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Autore: Ardespuffy    31/08/2009    4 recensioni
Cani d'attori e storie di cani. Padfoot & Moony: l'arte copia la vita che copia l'arte, dietro ed oltre il sipario.
Viaggio a tappe insieme all'amato binomio, tra passato e presente - finzione e realtà.
3. ... per la fiducia d'ancora vagare, muso in giù, tra le macerie.
[SB*RL]
Genere: Romantico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doggish (Fairy)tales.'
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Atto Primo: non si è mai tanto naturali come quando si recita una parte.
[O. Wilde]



















Forse abbiamo esasperato la situazione,

Forse abbiamo esasperato la situazione,

scagliato un qualche tipo di colpo.

 

 

 

 

Sirius non può credere a quanto vicino sia il pavimento.

Rotola sul suo stesso stupore per rimettersi seduto, senza realmente tentare di mascherare alcunché. Non della sua espressione, non delle sue nudità.

“Mi hai dato un pugno.

Doveva venir fuori come un’esclamazione, ma le immagini sature dei secondi precedenti continuano ad avvilupparsi alla sua lingua, lasciando le loro scie di colori troppo forti e cambiando le sfumature delle parole.

Remus è una nuvola di pelle contro l’orizzonte scuro del seminterrato.

“Basta giochetti. Da ora in poi. Non ti voglio più qui.

I sensi di Padfoot si attivano, allarmati dal pestare sordo dei piedi nudi sul pavimento sporco. Il compagno – il  lupo –  è un compagno che va via di spalle, adesso, inghiottito dalla luce promettente che è il fondo del tunnel.

La bestiola resta a guaire tra gli istinti dell’Animago, nel lato instabile che emerge sotto gli occhi pietosi della luna piena.

Sirius scrolla via il cane come una ciocca di capelli fuori posto.

Vai, certo, va’ pure! Ma non tornare da me quando ti servirà ancora qualcuno con cui giocare ad Ammazza La Pulce E Scappa!

Vocalizzata, la loro caccia mensile rimbalza fra le mura della Stamberga e torna a colpirlo dritto sul mento, come il ben mirato gancio di Remus.

Sei ancora nudo, questo lo sai?!”

L’urlo si perde prima di raggiungere la luce. La persona cui è rivolto non sarebbe lì per udirlo, in ogni caso.

Sirius sfrega insieme le gambe lunghe. Il sedere inizia a fargli male per il contatto prolungato col suolo, ma non riesce a considerare l’idea di rimettersi in piedi.

Sente l’abbandono soffiargli addosso con la sua polvere urticante e l’esasperazione folle del giorno che nasce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo spezzato il sigillo,

le crepe sono venute alla luce.

 

 

 

 

L’aria si è fatta troppo pesante per il pudding, James decide.

Il suo ingrato ruolo di leader gl’impone d’intervenire.

Duuunque, Pete, amico… ti ho mai raccontato di quella volta con Brittany Willets e il ripostiglio delle scope?”

Chiunque abbia respirato la medesima aria di James Potter per più di mezz’ora ha avuto il privilegio di ascoltare i resoconti delle sue prodezze – qualsivoglia genere di prodezze. Peter non si disturba ad alzare la testa dalla sua colazione.

“Sì, lo hai fatto.”

Una forchetta tintinna più forte del dovuto contro il piatto.

Le risponde il battere brusco di un bicchiere sul tavolo.

James lascia guizzare nervosamente lo sguardo da Sirius a Remus, maledicendo mentalmente l’ingordigia di Peter e il suo ottuso rifiuto per i diversivi.

Non gli resta che cambiare approccio.

“Giusto. Hey, Petey, che ne diresti di accompagnarmi al campo da Quidditch per sbirciare gli allenamenti dei Tassorosso? Hanno quel nuovo portiere che nessuno ha ancora visto in azione, potrebbe essere interessante!”

Peter non ritiene affatto che l’aria sia troppo pesante per il pudding. Sta profondendo tutti i suoi sforzi affinché il messaggio passi forte e chiaro.

“Non capisco perché dovresti preoccupartene. Sei un Cercatore, per di più il migliore della scuola – lo sanno tutti.

Sirius scaglia di malo modo il tovagliolo attraverso il tavolo.

Remus lo raccoglie con uno scatto stizzito.

“Si può sapere dove hai imparato a stare a tavola in questo modo? Credevo che almeno le buone maniere fossero un aspetto positivo del Protocollo Black.”

“Beh, sai com’è, sono pur sempre la pecora bianca della famiglia. Tu dove hai imparato a fare a pugni in quel modo, Lupin? Pensavo che l’essere quello che sei imponesse un controllo più rigido degli impulsi.”

James rabbrividisce nell’uniforme oro e rosso, salvo rammentare il valore di quei colori e il loro significato. Calcia violentemente Peter sotto il tavolo, beccando di striscio un intimidito Longbottom.

“Va bene, Peter, tu ora vieni con me, senza protestare né fare domande stupide che metterebbero tutti in imbarazzo e rovinerebbero i miei sforzi di fingere che qui non stia accadendo nulla e sia tutto perfettamente sano e normale e tranquillo, okay? Mi sono spiegato?”

di metà degli studenti del quinto anno osserva la scena con vivo interesse, insieme a un discreto numero di allievi più piccoli dagli occhi sgranati e impauriti.

Peter Pettigrew batte le palpebre per mezzo minuto, il tempo che gli serve a razionalizzare l’idea di abbandonare la colazione nel piatto. Poi sceglie di scrollare le spalle con aria saggia, e saggiamente stare al gioco.

Metà dei Malandrini batte in ritirata, lasciando i restanti due quarti a fare i conti con la cappa d’iper reazionarietà che avvolge un estremo del tavolo Grifondoro.

“È mosca bianca o pecora nera, Black. Se non sei in grado di citare correttamente un modo di dire babbano faresti meglio ad astenerti dal farlo, considerato anche quanto poco credibile suoni dalla bocca di uno col tuo cognome.”

Sirius sembra accusare fisicamente il colpo, arcuando le spalle e incupendo d’un tono o due.

Perché non la pianti col dramma del mezzosangue bistrattato e affronti il vero problema, eh, Rem? Perché non ammetti una volta per tutte cos’è che ti ha fatto scattare in quel modo, giù alla Stamberga? Che avresti voluto darmi sul serio, mentre eravamo lì, e non hai avuto la forza di…”

Quella di Remus Lupin che attacca briga con un altro studente è una visione cui nessun Grifondoro può dirsi lontanamente abituato. Men che meno se la scena avviene in sala da pranzo, di fronte all’intera scolaresca, e ha per oggetto Sirius Black, fra tutti.

Il sussulto di sorpresa è collettivo, mentre lo spazio tra i due contendenti si riduce al minimo. La cravatta di Black è stretta nel pugno bianco di Lupin, i cui occhi dardeggiano oro.

Mai l’operato degli elfi è stato più indecorosamente trascurato – deliziose colazioni giacciono pressoché intoccate nei piatti da portata. Ma è solo un attimo, durante il quale ogni cosa sembra passare in secondo piano rispetto alla verità dello scontro.

Remus è il primo a ritrarsi, apparentemente svuotato di ogni energie. Nessuno è in grado di notarlo, ma Sirius sa che ha il corpo intero scosso da fremiti, e gli occhi macchiati di luce frustrata.

“Io non ce la faccio.”

È il ringhio rotto con cui il primo attore prende congedo dal suo pubblico.

La scena non ha più modo di continuare, il mantello di Remus che sparisce in fretta oltre la soglia. Parte dell’audience s’interroga sul modo migliore di procedere; i più avveduti emulano Sirius e tornano a concentrarsi sui piatti che hanno innanzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo passato il segno,

dato l’avvio a tutto.

 

 

 

 

Nell’aprire senza invito le cortine del letto, Sirius non è sorpreso di trovare Remus raggomitolato contro il muro, bacchetta alla mano per farsi luce. Gli occorre un secondo in più per realizzare che l’altro sta effettivamente giocando con la punta luminescente, tracciando disegni scomposti nell’aria.

“Paura del buio?”

Remus gli rivolge un sorriso che è più una smorfia.

“Sarebbe stupido per uno come me, no? Ho imparato a controllare gli impulsi.”

La bacchetta oscilla aggraziata, portando con sé la piccola lucciola in cima. Sirius ne segue i movimenti fluidi, suo malgrado rapito.

“Il che si risolve in un colpo di fortuna per te, visto che il mio primo impulso è quello di Cruciarti finché non potrai più reggere il dolore.

È la minaccia soffiata fuori con acredine a strapparlo dal torpore luminoso.

Sirius sbuffa una risata smorzata, per poi lasciarsi scivolare sul bordo del letto. Si è prefisso uno scopo che può essere conseguito solo con la giusta arte e dedizione, rammenta a se stesso, oltre a una certa dose di tattica.

Il fallimento non è contemplato.

“Sai, penso che Prongs sia andato veramente fuori di testa, là sotto. Prima, cioè. Sembrava una donnicciola isterica, e – non hai avuto anche tu l’impressione che stesse picchiando Pete sotto il tavolo con un grosso randello, o roba del genere? Perché io posso quasi giurare che stesse picchiando Pete sotto il tavolo con un grosso randello.

Remus emette un curioso suono nasale che Sirius interpreta come il segnale di passaggio obbligato alla fase due.

“Immagino che nominare la Stamberga davanti a tutti non sia stata proprio una delle mie idee migliori, eh?”

L’altro mette via la bacchetta con un gesto troppo rigido per apparire casuale.

Nella penombra opprimente del baldacchino cala il respiro pesante dell’onere. Turbina con le sue pretese di dialogo e chiarezza, fino a mescersi con la colpa epilettica e volgare, incalzato dall’impazienza della memoria con le mani sui fianchi.

Sirius registra il cambio d’atmosfera rabbrividendo, e massacra la cappa di negatività dal suo centro.

“Fortuna che non c’erano puzzolenti orecchie Serpeverde nei paraggi. Figurarsi cosa farebbe Snivellus se intravedesse la più piccola occasione di ficcare quel suo enorme naso pitocchioso nei nostri affari! Anche se non mi dispiacerebbe darlo in pasto a Moony e fargli ‘ciao-ciao, viscida poltiglia di Snivellus!’ una volta per tutte.”

L’ultimo pensiero sembra intrattenerlo particolarmente, con la sua carica d’innegabile fascino macabro. È certo che l’espressione di Remus, benché forzatamente stoica, nasconda lo stesso irrefrenabile impeto d’approvazione.

“Non offenderti, ma gradirei immensamente vederti andare al diavolo, adesso. Grazie.”

Sirius non ha modo di realizzare che, tempo due secondi netti, si ritroverà scagliato oltre le tende e piuttosto dolorosamente spiaccicato sul pavimento. Finché accade.

Oww, andiamo, Moony! Tu mi hai dato un pugno! Tu mi hai dato un pugno ed io ti ho perdonato!

Uggiola pateticamente all’indirizzo delle coltri ben tirate.

È in uno scatto ferino che la testa di Remus riappare tra le tende, gli occhi ardenti di sdegno e sconcerto.

“Io ti ho dato un pugno perché tu hai cercato di molestarmi mentre non ero cosciente! Sei stato un colossale idiota, e io avevoho talmente tanta ragione che è stupido persino spiegare quanta infinita ragione io abbia!”

Reso ansante dallo sforzo di esprimere con una sintassi corretta il proprio orrore, Remus strattona bruscamente la stoffa per richiudere Padfoot e l’assoluta mancanza di buonsenso fuori dalla sua sfera personale.

Una risoluzione troppo saggia per durare.

Si affaccia nuovamente, sbottando con quanto più astio riesce.

“E poi, permettimi di farti notare che hai davvero un modo contorto di dimostrare la tua clemenza.

È l’Errore. Sirius lo sa, lo legge chiaramente, perché è il panico che si allarga negli occhi del lupo a farglielo capire.

Prende a raspare contro le tende nella sua miglior imitazione di grosso cagnone esagitato.

Quindi è per questo che sei così corrucciato? È perché non pensi che io ti abbia perdonato sul serio? Ow, ma non essere sciocco, Mo-oh-ony! È ovvio che ti ho perdonato, no? Sei il mio compagno peloso!”

Remus sgrana gli occhi e tenta di arretrare, ma è ormai tutto perduto.

“Non è per questo! Non è per questo che ce l’ho con te, Sirius, non – non sono il tuo compagno peloso!”

Rem. Tesoro. Dolcezza.”

Sirius è praticamente di nuovo sul letto, adesso, e in una posizione che chiunque avesse la disgrazia di entrare in questo frangente dalla porta troverebbe traumatizzante in modo irreversibile.

“No! Non è per questo, Sirius, malediz–

“Andiamo. Sai che lo vuoi.

Remus sente il fiato spezzarsi sul fondo della gola. Black è, con la sua sfolgorante stupidità, a meno di un centimetro dal toccargli il naso – una distanza che rende impossibile ignorare lo scintillio di puro entusiasmo nell’argento letale dei suoi occhi. L’odore di pelle e unghie e capelli che si porta dietro invade le narici senza aggredire; il suo peso grava sul piumone senza minaccia. È lì, profondamente innocuo nella sua spavalderia, e sorride come…

Remus storce il naso.

“Non se continui a ghignare in quel modo idiota.

Neanche sembra accorgersi di quanto sorpreso Padfoot sia dalla risposta. Probabilmente perché questi è eccellente nel recuperare.

“Non posso farne a meno, mon Moony. È il mio marchio di fabbrica.

Il bianco di denti curati brilla nell’ombra.

Lupin rotea gli occhi.

“Chiudi la bocca.”

Sirius lo fa. E Remus vi poggia contro la propria, cautamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo dato fuoco alle polveri,

un’abitudine difficile da perdere.

 

 

 

 

È quasi impossibile credere alla pelle, ora che è lì. Che è lì nel modo in cui è nata per essere.

E Sirius è nervoso al punto in cui irrisoria è la distanza dall’odio per se stesso.

Rem… ti prego.”

Qualcosa scorre lungo tutto il suo corpo. Striscia tra le gambe frementi, avvolge l’inguine in tumulto, bacia il fondo dell’addome.

“Non mi fermare.

Anche la sua voce sembra scorrergli addosso, come l’umidità calda della pelle.

Remus è così diverso, sembra – sembra una macchia, sfocata, che tenta di sovrapporsi disperata all’immagine di un tempo. Una che questo letto cancellerà, e che la mente già stenta a richiamare.

Sirius accetta ogni secondo di labbra e di lingua, mentre lunghe dita curiose cercano il senso stesso del piacere proprio lì, fra le sue cosce schiuse, e madide.

“A volte… l’attrazione non è questione di fasi.

La bocca di Remus parla alle sue costole, linee oblique sotto il tessuto fine del fianco.

La bocca di Remus parla alla sua pelle, ma Sirius non riesce ad accettare che sia Moony a guidarla.

“A volte… è dire quel che si vuole...”

Un cozzare brusco di fianchi, e lo shock maggiore di tutti.

Aperto, scavato, discosto.

Come potrà tornare a sentirsi, senza Remus? Essere in grado di tollerare la propria esistenza come monade stravolta.

“… quando lo si vuole.”

Senza la sua pelle nella pelle.

Un urlo muto cade nel tranello del piacere. Le mani di Sirius stringono gli appigli che trovano, mentre il curioso ibrido dei corpi uniti rinuncia alla terra per farsi spazio nel vuoto. Per vincere la gravità con la forza di un desiderio saziato, immenso nella follia della sua unicità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto ciò che ricordo,

tutto ciò che mi torna in mente sei tu,

mentre mi dicevi che c’era stato un incidente.

 

 

 

 

Dev’esserci un posto rosso, fra gli universi. Un posto rosso per tutto il sangue degli uomini che vi affluisce, lasciando indietro corpi come conchiglie lisce e mute. Innaturalmente convesse.

Sirius non sente più il suono del mare.

Pads…”

Il bianco informe che è Remus scuote la calma. Sonno che cede il passo. Sensi nella ronda migratoria di ritorno.

“Come stai?”

È sempre quella, la prima domanda di Moony. Ogni volta che apre gli occhi nel letto dell’infermeria, un pensiero preciso va inevitabilmente a loro. Agli altri. Agli amici che rischiano la vita al suo fianco mese dopo mese, costruendo un debito che Remus sa non riuscirà mai a saldare. 

Sirius non può rispondere. È un compito che tocca a Potter, generalmente, perché Black sarà sempre più impegnato a ghignare come un idiota, e Pettigrew a contemplare con timore crescente le ferite nuove sul corpo del lupo.

Però adesso James non c’è. Neppure Peter.

Ed è una sola la conclusione che Remus, essendo Remus nel modo in cui lo è, può ricavarne.

“Ho fatto del male a qualcuno. Sirius? Guardami.”

Vorrebbe dirgli quanto egoista sia, per sua parte, chiedergli proprio di guardarlo. Potrebbe ordinargli qualunque altra cosa, e Padfoot eseguirebbe ubbidiente. Ma questo, e questa mattina, non è in questione.

“Sono loro. Dimmelo, Sirius. Ho… attaccato Prongs. Wormtail.”

Deve farlo, deve. Perché Remus non è più la sua voce, e nulla ha il senso corretto di una domanda, e solo – Sirius sa che dovrebbe farlo in ogni caso, e quel che perderà non sarà più suo comunque.

Moony è slavato. I capelli sembrano paglia tirata indietro con la forza, ghermita da dita inflessibili e dure come i rami di un Platano.

Sirius non può continuare a guardarlo. Non…

Le braccia, scoperte dalla veste a maniche corte, sono avvolte da più strati di bende. Su di esse vanno allargandosi macchie scure che è impossibile fissare.

Sirius.”

Deglutisce.

Gli occhi di Remus paiono nient’altro che ferite del lupo.

“Li ho uccisi. Li ho morsi? Ora dove sono? Aspettano di scoprire se sono come me…”

Tutto a un tratto la consapevolezza della perdita – di ciò che esattamente gli verrà sottratto, è abbastanza da spingere Sirius oltre il limite.

Sta’ zitto, sta’ zitto! Tu non sai niente! Smettila di parlare!”

È chiaramente uno shock, per l’ambiente che hanno intorno, ma Remus ha l’aria di non farsi mai trovare impreparato. Si aspetta di tutto e tutto può accadergli, perché è il giorno dopo la luna, e la sua bestia si ciba del controllo che l’uomo prova a imporle.

Sirius ingoia vilmente, stringendo nei confini della vista l’immagine di Moony nella sua neve sporca, come un tesoro sfuggente e morboso.

Forse, se rimandasse ancora, potrebbe…

Sirius. Voglio sentirtelo dire.”

… renderlo meno reale?

Deglutisce, sapore acido di lacrime.

Rem.”

Basta così. È tutto ciò che riesce a gemere, il tono strozzato, la gola serrata. Abbassa lo sguardo sulle nocche bianche dei pugni che tiene ben stretti sulle ginocchia, rigidamente accartocciato su se stesso come siede.  

La mano di Moony afferra l’orlo delle lenzuola, contraendosi spasmodica. Una paralisi entusiasta va colonizzando il suo corpo, a partire dal cuore che perde un battito, e un altro, e un altro ancora.

Sirius distende le dita della sinistra, asciugandone il palmo sudato contro il tessuto dei pantaloni spiegazzati. Con la destra si allenta il nodo della cravatta, per poi artigliarsi la gola con odio esausto, senza ferirsi abbastanza.

Rem…”

Due tocchi decisi alla porta gli tagliano le parole fra le labbra.

Sulla soglia, accanto quella immancabile di Madame Pomfrey, stanno due figure curiosamente fuori posto; in contrasto, ciascuna a sua modo, con la sacralità asettica della malattia che l’infermeria impone.

“Molto bene, signor Lupin. Vedo che ha ripreso conoscenza.

Albus Silente sorride gioviale. Sirius sente il sangue defluire pericolosamente dal cervello.

Madame Pomfrey supera frettolosamente l’uscio, avvicinando il paziente fisso con la fronte corrucciata dalla preoccupazione.

“Cielo, povero ragazzo! Dev’essere stata una notte terribile, per te.

Dalla sua posizione semi-distesa, Remus s’immobilizza definitivamente.

Sirius avrebbe voglia di urlare.

L’espressione sgomenta del lupo parla da sola per tutti i presenti. Si riflette nell’accorata preoccupazione della Guaritrice, come nelle mezzelune calate sul naso del Preside. Colpisce i nervi stravolti e il confuso ammasso di colpa crepitante che costituisce il rampollo Black.

Bagna gli occhi torbidi di Severus Snape, spalle curve sulla porta.

Sirius chiude l’incubo oltre la barriera della cecità, come se bastasse a silenziare Moony dalla voce tremante.

“Madame… signor Preside, lui… Severus non dovrebbe… che cosa è successo?”

Un unico sguardo d’intesa lega Poppy Pomfrey a Silente.

Braccia intrecciate morbidamente dietro la schiena, sulla lunga veste verde oceano, l’uomo muove senza fretta verso il letto del malato, evitando ogni occhiata superflua alla figura adombrata di Sirius.

“La invito a restare tranquillo e a non lambiccarsi troppo il cervello, signor Lupin. Ogni cosa ha la sua giusta spiegazione, e sono certo che il signor Black qui presente vorrà…”

I piedi della sedia stridono sulle piastrelle. Sirius scatta all’erta, volto nascosto dalle lunghe ciocche corvine.

Gli occhi di Remus guizzano, rapidi quanto una fuga.

Pads?”

L’animagus ansima, stordito dall’odore persistente di sangue e farmaci, e quello dei suoi stessi capelli.

“Signor Black, la prego di sedersi.”

Non può, non – non ha l’abilità per fare questo, non conta cosa, quanto, vorrebbe scusarsi col Preside, ma non, deve andare via di lì immediatamente.

Sfreccia verso l’uscio, vincendo bruscamente il tentativo di trattenerlo operato da Snivellus.

E lasciami!”

Il Serpeverde è spintonato contro la porta, mentre le proteste di Madame Pomfrey seguono il fulmine nero oltre la soglia. Insieme all’urlo ferito che tormenterà i giorni di Black fino alla fine.

Sirius!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sempre a fingere,

sempre a credere che l’amore sarebbe bastato.

 

 

 

 

Sono settimane che Remus e i suoi occhi non si appartengono più.

Lo hanno notato tutti. Molti, certo, l’indicano diversamente, ma Sirius è convinto di avere la definizione più vera per quello stacco dalla realtà che parte sin dall’apparenza.

Apertamente, Moony ha perdonato. Padfoot per l’egoismo sconcertante delle sue leggerezze; Snape per l’occhiata d’odio che ha accompagnato la sua promessa; Albus Silente per aver lasciato che tutto accadesse sotto il suo naso. È ben lontano dal perdonare se stesso per essere quello che è, o Fenrir Greyback per aver ucciso quello che avrebbe potuto essere; ma si tratta di vecchie colpe che hanno il peso di bagagli sdruciti, cui ci si abitua grazie all’indolenzimento del corpo.

Per questo nuovo dolore, i sensi non vogliono saperne di assopirsi. E tutto il rancore è rivolto contro la debolezza del solo sentimento in grado di tenerlo a galla.

Remus non accetta che il suo amore gli consenta di guardare Sirius negli occhi, ma non possa espandersi fino a smussare il ricordo dell’odio.

Moony.”

Nh?”

Sirius ritrova una volta di più la conferma della sua sensazione. Non c’è alcun modo di fingere che sia tutto normale, sotto quello sguardo orribilmente estraneo.

Odia, odia gli occhi di Remus più di se stesso, perché stanno sul suo viso a rammentargli che cosa ha perso.

Eppure ha bisogno di sentirli addosso. Anche mentre mentono come fanno.

“È davvero stupido da parte mia sperare che tutto possa tornare come prima?”

Remus stringe le labbra, unico segno che offre.

Perché vorresti tornare indietro? Pensaci, Padfoot. Pensaci bene. Tutto questo, e tu hai ancora una chance. L’ennesima prova della tua onnipotenza. Rinunceresti davvero all’unica conferma importante della vita?

Vorrebbe dire, ma trova il modo di tramutare in oro la piattezza bieca della bugia.

“No, Sirius, non lo è. Va già bene. Va meglio ogni giorno che passa.

Andrebbe meglio solo potessi sputare via le ossa del mio amore inutile, e liberarmi del disgusto per il loro sapore.

Vorrebbe dire anche questo, ma non c’è modo di rivestire la sazietà di metalli pregiati.

Ignaro, Sirius assente, fiuta l’aria con un sorriso. Deve solo ignorare l’odore di cenere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tua innocenza mi manca

ogni giorno.

 

 

 

 

Su alla torre d’Astronomia le mura hanno un sapore diverso. Remus ci pensa, fallendo nel trovarvi un briciolo di senso.

L’aria della sera è rarefatta; sgualcita, forata dall’odore degli incontri. Il tempo delle vite si ripiega in involti fitti di emozione, con le pietre polverose e i merli della torre per testimoni. Le notti rubate alla frenesia della routine e agli spettri confusi della guerra si bagnano di una dolcezza disturbante, e tutte culminano lì: negli amplessi donati al vento, e al cielo.

Remus non comprende come la meta di illecite fughe giovanili possieda il potere di farlo sentire tanto adulto.

È del tutto illogico. Quel senso di frugalità puerile la cui presenza parrebbe inevitabile è inspiegabilmente rimpiazzato da un’acuta gravità, pronta a scaraventarlo senza guanti nell’età adulta. Nel mondo che è oltre i cancelli di Hogwarts, col suo sapore amaro e speziato. Frizzante e caldo.

Ma forse è solo l’ombra di Sirius contro la luna a distogliere ogni percezione.

Remus lo guarda, nell’ultima notte prima dell’estate, e una corrente d’amore risanato torna a proteggerlo. Salvifica e benevola, respinge i ricordi di mesi privi di coordinate, derubati d’appigli. Mesi di distanze scavate in seno al contatto.

Ormai non cerca più di toccarlo, Sirius, però va bene così. La loro è una lenta guarigione, retta dai metri che necessariamente li separano anche quando restano da soli. Come adesso – con la sagoma di Padfoot rannicchiata sul davanzale, e la schiena di Remus contro la parete opposta.

“È una buona serata per salutarsi.”

Riemerge appena dagli spessi strati della riflessione nel sentire occhi brillanti puntati addosso.

“Davvero?”

Non gli riesce di tirar fuori altro. Per la prima volta dopo la disillusione più spietata, è nuovamente schiacciato dalla certezza dei sentimenti – plasmati nella bellezza viscerale e profonda, oceanica, del compagno che ha scelto per la vita, e la vita ha scelto per lui.

Sirius è un brandello d’irrinunciabile notte, e dalla notte Remus dipende come estasiato.

“Saranno delle belle vacanze. I Potter mi hanno invitato per qualche giorno, verso la fine di luglio. In caso le cose si facessero troppo pesanti.

Non c’è bisogno di inquisire oltre. Conoscere il traditore della famiglia garantisce uno sguardo privilegiato sui Black; porta a galla gli incubi che mai periscono entro quelle mura di pregio e memorie.

Remus si raddrizza contro il corpo della torre, ma non smette di sorridere.

“Mi fa piacere.

La nota stonata però è lì, in agguato. Sirius non permette che gli sfugga, tentenna.

“Saresti potuto venire anche tu, solo… con la luna, e tutto il resto…”

E tutto il resto.

Gli angoli della bocca si arcuano nervosi.

Come fare l’amore con te nella stanza comune, e soffocare i gemiti con i drappi del letto. 

“Già, certo, lo so. Non preoccupatevi, starò benissimo.

Sirius arriccia il naso, insoddisfatto, ma non muove un passo per sbugiardarlo. Remus osserva che, tempo addietro, sarebbe stato lanciato giù dalla torre come punizione per aver mentito – di fatto, tempo addietro non c’erano barriere di rimorso a frenare l’irruenza. 

“Ti porterò un regalo. Qualcosa dalla Cornovaglia, dove sta lo zio di Prongs. Magari una cornamusa! Scommetto che ti piacerebbe imparare a suonare una di quelle. Sempre che tu non sappia già farlo.”

L’entusiasmo sale ingenuo in un crescendo, commuovendo Remus fino alla dura roccia che lo sostiene.

“Dubito che troverai una sola cornamusa in Cornovaglia, Padfoot. Ma in caso passassi per la Scozia sappi che accetterei di buon grado un kilt.

“Come? Niente cornamuse? Credevo si chiamasse Cornovaglia per questo!”

Il cucciolo ha sul viso un tale stupore tradito che la nostalgia dei suoi occhi inizia a prendere forma, meschina e in anticipo. Remus può inspirarla, distinguerla come nota piccata nella cappa pesante che oscura la torre.

Quel diventare adulti, perdendo qualcosa lungo la strada.

“Pensa solo a goderti le vacanze, d’accordo?”

Capitola infine, e Sirius annuisce vigoroso. Il suo profilo taglia la luna in caselle aristocratiche, mentre contempla il cielo che pare invitarlo e ripete, in un sussurro:

“Sarà una bella estate.”

La gravità delle pietre non sembra più tanto pressante. Nelle ferite d’ombra, labbra giovani si spiegano sotto il firmamento, le une all’altre estranee, ma complici; e tutte per sbaglio sfiorano il futuro cui le ore del giorno le avvicinano, ammantate da spessi strati d’incoscienza che le preserveranno, per una notte ancora.

Remus si premura di rispondere al sorriso.

Splendida, come la sua stella, l’innocenza di Sirius brilla per gli ultimi istanti.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

_ * _



Per chiarire:

- sì, l'autrice matta di (Or) The Tempest è tornata, straripante di gratitudine per i suoi lettori <3. Però, sarà meglio che vi avverta: se state cercando ancora quel genere di storia allora fareste meglio ad uscire dalla pagine. (But) The Act è un fosco flashback dove i picchi d'umorismo sono affidati quasi esclusivamente a Prongs xD e sono peraltro molto sporadici. Qui mi sono cimentata nel fare le cose seriamente. Oh-oh, paura.
- gli stralci colorati vengono da una canzone cui sono molto legata, tradotta in italiano. Si chiama 'Always The Pretenders', e a cantarla sono gli Europe. Ecco la componente song-fic della storia. =)
- qualunque commento, positivo o negativo che sia, è più che ben accetto ^O^/. Se desiderate ulteriori chiarimenti o avete qualche domanda: sarei deliziata di rispondervi. *-*


Grazie di cuore alle meravigliose lettrici di (Or) The Tempest e alla fair lady che mi ha iniziata al fandom. <3 Shjtem <- cacofonico monosillabo che i francesi interpretano come dichiarazione d'amore xD.

A presto, spero, col prossimo capitolo! ^O^
Previsti: altri 2. ù__ù
  
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