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Autore: miss_MZ93    04/07/2021    1 recensioni
“L’ho uccisa” aveva spalancato la bocca così tanto che avevo pensato sarebbe finita sull’asfalto.
“Cosa?!” tornai a guardare i suoi occhi, pensando che forse quell’argomento meritasse un po’ di serietà ma non ne fui capace.
Mi voltai verso di lui e gli spiegai che mia madre era morta dandomi alla luce.
“Sono uscito dalla sua pancia, proprio come in Alien” rimase a guardarmi immobile per alcuni minuti, prima di abbassare lo sguardo ed iniziare a singhiozzare come il bambino di sette anni che era.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Natsumi Hayama/Nelly, Tsuyoshi Sasaki/Terence
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Akito!” sentii le urla raggiungermi dall’ingresso di casa.
La sua voce risuonava spesso in quell’abitazione, quasi sempre mentre mi chiamava, urlando.
Natsumi sbatté i piedi con furia, producendo un rumore fastidioso ed avvicinandosi alla sala principale.
La vidi raggiungermi velocemente, posizionandosi davanti ai miei occhi. Aspettai qualche secondo prima di iniziare a fissarla, in attesa che esplodesse.
“Akito!” urlò nuovamente il mio nome e sul suo volto comparve un’espressione perfida.
“Cosa stai facendo?!” il suo tono si alzò di qualche ottava e ricordo di aver pensato che fosse davvero chiassosa, per essere una ragazza.
“Niente” le risposi con le parole più semplici che un bambino di dieci anni potesse dare e forse le peggiori che in quel momento avrei potuto scegliere.
“Cosa ci fai qui?!” la sua domanda mi costrinse a distogliere lo sguardo, cercando qualcosa che potesse attirare la mia attenzione più dei suoi lunghi monologhi.
“Sai che devi rimanere fuori casa più a lungo possibile! Non voglio averti attorno mentre studio!” avevo quasi dimenticato, per un secondo, quella stupida regola. Ogni giorno la sentivo urlare ed ogni giorno mi ritrovavo a pensare a quanto questa situazione fosse a dir poco ridicola.
“Te l’ho detto mille volte, non ti voglio tra i piedi...” la sua voce si perse nell’oblio mentre io focalizzai il mio sguardo sul fumetto che ancora tenevo tra le mie mani.
Sentii il silenzio avvolgermi ed ingenuamente pensai che il suo blaterare fosse finito. Voltai pagina, cercando di ritrovare la voglia di leggere che sembrava svanita all’arrivo di mia sorella.
All’improvviso vidi un braccio invadere il mio spazio ed afferrare il fumetto. Natsumi allontanò l’oggetto da me, osservandolo furiosa.
“E questo?!” la sua domanda nascondeva un’accusa che non tentava nemmeno di velare.
“Me l’han…” “L’hai rubato?!” spalancai la bocca un solo attimo, scioccato dalle sue parole. Solo quando tornai a pensare con chi stavo discutendo, capii che non potevo permettermi una reazione simile. Sapevo che sarebbe finita così, Natsumi non aveva pensato nemmeno per un secondo che io avessi potuto comprarlo, semplicemente aveva preferito giudicarmi colpevole di un crimine che non mi aveva mai nemmeno sfiorato la mente. Chiusi la bocca velocemente, assumendo quell’apatia che mi caratterizzava da quando avevo memoria.
“Sapevo che lo avresti fatto prima o poi! In fondo sei solo un figlio degli Oni!” di nuovo quel termine. Aveva l’abitudine di chiamarmi così, come se fosse il peggiore degli insulti da rivolgermi. Forse mi avrebbe ferito di più se non fossi stato abituato a sentirglielo dire ogni giorno, da mesi ormai.
“Sei incorreggibile! Proprio un figlio degli Oni!” continuò a urlare quelle parole, finché non sentimmo la porta di casa aprirsi.
Il rumore metallico della serratura che veniva richiusa segnò la fine della mia tranquillità. Mio padre fece la sua comparsa in sala ed il silenzio ci avvolse. Natsumi si voltò verso la sua figura mentre io lanciai solamente un’occhiata a quell’uomo. Sapevo già come sarebbe finita quella serata, tanto valeva aspettare che le solite parole uscissero dalle loro bocche.
“Papà! Akito ha rubato un fumetto!” la complicità tra fratelli non era parte di noi e pensavo non lo sarebbe mai stata.
Sentii il suo sguardo su di me, su quel bambino che aveva l’abitudine di ignorare totalmente. Infatti, ciò che successe fu esattamente quello, mio padre si incamminò verso la cucina, seguito da Natsumi che continuava a ripetergli di punirmi, di farmi capire quanto fossi cattivo, sbagliato. Non serviva che glielo chiedesse, avevo capito da tempo quanto io fossi malvagio. In fondo, se mia sorella continuava a chiamarmi “figlio degli Oni” un motivo c’era. La mia nascita aveva significato la morte di nostra madre, la donna che avrebbe dovuto occuparsi della casa, che avrebbe dovuto amare Natsumi e farla sentire protetta ed al sicuro e che avrebbe dovuto aiutarla e sostenerla mentre lei si preparava al meglio per l’esame di ammissione al liceo. Io avevo rubato la sua felicità, la sua tranquillità e, soprattutto, la sua infanzia. Uccidendo nostra madre, avevo segnato la sua vita e lei, in quel momento, non stava facendo altro che rendermi il favore.
Mi alzai, lasciando il pavimento freddo in attesa che Natsumi colpisse nuovamente con le sue parole. La sentii abbandonare la cucina in lacrime, urlando a mio padre quanto fosse un genitore insensibile nei confronti di chi doveva occuparsi della casa, dello studio e, suo malgrado, anche di me. Si fermò sulla soglia della stanza per asciugarsi il volto. Se con mio padre voleva mostrarsi debole e vittima di tutta quella situazione, con me interpretava il ruolo di carnefice.
“Non ho tempo di cucinare, arrangiati figlio degli Oni!” non mi deludeva mai.
Vidi mio padre avviarsi verso le scale, lanciandomi solamente uno sguardo apatico. Probabilmente il carattere lo avevo ereditato da lui ma, in quel momento, riuscii a pensare solamente a quanto quella famiglia fosse strana. Non ero arrabbiato, non ero deluso, non ero ferito, in fondo, non avevo mai conosciuto l’amore, l’affetto o la dolcezza, quindi come avrei potuto riconoscere quei sentimenti?
 
Lentamente mi avviai alla cucina. Non era una novità che Natsumi non volesse cucinare ma io avevo fame e quella situazione non avrebbe cambiato la mia condizione. Afferrai una sedia, spingendola vicino ai mobili della stanza. Da uno dei ripiani più alti recuperai una confezione di noodles istantanei ed una piccola pentola. Lasciai il tutto sui fornelli e richiusi l’anta. Rimisi la sedia al suo posto e mi spostai accanto al lavandino per riempire il contenitore. Accesi la fiamma del gas, lasciando che l’acqua si scaldasse e cercai i guanti da forno che mia sorella nascondeva nell’ultimo cassetto sul fondo della cucina. Avevo imparato da solo quanto il fuoco potesse ferire ed ero intenzionato a non ripetere l’incidente di qualche mese prima.
Quando l’acqua iniziò a bollire, la versai nella confezione di noodles e richiusi la parte superiore. Osservai l’orologio posto sopra la porta ed inizia a contare il tempo, aspettando che la mia cena fosse pronta per poi tornare in sala. Il silenzio avrebbe ucciso chiunque ma io ero abituato a mangiare da solo, davanti allo schermo della televisione. Quella serata non sarebbe stata diversa.
Mi accomodai sul divano ed iniziai a mescolare i noodles con le bacchette.
Il rumore di passi mi raggiunse velocemente, avvertendomi della presenza di mio padre. Rimase sulla soglia qualche minuto mentre io mangiavo quella cena precotta. Sentivo il suo sguardo osservarmi e nemmeno mi interessava capire cosa stesse pensando. La sua figura abbandonò la stanza, diretta alla cucina. Lo sentii trafficare per un po’ tra pentole e padelle, per poi uscirne con in mano due piatti di riso al curry. Si avviò alle scale, lasciandomi su quel divano, davanti a quello schermo illuminato. Lo sentii bussare alla porta della camera di Natsumi e lasciarle la cena per poi chiudersi nella sua stanza. Probabilmente da fuori saremmo sembrata una famiglia anormale ma, per noi, quella era la prassi giornaliera ed era strano pensare che a volte mia sorella davvero preparasse da mangiare per tutti.
Una volta finito di cenare, ripulii il pentolino, le bacchette e gettati nella spazzatura il contenitore dei noodles. Passando davanti alla sala, ripensai al fumetto che aveva fatto scoppiare il caos quella sera. Lo cercai per qualche minuto, prima di capire che, ormai, era diventato di proprietà di Natsumi. Pensai a cosa avrei dovuto dire a Tsuyoshi il giorno seguente per giustificare il fatto che ciò che mi aveva prestato, insistendo che lo tenessi per qualche giorno, non sarebbe più tornato nelle sue mani. Fu in quel momento che decisi che, appena ne avessi avuta l’opportunità, sarei diventato davvero un ladro e mi sarei ripreso il fumetto che, sicuramente, Natsumi aveva nascosto in camera sua.
La mattina seguente, qualcosa attirò la mia attenzione. Sul tavolo della cucina trovai dei soldi ed un biglietto.
“Per la cena” semplice, sbrigativo, tipico di mio padre.
Aveva lasciato due banconote, ben divise, un chiaro segno che una fosse destinata a me ed una a Natsumi. Senza pensarci, afferrai la mia parte ed uscii di casa, prima che mia sorella potesse vedermi ancora lì.
Per strada incontrai alcuni bambini che frequentavano la mia stessa scuola. Tutti erano in compagnia degli amici, alcuni si divertivano, alcuni erano tristi, altri ancora si vantavano dei nuovi giocattoli che i genitori avevano comprato loro. Nessuno si rendeva davvero conto della fortuna che avesse, nemmeno io che, da spettatore silenzioso, ignoravo tutti loro e continuavo quella mia vita solitaria. Fu la voce di Tsuyoshi a distrarmi dalla mia passeggiata.
“Akito!” mi raggiunse velocemente, con il fiato corto.
“Buongiorno!” la sua allegria a volte mi nauseava.
Continuavo a chiedermi come potesse essere così felice di prima mattina.
“Tsu” ripresi a camminare con lui al mio fianco.
Mentre lo sentivo raccontarmi del pomeriggio trascorso ad attendere che la madre sfornasse una nuova torta, mi tornò in mente l’inizio di quella strana amicizia.
 
In quel periodo mio padre viaggiava molto per lavoro ed io e Natsumi venivamo lasciati spesso con una signora che mio padre aveva assunto per badare a noi ed alla casa oppure con alcuni parenti, in attesa che lui decidesse di tornare e si ricordasse di avere due figli a cui badare. Raramente riuscivo a passare del tempo con mia sorella, un po’ perché lei era sempre impegnata a studiare, un po’ perché, il suo tempo libero, preferiva passarlo con amici e parenti piuttosto che con suo fratello. Più lei si allontanava da me, più io mi chiudevo in me stesso, isolandomi dal mondo. Anche all’asilo rimanevo sempre da solo, ignorando chiunque provasse ad avvicinarsi.
Fu Tsuyoshi ad avvicinarsi a me, giorno dopo giorno.
Eravamo gli unici a rimanere a scuola fino ad orario di chiusura, lui perché i suoi genitori lavoravano fino a tardi, io perché la domestica aveva sempre molto lavoro da fare in casa ed i parenti di mio padre non vivevano nel nostro stesso quartiere. Lo vedevo salutare tutti i suoi amici, uno dopo l’altro e sperare di vedere sua madre comparire prima del solito ma alla fine si arrendeva, allontanandosi dall’ingresso ed iniziando a giocare da solo con alcuni trenini. Giorno dopo giorno lo vedevo lasciare l’asilo poco prima di me, felice di tornare a casa e passare del tempo con la sua famiglia.
Qualche settimana più tardi, la domestica riuscì a liberarsi prima del solito, arrivando all’asilo nel momento in cui anche la madre di Tsuyoshi stava entrando. Mi alzai velocemente, raccogliendo il piccolo zainetto dove riponevo la merenda per la giornata ed avviandomi all’ingresso. Fu in quel momento che gli occhi di Tsu incontrarono i miei per la prima volta. Sul suo viso comparve un sorriso felice ed io notai solo in quel momento gli occhiali nuovi che indossava.
Mi salutò allegro, felice di non essere l’ultimo a lasciare l’asilo. Probabilmente non mi aveva mai notato, perché avrebbe dovuto? Non rivolgevo parola a nessuno e per lo più rimanevo in un angolo della stanza, in attesa che il tempo passasse. Fece tutto lui, mi disse il suo nome e chiese il mio, volle sapere la mia età ed iniziò a raccontarmi dell’acquisto degli occhiali da vista il giorno prima. Sembrava stesse parlando con un grande amico eppure era la prima volta che mi rivolgeva la parola. Una volta fuori dall’asilo, trascorremmo qualche altro minuto assieme. A quanto sembrava non abitava molto lontano dalla mia casa e mentre lui continuava a raccontarmi la sua vita, io notai il volto di sua madre incupirsi. Non avevo mai prestato troppa attenzione ai discorsi degli adulti ma capii subito che l’argomento non poteva che essere la mancanza dei miei genitori all’uscita di scuola. Quando ci salutammo, ad un incrocio, vidi gli occhi della signora Ohki velarsi di compassione mentre quelli del figlio sembravano stranamente felici.
Il giorno seguente trovai Tsuyoshi ad aspettarmi fuori dall’asilo.
“Akki, ben arrivato!” quel nomignolo suonava strano e troppo dolce per i miei gusti ma non riuscii mai a dirglielo. Non so perché ma l’idea di poter ferire una persona così premurosa e solare mi infastidiva più del suono di quella parola.
Mi spinse verso l’ingresso dove mi presentò ai suoi amici. Non ero abituato alle attenzioni dei miei compagni, non ero abituato a vederli sorridere parlando con me, non ero abituato a stare con nessuno che non fosse costretto a rimanermi accanto.
 
Improvvisamente mi ricordai del fumetto che mi aveva prestato e mi sentii quasi in colpa.
“Te lo ridarò domani” la mia voce interruppe il suo monologo.
Lo vidi pensare qualche istante, prima di ricordarsi di quel fumetto.
“Non ti preoccupare, ti ho detto che puoi tenerlo quanto vuoi” “Te lo riporto domani” dissi con fermezza.
Non volevo che Natsumi rischiasse di rovinarlo ma, sinceramente, anche il pensiero di essere in debito con lui non mi piaceva per nulla.
“Akito-kun…” “È tardi” tagliai la discussione lì, sviando l’attenzione da me. Sapevo perfettamente che mancasse ancora molto tempo alla chiusura del cancello di ingresso ma avevo voglia di sentirlo ripetere sempre le stesse cose. Anche Tsuyoshi capii quel mio modo contorto di pensare. La verità, forse, era semplicemente che desideravo prendermi quell’impegno per poter avere il motivo di infrangere tutte le regole imposte da Natsumi.
 
Quella sera decisi di mangiarmi un panino prima di tornare a casa, salvandomi dall’ennesima cena a base di noodles istantanei. Una volta rientrato, capii che Natsumi non aveva minimamente pensato a me fino a quel momento e sembrava aver deciso di continuare su quella strada. Lasciai le scarpe all’ingresso, facendo attenzione a non metterle vicine alle sue, mi avviai verso le scale ma prima di poggiare piede sul primo gradino, le urla di Natsumi mi assalirono.
“Akito! Non puoi tornare quando ti pare, figlio degli Oni! Ci sono delle regole in questa casa!” rimasi per un attimo spiazzato dalle sue parole.
Non mi voleva avere intorno ma allo stesso tempo non ammetteva che tornassi quando volevo. Iniziai a pensare che, qualunque cosa avessi fatto, non le sarebbe piaciuta. Se avessi seguito tutte le sue stupide regole, non mi avrebbe sicuramente trattato diversamente e, in fondo, a me andava bene così. Nessuno dei miei compagni di scuola si poteva permettere di mangiare quello che voleva ogni sera. Mi sentivo quasi adulto, paragonato loro.
Salii le scale, ignorando il suo continuo chiamarmi “figlio degli Oni” e decisi che avrei passato quella sera osservando il soffitto, nell’unica stanza che potevo definire “mia”.
 
Il giorno dopo mi ricordai della promessa fatta a Tsuyoshi quando già ero arrivato in classe.
“Te lo porto domani” gli dissi ma niente sembrava convincerlo del fatto che avrei potuto tenerlo anche per sempre.
La giornata scolastica trascorse molto velocemente mentre io cercavo il modo di infilarmi in camera di Natsumi senza che lei se ne accorgesse. Ignorai completamente Tsuyoshi e gli altri ragazzi, i loro battibecchi ed i loro saluti, come al solito. Mi avviai verso casa, seguito, come ogni giorno, da lui. Da quando ci era stato dato il permesso di andare a scuola da soli, aveva deciso che ci saremmo visti tutti i giorni al solito incrocio e ci saremmo salutati nello stesso posto.
Un’idea mi balzò in mente e chiesi a Tsu di aspettarmi mentre andavo a recuperare il suo fumetto. Una volta arrivato in casa, aprii velocemente la porta, mi tolsi le scarpe e corsi verso le scale, diretto alla stanza di mia sorella. Il fumetto era stato lasciato sulla scrivania, un posto fin troppo semplice da raggiungere. Afferrai l’oggetto e mi diressi nuovamente verso le scale di casa, richiudendo la porta alle mie spalle. Sicuramente Natsumi si sarebbe accorta della sua scomparsa ma ormai ero abituato alle sue urla e non mi preoccupai nemmeno delle conseguenze di quello che stavo facendo.
“Akito!” la mia solita fortuna.
Appoggiai il piede sul pavimento dell’ingresso e pensai che fosse strano vederla a casa così presto. Solitamente tornava tardi, passando qualche ora con le amiche prima di dedicarsi allo studio.
“Cosa ci fai qui?!” “Niente, sto uscendo” oltrepassai lei e la sua furia e rimisi le scarpe ai piedi, sicuro che la mia cena sarebbe stata composta dall’ennesimo panino, magari con qualche patatina fritta.
“Ma cosa…” la vidi osservare il fumetto e, se possibile, arrabbiarsi ancora di più.
“Sei entrato in camera mia, figlio degli Oni?!” le sue urla arrivarono alle mie orecchie, provocandomi un gran fastidio.
Aprii la porta di casa e fui seguito da Natsumi che continuava a chiamarmi in quel modo strano. Sapevo perché lo faceva ma ogni volta, per un piccolo istante, mi chiedevo perché dovesse usare proprio quelle parole. “Figlio degli Oni” diceva e, per quanto avessi rovinato la vita di tutte le persone della mia famiglia, non riuscivo a capire il motivo per cui mi dovesse raffigurare così.
“Sei solo un demone!” attraversai il cancello di ingresso, trovando Tsuyoshi intento ad osservare quella scena. I suoi occhi erano spalancati, probabilmente scioccati da quello che aveva appena visto ma non me ne curai troppo. Non sapevo come vivessero le altre famiglie ma potevo immaginare che la mia avesse uno strano modo di definirsi tale. Gli restituii il fumetto, pensando che, se mi avesse aspettato a quel maledetto incrocio, sarebbe stato meglio.
“Akito-kun…” “Ecco a chi lo avevi rubato!” la voce di Natsumi ci raggiunse e mentre insultava me, cercava di dimostrarsi dolce e premurosa con lui.
“Ti prego di scusarlo” non avevo mai visto mia sorella sotto queste vesti angeliche ma immaginavo che quel comportamento duro e perfido lo riservasse solamente a me.
“Non dovresti avere a che fare con Akito, è solo un figlio degli Oni!” mi voltai, lasciando che mia sorella continuasse a chiamarmi in quel modo mentre mi allontanava da casa.
“Akito-kun, aspetta!” voltai l’angolo e la voce di Tsuyoshi tornò a farsi sentire.
Mi fermai in mezzo alla strada, in attesa di vederlo al mio fianco.
“Akito-kun, perché ti ha chiamato così?” quella domanda mi parve quasi strana. Pensavo che fosse ovvio, che tutti sapessero che io, in fondo, non fossi altro che un piccolo demone. Ne ero così convinto che a volte mi aspettavo che la mia pelle cambiasse colore e mi spuntassero piccole corna sulla fronte.
“Akito-kun?” “Perchè sono un demone, ho ucciso mia madre” così dicendo ripresi a camminare, cercando di arrivare velocemente al fast-food.
Tsuyoshi mi seguì per tutto il tragitto, in silenzio ed io ricordai la prima volta in cui gli avevo detto la stessa cosa.
 
Continuava a chiedermi perché passassi così tanto tempo con i miei parenti e non con i miei genitori ed io gli spiegai che mio padre viaggiava spesso per lavoro, andando anche in America se necessario. Non avevo pensato che volesse sapere qualcosa di più anche su mia madre e quando mi domandò di lei, mi fermai, in mezzo alla strada e lo guardai freddamente. Non dimenticherò mai il suo volto, incuriosito e timoroso allo stesso tempo.
“L’ho uccisa” aveva spalancato la bocca così tanto che avevo pensato sarebbe finita sull’asfalto.
“Cosa?!” tornai a guardare i suoi occhi, pensando che forse quell’argomento meritasse un po’ di serietà ma non ne fui capace.
Mi voltai verso di lui e gli spiegai che mia madre era morta dandomi alla luce.
“Sono uscito dalla sua pancia, proprio come in Alien” rimase a guardarmi immobile per alcuni minuti, prima di abbassare lo sguardo ed iniziare a singhiozzare come il bambino di sette anni che era.
 
Tsu mi seguì fino al fast-food, in religioso silenzio. Una volta comprata la mia cena, ci accomodammo ad un tavolino e si accorse di avere ancora in mano il fumetto.
Non era nella mia indole interessarmi agli altri ma detestavo trovarmi al centro dell’attenzione, specialmente se il motivo non era qualche dispetto ben riuscito agli insegnanti e sapevo che i suoi pensieri fossero rivolti solo ed esclusivamente a me e mia sorella. Cercai quindi di cambiare argomento, spiegandogli ciò che mi aspettavo dal protagonista di quei disegni.
Parlammo di molte cose o meglio, Tsu mi raccontò tutto ciò che sapeva sul fumetto. Ad un certo punto, non capii nemmeno come, finimmo per parlare di sua sorella e del loro legame, così diverso da quello che vivevo io con Natsumi.
“È una vera peste, mi tira sempre i capelli!” mi voltai verso di lui e lo vidi sorridere.
“Si chiama Aono, è più piccola di noi” sembrava così allegro mentre pensava a lei e più lo osservavo più notavo la gran differenza tra loro due e me e Natsumi.
Uscimmo dal locale poco dopo il tramonto, diretti a casa.
“È tardi” ero curioso di sapere cosa avrebbero detto i suoi genitori. Mio padre non si sarebbe preoccupato minimamente per me ma ero sicuro che lui si sarebbe beccato una bella ramanzina.
“Hai ragione! Scusa Akito-kun, devo scappare! Mia madre mi ucciderà!” lo vidi agitarsi, dimenarsi in preda al panico.
Lo lasciai all’incrocio, tornando a pensare alla differenza tra la mia famiglia e la sua ma la sua voce mi raggiunse nuovamente.
“Ci vediamo domani Akito-kun!” lo urlò come se si trattasse di una promessa e non del solito appuntamento quotidiano.
Lo guardai svanire mentre io cercavo solamente di pensare a qualcosa che potesse trattenermi abbastanza a lungo da rientrare a casa senza subire l’ira di Natsumi.
 
Il giorno dopo trovai Tsu al solito incrocio. La giornata si preannunciava molto noiosa, specialmente perché sapevo che a scuola ci sarebbe stata una gran confusione. Come ogni anno, San Valentino era arrivato ed io speravo solamente che finisse presto. Tsu, al mio fianco, sembrava invece emozionato, come se si aspettasse qualcosa di particolare da quell’anno.
“Come mai sei così allegro?” lo vidi voltarsi e sorridermi.
“È San Valentino e credo che Mako voglia regalarmi dei dolcetti!” pensai che fosse completamente impazzito.
Tutti sapevano che Mako fosse innamorata di un ragazzino di un’altra classe, eppure lui continuava a sperare in qualcosa di romantico da quando tre anni prima lei gli aveva regalato un po’ di riso che sua madre aveva dimenticato di aggiungere al curry.
Lo trovai davvero buffo ma non glielo dissi mai.
Le ore passarono velocemente ma nessun cioccolatino arrivò da lei. Tsu sembrava triste e depresso ed io non riuscivo proprio a capire come fosse possibile avere un’espressione simile per una ragazza.
Dopo la pausa pranzo, però, lo vidi rientrare in classe con un pacchetto. Per qualche istante pensai che Mako davvero gli avesse regalato dei cioccolatini ma quando anche lei tornò al suo posto, Tsu non le rivolse nemmeno uno sguardo.
“Quelli?” non ero davvero curioso di capire quel sentimento romantico, ero più intento a cercare una spiegazione per lo sguardo perso di Tsu che lo faceva sembrare davvero un imbranato.
Lo vidi sospirare come una ragazzina e capii che aveva perso ogni briciola di dignità maschile.
“Me li ha dati una ragazza di un’altra classe” sembrava totalmente spaesato.
Mi chiesi distrattamente se lui conoscesse quella ragazza o se fosse un’altra delle sue conquiste immaginarie.
“È bellissima!” i suoi occhi si accesero mentre un pensiero prendeva vita nella sua mente.
“Avrei dovuto chiedere come si chiamava...” se prima avevo pensato che avesse toccato il fondo, adesso ne avevo avuto la certezza.
“Però mi sembrava familiare...” il suo monologo continuò finché non entrò l’insegnante per riprendere le lezioni.
Mentre le formule di matematica cominciavano a riempire la lavagna, Tsu continuava a contemplare il pacchetto che la ragazza misteriosa gli aveva regalato. Lo vidi assumere mille sfumature, perdendosi in pensieri talmente smielati che potevo sentirne la dolcezza anche da metri di distanza.
 
Le lezioni finirono velocemente ed io cercai di defilarmi da Tsu prima che ricominciasse a pensare a questa ragazzina sconosciuta. Non capivo come avesse potuto dimenticare di chiedere almeno il suo nome. Si era innamorato per l’ennesima volta della prima ragazzina che gli aveva regalato un dolce e nemmeno la conosceva. Era davvero molto semplice per lui infatuarsi di qualcuno. A volte mi chiedevo cosa si provasse, come ci si sentisse nell’essere così affezionati ad una persona.
Stavo attraversando i cancelli quando vidi Tsu correre per raggiungermi, quasi offeso dal fatto che volessi andarmene da solo. Rallentai, ormai arreso all’idea di dover ascoltare i suoi discorsi strani.
Durante tutto il tragitto mi raccontò l’incontro con questa ragazza dai capelli rossi ed io dovetti concentrarmi su qualcosa di decisamente più interessante per non zittirlo. Arrivati al solito incrocio, però, Tsu sembrò ricordarsi di qualcosa di importante.
“Akito-kun...” mi fermai ad osservarlo.
“Sai, mia mamma mi ha detto una cosa ieri” il suo tono di voce sembrava tranquillo mentre io mi chiedevo perché mi sarebbe dovuto interessare quello che sua madre gli aveva detto.
“Sapevi che in passato gli Oni non erano demoni cattivi?” una semplice domanda aveva catturato tutta la mia attenzione.
“Mamma mi ha detto che tanto tempo fa, gli uomini credevano che gli Oni potessero allontanare gli spiriti malvagi” cosa? Non sarebbero cattivi?
Tsu si avvicinò a me sorridendo.
“Forse anche tu sei un Oni buono” un Oni buono.
Tsu credeva davvero a quello che stava dicendo, glielo leggevo negli occhi. Per un secondo, un singolo istante, tentqai anche di crederci ma mi bastò pensare a mia madre, a Natsumi, a mio padre ed a me per capire quanto non potesse aver ragione. Io ero un demonio, un Oni dell’epoca moderna, uno di quelli cattivi, che porta solamente sventura, odio, distruzione e dolore alle persone che lo circondavano.
Vidi Tsu allontanarsi sorridendo e mentre vagavo per la città, in cerca di qualcosa che mi tenesse fuori casa per qualche altra ora, mi accorsi di non riuscire a smettere di pensare alle sue parole.
Oni buoni, Oni cattivi, c’era davvero differenza? Si trattava pur sempre di demoni e loro, nel profondo, non potevano avere pietà né provare amore o felicità. Non riuscivo a non pensarci, non riuscivo a smettere di sperare che potesse avere ragione Tsu ma quando varcai la porta di casa, quel clima pesante mi colpì con violenza, riportandomi alla realtà nuda e cruda.
Per quanto Tsu avesse provato ad aiutarmi, nessuno mai sarebbe riuscito a togliermi dalla mente il fatto che io fossi solo il dannato figlio di un Oni, una creatura che aveva ucciso la madre e che nessuno voleva al proprio fianco. Se fossi morto io, al posto di quella donna, nessuno avrebbe pianto, invece la mia vita aveva reso Natsumi fredda, insensibile e cattiva e mio padre indifferente ad ogni cosa che riguardasse i suoi figli.
Se davvero fossi stato un Oni, sarebbe arrivato il momento in cui qualcuno mi avrebbe ucciso ed io lo avrei accolto senza problemi.

***

Buon pomeriggio e buona domenica!
Spero che questa mia piccola oneshot sia piaciuta a chi ha deciso di leggerla. Come avete visto, è qualcosa di molto particolare, dai tratti drammatici e profondi, qualcosa molto nel mio stile(e chi mi conosce lo sa). Akito mi è sempre sembrato il personaggio più complesso ed interessante del manga, dalle sfaccettature davvero intriganti e profonde; proprio per questo ho pensato che sarebbe stato carino, a distanza di anni dall'uscita del manga e, in seguito, dell'anime, rendergli giustizia, quasi un tributo, con questa oneshot alla quale seguiranno altre tre o quattro storie brevi che mostreranno il suo punto di vista in diversi momenti della sua vita, dai più tragici a quelli più "leggeri".
Grazie a tutti per averla letta, spero di ritrovarvi nei commenti <3

Un abbraccio a tutti,
miss_MZ93
  
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