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Autore: Enchalott    10/07/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rivalità
 
La dea della Montagna rigirò tra le dita una ciocca mogano, assecondando la piega spontanea dei riccioli. La appuntò e sorrise alla propria immagine riflessa: non per vanità, bensì per il traguardo. Una goccia nel mare ma un passo avanti.
«Sei compiaciuta da te stessa, Valarde?»
La voce aspra proveniente dalla superficie riflettente era venata di contrarietà. Lo specchio restituì la figura di un uomo attraente, il volto incorniciato da una chioma fulva raccolta in una coda e trattenuta da uno spillone d’oro rosso. Le labbra piene erano piegate in un sorriso di scherno, le iridi bronzee luccicavano d’irritazione.
«Per tutte le ere, Belker! Mettiti qualcosa addosso!»
«Sono talmente seccato che sono venuto come mi trovavo!»
«Oh, figuriamoci! E poi non sei davvero qui, risparmiami la sceneggiata!»
Il dio della Battaglia sollevò una mano con indolenza e materializzò sul proprio corpo una casacca nera bordata d’argento e un paio di aderenti pantaloni in tinta. Il fisico perfetto era evidenziato da una cintura di pelle con borchie di madreperla.
«Soddisfatta?»
«La collana di teschi è banale. Il chae si sta raffreddando, non vuoi accedere al pantheon per gustarlo in mia compagnia?»
Belker si accomodò sul seggio guarnito di pellicce, ostentando un calice d’oro.
«Scusa se l’invito non mi alletta. L’acqua bollita è poco virile.»
«Anche nascondersi.»
Lui abbassò il bicchiere e il sorriso irriverente si spense.
«Nascondermi? Qualcuno mi sta cercando?»
Valarde gli scoccò un’occhiataccia, poco propensa a protrarre la farsa.
«Sono stanca di parlare di responsabilità ai presuntuosi. Ogni tanto un Superiore decide di collocarsi al di là di ogni regola, si arroga il diritto di perseguitare i mortali o di sfidare i suoi pari, per poi rimanere vittima del suo ego. Non serve rammentartelo, Belker. Quanto stai compiendo è agghiacciante. Qualunque sia il tuo fine, rinuncia! Non è troppo tardi! Ti aiuterò!»
«Preferisco attendere il leale due a uno che il celeste Kalemi mi ha scatenato contro! Non necessito d’assistenza morale, voglio vivere come signore della guerra, non come un volgare lacchè. Puoi biasimarmi? Per di più non rilevo tutta questa infelicità. I Khai sono fieri di servire la mia causa!»
«Pedine inconsapevoli! Se conoscessero la verità, smetterebbero di seguirti.»
«Combattere è nella loro natura. Deduco sia per quest’idea stramba che hai lasciato credere al mio sommo officiante che la triplice eclissi abbia un significato funesto. Ti sei intrufolata nel mio tempio e sei riuscita a far vaticinare quella sgualdrina priva di chiaroveggenza! Applausi!»
«Cause di forza maggiore. Il principe Rhenn non frequenta i miei luoghi di culto.»
Belker inarcò un sopracciglio e replicò con altrettanto sarcasmo.
«Dimenticavo che a Mardan la devozione a te riservata è marginale. Solo la feccia, gli schiavi e le donnicciole implorano la tua benevolenza.»
«Anche gli umili hanno un’anima da confortare. Inoltre l’eclissi è nefasta, persino per te che miri a gloriartene. Non ricordi il giuramento di Kushan?»
Il dio della Battaglia si alzò inferocito.
«Parole vane e dimenticate! Neppure i Khai lo ricordano!»
La dea della Montagna si aggiustò lo scialle ricamato a ortensie lilla e gli puntò contro la spazzola, certa di aver colto il bersaglio.
«Se ne sei convinto, perché ti alteri?»
Lui incrociò le braccia sul petto. La piuma di fenice sulla fronte virò all’arancio vivido.
«Inoltre» riprese Valarde, ignorando la pessima avvisaglia «Se la sacerdotessa di Mardan è un’attrice bugiarda, l’erede al trono ha inteso la divinazione senza che nessuno la decifrasse. Come te lo spieghi?»
Belker sostò nella posa bellicosa, ma la mente non mancò di elaborare il riscontro.
«E allora? Non è detto che nelle sue vene scorra il sangue di Kushan e, se anche fosse, la cosa non mi turberebbe. Se si rivelasse una spina nel fianco, non esiterei a liberarmene.»
«Ah sì? E chi porterebbe avanti l’alleanza millenaria con il popolo demoniaco? Mi risulta che sua moglie non riesca a rimanere incinta.»
«C’è il tuo zampino!?»
«Io concedo fertilità e prole, non il contrario!»
Lui assottigliò le palpebre, le iridi di brunite scintillarono ostili tra le ciglia scure.
«Ha un fratello, no?»
«Scellerato, non ti permetterò di giocare all’imperatore del mondo! Porrò i Khai e la famiglia reale sotto la mia protezione! Se ti ostinerai a bucare lo spazio-tempo con i prasma, non intercederò quando l’eccelso Kalemi ti giudicherà!»
«Non vedo perché dovresti.»
«Ti rinfresco la memoria, ragazzino! Azalee ti ama! Non esiste nulla di più lontano da me che renderla infelice! Ci hai già pensato tu!»
Il dio della Battaglia rimase impietrito. Ogni baldanza svanì. Persino il segno di fuoco si estinse. Al tocco sul nervo scoperto, l’insulto passò in secondo piano.
«Vattene, Belker» sospirò Valarde «Non ho più niente da dirti.»
Lo specchio tornò a riflettere il suo volto dalla pelle bruna.
 

 
Immerso nel silenzio notturno, Rhenn si sciacquò sotto il getto che scaturiva dalla pietra. Nonostante l’abluzione, gli sembrò di percepire odore d’incenso. Aggrottò la fronte, disturbato dagli strascichi dell’episodio: rimuginare era segno di debolezza. Si passò le mani tra i capelli fradici, che aderivano alla schiena sino a sfiorare il segno a coda di rondine posto sull’osso sacro.
La schiuma scivolò sul piatto di roccia vorticando nello scarico. Appoggiò le mani alla parete scabra e si lascò investire dallo spruzzo tiepido, come se fosse in grado di trascinare via la giornata campale.
«Che fai, non vieni?»
La voce impaziente di Mahati lo richiamò. Lasciò la nicchia e si diresse alla piscina, nella quale il fratello era sprofondato. Scese i gradini e chiuse gli occhi nel liquido trasparente. La figura dell’eclissi tornò a occupargli la mente.
«Sembri reduce da una campagna decennale» ironizzò il secondogenito «E dire che sono io a gestire la guerra nell’Irravin. Nostro padre è scontento? O esiste qualcosa in grado di preoccuparti?»
Rhenn rispose con uno sbuffo minimizzante.
«Hai dimenticato di chiedere se mia moglie è tanto focosa da privarmi delle energie.»
«Sarebbe una novità. Forse per te lo è la mia?»
Il maggiore gli lanciò un’occhiata gelida.
«Perché non me lo dici tu? Le guardie reali erano tutte al loro posto, i miei pensieri convogliano in un’unica direzione.»
«Non spostare il discorso. Perché l’hai aiutata, perché sul suo braccio c’erano i segni delle tue mani?»
Rhenn inalò l’aria e allungò le gambe al bordo opposto.
«Sono intervenuto a tuo favore. Non sei obbligato a ringraziarmi, ma risparmiami il terzo grado. A conti fatti il tuo nome non è compromesso, la ragazza si è guadagnata la fedeltà di una nisenshi e non ho decapitato Solea con l’accusa di averla scortata al quartiere contravvenendo ai tuoi ordini. In una sola mossa.»
«Io non ho ordinato un bel niente. Yozora può andare dove le pare.»
Il primogenito spalancò gli occhi.
«Non dirmi che ti ho sottovalutato» sogghignò «Hai scelto una concubina per creare le condizioni atte a eliminare la tua fidanzatina, sperando che reagisse scatenando un putiferio che le si sarebbe ritorto contro. Mi inchino allo stratega supremo!»
«Tu e la tua filosofia contorta! Non mi è neppure passato per l’anticamera del cervello! Soddisfa la mia curiosità, anziché lavorare di fantasia!»
L’Ojikumaar alzò le spalle.
«Rimango della mia idea. Quanto al resto, l’ho scortata alle tue stanze per impedirle di creare ulteriori problemi. Era lenta, le ho dato un incentivo.»
«Avresti potuto incaricare chiunque.»
«Non avevo voglia di sorbirmi il sermone di nostro padre e per qualche assurda ragione si fida di me.»
«Troppo» giudicò asciutto Mahati «Tanto da difenderti anche se le hai messo le mani addosso. Di solito chi nutre fiducia nei tuoi riguardi commette un errore madornale, Rhenn.»
L’erede al trono rimase di sale. Era abituato alle frecciate del fratello, se ne scambiavano in continuazione, ma quella riuscì a urtarlo. Ripensò alla sequenza rapida di lui che strattonava la ragazza sul camminamento di ronda, al dialogo concitato, al suo improvviso mancamento. Alla sua pelle fresca contro il thyr, alla stretta più forte dell’intenzione, al confronto incontrollato posto dal suo inconscio sui piatti della bilancia, alla collera che si era portato sino alla torre ovest, per poi sentirsi tacciare…
Eh no, per tutti gli dei!
«Dall’espressione basita desumo che tu non abbia agito con dolo» proseguì il minore «E che non ti sia sollazzato con lei.»
Il principe della corona troncò il viaggio mentale quando la rabbia montò sullo scalino più alto del podio.
«Hai la sabbia nel cranio!? Non ho attentato alla presunta virtù della tua promessa sposa! Cosa ti fa pensare che m’interessi?»
Mahati sorrise, lieto che la provocazione fosse andata a segno.
«Mh, il fatto che ti chiami per nome senza onorifico, che non abbia paura di te o che tu eluda una semplice domanda. Per non parlare della tua stranezza odierna.»
«Ha detto che sono più dotato di te nell’accoppiamento per farti vomitare un simile livore?» sbraitò Rhenn «Non trovo altra spiegazione, rifiuto di credere che tu sia geloso! Se mi manca di rispetto, ti autorizzo a darle una lezione!»
Il Šarkumaar lasciò cadere la discussione. Il fratello non stava mentendo a giudicare dall’ira con cui si era espresso: con probabilità gli eventi riguardanti Yozora e l’atteggiamento inconsueto non erano collegati.
«Geloso? Non insultarmi! Accerto che le tue non siano frottole, mi seccherebbe godermi i tuoi avanzi truccati da piatto di portata.»
Rhenn posò la coppa con più enfasi del voluto. Il vino corse lungo le fessure di roccia.
«Non l’hai ancora reclamata!?» eruppe.
Mahati fissò il liquido rubino che andava confondendosi con il pavimento.
«È una precisa scelta.»
«Come no! Ti sei anche bevuto un infuso per tenere a freno l’istinto maschile?»
Il Kharnot raddrizzò il calice, maledicendosi per essersi infilato nel vicolo che avrebbe voluto evitare.
«Mi ha sfidato.»
L’erede al trono strabuzzò gli occhi e si sforzò di non scoppiare a ridere: istigare un Khai era un rischio, ma anche il metodo migliore per farsi ascoltare e la ragazzina lo aveva compreso.
Bella mossa per essere una mocciosa creatrice di imprevisti.
«Spada, bastone o corsa con i vradak
«Cena a due.»
Rhenn iniziò a tossire e fu certo soffocare per il vino andato di traverso.
Cena!? Per tutti gli dei! Cos’è, la gara a chi mangia di più!?
«Gradirei morire in battaglia, non nella vasca» borbottò «Dimmi che è uno scherzo volto a saggiare le mie capacità d’apnea.»
«Per niente.»
Mahati si appoggiò al bordo levigato della piscina, tenendolo di proposito sulle spine.
 
«Vorreste impedirmelo?»
«Sì!»
Inchiodata dal suo sguardo penetrante, Yozora era divenuta paonazza, ma non aveva abbassato le ciglia. Il suo sangue di giovane uomo aveva iniziato a circolare rapido, obbedendo all’impulso scatenato dall’improbabile consenso.
«Avete cambiato idea? Vi darete a me stanotte?»
«N-no. Nel tempo che mi avete concesso vorrei conoscervi. Le nozze ci obbligano al rapporto carnale, come vi ho promesso non lo rifiuterò. Però desidero che non sia solo questo. Non so come si impronti la relazione tra due sposi khai, spero che la mia pretesa non vi sia d’oltraggio.»
Lui aveva ricacciato l’indole in un recesso.
«È un quesito legittimo. Un uomo e una donna che si scelgono hanno modo di intendersi anche quando non condividono il piacere fisico. Il contrario sarebbe riduttivo, ci classificherebbe a livello bestiale. Non vedo perché non possa verificarsi affiatamento reciproco anche in un matrimonio combinato come il nostro.»
Lei si era illuminata, ma lui aveva stroncato l’entusiasmo.
«Ciò non mi impedisce di esercitare i miei diritti, finché vi negate.»
Il sorriso di lei si era spento, tuttavia non era stata una dichiarazione di resa.
«Esistono attività gradevoli da svolgere fuori dal talamo.»
Mahati non era riuscito a trattenere un sogghigno, apprezzando però il tentativo.
«Dubito possano coinvolgervi.»
«Perché?»
«Non combattete, avete il terrore di volare e le sfide che stimolano un Khai non fanno per voi.»
Yozora si era appoggiata un dito alla guancia. Sul viso si era diffusa la disillusione, ma la testa si era rifiutata di capitolare all’evidenza.
«Vi propongo una prova alla maniera salki.»
«Sarebbe?»
«Per sette sere cenerete con me, rinunciando a sedurre le vostre nisenshi. Potremo conversare e spero apprezzarci. Se lo troverete soddisfacente, continueremo fino alla notte in cui mi giudicherete pronta oppure inadatta a ciò che mi chiedete.»
Aveva ascoltato l’idea stramba: nessuno a Mardan l’avrebbe considerata una sfida degna di un guerriero. Se fosse trapelata, sarebbe divenuto lo zimbello del regno. Poi aveva riflettuto: era la singolarità a complicare la posta in gioco.
«Qual è l’ostacolo? L’astinenza forzata o ascoltare le vostre chiacchiere durante il pasto serale?»
«Scegliete quella che vi risulta più ardua.»
Il principe aveva pensato che la combinazione sarebbe risultata più che sufficiente a metterlo a dura prova.
«E se risultasse un supplizio?»
«Sarei costretta a permettervi di esercitare la vostra tradizione.»
Alla dichiarazione spassionata, Mahati l’aveva osservata e ne aveva ricavato una ferrea persuasione: in caso di fallimento, avrebbe studiato un altro sistema per impedirgli un’azione che riteneva aberrante. A costo di forzarsi tra le sue braccia.
«Potrei lasciarvi credere che dorma da solo e agire all’opposto.»
«Non ho motivo per dubitare di voi e non voglio comportarmi da padrona nei vostri appartamenti. È giusto che rimaniate qui.»
Si era stupito. Le stanze erano ampie, ma sarebbero vissuti a stretto contatto. Senza contare che il letto era uno. Si era domandato se fosse un sistema per verificare la sua rettitudine senza esprimere irriverenti sospetti.
«Questo vi tranquillizzerebbe finché sono a palazzo» aveva obiettato con una punta di sarcasmo «Sul campo non potete controllarmi.»
«Oh, in effetti ho pensato che in guerra si pensasse alla guerra. La mia inesperienza è imperdonabile.»
Se lo era, in quel momento non gli era parso affatto. Si era sentito preso al laccio come un idiota. Aveva persino colto l’ombra di un sorriso sulle sue labbra. Senza attendere alcuna replica, la principessa gli aveva porto la mano.
«Yakuwa. Crederò alla vostra parola d’onore.»
Lui l’aveva stretta divertito, pensando che sarebbe stato istruttivo saggiare la propria resistenza. Avrebbe fatto di tutto per non sposarla, ma se lo avesse intrigato non avrebbe disdegnato le sue grazie.
«Giuro» aveva ribattuto in lingua salki.
Toccarsi era stato strano, sebbene il primo contatto fosse già avvenuto con la medicazione. Ma quella l’aveva praticata in preda ai fumi dell’ira e non gli aveva fornito l’adrenalina di quel momento.
 
Rhenn ascoltò il racconto inverosimile.
«Ottimo» commentò «Ha architettato il sistema per costringerti a tenere addosso i vestiti senza che strappi i suoi. Io l’avrei mandata all’inferno.»
«Non direi» ribatté Mahati serafico «E prima che ti lanci in una risentita autodifesa o che mi tratti da imbecille, ti rammento che hai stretto due volte la sua mano. Una più di me.»
L’Ojikumaar rinunciò al contradditorio e prese atto della situazione.
«Facciamo a chi arriva a tre» sogghignò «Poi stabiliamo se si tratta di stupidità, di masochismo o dell’insaziabile tendenza khai a superare i limiti.»
Mahati sorrise di rimando, ma il calore non raggiunse gli occhi. La battuta non era che l’ennesimo incitamento alla competizione, che tra loro durava da quando erano in grado di intendere e volere. Rhenn detestava perdere tanto quanto lui.
«Facciamo che tu rimani nel solco della convenienza, restringendo l’interazione al compito che hai assunto. Dovrebbe essere sufficiente a soddisfare sia la tua indiscrezione sia il tuo spirito d’iniziativa.»
«Forse» restituì il primogenito «Con una moglie così non rischi di cadere nella monotonia e, se si rivelasse audace tra le coltri, diverrei invidioso.»
«Piantala con l’umorismo spicciolo.»
«Dico sul serio! Sono quasi dispiaciuto che nostro padre abbia abolito l’aikaharr
Il principe della corona si pentì dell’affermazione un millesimo dopo che gli era uscita dalla bocca. Un millesimo di troppo.
Il Šarkumaar abbassò il calice con terribile calma e confisse gli occhi nei suoi: un crogiolo di furia inestinguibile sul viso, che aveva perso l’incarnato olivastro. Si alzò, i muscoli contratti scolpivano il corpo atletico, pronto a scattare, a colpire senza pietà. Le gocce d’acqua in discesa sfavillarono sulla pelle e sulle curve sinuose del thyr, le iridi chiare al lucore delle fiaccole assunsero una spaventosa sfumatura di granato. Il sangue trasudò dai pugni serrati, ove gli artigli erano penetrati a fondo nella carne. Si stava procurando dolore per frenarsi, sapeva che attaccare avrebbe comportato la morte di uno di loro. Serrò le labbra sulle zanne e inspirò per placare il respiro.
Rhenn si levò a sua volta, fissandolo senza remore.
«Quando vuoi.»
Mahati avanzò: stille di sangue rovente caddero nell’acqua, disperdendosi come nebbia al sole. Allentò la morsa e si concentrò sul bruciore che avvertiva ai palmi, affinché la rabbia non cancellasse del tutto la razionalità.
«Il cinismo è lo schermo adatto a occultare la tua anima vile, Rhenn. Se l’aikaharr ti è indispensabile, puoi ripristinarlo quando sarai re. Sempre che io rinunci al trono.»
Abbandonò la stanza in silenzio, lasciandosi alle spalle una scia di gocce vermiglie.
 

 
Il cielo di Seera era scolpito nel cristallo, azzurro intenso e gelato, privo di nubi.
Hyrma ne indagò la profondità, come se il varco che aveva inghiottito la sorella fosse distinguibile dalle mura spaccate della città. Nel cuore la timorosa speranza di veder planare sulla reggia il vradak del principe ereditario, nella mente la mera disillusione. Non sarebbe accaduto, erano trascorsi pochi giorni, inoltre nessuno dei Khai aveva mai condotto lì la propria sposa e Yozora non avrebbe fatto eccezione.
Due mani premurose le appoggiarono sulle spalle un mantello di pelliccia. Lo accolse insieme con l’amorevole stretta.
«Prenderai un malanno.»
Gli occhi verdi di Hoshi erano intrisi di dolcezza e apprensione. Si voltò e lasciò che le loro labbra si incontrassero con delicata intensità.
Il generale ne assimilò il sapore salato. Aveva pianto da sola, per non turbare l’animo del re e per non dare a lui un peso. Le accarezzò il viso, pallido tra i riccioli dorati, in un muto rimprovero.
«Non guardarmi così. Avevo bisogno di un po’ d’aria.»
«Mi sento responsabile.»
Hyrma gli sfiorò il braccio fasciato.
«Non hai colpa, eri pronto a sacrificarti.»
«Se la ferita non fosse stata invalidante, non avrei permesso a Rhenn di prenderla.»
«E saresti morto. Ringrazio gli dei, perché il tuo braccio e la tua vita sono salvi. Ho creduto di averti perso per sempre nell’ultima battaglia.»
Hoshi non poté fare a meno di domandarsi se le preghiere comportassero un prezzo una volta esaudite. In tal caso, l’assenza di Yozora sarebbe stata imputabile a lui. Lo ripeté ad alta voce.
«Mia sorella non ti perdonerebbe!» lo rimproverò Hyrma «Non puoi pensarlo!»
«Nemmeno tu. Se venisse a sapere che trascorri il tempo a piangere, ne soffrirebbe. Il suo atto eroico perderebbe la finalità di saperti felice.»
Lei assentì, rannicchiandosi contro di lui.
«Rientriamo, stai tremando.»
Lei sollevò il viso e le sue guance si colorirono. Trasse dalla manica una lettera sigillata con la ceralacca argentata della famiglia reale.
«Vorrei farla avere a mia sorella, ma non ho il coraggio di rivolgermi ai Khai.»
«Qualcuno di loro comprende la nostra lingua, ma dubito sia disposto a trasportare la corrispondenza.»
Hyrma intristì. Hoshi la guardò stringere la busta come se fosse la cosa più preziosa al mondo e fu come ricevere un colpo di pugnale.
«Dalla a me, parlerò con un reikan. Non hanno espresso divieto e, se vorranno verificare il contenuto, constateranno che non è sospetto.»
La principessa gli gettò le braccia al collo e lui sorrise con imbarazzo.
«È perché ci sposiamo?» sussurrò.
«Sì. Vorrei che quel giorno, in qualche modo, mia sorella fosse con noi.»
 
   
 
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