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Autore: Felpie    14/07/2021    4 recensioni
“E credevo dovessi prepararti per un ballo. Non è tra… una settimana?” aggiunse Merlino, appoggiandosi allo schienale e alzando lo sguardo. Gli occhi azzurri di Artù avevano una nota preoccupata.
“Sei giorni” lo corresse il biondo, con scarso entusiasmo.
“Balletto? O valzer?” si informò Merlino, sfogliando rapidamente i fogli: non aveva il minimo desiderio di continuare a leggerli. Quel giorno non aveva alcuna voglia di studiare ed era andato in biblioteca solo perché era sicuro che Artù sarebbe andato lì a fargli compagnia.
“Balletto o valzer, che importa? Ho comunque due piedi sinistri.”
Merlino si toccò il mento con fare pensieroso “Rispiegami perché devi partecipare al ballo delle debuttanti.”
[1° classificata al contest "Favole di oggi – II edizione" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù, Vivian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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The Second Waltz

 





Devo superare la sua diffidenza,
ci sarà il modo di entrare in confidenza.
Stargli un po' vicino, parlargli a tu per tu
L'amicizia è importante se la vivi un po' di più.





 
31 Luglio

L’aria era calda e appiccicosa e gran parte dei cittadini aveva provato a fuggire dalla calura estiva che, nell’ultima settimana, non aveva lasciato scampo a nessuno e che ogni giorno faceva consumare litri e litri di bibite rinfrescanti e ghiaccioli ai poveri sfortunati rimasti negli uffici, per trovare un riparo dall’afa. I sellini delle biciclette erano roventi, i volanti scottavano e quelli che giravano in scooter per cercare fresco e vento tra i capelli erano costretti a rivalutare la loro scelta davanti a semafori rossi infiniti e stop interminabili. In quel clima decisamente da mare, gelati e docce fredde – che, in una parola, si sarebbe potuta chiamare più semplicemente estate – Merlino era rinchiuso in biblioteca.
La bibliotecaria non era sembrata troppo sorpresa di vedere quel ragazzo magrolino con i capelli neri come la pece presentarsi lì, anche il 31 di Luglio, con un quaderno sotto braccio e un sorriso stampato sul viso. E non si era nemmeno sorpresa troppo di vedere l’altro ragazzo, quello biondo, un po’ più robusto, arrivare un attimo dopo, i pantaloncini corti e gli occhiali da sole firmati. Non era passato un giorno, nell’ultimo anno e mezzo, in cui non li avesse visti andare lì insieme, con qualsiasi clima, come se quello fosse il loro punto di ritrovo. E, in realtà, un po’ lo era.
Artù sollevò gli occhiali da sole e si lasciò cadere con malagrazia di fronte all’altro, che sollevò in risposta un angolo delle labbra.
“Buongiorno anche a te.”
“Fa un caldo atroce” disse per tutta risposta il biondo, spostandosi indietro i capelli madidi di sudore “Come fai tu a non avere caldo?”
“Sto cercando di non pensare al fatto che tra due giorni mi troverò ad indossare un camice e delle ciabatte di gomma per otto ore.”
Di lì a due giorni Merlino avrebbe iniziato il tirocinio in ospedale e stava sfruttando quegli ultimi momenti per leggere alcune procedure e il funzionamento di strumenti che il professore gli aveva anticipato avrebbe usato.
Artù sbuffò e brontolò “E io che faccio in questi giorni?”
“Non dirmi che non riesci a stare senza di me, Artù. Non sei credibile” lo prese in giro Merlino, senza alzare lo sguardo dai suoi fogli. In realtà, il vedersi tutti i giorni era diventata una cosa così familiare per entrambi che il moro si era chiesto spesso come Artù avrebbe passato le giornate, nel suo mese di tirocinio.
Se ripensava a com’era iniziata, rideva come uno scemo: Uther, il rigido padre intransigente di Artù, tre anni prima lo aveva praticamente obbligato a fare da balia a suo figlio, a controllare che studiasse e che non si cacciasse nei guai e gli aveva imposto di raccontargli ogni movimento, per assicurarsi che l’erede di una delle più grandi multinazionali di Inghilterra non desse adito a scandali o pettegolezzi. Hunith, la madre di Merlino, lavorava come signora delle pulizie e all’occorrenza donna del caffè nell’ufficio di Uther e il ragazzo si era sentito in qualche modo costretto ad accettare l’offerta – l’ordine – dell’uomo. All’inizio aveva sbuffato ed era convinto fosse una pessima idea. Ora pensava ancora fosse stata una pessima idea, ma non riusciva più a passare un’ora senza parlare con Artù o senza ascoltare uno dei suoi stupidi messaggi vocali.
“E credevo dovessi prepararti per un ballo. Non è tra… una settimana?” aggiunse Merlino, appoggiandosi allo schienale e alzando lo sguardo. Gli occhi azzurri di Artù avevano una nota preoccupata.
“Sei giorni” lo corresse il biondo, con scarso entusiasmo.
“Balletto? O valzer?” si informò Merlino, sfogliando rapidamente i fogli: non aveva il minimo desiderio di continuare a leggerli. Quel giorno non aveva alcuna voglia di studiare ed era andato in biblioteca solo perché era sicuro che Artù sarebbe stato lì a fargli compagnia.
Stava iniziando ad apprezzare sempre di più i momenti solitari con l’amico, nonostante sapesse che Uther non era contento che fosse Artù a seguire lui e non lui a seguire Artù. Come se il fatto che l’amico lo cercasse fosse una cosa da deboli o come se non fosse uno alla sua altezza. Quando Merlino si trovava al cospetto – perché non si poteva dire semplicemente “con Uther lì presente”, no, l’atmosfera era di timore reverenziale e praticamente regale – si sentiva proprio così, come uno diecimila piani più sotto nella scala sociale. A Merlino faceva davvero piacere fargli da balia, per quanto ormai si considerassero più amici – anche se nessuno l’avrebbe mai ammesso ad alta voce – che carcerato e carceriere, ma Artù aveva già sufficienti problemi con suo padre e, per un tacito accordo, si nascondevano in biblioteca, come per un incontro casuale, senza che nessuno seguisse nessuno.
E fuori, di fronte al mondo, Artù si irrigidiva e Merlino si chiudeva e sembravano diventare quasi sconosciuti, perfino con i loro amici. Si notava la complicità e l’attenzione per l’altro, ma niente di più, come se avessero avuto paura di ammettere al mondo che entrambi avevano fatto amicizia con qualcuno totalmente diverso da loro.
“Balletto o valzer, che importa? Ho comunque due piedi sinistri.”
Merlino si toccò il mento con fare pensieroso “Rispiegami perché devi partecipare al ballo delle debuttanti.”
“Non è il ballo delle debuttanti. È come il ballo delle debuttanti.”
“E qual è la differenza?”
“Che a mio padre non sarebbe importato nulla perché Vivian non è più in età da debutto. Però, a quanto pare, vuole un accompagnatore alla sua festa dei venticinque perché, a detta sua, è triste essere soli a venticinque anni.”
“Ma non aveva…”
“Periodo di crisi” lo anticipò Artù “Non so come quel povero ragazzo riesca a sopportarla, davvero. Ha troppe crisi. Io non riesco nemmeno a pensare di sopportarla per una serata.”
Il telefono del biondo vibrò e il ragazzo gli gettò solo una rapida occhiata, mentre Merlino lo guardava dispiaciuto.
“Non devi…”
“Sì, devo. Mio padre è convinto che sia così che si conquistano gli alleati. E il mio bellissimo viso è ovviamente un valido motivo per…”
“Tu non hai un bellissimo viso” sogghignò il moro, interrompendolo; prima che Artù potesse ribattere – perché Merlino sapeva che avrebbe ribattuto – aggiunse “Comunque, se ti interessa, io conosco il valzer.”
Artù sgranò gli occhi ed esclamò “Che?!”
“Shhh… siamo in biblioteca” ridacchiò Merlino.
“Ci siamo solo noi. Che cosa vuol dire che conosci il valzer?” chiese incredulo il biondo “E soprattutto perché non me lo hai detto prima?”
“Abbiamo mai parlato di valzer?”
“Sai che ho questo ballo da quasi un mese!”
“Non sapevo dovessi ballare il valzer.”
Artù lo fissò, truce, e commentò “Sei patetico ad inventare scuse.”
Il moro sogghignò, chiudendo i fogli che continuava a tenere tra le mani e appoggiandoli sul tavolo, e domandò “Vuoi provare?”
Le palpebre di Artù si aprirono e si chiusero rapidamente, accentuando l’espressione confusa del ragazzo “A fare che?”
“A ballare il valzer” spiegò Merlino, guardandosi intorno “Non c’è nessuno.”
“Intendi dire qui?”
“Non c’è nessuno” ripeté l’altro, imitandolo, alzandosi in piedi.
“E la musica?”
Merlino roteò gli occhi “YouTube, Artù. Hai presente? Smettila di inventare scuse ridicole, non ti prenderò per il culo a vita solo perché non sai mettere due passi in fila.”
Artù lo guardò come se fosse totalmente uscito di senno, ma quando Merlino incrociò le braccia al petto, si alzò sbuffando e brontolando tra sé; il moro sorrise soddisfatto mentre l’altro cercava la musica adatta sul telefono.
“La bibliotecaria si lamenterà…”
“Continui a inventare scuse” ridacchiò il moro “Ho delle cuffiette, comunque.”
“In due…”
“Artù, hai mai visto due persone ballare il valzer? Devono stare vicini” tagliò corto Merlino, cercando le cuffiette che si trovavano nella tasca dello zaino, annodate e intrecciate malamente “Ma se non vuoi… sono sicuro che Vivian sarà contenta quando le pesterai le sue scarpette di cristallo e i suoi piedini fatati.”
“Sei disordinato” lo rimproverò Artù per non rispondere alla provocazione, ma l’altro lo ignorò, allungandogli una cuffietta e l’estremità per collegarla al telefono. Gli si avvicinò e l’odore di colonia di Artù lo avvolse, mentre l’amico gli cingeva le mani intorno ai fianchi con aria imbarazzata.
“Che… che fai?” balbettò Merlino, incerto, allontanandosi di qualche passo.
“Hai detto che…”
“No, intendo… mi devi mettere una mano sulla spalla.”
Artù lo guardò confuso e Merlino specificò “Conduco io.”
“Non ci pensare. Io devo imparare a condurre, non a essere scarrozzato per la pista.”
“Tu devi imparare a non pestare i piedi alla tua compagna, prima di tutto” precisò Merlino, mettendogli una mano sul fianco “Dopo facciamo cambio.”
Artù sbuffò, ma non protestò più e cercò di seguire i passi dell’altro che, lentamente, provava ad insegnargli le basi del valzer; Merlino non si lamentò le otto volte che l’amico gli pestò i piedi, né quella volta che Artù rischiò di farlo inciampare e danzò con lui al ritmo di una musica sconosciuta trovata su YouTube, ignorando i fogli del tirocinio e tutto il resto. Avrebbe recuperato, prima o poi. Ad Artù, una mano – anzi due piedi più dritti – servivano in quel momento.
Si fermarono entrambi sudati e con le magliette bagnate per il gran caldo e Merlino evitò di ridere di fronte all’espressione stanca dell’amico.
“Continua a fare un caldo atroce” borbottò Artù, lasciandosi cadere sulla sedia “Non pensavo che ballare facesse sudare tanto. Né che tu fossi un insegnante così tanto rompi…”
“Andiamo a prenderci qualcosa da mangiare? Ho una fame da lupi” lo interruppe il moro, prevedendo l’insulto che sarebbe sicuramente seguito.
“Ma non è nemmeno mezzogiorno!”
“Conoscendo Sua Altezza Reale so che ci metterai una mezza vita a scegliere cosa mangiare e dove. Voglio cercare di stringere un po’ i tempi” spiegò Merlino, con un sorrisetto di sfida, ma un attimo dopo fece una smorfia di dolore, quando sentì il calcio di Artù arrivare proprio contro il suo ginocchio destro. Come sempre, il suo amico era uno che sapeva prendere bene i commenti costruttivi alla sua persona.
Alla fine optarono per un panino preso in un baracchino nel parco, più per potersi sedere nei tavolini che si trovavano lì davanti, sotto l’ombra degli alberi, che per la reale bontà di quel posto.
“Quanto dura il tirocinio?” bofonchiò Artù, mentre masticava; fu un commento quasi casuale, ma Merlino si ritrovò a chiedersi se anche lui avrebbe sentito la sua mancanza. Il moro, sicuramente, sperava in qualche stupido messaggino senza senso, in orari totalmente assurdi, per chiedere cose ancora più assurde.
“Fino a metà settembre.”
“No, intendevo… che orario fai? Ci vediamo quando finisci?” domandò Artù, svuotando la bottiglietta d’acqua comprata.
“Cambio tutti i giorni” spiegò il moro.
“E domani?”
“Devo consegnare dei documenti.”
Il biondo sbuffò e Merlino sorrise, prima di dare un morso al panino.
“Non ti preoccupare. Anche se sei un asino, sono sicuro che riuscirai a contare fino a quattro per tenere il tempo e non pestare i piedi di Vivian.”
Artù fece per ribattere, ma quando vide il ghigno sfacciato di Merlino si fermò e gli lanciò contrò la bottiglia acciaccata, alzando un angolo delle labbra, divertito.



 
6 Agosto

L’intero palazzo scintillava sotto le luci che ricoprivano tutto il soffitto, amplificate dai cristalli che adornavano il salone, le scale e l’androne. Artù si sistemò meglio il gemello che teneva sul polsino destro e si lisciò la giacca scura: tutto quel lustro per una festa di venticinque anni…
Non ebbe il tempo di preoccuparsene troppo però perché Vivian e i suoi vaporosi capelli biondi riempirono il suo campo visivo, accompagnati da un profumo leggermente nauseante per quanto era intenso.
“Artù!” esclamò la ragazza “Sono così felice che tu sia qui. Sai il mio ex non è minimamente paragonabile a te in smoking.”
“Ciao Vivian” la salutò cavallerescamente il biondo, baciandole la mano e cercando di evitare di domandarsi se per caso si fosse fatta la doccia, in quel profumo. Il pensiero, comunque, sfiorò la sua mente.
“Ci sono un paio di persone che voglio presentarti! Sai, alcune mie compagne di università erano sicure che non sarei riuscita a trovare un cavaliere per questa sera e…” continuò Vivian, attaccandosi – appendendosi – al braccio del ragazzo, che fece un sospiro: si entrava in scena. E a questo pensiero aggiunse anche, quando incontrò le amiche di Vivian che indossavano vestiti vaporosi quasi quanto i suoi capelli, che sarebbe stata una lunga serata.
E che avrebbe preferito di gran lunga bersi una birra al pub con Merlino e i suoi amici.
Come in ogni festa formale e tremendamente all’antica che si rispetti, prima o poi sarebbe arrivato il momento temuto per ogni cavaliere, e Artù sapeva bene che sarebbe giunto anche per lui, nonostante guardasse l’orologio cercando di far accelerare le lancette solo con lo sguardo, come se arrivati ad un certo orario avrebbe potuto dire “Ormai è troppo tardi”.
Ma ovviamente non successe.
Non successe e, dopo circa un’ora, Vivian lo andò a chiamare, l’espressione entusiasta e un sorriso contorniato dal rossetto rosso.
Era arrivato il tanto atteso momento: doveva ballare con Vivian. Il vestito lungo fino ai piedi che la ragazza indossava lo preoccupava parecchio, quasi quanto quelle scarpette di cristallo che sembravano essere state strappate direttamente dai piedi di Cenerentola e che avevano tutta l’aria di essere instabili, su quel misero tacchetto. Mentre Vivian gli si avvicinava, Artù si chiese se fossero state sul serio di cristallo, quelle scarpe: pensò fosse una cosa ridicola, ma si ricordò poi che la ragazza usava delle Louboutin per le serate informali con le amiche e delle Jimmy Choo per andare al bar. Poteva essere tutto.
Andarono in pista da soli, lei appesa al suo braccio e Artù con una postura rigida che tradiva il suo disagio, nemmeno fossero stati novelli sposi al loro primo ballo. Era il compleanno di Vivian ed era lei a dover aprire le danze, giustamente. Giustamente? Giustamente un paio di…
Il ragazzo fece un mezzo inchino, avvicinandosi poi a lei e cercando di tenere a mente ciò che Merlino, in quel poco tempo, nascosti da una libreria, gli aveva insegnato. Vivian, invece, sembrava non aver ben chiaro il concetto di spazio personale, perché il suo seno si schiacciò contro il petto di Artù e i bacini arrivarono in stretto contatto, mentre il suo profumo inondava – di nuovo – l’aria.
Partì la musica e il biondo cercò di partire a tempo, seguendo quel minimo di senso musicale che sperava il suo corpo avesse guadagnato negli anni passati ad ascoltare il rock che passava alla radio. Non era proprio rock quello che veniva diffuso nella sala in quel momento, da una band appositamente assoldata per l’occasione, ma il ritmo era ritmo, insomma. Com’è che aveva detto Merlino? Uno, due, tre e quattro.
Un uno, due, tre e quattro per volta, alla fine passarono la prima e la seconda canzone e altre coppie si aggiunsero in pista; Artù notò – abbastanza compiaciuto – che, pur non essendo il migliore, non era nemmeno il peggiore. Si chiese se ci fosse qualcun altro lì, costretto come lui dal proprio padre che, invece di sfruttare la sua quasi laurea in Economia, preferiva sfruttare il suo bel faccino – perché, checché ne dicesse Merlino, lui aveva un bel faccino.
Quando riuscì finalmente a separarsi da Vivian e dal suo amore per piroette e giravolte, il ragazzo si andò a rifugiare al tavolo delle bevande, cercando un po’ di pace; dopo nemmeno due minuti, Morgana, la sua sorellastra, gli si avvicinò, sorridendo furbescamente.
Artù l’aveva scorta di sfuggita mentre ballava con Vivian ed era stato un po’ sorpreso di trovarla lì – tralasciando il fatto che vivessero nella stessa casa e che tendenzialmente avesse sempre un’idea di dove fosse sua sorella – perché credeva che suo padre avesse incastrato solo lui in quella festa sfarzosa. Conoscendola, però, Morgana poteva essere anche andata lì di sua spontanea volontà, per partecipare volontariamente a un tale sfoggio di ricchezza.
Solo quando la ragazza gli si fermò davanti, spostando i capelli scuri sull’unica spalla coperta dal tubino argento monospalla, il ragazzo la salutò con un “Che ci fai tu qui?”
Morgana scrollò le spalle “Sono in punizione.”
“E nostro padre ti ha mandato qui?” domandò confuso Artù, ottenendo in risposta un ghigno divertito.
“È per questo che sono qui. Non avevo intenzione di restare chiusa in camera, non ho otto anni.”
Il fratello la guardò un attimo, confuso, e poi scoppiò a ridere di gusto e con spontaneità, per niente sorpreso dall’atteggiamento irriverente della sorella.
“Che cosa hai fatto?” si informò.
“Sinceramente? Non lo so” dichiarò la ragazza “Ho semplicemente detto che non avevo alcuna intenzione di licenziare una povera donna soltanto perché aveva fatto male una fotocopia e che, se ci teneva tanto, poteva farsela da solo, la fotocopia.”
“Papà non avrebbe mai…” iniziò Artù, ma non finì la frase, e non solo per lo sguardo accigliato che la sorella gli rivolse.
“Sì, avrebbe” replicò Morgana “Ma tu non te ne accorgi. Tu fai sempre quello che nostro padre vuole.”
“Non è vero, io…”
“Sei qui, no? Tu detesti ballare e sono abbastanza sicura che detesti anche Vivian.”
“Non direi proprio detes…”
“Te l’ho detto che, secondo me, quel tipo, lì… Merlino… ha ragione. Su di te ha spesso ragione” concluse Morgana e Artù stette zitto “Sai, sul fatto che puoi scegliere da solo il tuo destino e quelle cose lì, ma che ancora non l'hai capito.”
Artù non ci mise molto a capire a che cosa si stesse riferendo sua sorella.



“Ho imparato che la libertà esiste, e va conquistata, anche a costo di grande dolore; che il destino non ha potere su di noi, se abbiamo il coraggio di ribellarci” dichiarò Merlino, dal nulla, osservando una vecchia foto di Artù a cavallo, mentre il biondo lucidava delle scarpe che avrebbe dovuto indossare quella sera.
“Ora ti metti anche a fare il filosofo?” lo prese in giro.
Merlino alzò le spalle, prendendo una pallina antistress e giocherellandoci “Qualcosa ho imparato dopo tutta quella storia della borsa di studio.”
“Non mi hai mai raccontato cos’è successo” gli fece notare Artù, fingendosi molto interessato alla scarpa che aveva in mano, ma in realtà ascoltando molto attentamente.
“Perché non è importante. Ti basti sapere che io starei probabilmente preparando caffè o lavorando come fattorino a tempo pieno, se non avessi lottato per prendere quei soldi ed entrare all’università” dichiarò, girandosi verso l’amico “Non era fare il barista, il mio destino.”
“So che hai chiesto un prestito alla banca” commentò distrattamente il biondo, ma l’altro lo ignorò, rimettendo a posto la pallina.
“Se non avessi lottato non ci saremmo mai conosciuti” tagliò corto Merlino, girandosi e mostrando un ghigno divertito stampato sul viso, prima di aggiungere “Forse avrei dovuto lottare un po’ di meno.”
Artù gli lanciò lo straccio sporco, prima di domandare “Ceniamo insieme, stasera?”
Il moro lo guardò incredulo “Stai lucidando le scarpe per la tua cena di gala, Artù.”
L’altro spostò lo sguardo sull’oggetto che teneva ancora tra le mani e non fece in tempo a darsi dello stupido che Merlino dichiarò con un sorriso “Facciamo domani. Hamburger e patatine?”



“Come lo sai che mi ha detto una cosa del genere?” chiese incredulo il ragazzo.
“Passavo per caso davanti alla tua camera” spiegò laconica la sorellastra, muovendo una mano con noncuranza “Mi sembravano delle belle parole. E non è lui che si è fatto il mazzo per prendere la borsa di studio ed entrare nel college di medicina più esclusivo della zona? Ha chiesto prestiti, credito e cose così, no?”
Artù non rispose e Morgana aggiunse “Potrebbe anche piacermi, quel ragazzo.”
“Non ti avvicinare a lui” la minacciò giocosamente Artù e la sorellastra sogghignò.
“E perché no?”
“Perché lo distruggeresti. Sei troppo… esuberante, per uno come lui.”
“Detto così sembra quasi una cosa brutta” dichiarò la ragazza, scoppiando a ridere; sì servì un bicchiere di champagne e se lo portò alle labbra con eleganza, prima di domanda “Quindi?”
“Quindi?”
“Quindi cos’hai intenzione di fare, Artù. Stare qui tutta la sera a fare da accessorio a una Vivian già ubriaca o hai intenzione di andare a prendere una birra con Merlino, Leon e compagnia bella?”
Artù incastrò lo sguardo negli occhi chiari della sorellastra, contorniati di matita e di mascara perfettamente messi, e notò la sua grande serietà, nonostante avesse buttato lì la cosa, come una battuta.
“Non posso…”
“Sì che puoi. E non tirare in ballo papà adesso. Tu puoi e devi, Artù. Hai venticinque anni, puoi decidere di prendere e andartene da una festa perché detesti la festeggiata.”
Per un attimo ad Artù sfiorò il pensiero che Morgana lo stesse istigando a ribellarsi solo per il gusto di far infuriare ancora di più loro padre: sarebbe stato da lei. Però era da lei anche dare buoni consigli. E pensare a mille cose contemporaneamente.
Probabilmente gli stava parlando così per tantissimi motivi.
Morgana lo guardò un attimo e gli sorrise dolcemente, appoggiandogli una mano sulla guancia.
“Posso coprire la tua assenza per un’altra ora. Poi spero che Vivian sia così ubriaca da non notare più se il suo accompagnatore sia biondo, moro o un’altra donna.”
Artù ricambiò il sorriso, appoggiando la mano su quella della sorella, e un attimo dopo era in macchina con i Coldplay sparati a tutto volume.
Andò diretto a casa di Merlino, mentre ad ogni semaforo rosso che incontrava scriveva a ognuno dei suoi amici per dare a tutti appuntamento al loro locale preferito. Non sapeva nemmeno se Merlino fosse a casa, non ricordava che turno facesse quel giorno, ma suonò comunque, ritrovandosi poco dopo l’amico davanti, con una maglietta di un colore non ben definito e la classica espressione da “Ma chi è che rompe a quest’ora” stampata in faccia.
“Artù?” domandò confuso “Che ci fai qui? Non avevi un ballo?”
“Ho imparato che la libertà esiste, e va conquistata, anche a costo di grande dolore; che il destino non ha potere su di noi, se abbiamo il coraggio di ribellarci” ripeté Artù, citando le parole che l’amico gli aveva detto tempo prima “Avevi detto così, no?”
Merlino si raddrizzò un po’ e annuì “Qualcosa del genere, sì.”
“Ecco” dichiarò il biondo, come se quello chiarificasse tutto.
L’altro lo guardò confuso “Ti sei ribellato a tuo padre?”
“No. Quello non… non sono ancora pronto” ammise il biondo “Però… io non avevo voglia di stare a quella festa. Così me ne sono andato.”
“E sei venuto a disturbare la quiete pubblica in questo quartiere?” commentò Merlino, divertito.
“No, sono venuto qui a chiederti di concedermi questo ballo” dichiarò Artù, porgendogli la mano, e, vedendo l’espressione sbalordita – e parecchio confusa – dell’amico, scoppiò a ridere e aggiunse “Scherzo. Sono venuto qui perché tra venti minuti gli altri ci aspettano al locale e tu hai una maglietta orribile.”
“Sono stanco” protestò Merlino.
“Merlino, non rompere le palle.”
Inutile dire che, dieci minuti dopo, Merlino si allacciava la cintura e la macchina di Artù partiva nell’oscurità della sera.
“Chissà che dirà tuo padre, quando lo scoprirà” commentò il moro, guardando distrattamente fuori dal finestrino.
Non aggiunse “quando saprà che sei venuto a prendere me piuttosto che accompagnare Vivian ovunque lei volesse”, ma Artù lo sentì lo stesso.
“Vorrei davvero che mio padre non ti vedesse come un essere insignificante” mormorò il biondo, guardando la strada davanti.
Tra loro era sempre così, non si guardavano se dovevano dirsi cose importanti. Anche quello faceva parte della loro celata amicizia e del loro tacito accordo.
Merlino scrollò le spalle “Prima o poi. O forse, prima o poi, inizierai a dettare le tue di regole e a scegliere con chi vuoi stare e con chi no.”
“Fosse facile…”
“Mica devi farlo adesso. C’è tempo. E la biblioteca non va da nessuna parte.”
Artù sbuffò divertito “Infatti sei tu che vai a tirocinio.”
“Il tirocinio finirà” replicò il moro, girandosi verso di lui.
Il biondo avvertì lo sguardo penetrante dell’amico, mentre aggiungeva “Tu sei diverso da tuo padre. E questa è la cosa migliore di te.”
Artù si sentì a disagio, ma quelle parole gli fecero piacere.
E quando Merlino concluse “Un giorno sarai uno dei più grandi uomini che l’Inghilterra abbia mai visto”, il biondo credette davvero che, forse, ribellarsi al proprio destino e conquistare la propria libertà non era poi così sbagliato.
E che non sarebbe rimasto solo.



 
23 Agosto
 
 
La bibliotecaria si sistemò gli occhialetti sottili sul naso per leggere meglio il giornale che teneva sulle ginocchia; molte biblioteche avevano chiuso per qualche giorno intorno a Ferragosto, mentre lei aveva scelto di tenere aperto sempre. I suoi superiori avevano un po’ borbottato e storto il naso, ma alla fine avevano dichiarato che, se aveva tutta quella voglia di passare Agosto rinchiusa lì dentro, non sarebbero stati loro a fermarla: dopotutto lavorava bene e la biblioteca era sempre in ordine, quindi non si potevano lamentare. Si chiedevano semplicemente perché lo facesse.
La bibliotecaria non rispondeva, si limitava a sorridere e a pensare a quella coppia di ragazzi, così diversi all’apparenza, che, perfino in quell’Agosto rovente, tutti i giorni si presentava lì e rimaneva anche solo un’oretta a chiacchierare, per godersi la reciproca compagnia. Non studiavano, no. A volte non avevano nemmeno uno zaino e prendevano un libro a caso, dal reparto dei classici vicino a cui erano soliti sedersi e nascondersi dal resto del mondo, solo per dare un senso all’essere in biblioteca.
Si era chiesta spesso chi fossero e quale storia avessero da raccontare. Da dove venivano e perché si incontravano così di nascosto.

Se la loro storia valesse la pena di essere raccontata e nascosta nelle pagine di un libro polveroso di quella biblioteca che sembrava essere il loro mondo segreto.



 
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Quando si troverà questa forza tra le mani
Un nuovo mondo scoprirà... vorrà restare
(La Bella e La Bestia 2 - Storie)



Felpie's Corner
Come ho scritto nelle note questa storia partecipa al contest "Favole di oggi - II edizione" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP. Mi è davvero piaciuto e sono stata molto indecisa sia sul fandom che sul pacchetto, quindi spero, Fiore di Cenere, che ne farai anche una terza edizione, prima o poi.
Spero che la storia ti sia piaciuta, ho cercato di trasportare la bellissima amicizia di Merlino e Artù nel mondo reale, con qualche differenza dovuta al passaggio da mondo medievale a mondo moderno.
Il titolo “The Second Waltz” richiama un valzer tratto dalle Jazz Suites di Dmitri Shostakovich ed eseguito varie volte da André Rieu e dalla Johann Strauss Orchestra. Invece la canzone all'inizio e alla fine è de "La Bella e la Bestia 2" e visto il pacchetto che ho scelto mi sembrava adatta.
A presto,
Felpie
   
 
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