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Autore: blurriedchicken    08/07/2021    1 recensioni
Un viaggio attraverso vaste dimensioni porterà l'innamorato protagonista a dover fare una scelta impossibile.
Quante vite neutralizzerà pur di realizzare il suo obbiettivo?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Mi ricordo lo sguardo che mi rivolse quando gli chiesi "Giochiamo a palla?";
Si fece confuso e curioso.
"Dai, vuoi giocare?" lo chiesi una seconda volta. Rimase ancora per un po' a fissarmi, come in fase di elaborazione, e poi le sue labbra si modellarono in un dolce sorriso, mentre annuiva con la testa.
Non era uno di tante parole a differenza mia; a nove anni ero uno dei bambini più loquaci del mio quartiere, disinibito e per niente timido.
Eppure il mio essere estroverso non funzionava con lui, come un pulsante la cui pressione non porta a nessuna conseguenza.
Lo osservavo spesso dalla finestra della mia cameretta, mentre leggeva seduto sul dondolo del suo giardino. Io non leggevo, lo trovavo noioso, ma il fatto che lui lo facesse mi affascinava, e in qualche modo suscitava in me un senso di ammirazione nei suoi confronti.
Ci vollero ore per trovare il coraggio di andargli a chiedere di giocare con me, dopo averlo osservato così a lungo.
Alex, questo era il suo nome. Me lo disse la prima volta che giocammo insieme, senza che glielo chiedessi o che gli dicessi il mio.
Gli anni passarono con uno schiocco di dita, all'improvviso ero in età pre-adolescenziale e stavo per frequentare l'Accademia di Addestramento. Il primo giorno ero nervoso, ansioso e pronto a rispondere in maniera brusca al primo sfortunato che mi avesse rivolto la parola. Erano passati cinque anni dall'ultima volta che avevo visto Alex, ormai stentavo addirittura a ricordare le sue fattezze fisiche. Tutto quello che ricordavo erano i mossi capelli corvini e gli occhi castani, che gli permettevano di trafiggermi il cuore grazie ad un solo sguardo.
Insieme allo sciame di studenti varcai la soglia dell'Accademia: un gigantesco edificio dall'aspetto noioso, squadrato, le pareti esterne erano dipinte di un bianco immacolato, puro ma, aimè, pur sempre noioso. La grande porta principale si apriva su un'immenso corridoio che sembrava non finire mai. Al centro di questo, a qualche metro di distanza dall'entrata, si trovava un uomo, snello, alto e vestito di bianco. Il suo viso era smunto e dopo aver aguzzato lo sguardo, notai le sottili rughe di espressione intorno ai suoi occhi, sotto ai quali facevano presenza due zigomi abbastanza pronunciati, e alla bocca.
Alla sua vista la folla di ragazzi, incluso me, si ammutolì, intimorita ma curiosa.
Passarono dieci lenti secondi, durante i quali l'uomo, probabilmente uno dei Maestri, esaminava e studiava i giovani apprendisti con uno sguardo intraducibile, provocando una tensione inevitabile e densa.
Alla fine di questi, le labbra sottili si mossero e dalla sua bocca uscì il seguente comando:
"Vi voglio in fila indiana davanti a me, velocemente".
In meno di un minuto il centinaio di nuovi studenti si trovava uno dietro l'altro, in collettivo silenzio. Io ero piuttosto lontano dal Maestro, per ora tutto quello che potevo fare era osservare pazientemente la schiena dell'alta figura che mi si parava di fronte. Tutto quello che si udiva erano sussurri agitati e occasionali urla, o pianti isterici, che provenivano dal capo della fila. Intanto le ore passavano, e lentamente mi facevo sempre più vicino all'uomo di cui, a quel punto, tutti avevano timore. Avevo ormai memorizzato la fantasia che ricopriva parzialmente la camicia di velluto (probabilmente molto costosa) del ragazzo che avevo di fronte. Era nera, ma la parte inferiore era decorata con stampe bianche raffiguranti affascinanti creature serpentesche che si attorcigliavano su loro stesse. Era molto larga, e nonostante le maniche fossero corte gli arrivavano alla metà esatta del braccio, visto che lui era molto magro. Osservare quelle figure era ipnotico, mi perdevo in esse. Le creature sembravano rivolgermi il loro sguardo, ricambiavano le mie occhiate, scivolavano via dal tessuto e si insinuavano nelle profondità del mio essere.
Finalmente toccava a lui. Tesi l'orecchio per cercare di carpire qualche parola dalle loro interazioni, ma mi era del tutto impossibile, dato il basso tono di voce attraverso il quale se le scambiavano. Passò qualche minuto, e lo spilungone dai capelli neri iniziò a singhiozzare silenziosamente. Dopo di che se ne andò, camminò oltre il Maestro e scomparve nell'infinito corridoio, senza mai guardare indietro.
Ora mi trovavo davanti a lui, che reggeva in braccio quello che appariva come il corpo senza vita di una creatura che non avevo mai visto, e della quale sicuramente non avevo mai sentito parlare. La parte superiore del suo cranio era mutilata, il sangue colava e sporcava il pavimento immacolato. Da uno degli occhi scendeva una lacrima. Alzai lo sguardo al cielo e mi tappai tremante la bocca, cercando di trattenere i conati di vomito.
Quando riabbassai lo sguardo, tutta via, di fronte a me si parava una scena completamente diversa: l'uomo, sorridente, abbracciava e accarezzava la bestia, viva, che si dimenava giocosamente tra le sue braccia.
Stavo forse impazzendo? Ancora tremante mi asciugai gli occhi umidi con le mani. Eppure mi è sembrato così reale, pensai.
"Vuoi essere ammesso, allora?" mi sussurrò il Maestro.
Lo guardai negli occhi per qualche secondo, intimorito, prima di riusciure ad annuire.
"Se vuoi iniziare a frequentare i corsi e gli addestramenti, tutto quello che devi fare è uccidere questo animale, con le tue stesse mani, qui e ora".
Io? Uccidere? Come potevo io commettere un atto tanto osceno? Come potevo fare una cosa del genere a quella creatura innocente?
Non sapevo cosa fare, ero immobilizzato in piedi, con le mani attaccate al busto, che fissavo la povera creatura tra le braccia del Maestro.
"Fallo" disse l'animale "Se non lo fai non sarai ammesso, non riuscirai ad incontrarlo, e questo lo sai bene". Sbarrai gli occhi, e per un secondo mi mancò il respiro. Di chi stava parlando? La verità è che sapevo la risposta, solo che l'avevo nascosta in un cassetto nel mio cervello, la cui chiave era ormai dispersa, per mia volontà.
Sapevo che essere ammessi sarebbe stato difficile ma non avrei mai pensato di dover commettere tale atrocità nei confronti di un essere vivente.
"Prima ti ho visto morto, piangevi"
"Tu hai visto?" rispose la bestia con un tono di voce improvvisamente allarmato, come se avessi detto qualcosa che non andava.
"Sei triste? Cosa sei?"
"Sono un mezzo. Niente di più. Servo a far funzionare le cose, sono stato sistemato in modo da non far soffrire nessuno"
"Quindi prima eri rotto?"
"Non ero utile"
"Dev'essere dura, subire questo trattamento ripetutamente, centinaia di volte, chissà con quanta altra gente hai già parlato o parlerai"
"Solo due, compreso te. Il resto non ha avuto alcuna esitazione nel togliermi la vita, fretta, forse, sicuramente non c'è stato tanto tempo per le chiacchiere"
"Hai un nome?"
"Lo avevo"
Una volta finito, alzai lo sguardo verso l'esaminatore, che mi sorrise e mi rivolse un cenno di assenso col capo.
Lo superai e mi incamminai per il corridoio, ignaro di dove esso mi conduceva.

 

   
 
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