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Autore: ChrisAndreini    15/07/2021    0 recensioni
[Howl's moving castle AU-Klapollo]
"Klavier era lo stregone più temuto e allo stesso tempo più ammirato nell'orfanotrofio. Gli ultimi sette anni si erano sentite tantissime storie su di lui, il mago di fuoco, così potente che neanche lo stregone supremo Miles Edgeworth era riuscito a tenerlo a freno, e lo combatteva con forza e senza successo.
Voci giravano per quei corridoi di come rapisse i bambini e ghermisse il cuore di tutte le belle donne che incrociava, facendole innamorare e poi mangiando loro l’anima per essere più forte.
Apollo non aveva nessuna opinione né su quelle storie, né su Klavier in generale.
Dopotutto dubitava fortemente che lui, la persona più ordinaria e meno interessante del regno, potesse mai avere a che fare con maghi, stregoni e incantatori di alcun genere, soprattutto con qualcuno come Klavier."
...oh si sbagliava di grosso.
"-Ah, eccoti qui! Ti ho cercato dappertutto- Apollo si girò verso la persona a cui apparteneva la voce, ritrovandosi faccia a faccia con l’uomo più bello che avesse visto in vita sua"
Genere: Fantasy, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Apollo Justice, Klavier Gavin, Phoenix Wright, Trucy Wright
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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La maledizione

 

Quando Apollo tornò in orfanotrofio, perdendosi parecchie volte per strada ma fortunatamente non incontrando più nessuno di strano, magico o minaccioso, era ormai sera, e dato che aveva perso il secondo turno nelle cucine, fu mandato dritto dritto al bancone per il turno di notte.

-Assicurati che non entri nessuno e controlla se i bambini vanno fuori dal letto!- gli avevano ordinato le padrone prima di andare beate a dormire.

Apollo non si era lamentato e aveva accettato l’ordine a testa bassa. Dopotutto aveva senso che fosse obbligato a fare gli straordinari, e ne era valsa la pena, dato che era riuscito a vedere Clay prima che partisse, e chissà quanto tempo sarebbe passato prima di rivederlo.

…sempre se l’avesse rivisto.

No, Apollo, non fare pensieri negativi!

Tutto sarebbe andato bene! La guerra sarebbe finita presto, e Clay sarebbe tornato a casa ricco, importante, e soprattutto vivo.

E magari sarebbe stato lui a portare Apollo fuori da quel posto orrendo.

Anche se bisognava ammettere che una cosa positiva c’era nell’orfanotrofio: era così insignificante che passava del tutto inosservato, e non era mai capitato che qualcuno provasse ad entrare di notte, o rubare, o altro.

Certo, era successo che dei bambini venissero abbandonati davanti alla porta, o delle madri incinte fossero entrate chiedendo un aiuto, ma erano eventi rari in una piccola cittadina come quella, e Apollo voleva credere che quella notte, dopo la giornata più assurda e inusuale della sua vita, tutto sarebbe stato normale. Nessun altro imprevisto, nessuna strana situazione, di certo nessun mago dagli affascinanti occhi azzurri, e nessun…

Apollo sentì la porta aprirsi, e sollevò di scatto la testa dall’abbiocco nel quale era sprofondato senza accorgersene, troppo stanco per restare del tutto sveglio.

Si ritrovò ad osservare quella che sembrava una ragazzina appena maggiorenne, chiaramente non incinta, decisamente non povera e sicuramente che non necessitava aiuto, visti i suoi abiti pregiati e il sorrisino sicuro di sé.

-Ha bisogno di aiuto?- Apollo cercò comunque di essere cortese, alzandosi in piedi e offrendo la propria assistenza.

Aveva però un pessimo presentimento, e un nodo allo stomaco.

-Questo posto è orrendo. Polvere, bambini urlanti che starebbero meglio per strada, e un personale davvero insignificante- commentò la ragazza, guardandosi intorno con aria di superiorità e roteando tra le mani il parasole chiuso di stoffa. Sembrava avere disegnata una strana fantasia, ma da quella distanza Apollo non riusciva a capire cosa fosse, e non gli interessava più di tanto.

Chi si credeva di essere quella donna per entrare di notte in un orfanotrofio e mettersi ad insultarlo?!

-Se non ha bisogno di nulla dovrebbe andarsene, i bambini dormono e non è il caso di svegliarli se non li vuole sentire urlare- commentò sarcastico, indicando irritato la porta.

La donna posò gli occhi su di lui, e sorrise divertita.

Un sorriso inquietante, che fece rabbrividire Apollo.

C’era qualcosa di davvero strano in lei. Forse avrebbe dovuto chiamare qualcun altro, perché iniziava a credere che non sarebbe riuscito a cacciarla via con molta facilità.

-Coraggioso da parte tua rivolgerti così alla Farfalla Velenosa- ridacchiò la ragazzina, aprendo il parasole e mostrando chiaramente la fantasia che riprendeva centinaia di farfalle viola.

Apollo sgranò gli occhi, e fece un passo indietro, sorpreso.

Non uno, ma due maghi! Nell’arco dello stesso giorno?! Quello era proprio il suo giorno super mega iper sfortunato.

Forse avrebbe dovuto arruolarsi anche lui. Avrebbe rischiato meno la vita. Clay, sto arrivando!

-La… Farfalla Velenosa?- ripeté, in un sussurro, incredulo.

Doveva necessariamente chiamare qualcuno.

Adocchiò la porta che conduceva alle camere del personale più anziano, chiedendosi se sarebbe riuscito a raggiungerla abbastanza in fretta.

Ma la strega sembrò accorgersi del suo piano, perché alzò il proprio ombrello e lo girò una volta, creando quello che sembrava una bolla di energia dalla quale, Apollo ne era certo, non sarebbe riuscito ad uscire, e dalla quale non sarebbe neanche uscito alcun suono all’esterno.

Non aveva mai visto magia, escludendo quella di quella mattina, ma per qualche strano motivo riusciva a prevedere con assoluta certezza gli effetti.

-Non più tanto coraggioso, adesso, eh?- ridacchiò la donna, avvicinandosi e guardandolo dalla testa sudata alle gambe tremanti.

-Cosa… cosa vuoi da me?- chiese Apollo, cercando di mantenere la compostezza ma parecchio impanicato.

-Mi sembri così insignificante- borbottò la Farfalla Velenosa, tra sé. Poi rimase qualche secondo in silenzio, come se stesse ascoltando qualcosa.

Apollo si guardò intorno e tese le orecchie, sperando nell’arrivo imminente di un aiuto esterno, ma non era così fortunato.

-Oh, beh, suppongo che sia meglio stare sicuri- tornando a guardarlo, la strega sollevò nuovamente l’ombrello e questa volta lo puntò verso Apollo, con un sorriso psicopatico.

-Sono la persona più ordinaria del mondo, non c’è bisogno di…- Apollo provò a salvarsi la pelle, ma non fu abbastanza convincente o rapido.

-Salutami tanto Klavier, quando lo rivedrai!- fu l’ultima cosa che disse la donna, prima di lanciargli un raggio di luce viola.

Apollo non aveva margine di fuga, e chiuse di scatto gli occhi, preparandosi alla sua imminente morte, ma dopo qualche secondo, sentendosi ancora tutto intero, li riaprì, e fu come se non fosse successo assolutamente nulla.

Niente cupola magica, niente donna inquietante, e gli sembrava di avere ancora tutte le ossa al suo posto.

Uff… era un sogno!

Si era sicuramente addormentato e a causa di tutto quello che era successo quella mattina aveva sognato la Farfalla Velenosa. Comprensibile. E gli aveva parlato di Klavier, che sicuramente non era quel misterioso sconosciuto conosciuto quel pomeriggio, era solo l’inconscio di Apollo che temeva fosse così.

Ma non era la verità!

Anzi, forse anche quell’incontro era stato solo un sogno.

Sì, era sicuramente così! Aveva sognato tutta la giornata strana, e ora si era svegliato e la sua vita sarebbe proceduta come da copione.

Apollo si diresse nuovamente al bancone (sicuramente era in piedi solo perché era sonnambulo), e provò a risedersi, ma quando il suo sguardo si posò sulla propria mano che aveva appena afferrato la sedia, il suo sangue si gelò nelle vene.

Perché la sua mano, teoricamente esile, magrolina, e dalla pelle un po’ screpolata ma fondamentalmente sana, era rugosa, nodosa, e dalle vene sporgenti.

Apollo fissò con attenzione entrambe le mani, entrambe molto vecchie, e poi controllò il resto del suo corpo, con un’analisi tattile molto più approfondita.

Mano a mano che controllava, iniziava ad accorgersi del mal di schiena, delle gambe affaticate, e delle ginocchia che rischiavano di cedere ogni secondo.

Si sedette per non rischiare di cadere, e cercò con mani tremanti lo specchietto che tenevano sempre nel primo cassetto del bancone, nel caso qualcuno dovesse rifarsi o sistemarsi il trucco in tutta fretta.

Ma quando si vide allo specchio, Apollo non si riconobbe.

Sicuramente stava ancora dormendo.

E stava avendo l’incubo peggiore della sua vita!

Perché era improvvisamente diventato vecchio, con il volto rugoso, i capelli bianchi, e la pelle piena di macchie.

-Ughhhh- si lasciò sfuggire una lamentela sconvolta, e notò che anche la sua voce era molto più rauca. Tossì appena, e provò a svegliarsi con un pizzico sul braccio.

…non si svegliò.

-No, no, non è possibile- provò a convincersi di quello che era ormai piuttosto chiaro.

Ma non era possibile, per davvero! Non era concepibile che da un momento all’altro si fosse trasformato in un vecchio dopo essere finito nel mirino di una strega potentissima perché aveva fraternizzato con un altro stregone che lo aveva salvato da due ubriachi che lo avevano importunato mentre cercava di raggiungere Clay per salutarlo.

…a saperlo, al diavolo Clay, l’avrebbe fatto andare in guerra senza neanche un saluto.

Si controllò allo specchio circa dieci volte, si alzò e si risedette un numero ancora maggiore di volte, e alla fine decise semplicemente di ignorare i suoi doveri e mettersi a dormire, sperando di svegliarsi da quell’incubo.

Perché non era possibile! Non era assolutamente possibile!

Purtroppo sognò solo il suo incontro con il biondino dagli occhi azzurri, e la strega al suo fianco, che si godeva la scena con malevolo divertimento, e che sembrò rivolgersi direttamente a lui.

-Oh, mi sono dimenticata. Non pensare di rivolgerti a qualche stregone per farti spezzare la maledizione. Non sarai in grado di parlarne con nessuno. Acqua in bocca, nonnino- gli fece cenno di stare in silenzio, con un occhiolino, e scomparve dall’agitato sonno.

 

Quando Apollo si era svegliato, la mattina seguente, aveva ormai constatato che era diventato vecchio, era stato maledetto, ed era completamente fregato.

Alla luce dell’alba che ora lo illuminava molto meglio, davanti ad uno specchio che non lasciava spazio ad alcun dubbio, Apollo si era vestito in tutta fretta, e scappò dall’orfanotrofio prima che chiunque potesse accorgersi di quello che gli era successo, lasciando un breve biglietto che sperava potesse giustificare la propria assenza.

“Mi sono arruolato insieme a Clay, e sono partito per il fronte!”

Sì, era una scusa stupida, ma non poteva certo dire che era stato maledetto e doveva trovare qualcuno che gli spezzasse la maledizione. Almeno, una volta tornato dalla sua presunta permanenza in guerra l’avrebbero accolto senza prenderlo a bastonate, ma forse persino con un briciolo di rispetto.

Era quindi uscito alle prime luci dell’alba, aveva preso un po’ di pane e formaggio dalle cucine per prepararsi al viaggio, e aveva iniziato a dirigersi verso… non lo sapeva neanche lui.

Non aveva la più pallida idea di dove andare e di cosa fare della sua vita in quel momento.

Seduto su una panchina nel parco cittadino, Apollo ponderò le scelte che gli si paravano davanti.

Non aveva soldi per permettersi di prendere il treno, non conosceva nessuno esperto di magia che potesse aiutarlo, e l’unica persona con la quale avrebbe potuto rivolgersi in generale era partita proprio il giorno prima, lasciandolo completamente solo.

Le sua ossa erano deboli, la schiena iniziava già a fargli male, e di camminare quindi non se ne parlava proprio, se non voleva morire.

Forse poteva farsi assumere in un bar a lavorare, mettere da parte qualche soldo, prendere un treno e dirigersi alla capitale dove poi chiedere aiuto allo stregone supremo Miles Edgeworth, l’unico mago di cui fidarsi.

O almeno uno dei suoi studenti. Si diceva che la capitale fosse un luogo pieno di stregoni pieni di talento, qualcuno in grado di identificare e sciogliere la maledizione di Apollo ci sarebbe stato senz’altro.

Sì, l’idea di andare alla capitale non era male, ma la faccenda del lavoro per mettere da parte dei soldi era poco fattibile. Prima di iniziare a lavorare per l’orfanotrofio, dopotutto, Apollo aveva cercato impiego ovunque lì in città, senza trovarne alcuno. Era un luogo troppo piccolo, dove si conoscevano tutti, non c’era modo per Apollo di trovare lavoro senza sollevare domande.

Doveva quantomeno dirigersi nella città più vicina, ad una decina di chilometri oltre le lande desolate.

Luogo di stregoni crudeli, demoni e mostri vari.

Una passeggiata…

Letteralmente, una passeggiata. Perché Apollo non avrebbe mai trovato qualcuno disposto ad accompagnarlo gratis fino a lì, quindi sarebbe dovuto andare a piedi.

Sospirò, rassegnato al suo triste fato, e si alzò con difficoltà per iniziare la lunga e sicuramente mortale camminata diretto alla città più vicina, sperando di avere un passo abbastanza buono da raggiungere la città prima di sera.

Si rese presto conto che così non sarebbe stato quando raggiunse il limite della città che era già mattina inoltrata, e si era dovuto fermare già sei volte a riprendere fiato.

Era proprio dura la vecchiaia, molto più di quanto pensasse. E faceva un caldo bestiale sotto quel sole. Fortuna che aveva un cappello, altrimenti si sarebbe senz’altro preso un’insolazione.

Anche se forse sarebbe stato meglio soccombere al caldo piuttosto che rischiare l’incontro con qualche mostro pericoloso, o un altro stregone.

Certo, incontrare la Farfalla Velenosa o il misterioso mago dagli occhi azzurri che Apollo ancora non era convinto fosse Klavier sarebbe stato l’ideale, in quelle condizioni, perché aveva così poco da perdere che non ci avrebbe pensato due volte a dare ad entrambi un pugno sul naso, nonostante la prima fosse una donna, e il secondo non gli avesse fatto effettivamente nulla di male in prima persona.

Ma era alterato, e stanco, e depresso, e accaldato, e pertanto anche molto molto vendicativo.

Non era neanche ad un chilometro fuori dalla città che iniziò ad essere immerso dalla nebbia. Non era una sensazione del tutto spiacevole, e non durò neanche così tanto. Solo qualche metro, abbastanza fitta da non mostrare nulla davanti e dietro essa, ma non abbastanza da creare problemi ad Apollo. Sembrò quasi di entrare in un portale magico, come una porta che divideva due mondi. Chissà, forse la foschia perenne delle lande era davvero un qualche incantesimo, ma Apollo non aveva avvertito nulla di strano intorno a sé.

Ma forse era distratto dal dolore alla schiena e dalle gambe sempre più incapaci di sostenere il passo che sperava di avere.

Un bastone gli avrebbe fatto davvero comodo.

Si guardò intorno in cerca di un bastone, di un ramo, o di un albero, ma la landa era desolata, e non sembrava esserci nulla all’orizzonte.

Così procedette con una certa tranquillità, aguzzando l’udito ormai provato dall’età, e la vista leggermente annebbiata.

Trovò il primo albero a circa due chilometri dalla città.

Un albero nodoso, ed enorme, dall’aria antica, e dimora di qualche uccellino, che cinguettava tra i suoi rami.

Apollo si avvicinò per cercare un ramo che potesse fargli da bastone, ma presto notò che gli uccelli non stavano svolazzando allegramente, ma sembravano intenti ad attaccare in massa un usignolo che aveva a stento trovato rifugio in una piccola cavità del ramo, e rischiava di finire preda di un manipolo di corvi e gazze, intenti a combattere anche tra loro per raggiungerlo.

Che scena assurda! E incredibilmente ingiusta.

Nonostante l’età e i dolori ai muscoli, Apollo trovò un bastone per terra, e iniziò ad agitarlo in aria per cercare di disperdere lo stormo.

Buona notizia: smisero di attaccare l’usignolo.

Cattiva notizia: iniziarono ad attaccare Apollo.

Ecco cosa succede a fare una buona azione.

Apollo si ritirò su sé stesso agitando il bastone per aria. Era diventato decisamente troppo vecchio per queste cose, e cercò di coprire soprattutto gli occhi da quell’attacco che si era andato a cercare.

Venne salvato dall’improvviso verso di un’aquila, che si gettò dal cielo verso i corvi, disperdendoli e dando occasione ad Apollo di allontanarsi il più possibile.

Si sedette a qualche metro di distanza, riprendendo fiato.

Si aspettava di venire ucciso da qualche mostro assetato di sangue, non da un gruppo di corvi assassini.

Neanche il tempo di recuperare il fiato, che passò dalla padella alla brace, perché l’aquila volò verso di lui, e Apollo fu convinto di essere ormai spacciato.

Poi l’aquila si trasformò a mezz’aria in un usignolo… nell’usignolo che Apollo aveva provato a salvare, e gli si appoggiò affettuosamente sulla spalla.

Apollo lo scansò, irritato.

-Se potevi trasformarti in un’aquila perché non l’hai fatto prima?- chiese, ben consapevole che non avrebbe risposto.

Infatti l’usignolo si limitò a cinguettare e appoggiarsi sul suo cappello.

Apollo sospirò, e decide che era arrivato il momento di fare pausa pranzo.

Troppe emozioni tutte insieme.

Prese il pane e il formaggio e iniziò a banchettare, iniziando a pensare di aver agito decisamente male a quella maledizione. Probabilmente l’idea migliore sarebbe stata restare lì, spiegare la situazione, e chiedere un biglietto di sola andata per la città dove spezzare la maledizione.

Anche se… nel sogno, la Farfalla Velenosa gli aveva detto che non poteva dire nulla a nessuno, quindi sarebbe stato ancora più difficile provare a chiedere aiuto.

Ugh, che pessima situazione.

E che stanchezza.

Non era neanche a metà strada e iniziava già a farsi tardi.

L’uccellino che aveva salvato prima gli iniziò a volare intorno, adocchiando il pane.

Apollo roteò gli occhi, e spezzò qualche briciola, che gli offrì, sperando che poi si allontanasse perché non aveva la minima voglia di farsi inseguire da un uccello magico.

L’usignolo mangiò con gioia, e gli si rimise sul cappello, dando prova di non volersi allontanare tanto presto.

Apollo sospirò.

-Senti, tu? Non hai qualcosa di meglio da fare? Non ho molto altro da offrirti, non saprei neanche dove dormire stanotte, puoi trovare un anziano migliore da importunare- gli spiegò, sentendosi davvero stupido a parlare con un uccello, ma con sua grande sorpresa, l’usignolo si rimise in volo, gli roteò intorno, e trasformandosi in un pappagallo colorato e visibile se ne andò.

Apollo fu felice che avesse capito, finì di mangiare e si rialzò con difficoltà per continuare la sua camminata, nella direzione opposta a quella in cui era sparito l’uccello.

Due minuti dopo, il pappagallo tornò, gli girò nuovamente intorno, e riprese la direzione.

Apollo rimase qualche istante in confusione, chiedendosi il perché di quel gesto, ma continuò per la sua strada come se nulla fosse.

Al ché, il pappagallo tornò per l’ennesima volta, si trasformò in gazza, gli prese il cappello, e tornò nella direzione intrapresa precedentemente.

-Ehi! Quello è mio!- Apollo iniziò con difficoltà ad inseguirlo, ma mentre il sole calava all’orizzonte, decise che non aveva tempo da perdere dietro uccelli magici, ed era molto meglio abbandonare il cappello.

La gazza tornò un’ultima volta verso di lui, gli rimise il cappello in testa, e cominciò a volargli davanti al viso per attirare la sua attenzione.

-Cosa c’è?- chiese Apollo, seccato, sollevando il bastone per cacciarlo via. La gazza si trasformò in un tucano e si poggiò su di esso, iniziando a indicare con il lungo becco la direzione che aveva intrapreso più e più volte.

Apollo finalmente capì.

-Vuoi che ti segua?- chiese, confuso. Perché un uccello magico avrebbe voluto che Apollo lo seguisse da qualsiasi parte?

Ma soprattutto perché Apollo, maledetto da una strega perché uno stregone gli aveva dato interesse, avrebbe dovuto seguire un uccello magico?! Non ne poteva più di magia.

Il tucano annuì.

-Perché?- chiese Apollo, ormai rassegnato a parlare con l’uccello, che per tutta risposta si trasformò in un gabbiano e si coprì la testa con le ali.

-Un posto per… dormire?- suppose Apollo, confuso.

L’uccello annuì di nuovo.

-E perché dovrei fidarmi?- chiese Apollo parecchio incerto.

Il gabbiano si trasformò nuovamente diventando l’uccellino più piccolo, tenero e innocuo del pianeta, per convincere Apollo che non rappresentava alcuna minaccia.

Apollo l’aveva visto trasformarsi in un’aquila gigante, quindi dubitava che fosse privo di minacciosità, ma il gesto lo fece comunque ridacchiare, e alla fine non aveva granché da perdere.

-Va bene, tanto morirei comunque- borbottò, facendo dietro front e iniziando ad avviarsi nella direzione presa dall’uccello.

Entusiasta, esso si trasformò nuovamente in un pappagallo, probabilmente per essere riconoscibile, e gli indicò la strada.

Apollo capì di aver fatto la scelta sbagliata abbastanza presto.

All’inizio vedeva solo il fumo sollevarsi all’orizzonte, e pensò ci fosse una casetta isolata, ma mano a mano che si avvicinava, l’enorme figura del castello errante di Klavier si fece sempre più nitida all’orizzonte, e Apollo sempre più scoraggiato dal continuare la traversata.

Purtroppo le prime ombre della sera si stavano già abbattendo sulle lande, e Apollo aveva disperato bisogno di un alloggio, dato che insieme alla notte, stava sopraggiungendo anche il freddo, e una soffocante stanchezza.

Alla fine se vedeva Klavier e confermava che fosse l’uomo responsabile della sua maledizione, sebbene in maniera indiretta, poteva benissimo tirargli lo schiaffo che tanto agognava di tirargli da quella mattina.

E poi dubitava fortemente che un tipo come Klavier avrebbe mangiato il cuore di un uomo tanto vecchio.

Certo, c’erano più contro che pro, ma la stanchezza vince sempre su tutto, quindi alla fine, contro ogni buon istinto di autoconservazione, Apollo entrò, seguendo il pappagallo colorato, nel casello errante di Klavier, al momento fermo sul posto.

L’interno era buio, ad eccezione di un fuoco che scoppiettava pigramente nel camino, e non sembrava esserci nessuno in casa. Il pappagallo si mise su un trespolo, vicino al fuoco, e aprì le ali per riscaldarsi, prima di tornare ad essere un usignolo.

Apollo si avvicinò al fuoco, guardandosi intorno lentamente e pronto a correre di nuovo alla porta, anche se era certo che non ci sarebbe arrivato abbastanza presto, visto quanto fosse stanco e acciaccato.

La stanza era un vero porcile, pieno di polvere, libri sparsi ovunque, e piatti sporchi.

Ew, come poteva qualcuno con dei poteri vivere così?! Se Apollo avesse avuto dei poteri magici, la prima cosa su cui li avrebbe usati sarebbe stato mantenere sempre tutto pulito e in ordine.

Avrebbe volentieri dato una spazzata, ma era troppo stanco, e non era casa sua, quindi si avvicinò al fuoco, e si sedette davanti ad esso, sollevando le mani per riscaldarsi, e iniziando a sentire la stanchezza prendere possesso di lui.

Lo scoppiettare del fuoco era piacevole, anche se i suoi occhi, uno azzurro e l’altro marrone, erano leggermente inquietanti.

Un momento…

Il fuoco aveva gli occhi?!

Apollo sobbalzò, ora improvvisamente sveglio, e fissò il fuoco con più attenzione, notando che non solo aveva gli occhi, ma anche una bocca, che si aprì lentamente.

-Jove?- chiese il fuoco, sorpreso e parecchio confuso.

Qui il confuso era Apollo.

-Il fuoco parla?!- chiese tra sé, allontanandosi leggermente.

Non doveva più stupirsi, ormai, probabilmente, ma non si aspettava di vedere un fuoco parlante, poco ma sicuro.

Dopotutto l’uccello magico non parlava, perché doveva farlo un fuoco?

-Chi sei tu?- chiese il fuoco, più attivo, e squadrandolo dalla testa ai piedi.

-Chi è Jove?- chiese Apollo, che non aveva mai sentito quel nome, ma che lo trovava comunque stranamente familiare.

-Uh? Niente! Nessuno. Chi sei tu? Chi ti ha fatto entrare?- chiese il fuoco, rigirando la domanda e guardando l’usignolo che si era messo a dormire sul trespolo.

-L’uccello mi ha fatto entrare. Mi chiamo Apollo- si presentò lui, tranquillo, e indicando l’usignolo.

Dentro di sé stava esplodendo, ma aveva raggiunto il limite di assurdità per la giornata, quindi un fuoco parlante all’improvviso era diventato la cosa più normale del mondo.

Il fuoco lo guardò per un attimo sorpreso, brillando più forte, poi dopo qualche istante di silenzio, tornò a scoppiettare pigramente.

-Capisco… prima volta che vieni maledetto?- chiese, con nonchalance.

-Probabilmente anche l’ultima- rispose Apollo, sbadigliando e mettendosi più comodo sulla sedia.

Dopotutto dubitava che sarebbe sopravvissuto ancora a lungo in quel clima.

-Possiamo fare un accordo e posso aiutarti a scioglierla, se vuoi?- propose il fuoco, con uno scintillio nell’occhio marrone, che divenne rosso per un attimo.

O forse era solo il bagliore del fuoco.

Apollo lo guardò poco convinto.

-Tu chi sei?- chiese, sospettoso.

Dubitava fosse Klavier… a meno che non si fosse sbagliato su tutto e lo stregone che aveva conosciuto fosse qualcun altro e non Klavier.

-Sono Phoenix, il demone fenice. Al tuo servizio e pronto a sciogliere la tua maledizione. Oh, e l’uccello che ti ha portato qui è May, anche lei qui nel tentativo di spezzare la propria maledizione. Puoi fidarti di me- il fuoco, Phoenix, gli fece un occhiolino rassicurante.

Apollo si fidava molto meno di prima.

-No grazie, non bisogna mai fare un patto con un demone- era tipo la base della vita. Una delle prime cose che insegnavano all’orfanotrofio -Accetterò di passare la notte qui ma domani tornerò in viaggio- affermò con sicurezza -Grazie dell’ospitalità- aggiunse poi, cercando di essere cortese per non farsi cacciare fuori.

-Capisco…- il demone sembrava parecchio deluso dalla risposta di Apollo -…posso almeno chiederti quali sono i tuoi programmi? No, anzi, fammi indovinare…- Phoenix era in vena di chiacchiere.

Apollo in vena di dormire, ma rimase comunque ascoltarlo, con un solo occhio aperto.

-…vuoi andare alla capitale e chiedere aiuto a Miles Edgeworth il grande stregone, vero?- suppose, con sguardo indefinibile.

-E se anche fosse?- Apollo non capiva dove volesse andare a parare.

-Beh, ti darò una dritta, ragazzo. Non puoi dire della tua maledizione a nessuno, neanche a Edgeworth, e ora che sei entrato in contatto con me, fidati che non potrai neanche entrare a palazzo senza essere interrogato e imprigionato. Pensi davvero che ti aiuterebbero durante una guerra?- Il fuoco si mosse come a scuotere la testa.

-E dovrei fidarmi di un demone?- Apollo non riuscì a capire se bluffasse. Ma doveva ammettere che per essere un demone sembrava parecchio tranquillo.

-Ehi, non sto chiedendo in cambio la tua anima o qualcosa del genere, vorrei solo… senti, ragazzo, il mio accordo è semplice: tu spezzi la mia maledizione, e una volta privo di vincoli, io spezzerò la tua- propose Phoenix, brillando più forte per un secondo.

-Aspetta, sei stato maledetto anche tu?- chiese Apollo, sorpreso. Potevano essere maledetti i demoni.

-Beh, più che una maledizione, il mio è un contratto, e non ne posso parlare nel dettaglio, ma se tu riuscirai a capire come spezzarlo, io poi toglierò la tua maledizione, e sarà una vittoria per entrambi, senza che anime ci finiscano in mezzo, che dici?- propose Phoenix.

Forse era il sonno a parlare, ma sembrava parecchio convincente.

Poteva farsi assumere per pulire quel porcile, e restare per sciogliere il contratto che legava Phoenix a… probabilmente Klavier.

Probabilmente senza un demone che lo supportasse, Apollo sarebbe riuscito a tirargli uno schiaffo senza venire poi ucciso.

Era davvero tentato.

-Va bene, io sciolgo il tuo contratto con Klavier e tu sciogli la mia maledizione- accettò infine, chiudendo gli occhi, e sprofondando nel mondo dei sogni.

 

In un personale castello non errante, la Farfalla Velenosa era intenta al suo solito trattamento di bellezza, del tutto indifferente a qualsiasi cosa stesse succedendo alla sua ultima vittima.

-Concentrati, Dahlia- la riprese una voce che esisteva solo nella sua testa.

-Su cosa, scusa?- chiese lei, restando ad occhi chiusi con la maschera sul viso.

-Dobbiamo lavorare costantemente se vogliamo localizzare Phoenix. Quel ragazzino maledetto può darci solo una piccola spinta nella direzione giusta, e non riesci neanche a capire da che parte sta- la rimproverò la voce.

Dahlia sbuffò, e aprì un occhio, lanciando un’occhiata al suo ombrello aperto, che mostrava immagini confuse di Apollo durante il suo viaggio quella mattina, fino all’incontro con gli uccelli.

-La supervisione si ferma lì?- chiese, guardando fuori dalla finestra, dove si era fatta ormai notte inoltrata.

-Le lande sono sempre difficili da seguire, e un’altra magia ha interferito con la tua. Se fossi più concentrata…- 

-Non è colpa mia se non sei abbastanza potente, Kristoph- si lamentò Dahlia, alzandosi e chiudendo l’ombrello.

La voce rimase in silenzio, toccata dall’accusa, e Dahlia poteva sentire che fosse anche fumante di rabbia.

-Bada a come parli ragazzina, posso toglierti ciò che ti ho dato in ogni momento, e lasciarti senza nulla- la minacciò.

Dahlia strinse i pugni, ma non si lasciò abbattere.

-Sappiamo entrambi che hai bisogno di me tanto quanto io ho bisogno di te, quindi non minacciarmi, e ricarichiamoci. Domani inizieremo a localizzare Phoenix- i suoi occhi brillarono di malizia al pensiero.

Quel demone era tutto ciò che cercavano, e il suo patto con Klavier l’aveva reso, per la prima volta da secoli, estremamente vulnerabile.

   
 
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