prendere l’auto, sia per fare prima, sia per stare al caldo. Macy acconsente a lasciarmi guidare, non prima però di essersi fatta promettere che al ritorno sarebbe stata lei al volante. Ho convenuto con lei perché so che lei non beve praticamente mai, a detta sua perché non vuole “perdere il controllo”. Una volta avviata la macchina chiedo alle mie sorelle <> <> risponde Macy, mostrandomi un post-it. Aggrotto la fronte << “The Inferno”?>>, <> <> esclama Maggie << Ne sei sicura Macy? È lì che dobbiamo andare?>> le chiedo <> mi conferma. <> e do gas.
 
<> ci accoglie qualcuno travestito – spero- da Diavolo. Chiediamo un tavolo per tre ad un cameriere che indossa una maschera a dir poco mostruosa e, una volta che siamo sedute, ci guardiamo intorno. Il luogo appare spettrale. Non sono tanto le decorazioni, anche abbastanza prevedibili, delle torce alle pareti, altrimenti buie, tanto da lasciare il locale nella penombra costante, quanto le maschere indossate dai camerieri a mettere i brividi. <> domanda nervosamente Maggie <> rispondo <> scherza Macy. Di noi tre è lei a sembrare la meno “spaventata” dal luogo, dopotutto è lei ad avercelo proposto e, con ogni probabilità, sapeva cosa vi avremmo trovato. Do uno sguardo al menù; anche qui tutto richiama gli orrori dell’inferno, utilizzando nomi assai particolari, tanto che mi sento un tantino disorientata nella scelta. Maggie continua nervosamente a lanciare occhiate tutto attorno. Al contrario Macy appare sicura di sé, della scelta del ristorante e ci dice <>. Detto ciò chiama, con un gesto della mano, un cameriere e ordina per tutte e tre <>. <> <> esclamiamo in coro io e Mags <> ci dice nostra sorella con un affabile sorriso.
È veramente incredibile come il tempo voli quando ci si diverte, ma soprattutto quando si è in buona compagnia. <> dice Macy, guardando l’orologio da polso <> propone Maggie <> le faccio eco io. <> Macy scoppia a ridere, una risata fragorosa, ma si ricompone subito, probabilmente non è a suo agio quando si lascia andare perché teme di esagerare e perdere il controllo. Dopotutto lei è quella fredda e razionale… molto più razionale di me che quando mi lascio prendere dalla rabbia non ce n’è per nessuno! Ad ogni modo, alla fin fine, credo che mia sorella maggiore sia felice di come si è svolta la serata, perché effettivamente ci concede un ultimo bicchiere di Hot Flames, aggiungendo però <> <> le ricorda Maggie <> risponde lei. Dopo essermi scolata l’ennesimo Hot Flames – non ricordo se il terzo o il quarto, ho perso il conto – domando alla cameriera <> <> e prima di girarsi mi fa l’occhiolino, che viene subito notato da Maggie <> mi prende in giro, ma so che scherza, perciò non mi offendo. Una decina di minuti dopo, Macy si alza e recupera la borsetta <> <> rispondiamo io e Maggie in coro. Mentre Macy paga dico a Maggie <> <>.
Presumo che il bagno sia in fondo al corridoio, eppure quando vi arrivo esito. Ci sono tre porte: una di fronte a me, una alla mia destra e una a sinistra, ma nessuna indicazione. Mi domando quale sia quella giusta, non vorrei sbagliare a fare qualche brutta figura. Il mio potere non mi sarebbe di nessun aiuto, perciò decido di ricorrere al vecchio trucco, quello di accostare l’orecchio ad ogni porta, una alla volta, e captare eventuali rumori all’interno. Da quella di destra non proviene alcun suono, così come da quella centrale. Diversamente da sinistra proviene un rumore a cadenza regolare, come di un rubinetto chiuso male che gocciola acqua nel lavandino. Percependo un rumore paragonabile appunto a quello di un rubinetto, credo che sia la porta giusta che conduce alla toilette, perciò, senza essere minimamente sfiorata dall’idea che sarebbe opportuno bussare, entro.
Non capisco bene dove sono finita, ma sono fermamente convinta che questa stanza non sia per nulla simile a una sala da bagno. Al contrario mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, all’epoca dei grandi saloni letterari, poiché di fronte a me si apre una sala rotonda con un’immensa libreria e un enorme tavolo di mogano al centro. Sono incuriosita, i libri mi hanno sempre affascinata. Mi avvicino a volumi disposti in ordine alfabetico e tutti impolverati. Vago con lo sguardo alla ricerca di un titolo quantomeno familiare, ma molti sembrano essere scritti in altre lingue, anche se non saprei dire quali. Una stella a cinque punte, incisa sul dorso di un libro rosso carminio, attrae il mio sguardo, ricordandomi il pentacolo inciso sulla copertina di alcuni libri di incantesimi della Wicca. Anche questo volume è rivestito da uno strato di polvere e prima di estrarlo per dargli un’occhiata più da vicino – sono così curiosa che non riuscirei proprio a trattenermi – vi soffio sopra. Verosimilmente un qualche granello di polvere mi finisce nelle narici, facendomi starnutire non una, ma ben tre volte. Da un punto indistinto nella penombra, una voce dure domanda <>. Potrei cercare un nascondiglio (uscire senza essere vista sembra impossibile), d’altra parte non saprei dove né come muovermi senza fare il minimo rumore. In più non sono nemmeno certa del punto preciso da cui è arrivata la voce, che si è ora trasformata in passi. Potrei però usare il mio potere, fermare il tempo, uscire senza essere scoperta e farlo ripartire, eppure voglio scoprire di chi si tratta. Una sala così dentro un locale è alquanto misteriosa. Non proferisco parola, ma attendo che dall’ombra esca una figura e un volto che potrei conoscere, oppure no. I passi si fanno sempre più vicini. L’idea è di aspettare che lo sconosciuto o sconosciuta esca dall’ombra e poi bloccarlo. Ecco, ci siamo quasi. Qualcuno alle mie spalle si schiarisce la voce. Soffoco un urlo. L’udito deve avermi ingannata. I passi che avevo percepito in precedenza ero sicura provenissero da un punto posto di fronte a dove mi ero fermata, immobile… a meno che… un’altra figura esce dall’ombra, proprio dove mi aspettavo sarebbe apparsa. Muovo una mano tesa nella sua direzione: se non posso bloccare entrambe le persone che mi stanno circondando, le immobilizzerò una alla volta. Non succede niente: la figura continua ad avanzare. Ci riprovo. Nulla. Non capisco cosa mi stia succedendo, o meglio cosa sia successo ai miei poteri. Ero sempre stata in grado di bloccare chiunque. La voce sconosciuta alle mie spalle mi strappa dai miei pensieri <>. Cerco di ruotare su me stessa, almeno per vedere chi è che mi sta parlando, ma non faccio in tempo a raggiungere il mio scopo, perché due mani forti mi afferrano per le spalle, impedendomi qualsiasi movimento. Si mette male. Spero solo che, non vedendomi arrivare, Macy e Maggie mi vengano a cercare. Intanto davanti a me la figura sconosciuta è sempre più vicina, ne vedo sempre più distintamente i contorni. Nonostante la penombra, i suoi lineamenti mi sembrano vagamente familiari, ma non ne sono del tutto certa. Nonostante il mio consueto sangue freddo, sembra che il panico voglia impossessarsi del mio corpo e dei miei pensieri, non permettendomi di agire con lucidità. Comincio a dimenarmi nel tentativo di liberarmi, ma la stretta si fa sempre più forte, rendendomi difficile anche il semplice respirare. La voce mi parla di nuovo, con un tono sgradevole <> <>, urlo io e in risposta percepisco uno spostamento d’aria e … sbam!... un pugno mi colpisce la tempia destra. Un dolore sordo mi rimbomba nella testa. Per una decina di secondi mi si annebbia la vista. Mi conficco le unghie nei palmi delle mani nell’intento di recuperare un po’ di lucidità. Nel frattempo l’altra figura mi è di fronte. Pochi metri, due al massimo, ci separano e io riconosco la cameriera del ristorante. Lo sguardo che mi lancia mi fa capire che anche lei ha riconosciuto in me la ragazza seduta al tavolo del ristorante solo pochi minuti fa. Ciononostante non fa nulla per liberarmi. Anzi, finge proprio di non riconoscermi davanti all’altro sconosciuto, che continua imperterrito a stringermi. Dalla presa e dalla voce deduco si tratti di un uomo. Il dolore alla testa mi fa perdere l’ultimo briciolo di dignità che mi era rimasta e piagnucolo <>. Nessuna risposta o obiezione <>. Sul volto della cameriera passa un’ombra di preoccupazione, lo vedo nei suoi occhi. Lei ordina <> <> <>. Poi, rivolta a me aggiunge <>. Sono perplessa. Una nuvola di fumo di un innaturale colore viola mi investe dritta la faccia. Come in un sogno, precipito.
 
 
   
 
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