Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: sacrogral    07/07/2021    13 recensioni
…in cui i bambini troveranno il modo per dimostrare al mondo che la bontà esiste, ma che non sempre la si trova dove e come si potrebbe pensare, perché le piace nascondersi; si scoprirà la verità del verso virgiliano “si nequeo flectere Superos, Acheronta movebo”; il divin marchese non sarà sicuro sulla squadra per cui giocare, sarà spinto in una certa direzione da un’offerta che è impossibile rifiutare; e Oscar e André riceveranno un dono impossibile.
Questa storia è il continuo di una storia, è la dodicesima notte di una storia.
Stavolta è tutta trama, la Storia può dirsi conclusa ma non è ancora concluso il Volo, per cui nessuno pensi che sia il finale. C'è l'Italia, in finale!
Giuro che, malgrado l’introduzione possa far pensare il contrario, le citazioni non sono molte. E questo capitolo, nel bene e nel male, non è breve.
Genere: Dark, Mistero, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ma per seguir virtute e canoscenza – parte 1

 

…in cui i bambini troveranno il modo per dimostrare al mondo che la bontà esiste, ma che non sempre la si trova dove e come si potrebbe pensare, perché le piace nascondersi;  si scoprirà la verità del verso virgiliano “si nequeo flectere Superos, Acheronta movebo”; il divin marchese non sarà sicuro sulla squadra per cui giocare, sarà spinto in una certa direzione da un’offerta che è impossibile rifiutare; e Oscar e André riceveranno un dono impossibile.

 

Foret realizzava uno dei sogni dell’uomo fin dall’antichità. Foret volava. Teneva per mano la piccola Thèrése che rideva, sfrecciava nel cielo verso Parigi che era prima piccolissima e man mano diventava sempre più grande. La Morte li sovrastava col mantello aperto, ali nere di pipistrello a proteggere paradossalmente le due creature, con democratica magnanimità, e pensando, un po’ divertita: “Ma cosa mi tocca fare”. Ma lo aveva promesso a sua sorella, una promessa è una promessa, ci teneva ai rapporti familiari e poi, si disse, stava perdendo un po’ smalto: passava forse troppo tempo alla Disperazione, a rimirarsi nell’affresco che l’aveva in quell’era e in quel momento storico incatenata, passava troppo tempo con monsieur Charles Henri Sanson, un mortale, che la scacciava e la cercava e la nutriva, pover’uomo, suo malgrado. E la vedeva. Col padre e col nonno del borreau non era successo. Però, quell’immersione nella vita, si disse, non le faceva tanto bene. Se la Morte comincia a fare preferenze ecco che finisce tutto: il suo potere derivava proprio da questo, all’ora giusta abbraccia il principe e il povero, il buono e il cattivo, l’uomo e la donna, il vecchio e il giovane; non guarda in faccia nessuno, Lei, per questo tutti la rispettano. Eppure Charles Henri lo aveva guardato in faccia, e anche il piccolo Foret. Pazienza, si disse. D’altronde, sua sorella, i legami familiari… alla fine, tutto si sarebbe aggiustato. In fondo, non erano tanti, quelli che potevano chiederLe conto e ragione. 

E Foret volava, intanto, e si girava verso di Lei sorridendo, e indicava talvolta una cosa, talvolta un’altra.

Madame, laggiù è dove sono venuto al mondo! Mia madre ha guardato gli alberi quando sono nato e mi ha chiamato Foret come le foreste!” 

“Perché non guardi Versailles, invece?” chiedeva Thèrése, contentissima “Io non l’avevo mai vista!”

“È una Ville lumière” gridò Foret.

E la Morte ancora una volta si stupì di quel ragazzino mezzo scemo e mezzo veggente. Parigi sarebbe stata chiamata così, un giorno, si disse, quando l’uomo avrebbe scoperto la luce artificiale ma anche quando tutti avrebbero reso omaggio al Secolo dei Lumi – divertimento in vista, per Lei, tragedie in agguato, per molti, ma il futuro, senza dubbio il futuro. Futuro era il suo fratello preferito, dei tre gemelli del Tempo: troppo malinconico Passato, troppo fuggevole Presente, sempre allegro Futuro. Rare erano le sue tregue con Tempo, ma le ricordava tutte con piacere. Si rese conto di quanto le piacesse perdere. Abituata ad avere sempre l’ultima parola, per Lei era un piacere quando la si costringeva a chinare la testa. Era lo stesso per la sua imprevedibile sorella e, pensò, fra le grida dei bambini che accennavano al Castello di Fontainebleau, che doveva essere lo stesso per madamigella Oscar la Luminosa. Abituata alla vittoria, doveva provare un enorme piacere nella resa, si disse. Perché era donna. Come Lei, appunto – e le tornò alla mente Charles Henri Sanson. Ma quello non era momento di debolezza e, in corpore vel in spiritu che fossero, non voleva che quei due sprovveduti facessero la fine di quel folle di Icaro – e così si impara a non dar retta ai consigli di chi ne sa più di te. 

“Ricorda, Thèrése, che devi spargere il tuo riso su Parigi, se vuoi annullare la maledizione del Maudit” disse a voce chiara, la Morte, mentre i due guardavano il quartiere del Marais, con le sue abitazioni sontuose, con Place de Vosges, ove un tempo risiedeva il cardinale Richelieu, dove un giorno non lontano avrebbe avuto dimora Victor Hugo.

“Vuoi che ti racconti una barzelletta?” chiese Foret, tutto serio “Ne so di bellissime, che mi racconta Gobemouche e fanno ridere tanto!” (1)

“Non importa” gridò Thèrése “Sono felice. Non sono più arrabbiata!”

 

Fu in quell’esatto momento che la sorella di Gobemouche, senza che nessuno capisse il motivo, senza che nessuno ne comprendesse la ragione, riacquistò colore del volto, si alzò dal letto toccandosi il viso e le braccia e, guardando la ragazza che la assisteva con amore e dedizione, esclamò con la sua voce: “Marie”; e lei, non credendo ai suoi occhi, atterrita perché la felicità atterrisce, gridò: “Rose” e le due sorelle si abbracciarono, perché era davvero tanto tempo che non si vedevano.

 

Qualcosa di molto simile accadde in diverse case di Parigi, e in particolare nei pressi di rue Saint Lazare, dove, incastrata fra gli edifici bui, guarda caso sorge la Disperazione fetida e magnifica.

 

“E scusate il ritardo” disse il marchese de Sade, con quel sorriso la cui ironia è impossibile descrivere. Stropicciato negli abiti, eppure senza il minimo segno di apprensione; incuriosito, ma senza ombra di coinvolgimento, si guardò intorno come se fosse a una cena di palazzo, e né un titolo né la vicinanza della tragedia evidentemente potevano inquinare la sana vena terrestre di quell’uomo. 

Era arrivato in ritardo, è vero. Ma era arrivato. Perché in ritardo?

 

Correndo fra le vigne – e diciamolo – le erbacce, le zolle, i naturali ostacoli di quella natura che lui amava solo in determinate declinazioni;  vedendo la schiena del buon André Grandier perdere forma nell’andare e ancora percependo senza fatica l’unico pensiero in testa a quel bravo giovine, obiettivamente votato a un solo ideale che di fatto non era il suo,  Alphonse François Donathien de Sade gettò la spugna, riconoscendo i doverosi diritti alla gioventù e al fiato non corrotto da oppio e amenità varie che non è il caso di ricordare; e quindi pensò che, in fondo, non era affar suo, che un modo di evitare il peggio sempre si trovava, che alla fine quei due andassero incontro al fato che preferivano e che lui avrebbe dovuto essere nelle sue stanze, a scrivere, a bere, a sognare forse, e il resto lo avrebbe conosciuto con calma, il giorno successivo, senza fretta. E con uno di quei cambi d’umore che gli erano propri, incentivato dal respiro corto e dal fatto che nemmeno ricordava l’ultima volta in cui aveva corso, decise di tornarsene indietro, a casa, col passo tranquillo del borghese che era in pace con la coscienza e senza troppo affannarsi. 

Non appartenendogli per definizione il senso di colpa, osservò la Luna e le stelle, ascoltò il silenzio, e scosse le spalle. “Madamigella Oscar”, si disse, fra sé e sé.  Una creatura splendida, con delle potenzialità inespresse e infinite. Madamigella Oscar, che avrebbe fatto la felicità di un uomo di due secoli a venire, che sarebbe stata in grado di soddisfare il più esigente dei mariti che avesse posseduto un grande ego, per dirla alla latina, e avesse avuto a disposizione pletora di cuochi e cameriere per le sue quotidiane necessità; madamigella, dal sapore del cacao – bevanda novella – e del caramello, avrebbe detto per esperienza, se fosse stato monsieur Henri Le Roux e fosse vissuto nel secolo XX; ma, essendo un libertino del secolo XVIII, con le sue inevitabili contraddizioni, si limitò a pensare che madamigella Oscar aveva il sapore del cioccolato, nelle sue parti più raggiungibili, e di cosa non poteva conoscere laddove lei si faceva ombra e neanche lui, che malgrado tutto si vantava allo specchio di essere un gentiluomo, aveva osato avventurarsi. 

Madamigella Oscar che amava senza dirselo un pezzente, pezzente che valeva più dell’oro e di cui si sarebbe ricordato a vita, non solo per il labbro che, a ben pensarci, gli faceva ancora male; e quindi niente, se la giocassero a loro piacere, non era la sua battaglia e questo chiudeva la questione. Intanto rimaneva fermo e respirava più lento, deo iuvante, sentendo di nuovo nei polmoni quella minima quantità d’aria necessaria al semplice sopravvivere. 

E allora sentì il suo nome – il suo nome di battesimo – risuonare fra le viti, come eco di un’eco. “Alphonse” sembravano dire foglie e pampini, “Alphonse” ripeteva il vento alzatosi, e ancora “Alphonse” risuonava alle sue orecchie, da direzioni varie, in modo appena percettibile. Credette di sognare e pensò fosse la coscienza che non credeva di possedere. 

Finché, del tutto fuori luogo, inaspettata in quel preciso momento, la vide avanzare verso di lui; e immediatamente il marchese de Sade riconobbe, nella grazia dei movimenti e nel rosso irlandese dei capelli, il suo unico, infelice amore (2).

 

E alla fine la Morte, strano angelo nero di una Parigi che allontanava da sé uno spettro che neppure aveva saputo si aggirasse per i suoi vicoli meno battuti, la Morte, dicevo, si posò, e con Lei Foret e Thèrése, alla Disperazione

“Cos’è questo posto orribile?” chiese la ragazzina.

“Questo posto orribile è la mia casa” disse Foret.

Thèrése guardò con una smorfia l’affresco con lo scheletro ridente, dipinto da mano salda, che si trascinava dietro giovani e vecchi, peccatori e innocenti, uomini e donne.

E fu allora che il pulcino vide raccolti in ginocchio uomini che non si inginocchiavano davanti a nessuno, e raccolti in preghiera uomini che non si raccoglievano mai in preghiera. 

Fra Etienne sgranava il rosario, iniziava la litanìa. 

Joss le petit non rispondeva perché non aveva voce.

Gobemouche balbettava parole smozzicate, retaggio d’infanzia.

Il dottor Lassone pregava scandendo le sillabe, come se recitasse un catalogo, ma a occhi chiusi.

Il boia Sanson salmodiava con rabbia contenuta.

E al centro, lui stesso, disteso, cereo e immobile.

“Sono i miei amici!” gridò “Gobemouche, sono qui! Joss!” e corse per abbracciarli, ma le sue braccia passarono attraverso il corpo dell’oste e del poeta, lo portarono ad abbracciare solo se stesso.

“Non possono vederti, non possono sentirti, ragazzo” disse la Morte “Tu non sei lì con loro – terminò, accennando al suo corpo vuoto – tu sei con me. E, no, nemmeno Charles Henri può” .

Foret percepiva soprapposti i loro pensieri: “È come un figlio, come un figlio…” “Sia fatta la Tua volontà, non la mia – il tuo umile servo ti prega, Signore…” “Aiutalo, è come un fratello, ho già perso un fratello nella Senna, aiutalo” “Pater noster, qui es in caelis, santificetur Nomen Tuum… libera nos a Malo” “Dove sei? Non prenderlo, non lui. Non ce l’hai un cuore? Ti do da mangiare tutti i giorni” e poi “Resta, Foret” “Torna, Foret” “Non lasciarci soli, Foret”.

“Mi chiamano!” gridò.

“Già” disse, laconica, la Morte.

Si osservò nell’affresco, scheletro ghignante che portava con sé giusti e peccatori, stolti e intelligenti, ricchi e poveri – e poco lontano madamigella Oscar fra le rose e le spine, luminosa nei colori che non c’erano – e scrollò le spalle, a dire che per Lei era lo stesso, Lei era democratica.

“Ti chiamano. Cosa aspetti a tornare?” disse Thèrése, con le lacrime agli occhi.

“Ma io non posso!” le rispose allora, risoluto “Io ho promesso di stare con te in quel bel giardino e avrò anche altri baci!”. Ma la voce gli si spezzò, nella luce fioca della Disperazione, nei bicchieracci coi nomi dei giustiziati che conosceva a memoria, nello strano calore a cui non osava dare un nome ma che abbracciava lui, povero scemo ora inerte, e lo chiamava con forza.

 “Dove andrò io non sarò sola, e se vuoi un bacio te lo darò adesso!” concluse Thèrése, che era più bella, più lucente.

Foret guardò la Morte incredulo; la Signora Nera aprì le mani, a indicare che per Lei era sempre tutto uguale, tutto la stessa cosa. 

Poi chiuse gli occhi, ad accogliere le labbra della ragazzina che credeva di essere diventata una strega, era stata la causa di tanti guai, aveva voluto vendetta ad ogni costo e ora, con un bacio, gli diceva addio, perché aveva perdonato ed era stata perdonata.

 

E fu allora che Foret si alzò a sedere di colpo, urlando: “Joss! Joss!” e poi: “Ho tante cose da raccontare!”, facendo quasi venire un infarto e mandando a gambe all’aria i cinque penitenti che rimasero ammutoliti e con gli occhi sbarrati, e sul momento senza parole.

Solo fra Etienne, fuori contesto, se ne uscì con: “Mondo boia!”

 

 

1.       N.d.a. La barzelletta che Foret avrebbe raccontato: Il figlio del macellaio Jean Claude si reca dal padre, tutto contento, e gli annuncia: “Padre, mi sono innamorato. Sposerò Rosalie, la figlia del fabbro. Ho già l’anello”. Il padre lo guarda, sconsolato, e gli risponde: “No, no, la figlia del fabbro no. Sai, quando ci siamo trasferiti qui, io ero giovane e gagliardo, le clienti erano numerose e insomma, la moglie del fabbro e io... insomma, Rosalie è tua sorella. Non puoi sposarla”. Il ragazzo si allontana col cuore in frantumi. Passa il tempo, un annetto dopo il giovane – chiamiamolo – Victor si ripresenta al padre: “Ho deciso, padre, sposerò la figlia del fioraio, Anne Marie. Stasera le farò la dichiarazione”. Il padre lo guarda mesto e declama: “No, no, la figlia del fioraio no. Sai, dopo qualche anno di matrimonio, le cose fra me e tua madre non andavano così bene, e allora…” “Ma come!” esclama Victor, turbato “Anche Anne Marie…..” “Purtroppo, caro figlio, purtroppo. Non puoi sposarla”. Victor esce, col cuore nelle scarpe. Passa il tempo, un annetto dopo si ripresenta dal padre e felice esclama: “Padre, prendo moglie, sposo Victorine, la figlia del falegname, quello che ha la moglie guercia, zoppa e con una malattia della pelle!” e il padre, costernato, scuote la testa e inizia: “No, Victor, sai, quella povera donna veniva sempre in negozio, mi parlava della sua infelicità, una cosa tira l’altra e…” Victor non lo lascia neppure finire e corre in camera sua a piangere. I singhiozzi attirano l’attenzione di sua madre. “Sfogati, figlio, a tua madre puoi dire tutto!” e Victor, malgrado l’imbarazzo, disperato, vuota il sacco. La madre lo prende fra le braccia e ridendo: “Ma sposa chi vuoi! Mica è tuo padre, quello”.

2.       Cfr. la mia precedente Sarebbe un pazzo colui che adottasse un modo di pensare solo per piacere agli altri.

 

ma per seguir virtute e canoscenza – parte 2

 

Albert (1), mia adorata” se ne uscì il marchese de Sade, senza far altre domande “Vi aspetto da una vita e voi giungete proprio in una sera che… rientriamo, vi dirò, e voi mi direte, nell’accoglienza di una magione che tornerete a illuminare e poi…”

“Parli sempre troppo, Alphonse” rispose con dolcezza la ragazza che il divin marchese chiamava Albert “Lascia che sia io a parlare, per una volta”.

De Sade si inchinò con galanteria, immemore non solo di Oscar Françoise de Jarjayes e del suo cavaliere innamorato, del Maudit e di ogni possibile ovvero improbabile sacrificio umano, ma pure di se stesso.

“Alphonse, ti tengo d’occhio da un po’. Mi servi, marchese. Bisogna proprio che tu faccia una cosa per me, e non la stai facendo”.

“Mia amata, ricordate i nostri pomeriggi passati a scrivere, le nostre notti trascorse a parlare? Il mio stupore nell’accorgermi quanto discernimento potesse venire da una donna? E quanta sapienza sapessero racchiudere i vostri occhi verdi?”

“Alphonse, stai parlando di nuovo troppo. E i miei occhi non sono verdi”.

Monsieur le marquis, che si avvicinava a lei cercando di non darlo troppo a vedere, si fermò di scatto, constatando, nella luce fredda lunare, che era proprio così.

“Signora, questo è difficile da credere – iniziò – ricordando io benissimo…”

“Tu ricordi quel che ricordi” tagliò corto la Dama – “e io lo stesso. Ricordo i dolci momenti, e rammento di averti minacciato col coltello, perché se mi avessi toccata non mi sarei trattenuta e dopo ti avrei mangiato. E io non volevo questo, marchese de Sade. Desideravo apprendere da quella che è l’anima più vera e più cupa del secolo XVIII – un giorno, persino Voltaire verrà definito ‘un cagnolino da salotto’, eppure nessuno, mai, dirà che l’anima del marchese de Sade è addomesticata”.

Madame” disse il marchese, con altro tono “io son servo vostro e di me potete disporre. Mi dovete delle spiegazioni, e le avrò, ma intanto vostro compito ordinare e mio dovere obbedire”.

“Allora, mio caro Alphonse” riprese lei, nel vento che si alzava e vorticava nella terra e nelle larghe foglie “completa quello che già avevi disposto di fare. Che la tua intenzione sia come torre salda. Fai quel che puoi e quel che devi per quei due ragazzi cui tengo per motivi insoliti. Se non ce la farai tu a salvarli, dovremo metterci una bella croce sopra, e mi dispiacerebbe un po’. Chi dico io potrebbe aver voglia di affermare la propria personalità, va’ a sapere. Ma tu, marchese, farai quel che potrai”.

Non l’avrei giammai creduto/ ma farò quel che potrò. Datemi venti minuti, mia signora” confermò de Sade, una parte della mente sacramentando per quel guaio che era metà incomprensibile e metà scaturito da jella nera, l’altra metà pensando che Albert, o chiunque fosse Albert, lo avrebbe ricompensato alla sua maniera; e aveva la sensazione che fosse fra assai meritevole di attenzione, nonché del rischio della vita.

E poi, si disse, con una certa onestà, chissà se sarebbe tornato indietro davvero; quella spintarella poteva essere solo utile, ammise, sorridendo alla sorte.

“Io non posso intervenire direttamente” concluse la Dama, gli occhi che brillavano nerissimi e la pelle nivea che pareva traslucere “ma sarà meglio prendersi il tempo che serve. Ti darò aiuto, ti manderò, come si suol dire, dei rinforzi” rise “Il resto dovrai mettercelo tu. E ora ascolta”.

E il marchese de Sade ascoltò.

 

Fu per questo che adesso si trovava a dire: “Un moment, s'il vous plaît. E scusate il ritardo”.

 

Il marchese, si sa, faceva delle entrate ad effetto un suo punto d’onore, e al tempo stesso sosteneva che ci fosse sempre un modo per passare dalle porte chiuse. Ben avvezzo al dolore e alla prigionia, sia per caso che per scelta, pur facile agli scatti d’ira, non si mostrò turbato davanti a uno spettacolo che avrebbe intaccato nervi men saldi.

“Se non vi è disturbo, cari amici, vi spiacerebbe darmi contezza di questi particolari eventi che stanno verificandosi nella mia proprietà?”

Approfittando del momento di pausa forzata, un André Grandier tesissimo, nel corpo del quale l’adrenalina scorreva in percentuali che avrebbero preoccupato il dottor Lassone, se mai avesse potuto verificarle, si liberò di scatto e corse vicino a Oscar Françoise de Jarjayes, in piedi nel vento che le turbinava i capelli d’oro. Una novella Andromeda, un’Ifigenia dei nostri tempi, avrebbe pensato de Sade, ricordando con tristezza il momento, quando quel momento sarebbe stato un ricordo.

Monsieur” disse il normanno, che sembrava esser diventato portavoce e capopopolo “La Terra dà, la Terra toglie, la Terra vuole. Quel che facciamo lo facciamo anche per voi. Avremo una vendemmia straordinaria, un vino eccezionale. Voi vi arricchirete e noi continueremo a sfamare le nostre famiglie. La disgrazia di uno è il bene di tutti” e, via via più aggressivo “Dovreste essere d’accordo con noi, non ho dubbi. Ma nel caso così non fosse…”

“Gli dèi ci precedono e ci sopravvivono, signore” azzardò un passo verso di lui, un contadino bruno.

Il vecchio in abiti sacerdotali mormorò, ma non tanto piano, parole vagamente minacciose e senza senso.

Il marchese de Sade alzò le mani, in un gesto universale e conciliante.

Pardon, mes amis, devo essermi mal espresso. Rimedio subito: sono perfettamente d’accordo con voi”.

In un turbine improvviso di vento, inevitabile fu un’altra pausa forzata.

“Cosa sta dicendo?” sussurrò André, che si era portato a fianco di lei, colonna di una certa importanza.

“Non ne ho idea” disse Oscar di rimando, e senza pensarci gli prese la mano.

“Dite davvero, monsieur marchese de Sade?” chiese l’uomo biondo che aveva spaccato lo zigomo di André “Perché noi siam servi vostri e in questo caso…”

“Oh, nessun caso, mia brava gente. Eppure, chi sono lo sapete” iniziò il panegirista che era in lui “le mie azioni efferate son già leggenda, la mia mancanza di umanità è nota ed è mio vanto. Credete voi davvero che potrei essere ancora in vita se non avessi protezioni potenti?” e accennò non verso l’alto, ma verso il basso “Mi par chiaro come la luce che le mie idee di razionalismo e ateismo altro non son che specchietto per le allodole, mentre in realtà io, con le divinità ctonie, con la vostra dea Terra, dico, sono in contatto più di voi. E permettete” aggiunse, senza pausa “permettete che ve ne dia giusta prova”.

La folla pendeva dalle sue labbra.

“Innanzitutto, mie anime, la Terra ha mandato messaggeri per confortarci nel dovuto sacrificio. Vi prego, dame gentili emissarie della Notte e dalla Luna” gridò de Sade, compresissimo, e pronunciando misteriose parole –  Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas/ alma Venus, caeli subter labentia signa/ quae mare navigerum, quae terras frugiferentis/ concelebras… –  nelle quali un’Oscar stupita riconobbe l’inizio dell’inno a Venere di Lucrezio.

E, quasi evocate dalla magia di un abracadabra, si materializzarono tre figure, in mezzo agli “Oh” della folla. Le due ragazze dalla pelle bianchissima, fin troppo bianca, crearono scalpore e curiosità, ma niente confronto alla voluminosa donna nera, che avanzava ridendo forte, la cui mole si imponeva alla vista fasciata in abiti rossi e sgargianti, in gioielli forse di scarso valore ma vistosi (2).

“Ricordi?” sussurrò una delle due fanciulle all’altra, accennando Oscar “Io l’avevo scambiata sul serio per un uomo”.

“Anch’io, sorella” le rispose a voce bassissima l’altra, mentre tutti si stavan domandando chi fossero e con quali spiriti stessero mai comunicando “E la Signora ci disse che eravamo galline cieche”.

Il marchese de Sade le invitò ad avvicinarsi con garbo mondano.

Madame” incoraggiò la donna “Volete darci un saggio delle vostre capacità?”

“Ma certo, caro!” gli fu risposto senza formalismi; e la donna estrasse quindi un coltello dalle enormi pieghe del vestito e, senza cambiare espressione, senza smettere di sorridere, si trapassò la mano sinistra da parte e parte e, come un istrione, alzò la mano sanguinante con la lama ancora ben conficcata all’interno.

La costernazione divenne paura.

“Ma non solo di questo si tratta, amici miei! Non solo comando le forze degli spiriti e della natura, bensì io stesso sono in grado di invertirne gli intenti, di cambiare l’ordine delle cose!” continuò, lanciatissimo, il marchese de Sade “Vedete, miei devoti, questo ragazzo che oggi stesso avete conosciuto nella mia magione, che io stesso vi ho ordinato di rimettere al suo posto, ma facendo attenzione al viso, perché, per mia gran bontà, non volevo danneggiare il suo solo occhio sano? Lo avete visto o no?”

“Sì”, risposero in coro, voci incerte ed esitanti, i dieci uomini fra cui il normanno che, poche ore prima – erano passate una manciata d’ore – si erano precipitati in aiuto del marchese, e che avevano immediatamente creduto di capire che la Terra aveva espresso il suo volere, mandando loro la donna bionda, bellissima, pronta al sacrificio.

Il marchese, fra la folla che si apriva, si avvicinò a André Grandier. Fece in tempo, prima di riprendere la sua arringa, a strizzare l’occhio a Oscar, quasi a dirle: “Aspetta, comandante, il bello deve ancora arrivare”.

E poi, rivolgendosi a tutti, con voce da oltretomba, dichiarò: “Guardatelo adesso, figli!” e con violenza gli afferrò i capelli e gli scoprì il volto.

Madamigella per prima fece un passo indietro, portandosi una mano alla bocca d’istinto; mentre André si limitò a sorridere con gentilezza, lasciando che nella luce incerta della luna e delle torce fosse tuttavia possibile vedere il viso perfetto, di simmetria classica, e soprattutto senza traccia di cicatrici né di qualsiasi offesa, gli occhi vivaci, e neppure un livido sotto lo zigomo, pure quello integro.

“Sia fatta la mia volontà!” gridò de Sade, da pazzo, mentre la folla, incatenata a lui, si inginocchiava e ripeteva: “Sia fatta la vostra volontà!”, la risata della donna in rosso a sovrastare le voci e il silenzio, mentre le vigne e le civette osservavano stupite quella notte non più quieta.

 

La Dama che era un demone che per sopravvivere si nutriva della carne di uomini, dopo aver preso possesso del corpo di una donna, perché dopo l’amore la carne è più saporita, che si annunciava coi fulmini nel cielo sereno, che talvolta aiutava i lutin di notte a far dispetti agli abitanti addormentati delle terre di Nouvelle Orleans, nella Loiusiana devastata dei venti, e che temeva e rispettava solo il Vero amore, non ebbe bisogno di voltarsi per dire: “Ben arrivata, sorella”.

“Noi non possiamo intervenire, tienilo bene a mente” La Morte, giunta quando poteva, le si affiancò: “Come vanno le cose, al tuo marchese e a quei due ragazzi cui sembri tenere tanto?” domandò, con voce incolore.

Lei scosse la testa di capelli rossi: “Egregiamente. Alphonse al momento se la cava egregiamente. Ma gli avevo fornito quasi tutto, su un piatto d’argento. Compreso il dono fatto nell'Eden a quel cavaliere innamorato. E dimmi – continuò, senza guardarla – come vanno le cose a Parigi, al cucciolo, alla bambina e a quel boia cui sembri tenere tanto?”

La Morte riconobbe un leggero fastidio, ma rispose con la medesima voce incolore di prima: “Egregiamente”.

 

“E adesso che ho tutta la vostra attenzione, miei cari, mi sembra doveroso riacquistare ieratica necessità e procedere al sacrificio come da programma. Non occorre dire che sarò io medesimo a celebralo, dico bene, buon uomo?” e il vecchio vestito da sacerdote, che pronunciava parole inintelligibili, annuì tremando “Molto bene”.

Stavolta fu André Grandier, l’espressione cupa, a stringere la mano di Oscar de Jarjayes.

Portandosi con l’eleganza di un uomo di corte al centro dell’auditorio, sentenziò con gravità:

“Avete sbagliato vittima, tutto deriva da questo. Il mio Maudit è diventato portatore di peste e disgrazie, perché voi siete sordi e incapaci di udire la voce della Terra. Ma io la sento, la assecondo. La Terra è donna, cosa se ne fa del sangue di una ragazzina? La Terra è donna, vuol essere abbracciata dal sangue rosso di un uomo, che sia il seme virile in grado di fecondarla e dar vita alle uve frutto di un amplesso violento. Questo chiede la Terra, sangue virile!”  E mentre che ‘l vento, come fa, ci tace, de Sade si voltò e rapido puntò il dito guarda caso proprio su quel normanno grande e grosso e ansioso di celebrarlo, quel sacrificio.

“Lui!” 

Non ci fu bisogno di altro perché tre uomini scattassero a trattenere il prescelto, che progressivamente sbiancava.

“La Terra dà, la Terra toglie, la Terra vuole. È così che dicevate, erro? La Terra ha scelto. Adesso, miei buoni amici, non disturbatevi a recuperare quella falce di foggia orrenda che il bravo giovane ha con tanto buon gusto allontanato. Limitatevi, voi tre, di grazia, a tener fermi il predestinato, perché possa capire fino in fondo l’onore di cui è stato fatto oggetto”.

Con un gesto rapido, che doveva essere abituato a compiere, il marchese de Sade strappò la camicia del normanno lasciandogli nudo il petto.

“Sii forte, uomo. Le mie mani basteranno” pronunciò, con tono a metà fra tenebre e luce. I suoi occhi eran diventati vuoti pozzi neri. Allungò le mani sulla carne, mentre il normanno, incredulo, ancora non aveva detto una parola, le labbra secche e mobili: “Proprio qui” indicò col dito nella carne il marchese, e quasi scandiva le sillabe “proprio al centro del torace, in posizione un po’ obliqua verso sinistra, si trova il cuore, protetto. Fra la quarta e la quinta costola, la carne è morbida e si penetra come burro. E io, bel normanno, te la penetro come burro, ti prendo il cuore con la mano e te lo strappo dal petto che ancora pulsa e mentre sei ancora vivo”.

Le unghie del marchese erano appena entrate nel torace che il normanno cominciò a urlare, a chiedere aiuto, a dimenarsi fra le lacrime e a strattonare chi lo teneva fermo a forza. Mugghiava come un toro e ripeteva: “Non voglio morire!”  fra il terrore e il pianto degli astanti.

“Che c’è?” urlò de Sade “Non la vuoi nutrire, la Terra, col tuo cuore, feccia d’un barbaro superstizioso?” e poi, mettendogli gli occhi vuoti dentro gli occhi terrorizzati e liquidi pronunciò, con rabbia e chiarezza: “Neanche la piccola Thèrése voleva, uomo da niente!” e gli avvicinò le mani al viso e fece: “BU”.

Il normanno, piangendo come un bambino, cadde in ginocchio, mentre tutti poterono intuire con una certa chiarezza che il loro capopopolo se la stava facendo sotto, in senso letterale.

 

“Senza dubbio ha un certo talento” approvò la Morte sorridente.

“Un filo istrionico, ma efficace” confermò la Dama al suo fianco.

 

E mentre la risata della signora nera si spandeva e non placava il terrore che si era diffuso, il marchese de Sade guardò perplesso il cielo, poi Oscar e André immobili come tutti e con semplicità concluse: “Da parte mia, c’est tout”.

 

 

1.       Il motivo per cui questa fanciulla (per ora chiamiamola ‘fanciulla’) porti un nome maschile è da ricercarsi nella mia precedente Sarebbe un pazzo colui che adottasse un modo di pensare solo per piacere agli altri. Chi non l’avesse presente prenda la cosa come un dato di fatto.

2.       Per saperne di più su queste brave donne, cfr. la mia Lei arriva coi fulmini nel cielo sereno.


 
  
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: sacrogral