Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
Segui la storia  |      
Autore: Aespa4    14/07/2021    0 recensioni
Hello ^_^ questa è la prima fanfiction che scrivo quindi aiuto XD mi sono venute in mente mille idee diverse che ho voluto mettere insieme nella stessa storia, penso sia stata una poor life choice. Also vorrei mettere varie storie di ship diverse e con personaggi da varie parti, spero di farcela (and then she didn't). Principalmente la storia si svolge in uno scenario alla Downton Abbey però prima di arrivare a quella parte c'è una storia sul personaggio principale (Kakyoin) che serve per arrivare poi a dove devo arrivare? beh tutto chiaro no?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“If only for a second, let me have you
Tell me all your secrets, let me know you” 
 
Kakyoin era sdraiato sul letto e stava fissando le crepe e le macchie d’umidità sul soffitto della sua camera. Ansimava ed era a corto di fiato, il cuore gli stava battendo forte e il sangue gli pulsava nelle orecchie. Sentiva i lunghi capelli mossi color ciliegia sudati e appiccicati alla schiena e alla faccia e la pelle delle guance che gli andava a fuoco. Chiuse gli occhi per riprendersi e cercare di scordare tutto quello che era successo, l’ennesimo umiliante incontro che aveva avuto con l’ennesimo cliente che lo aveva preso con violenza finché non si era ritenuto soddisfatto e poi se ne era andato senza dire niente. Era una caldissima giornata di giugno e la piccola stanza era intrisa di aria umida che si infiltrava senza pietà dalla finestra semichiusa. Cercò di convincersi ad alzarsi e pulirsi almeno di quel sudore dolciastro e del nauseabondo odore di colonia scadente che gli aveva lasciato addosso quell’uomo ovunque lo avesse toccato. Ogni volta era uguale alla precedente e ogni volta quando Kakyoin rimaneva poi solo con sé stesso, abbandonato nudo sul suo letto sentiva una sensazione di vuoto e tristezza immensa che sembrava stargli sempre addosso come una cappa scura e invisibile. Lacrime calde iniziarono a scendergli dagli occhi per poi cadere sulle lenzuola sporche, bruciandogli le guance già rosse. Cercò di trattenersi dal piangere, ma gli risultò inutile e ottenne solo il risultato opposto, il suo corpo stanco non riuscì a supportare la sua mente provata e spezzata e nel giro di pochi secondi si ritrovò a singhiozzare disperatamente contro il cuscino. Una volta, non si ricordava quando esattamente, aveva letto in un giornale che la depressione era chiamata “il cane nero” e ricordava una canzone alla radio che diceva “There's a black dog on my shoulder again, licking my neck and saying she's my friend”.
 
Amico. Una parola che non aveva mai usato nella sua vita. Ma poi, chi avrebbe voluto essere suo amico? Non aveva niente da offrire. Era nato solo, figlio non richiesto e non voluto di una famiglia povera che lo aveva portato presto in un orfanotrofio dove aveva vissuto per la maggior parte della sua vita, sperando ogni giorno di uscire e venire scelto da genitori amorevoli e generosi che lo avrebbero accettato e amato per quello che era. Quando compì diciotto anni lasciò quel posto per sempre e cercò di rendersi indipendente, sperava di trovare un lavoro e un posto anche molto umile in cui vivere e di essere finalmente felice, ma la realtà lo fece tornare con i piedi per terra e nel giro di qualche mese si ritrovò a vivere per strada affamato e senza soldi che girovagava per le strade sudice in cerca della carità di qualche sconosciuto. Un giorno mentre era seduto in un vicolo per ripararsi dal vento gelido di novembre vide avvicinarsi una figura scura, un uomo che gli porse una mano avvolta in un guanto di pelle nera e promettergli un lavoro e un posto dove stare. Kakyoin si ricordava ancora il momento in cui aveva alzato gli occhi verso l’uomo e una paura primordiale si era fatta strada dentro il suo cuore, quell’istinto primitivo della preda che realizzava di essere sotto scacco di un predatore. La persona davanti a lui sembrava nobile o comunque qualcuno che teneva molto all’apparenza, aveva i capelli biondi pettinati all’indietro, occhi neri e zigomi alti e taglienti. Indossava quello che sembrava essere un completo da uomo color lilla con un gilet verde e una cravatta con disegni simili a teschi e con quel look sembrava proprio qualcuno che non sarebbe passato inosservato camminando per strada. Ma la paura che si era infiltrate lentamente in Kakyoin gelandogli il sangue nelle vene e facendolo quasi tremare era nata dal suo sguardo. Gli occhi erano dello stesso nero dell’abisso, pozzi senza anima di oscurità che lo stavano perforando e lo avevano lasciato privo di difese, lo stesso sguardo del ricercatore con le sue cavie, senza compassione né empatia umana. In contrasto con esso, la voce di quella persona era calda e pacata, con una musicalità ipnotica mentre gli parlava con educazione e rispetto. Disse di essere il proprietario di un negozio su Morioh Street e che cercava ragazzi da aiutare e portare via dalla strada. In un momento della conversazione Kakyoin si era ritrovato a seguire quell’uomo senza rendersene conto fino al negozio del quale aveva parlato.
Così era caduto nella trappola di Yoshikage Kira e ora lavorava come prostituta nel suo bordello per uomini.
Sebbene non li potesse considerare amici, la sola consolazione nella sua nuova vita era aver conosciuto gli altri ragazzi che lavoravano in quel posto, alcuni di loro erano ragazzini che avrebbero presto scoperto le crudeltà del mondo, altri erano più grandi, giovani di vent’anni che si comportavano da fratelli maggiori e cercavano di prendersi cura dei più piccoli, insegnandolo loro il comportamento e gli atteggiamenti da avere nei confronti dei clienti e del loro capo, ma nonostante cure e attenzioni non era raro che essi, troppo innocenti e ignari di quello che succedeva in posti del genere, dopo avere avuto una prima volta violenta e dolorosa, decidevano di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra e impiccarsi nella propria camera. Questi avvenimenti facevano solo arrabbiare Kira che si trovava poi le incombenze di disfarsi dei cadaveri e trovare altri ragazzi con cui sostituirli. Molte volte si era arrabbiato e aveva preso a calci gli altri ragazzi che piangevano la perdita dei loro amici
Ricordare il suo passato aveva disturbato ancora di più Kakyoin e con gli occhi gonfi dal pianto aveva cercato di addormentarsi per ricacciare tutti quei ricordi in fondo alla memoria sapendo che sarebbero riaffiorati di nuovo, costantemente, un cane nero sulla spalla che non lo lasciava stare. Scesa la sera venne svegliato da un bussare alla porta. Si svegliò confuso dalla dormita, ma molto più riposato di prima e andò ad aprire alla porta pensando a chi potesse essere questa volta. Il ragazzo che si trovò davanti lo fissava attentamente e dopo pochi secondi gli chiese se potesse entrare. Noriaki si era momentaneamente dimenticato della prassi da usare con i clienti e si ritrovò ad annuire senza dire niente e farsi da parte. Una volta dentro il ragazzo si mise a osservare la stanza con la stessa attenzione con cui lo aveva squadrato poco prima, poi si avvicinò alla finestra e guardò fuori nel vicolo sottostante. Sembrava molto curioso di quello che poteva succedere fuori piuttosto che di quello che poteva offrirgli Kakyoin. Ricordandosi le maniere da usare con i nuovi clienti, Kakyoin si inchinò al giovane appena entrato, “Master, desiderate qualcosa da bere?”
Ora, la parola “master” doveva aver avuto un effetto irritante sul nuovo visitatore che sospirò esasperato continuando a guardare fuori dalla finestra.
“Per favore non usare quella parola” si voltò poi verso Kakyoin per vedere se il suo messaggio era stato percepito.
“Oh, mi dispiace di averla insultata, mio signore” Kakyoin si inchinò di nuovo, pensando che forse quella dicitura fosse troppo irrispettosa verso il ragazzo. La parola di solito era apprezzata da quegli uomini che si crogiolavano di avere del potere su creature deboli e indifese come i ragazzini giovani del bordello e sapevano che ogni loro schiaffo o calcio non avrebbe avuto ripercussione. Ora che aveva avuto modo di osservarlo un po’ di più aveva notato che doveva essere di qualche anno più giovane di lui, con capelli color biondo fragola che ricadevano a ciocche davanti agli occhi, un completo verde scuro abbinato a scarpe e cravatta viola. Sembrava nervoso o in ansia per qualcosa e continuava a guardare fuori come se stesse aspettando qualcuno.
Evidentemente neanche il termine signore era stato di suo gradimento, infatti il ragazzo si girò di nuovo verso di lui sempre più innervosito “Neanche signore né qualche altra cavolata del genere. Chiamami Fugo”.
 
 
Pannacotta Fugo divenne un cliente abituale per Kakyoin, ogni sera quando arrivava la notte sentiva il suo caratteristico bussare alla porta e apriva sapendo già come si sarebbe svolta la serata. Il ragazzo dopo essere entrato e averlo salutato si dirigeva alla finestra e iniziava a guardare fuori come sempre. La prima sera gli aveva chiesto di fare una telefonata col telefono della sua stanza e, pur non volendo origliare, Kakyoin lo aveva sentito fare qualche nome e probabilmente ricevere istruzioni su quello che doveva osservare. Poi si sedeva sulla logora poltrona di velluto rosso accanto alla finestra e rimaneva attento come un gatto e in rigoroso silenzio. Vedendolo così Kakyoin cercava di non fiatare e rimaneva a sua volta immobile sul suo letto a osservarlo in attesa di qualche novità. Ogni sera ad un certo momento lo vedeva poi fare una seconda telefonata con il resoconto di quello che era successo e finito di parlare si buttava sul letto e si accendeva una sigaretta. Dopo la prima settimana, mentre si stava rilassando aveva improvvisamente detto “Mi dispiace disturbarti, ma d’ora in poi pagherò per rimanere tutta la notte”.
Questa situazione era alquanto bizzarra per Kakyoin che aveva quasi l’impressione che il ragazzo fosse ignaro di dove fosse o di cosa succedesse di solito nella sua stanza con i clienti che pagavano per rimanere con lui, ma non poteva negare a sé stesso che questo disinteresse di Fugo nei suoi confronti non gli dispiaceva, anzi sentiva che con quel ragazzo avrebbe potuto avere una relazione normale, non macchiata dal mero interesse sessuale. Sentendo tali parole Kakyoin annuì sorridendogli. Dopo neanche dieci minuti vide che il suo ospite si era addormentato abbandonato sul letto come un bambino stanco, ma felice. Poche ore prima Kakyoin aveva sentito tutta la tristezza del mondo schiacciarlo come un macigno pesante che prima o poi lo avrebbe ucciso per davvero e ora vedendo Fugo con l’espressione serena e tranquilla del sonno sentì uno strano calore, una sensazione di sicurezza e felicità che non sapeva come gestire. Si era sdraiato accanto a lui sul letto e ascoltando il respiro regolare dell’altro si era infine addormentato.
Nato unico erede di una famiglia italiana facoltosa, Fugo era sempre stato un bambino sveglio e di grande intelligenza, caratteristica che lo portò ad accedere all’università a tredici anni e ricevere molti prestigiosi traguardi accademici. I suoi genitori erano stati estremamente severi con lui volendo che eccellesse in ogni aspetto della sua vita dando così lustro a tutta la famiglia, quindi Fugo passò la maggior parte della sua vita da solo, a studiare nella sua stanza senza la possibilità di socializzare o giocare con gli altri bambini della sua età. Nonostante le loro esperienze di vita fossero state così diverse Kakyoin aveva pensato che anche Fugo dovesse essersi sentito molto solo e isolato dal resto del mondo, senza dimostrazioni d’amore da parte dei loro genitori o qualcuno che volesse essere loro amico. L’incontro con quel ragazzo lo aveva fatto sentire meno solo e col passare delle settimane si sentiva felice e in trepida attesa del suo arrivo. Aveva imparato che non amava parlare di alcune cose della sua vita, sia della sua famiglia che del suo periodo universitario, che nonostante gli fosse da subito sembrato un ragazzo serio e razionale poteva facilmente perdere la calma e arrabbiarsi, come lo aveva sentito fare alcune volte al telefono, chiudendo la chiamata mentre sbatteva la cornetta violentemente. Due anime combattevano all’interno del suo cuore, una era quella cresciuta con la rigorosa educazione della famiglia Fugo, lo aveva influenzato su come comportarsi e come parlare con educazione, l’altra era nata dal suo desiderio di liberarsi e di sfogarsi, era la rabbia repressa verso dei genitori che richiedevano sempre di più da lui, dagli adulti che lo avevano maltrattato e molestato, una violenza istintiva che esplodeva con molta facilità, ma nello stesso modo tornava ad assopirsi.
Durante una notte più calda del normale dove era impossibile trovare fine al costante sudare i due ragazzi si ritrovarono l’uno accanto all’altro sul letto. Fugo era sdraiato con la schiena contro il muro mentre fumava silenziosamente come suo solito, mentre Kakyoin era seduto a gambe incrociate. Per il caldo si era fatto scivolare l’haori verde con i rossi fiori d’hibiscus giù dalle spalle e aveva raccolto i lunghi capelli rossi. Ad un certo punto aveva percepito un cambio nell’atteggiamento di Fugo, anche se non poteva vederlo in faccia, era come se sentisse il ragazzo fissarlo intensamente, come aveva fatto il primo giorno in cui era venuto da lui. Come se fosse stato possibile scordarselo aveva capito cosa stesse guardando e aspettava nel silenzio della stanza una domanda per soddisfare la sua curiosità. La schiena bianca di Kakyoin era percorsa da varie cicatrici rosa scuro che si intrecciavano come a creare un disegno.
“Alcuni uomini vengono qui perché sanno che è concesso tutto” Non aveva aspettato che Fugo dicesse qualcosa ed era certo che se si fosse voltato lo avrebbe visto imbarazzato dal fatto di essere stato scoperto.
“Chi è stato?”
Kakyoin sorrise tristemente. “Un mostro. A cui piace la violenza e vedere le sue vittime soffrire”
Nella stanza le sue parole aleggiarono nell’aria già piena del fumo di sigaretta di Fugo. Quando lo vedeva fumare, Kakyoin aveva come l’impressione che il fumo non salisse via ma lo avvolgesse come nebbia.
“Viene ancora a trovarti?”
“A volte”.
Senza rendersene conto Kakyoin si ritrovò a piangere, maledicendo se stesso per essere così debole. Cercò di non fare rumore, ma non ci riuscì. Sentì Fugo che si muoveva dalla sua posizione, probabilmente pentito di aver fatto quelle domande. Non voleva che si alzasse dal letto, sarebbe andato a sedersi sulla poltrona come sempre, forse pensando di averlo ferito facendogli quelle domande.
“Alcuni mesi dopo il mio arrivo, venne a lavorare qui un ragazzo, si chiamava Narancia” Fugo si fermò e sentì che si era girato verso di lui. Ora poteva vederlo mentre guardava la sua faccia rigata dal pianto. Mise le braccia attorno alle gambe per sostenersi mentre continuava il racconto. “Era un altro orfano che viveva per strada e che Kira aveva trovato e portato qui. Mi si strinse il cuore quando lo vidi e cercai di fargli da fratello maggiore come gli altri facevano con i più piccoli. Nonostante la nostra situazione era sempre pieno di vita, sembrava quasi felice di affrontare ogni giorno. Ci faceva ridere”.
Ora la sua voce tremava, le lacrime gli scendevano sulle labbra e scivolavano via sulle ginocchia. Le lunghe ciglia rosse erano sembravano non riuscire a sopportare la valanga di pianto che lo scuoteva. Fugo rimase in silenzio in attesa della fine di una storia della quale immaginava già il finale.
“Un giorno arrivò quell’uomo. Voleva sempre e solo me. Io ero con Narancia nella mia stanza e lui mi prese per un braccio e mi sbattè sul letto. Volevo dire a Narancia di andarsene subito, che non doveva
neanche avvicinarsi a lui”. Si fermò un attimo guardando nel vuoto davanti a sé. “Narancia voleva solo proteggermi”. Ora i shinghiozzi erano incontrollabili e Kakyoin non riuscì a finire la storia.
“Prova a dormire un po’. Non pensarci più”
Fugo si stese sul letto e Kakyoin fece lo stesso. Aspettò che il ragazzo smettesse di piangere e rimase sveglio finché lo vide respirare regolarmente. Quando fu sicuro che si fosse addormentato prese un fazzoletto e gli asciugò le ultime lacrime che erano rimaste intrappolate sotto le lunghe ciglia. Sentì la sua rabbia riaffacciarsi, infiltrarsi nelle sue vene e fargli bollire il sangue, le mani gli tremavano, fremeva dalla voglia di sfogarla, ma non potendo fare niente, rimase ore sveglio a fissare il soffitto fino a che trovò una certa tranquilla freddezza interiore. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo / Vai alla pagina dell'autore: Aespa4