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Autore: DanceLikeAnHippogriff    04/07/2021    0 recensioni
A volte, l'autonominarsi guardia del corpo della tua assassina prevede spiare momenti che preferisti evitare. Forse perché spingono a porsi domande fin troppo scomode.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che cazzo ci stesse facendo lì non se lo sapeva spiegare. Rintanata come un topo in quello spazio angusto, lurido e afoso, le palpebre come di pietra, inamovibili, fisse con fare quasi maniacale. Poteva quasi sentire le lacrime che tentavano invano di inumidirle gli occhi.

Non sapeva da quanto tempo stesse trattenendo il respiro. O forse le sembrava di averlo trattenuto, ma stava solo permettendo all’aria di riempirle silenziosamente i polmoni, facendola filtrare dalle labbra semiaperte. Non voleva permettersi il lusso di alzare e abbassare il petto, troppo rumore. Come il sangue che le pompava nelle orecchie, ronzando come un nugolo di mosche calato per banchettare su un cadavere. Per banchettare con quello che rimaneva della sua umanità, che forse non aveva mai avuto, tanto per cominciare.

Aveva una visuale di merda da lì, tutta righe, come se lo schermo da cui osservava il mondo avesse perso improvvisamente la connessione e fosse rimasto incastrato in quel maledetto canale statico. Tutto righine, che a volte ti sembra di vederci una forma e invece sono solo fantasie tue. Non si era accorta di aver insinuato le dita tra le sbarre della grata. La sua mano ebbe uno spasmo e le prime falangi scivolarono con facilità tra gli spazi unti di olio e condensa. Non si pose il problema di chiedersi che strana sostanza fosse.

A dire il vero, poteva sentire altro a parte il ronzio del sangue nelle orecchie. Parole. Dialoghi. Nella stanza su cui dava il condotto di aerazione ci doveva essere la tv accesa. Avrebbe davvero voluto riuscire a concentrarsi su quei suoni. Ogni suo più piccolo briciolo di razionalità vi ci si aggrappava disperatamente.

Un gemito.

Non veniva dalla miniserie alla tv.

Come neanche quei tonfi sordi e bagnati, ritmati. Né quell’ansimare sommesso.

Non aveva riflettuto su quanto potesse essere discutibile la situazione in cui si era volontariamente infilata. Letteralmente, perché non era stato facile infilarsi in quel maledetto condotto di aerazione né tantomeno divellere la stracazzo di grata che ne bloccava l’apertura. Strinse con forza le dita tra le fessure, taglienti come lame, e sentì il metallo farsi strada nella sua carne come burro. Non ci diede peso. Era abituata ai lividi, alle botte, alle ferite sanguinolente. Quei taglietti non erano niente che non potesse sopportare tenendo le labbra strette e le orecchie ben tese.

“Quanto mi piace…”

Soffocò un ringhio, perplessa dalla sua stessa reazione involontaria. Certo che sapeva perché si trovava lì, anche se a volte le sembrava di perdere il senso del tempo o il senso in generale. Il senso di vivere. Ma era facile ritrovare la bussola. Aveva una missione e l’unico motivo per cui era ancora viva era incarnato dalla ragazza che si stava cavalcando un moro sul pavimento di un ostello. Kraai.

Forse un’altra persona al suo posto si sarebbe fatta due calcoli prima di auto-nominarsi guardia personale dell’assassina che gli stava alle costole. Lunga storia. E non ebbe neanche il tempo di raccontarsela per passare il tempo perché i due avevano appena concluso l’amplesso in tempi record. Si concesse un leggero sorrisino strafottente sapendo già cosa prevedeva il resto del copione.

La ragazza si alzò sbuffando e rifilò al malcapitato un calcio nel fianco, intimandogli di andarsene e di lasciarla venire in pace, dato che non aveva saputo fare il suo lavoro.

“Avevo detto solo sesso, non vitto e alloggio compresi. Levati dal cazzo.”

Gli sbatté la porta in faccia, stizzita, e si accese una sigaretta. Mosse qualche passo verso il centro della stanza, ergendosi con fare sicuro. La sua figura era ben visibile dalla grata, ora. Prese una lunga boccata di fumo, le palpebre leggermente chiuse, e scosse la testa espirando una pigra nuvola pestilenziale. Le luci al neon delle insegne si riflettevano a cascata sui suoi lunghi ricci castani, e la ragazza nel condotto d’aerazione si allontanò leggermente dalla grata con fare guardingo. La televisione continuò a gracchiare in sottofondo.

Non le piaceva come la faceva sentire. Lo odiava. Aveva una missione, niente di più. Il legame che c’era tra loro l’aveva reciso con le sue stesse mani, affogandole nel sangue. Non importava più niente. Doveva solo vivere per tenerla in vita. Niente di più.

Ma si tenne stretto nel petto quello strano calore che l’accompagnava sempre quando la osservava e lei era sola.

Quando erano loro due, insieme.

Come una volta.

 


Note dell'autrice: Storia nata da una "sfida di scrittura" lanciatami da CrispyGarden, che prevede di aprire il dizionario a caso e scrivere una storia usando come ispirazione la prima parola che si vede. Quando ho letto la mia, miniserie, in realtà non ne ero granché entusiasta, ma ho voluto comunque darle e darmi una chance.

Il risultato è una piccola storia - ovviamente in medias res perché altro non so fare - che vuole esplorare parte di una trama, quella di City of Ashes, che chissà quando mai vedrà la luce...! Nel frattempo, continuo a sognare e, si spera, a scrivere <3

Se siete curiosi, un piccolo scorcio sul loro passato lo potete leggere nella storia Di favole e realtà.

Il personaggio di Kraai appartiene a CrispyGarden.

  
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