Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: VigilanzaCostante    16/07/2021    8 recensioni
Come fai a spiegare il rosso, il blu, il verde a chi non li ha mai visti? Victoire è cieca dalla nascita e ci convive con fredda logica, ma Teddy non riesce ad accettare che non conosca la magia dei colori.
Ma i suoi occhi, azzurri e in tempesta, non videro mai la luce. Victoire Weasley, nata nella pace, nata dall’amore, nata cieca.
[Questa storia partecipa al contest "Di prompt stilistici e figure retoriche, II edizione" indetto da Futeki sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NDA:
Questa storia partecipa al contest “Di prompt stilistici e figure retoriche, II edizione” indetto da Futeki sul forum di EFP.
La sfida consiste nel dover scrivere una storia rispettando un determinato stile e utilizzando e rendendo centrale una determinata figura retorica.
Lo stile: finale aperto.
La figura retorica: ossimoro.

Spero che abbiate ritrovato questi due elementi, che ho cercato di rispettare il più possibile all’interno della OS.
 
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
Spiegare cos'è il colore a chi vede bianco e nero

[Vent’anni, Maneskin]


Equilibrio di un caos ordinato

 
Victoire, la prima bimba di una nuova generazione di Weasley, nacque a due anni dalla Battaglia di Hogwarts. Nacque nel calore, a pochi passi dal mare e con l’intera famiglia a sentire le sue urla di benvenuto al mondo. Nacque nel tacito tumulto della ripresa, nel ricordo vivido del sangue e della paura, nella morte non ancora superata di un figlio, fratello, amico. C’era speranza in quella pelle morbida, in quella peluria bionda, in quei gemiti da neonato, nel modo in cui annaspava per afferrare l’aria con i pugnetti chiusi.

Ma i suoi occhi, azzurri e in tempesta, non videro mai la luce. Victoire Weasley, nata nella pace, nata dall’amore, nata cieca.
×××

Victoire conosceva il mondo pur non avendolo mai visto. Conosceva l’odore del mare in riva alla spiaggia, la sensazione dei granelli di sabbia sottopelle, le risate di sua madre quando suo padre la faceva ridere. Avrebbe voluto dire che le bastava, che le bastava conoscere il mondo spogliato di uno dei cinque sensi, che le bastavano i tiepidi baci sulla guancia di Dominique e le marachelle di Louis.
E forse quello sì, forse quello le sarebbe potuto bastare. Forse avrebbe potuto non pensarci, se la vita fosse stato quello e nulla più. Ma c’era anche la magia, la magia che aveva rinunciato a usare, che sembrava in grado di fare tutto tranne aggiustarla.
«Non c’è niente da aggiustare in te» diceva suo padre. Ma come poteva spiegargli che tutto ciò che desiderava era divorare il mondo con lo sguardo?
Ci aveva provato, a essere come tutti gli altri. L’avevano vista moltissimi medimagi, i genitori l’avevano portata dai maghi più potenti per capire se si potesse fare qualcosa, ma nemmeno le pozioni più stravaganti sembravano in grado di darle la vista. Nessuno sapeva spiegarselo. Qualcuno sussurrava che era la conseguenza del morso di Greyback, qualcun altro più maligno, quasi razzista, sosteneva che la colpa risiedeva nel sangue Veela diluito e modificato di generazione in generazione. E dopo il primo anno ad Hogwarts, Victoire ci aveva rinunciato.
Non importavano le insistenze di tutta la sua numerosa, chiassosa famiglia. Non importavano i “Puoi comunque andare a Hogwarts, la vista non è un impedimento”, “Hai sempre la tua bacchetta”. Ma quel primo anno era stato un inferno. Aveva sempre vissuto nella calma di Villa Conchiglia, e al massimo s’era spinta alla Tana. In quei due piccoli universi aveva costruito una propria routine, in cui tutti conoscevano il suo limite e sapevano rispettarlo. A Hogwarts non era così: la valanga di coetanei che le vociava intorno, che produceva magie accanto a lei senza avvertila, i rumorosi passi che si intrecciavano e si confondevano, le scale che cambiavano… non era un posto adatto a una ragazzina con una disabilità. Non sarebbe mai salita su una scopa, non avrebbe mai partecipato a un duello di magia e, allora, perché umiliarsi in quel modo? Aveva fatto le valigie ed era tornata in Cornovaglia, nelle spaventosamente confortanti acque del suo mare.
S’era chiusa in casa per giorni – in cerca disperata di un po’ di pace – e suo padre l’aveva aspettata fuori dalla porta in attesa che fosse pronta per parlare. Bill non capiva, non riusciva proprio, perché lui era tipo da agire e non arrendersi mai, nemmeno davanti al morso di un lupo mannaro, nemmeno davanti alla morte del proprio fratello più piccolo. Ma Fleur, in cucina, s’era fatta scappare un sospiro di sollievo.

A discapito di qualche sporadico rigurgito di magia che, come qualsiasi adolescente emotiva, non riusciva a evitare, Victoire scelse la propria strada: si buttò a capofitto nella logica. Nella semplice, mai deludente, chiara, matematica babbana.
Iniziò studi tipicamente babbani, conobbe la letteratura, la scienza, la fisica e prima di tutte o forse per ultima, la matematica. E Victoire, ancora scottata da quella magia che non era stata in grado di salvarla, se ne innamorò. Si innamorò della chiarezza di quei teoremi, delle implicazioni logiche, della perfezione astratta che riusciva a raggiungere. Non aveva dovuto rinunciare a studiare, perché a quel buio accecante a cui era destinata non veniva preclusa la conoscenza. Leggeva in braille, e se possibile i numeri erano ancora più evidenti delle lettere. Sgomitavano nella sua mente e creavano la luce che non riusciva a vedere.
Non aveva tagliato i ponti con il mondo magico perché era fisicamente impossibile. Amava la sua rumorosa, numerosa, folle famiglia. E amava anche quella poca magia che era in grado di generare, che non le si ritorceva contro, che non le richiedeva l’uso della vista. E così trovò il suo equilibrio scostante, divisa a metà tra due mondi che collidono.
E a rendere ancora più precaria la sua ricerca di stabilità e logica, c’era Teddy Lupin. Teddy non aveva mai smesso di partecipare alla sua vita. Lui era tutto ciò da cui tentava di rifuggire, ma da cui non riusciva ad allontanarsi. Teddy era goffo e impacciato, fin troppo sentimentale, vivo e carico di una magia elettrica che viveva nel profondo del suo animo, manifestando senza veli le sue emozioni. Uno accanto all’altro parevano contradditori, lui così trasparente, e lei così fredda, pensierosa. I parenti li definivano “il cuore e la mente”, ma a Victoire quelle parole facevano sorridere: le emozioni, in fin dei conti, risiedevano nel sistema limbico, non tra un battito cardiaco e l’altro.
×××

«Non ti conoscerò mai veramente» gli sussurrò una notte d’estate, mentre le sue manine piccole gli accarezzavano la schiena sudata.
«Perché dici questo?».
«Perché puoi cambiare la forma del tuo viso e il colore dei tuoi capelli. Le tue emozioni trapelano attraverso il tuo corpo e sei in grado di far ridere tutti i miei parenti con le tue facce buffe. Io… io non vedrò nulla di tutto questo, mai».
«Posso mostrarti i miei colori, Vic».
Victoire aveva ormai ventitré anni, si stava per laureare in matematica pura ed era diventata sempre più pragmatica. Per lei i colori non erano altro che la percezione delle varie radiazioni elettromagnetiche comprese nello spettro visibile. Per Teddy erano tutto il mondo.
«E come me li spiegheresti, i colori?» disse accennando un sorriso nell’oscurità.
«Come la spieghi scientificamente la magia? Non la spieghi» prese la bacchetta sul comodino «eppure posso fare questo». Teddy aveva usato un incantesimo non verbale per alzare il suono della sua voce. Era bravo, e stava affinando sempre più la sua tecnica magica durante gli studi per diventare medimago, come il nonno che non aveva mai conosciuto. Le prometteva che sarebbe riuscito a trovare la causa della sua cecità e di risolvergliela, ma Victoire aveva smesso di credere alla presunzione dei maghi.
«Ci sarà una spiegazione, solo che i maghi sono troppo pigri per trovarne una e non ne parlano con i babbani, che invece dedicherebbero tutta la loro vita a scoprirne le cause…».
Un po’ le sarebbe piaciuto, un giorno, trovare una spiegazione a ciò che una spiegazione non aveva mai avuto.
«E poi, resta il fatto che non puoi dare una definizione ai colori. Il nome che si associa a ogni colore è solo un nome, per astrazione, come fai a dire a parole che cos’è il rosso?».
Sentì Teddy alzare gli occhi al cielo e sbuffare, prima di avvicinarsi e rubarle un altro bacio.
«Però i colori, per me, corrispondono ai sentimenti» un altro bacio ancora, pelle contro pelle. «E sono intenzionato a mostrarteli tutti».

E il primo colore che le mostrò fu proprio il rosso.
«È il più facile» aveva esclamato gioioso mentre la conduceva accanto al fuoco.
«Ted, siamo a luglio, non ti sembra di esagerare?».
«Il rosso è calore».
Le goccioline di sudore le scendevano sulla fronte, ma non smetteva di sorridere. Sentì Ted armeggiare e piano piano il caldo si disperse.
«Ma non è solo calore, è anche passione» e fece passare la lingua sul labbro superiore di Victoire, che ebbe un fremito. «Questo non lo sai, ma la prima volta che abbiamo deciso di giocare insieme, da bambini, i capelli e il viso mi sono diventati fuoco. Il rosso è anche imbarazzo. Il rosso è la Tana, il rosso sono i Weasley. Il rosso è l’amore irruento che ti fa tremare le viscere».

Il giorno dopo la portò a fare una passeggiata nella vasta campagna dietro la Tana.
«Oggi cosa mi fai vedere?» Victoire sorrise di sé stessa, un po’ provocante e saccente al tempo stesso.
Ma Teddy non parlava, e questo spaventò la ragazza più che mai. Teddy era un fiume di frasi sconnesse e chiacchiericci flebili. Non stava mai zitto, e se stava zitto era perché stava combinando qualcosa di sbagliato: perfino l’inclinazione della sua voce non riusciva a reggere le bugie.
«Vic ora salgo su questa scopa e ti aiuto a salire dietro di me».
«No» non c’erano più sorrisi nel tono di Victoire. Non era mai salita su una scopa in vent’ anni di vita, e non avrebbe iniziato ora.
«Il verde per me è l’odore dell’erba dopo una giornata di pioggia, è la sensazione di volare, l’adrenalina di una corsa all’aria aperta. Il verde è l’ignoto della Foresta Proibita, il verde è tu che ti fidi di me e sali su questa dannata scopa concedendo un’eccezione alla tua logica».
«Non so se mi piace il verde, Ted. Me lo immaginavo più freddo, tu rendi tutto così schifosamente emotivo».
Ted rise, poi prese la sua mano e l’aiutò a salire con brusca gentilezza sul manico.
Si strinse con forza al petto del ragazzo, e trattenne innaturalmente il fiato per paura. Si sentì sollevare, e un po’ traballando su se stessa la scopa prese il volo. Victoire urlò, ma urlò di gioia, con tutto il fiato che aveva in gola, mentre i capelli biondi si intrecciavano di fronte al suo viso.
Odore di erba fresca e fiori. Libertà, ecco cos’era quel colore.

«Nonna Andromeda dice che il giallo è il mio colore».
«Solo perché sei un tassorosso?».
«Perché porto il sole!».
Un torpore raggiunse le guance pallide di Victoire. Teddy era davvero luce in quell’eterno buio.
«Quindi non mi spiegherai il giallo?».
«No. Se io sono il giallo, tu come lo definiresti?».
Toccò a Victoire sbuffare, faceva fatica a capire quando il piccolo Lupin era serio o meno.
«Tu sei tutto sottosopra, sei estremamente disordinato, goffo, a volte anche timido. Ma in qualche modo sei magicamente coerente, sei un’equazione perfetta, senza intoppi, senza ricalcoli, senza errori. Sei chiaro e lampante nelle tue verità ed è questo che mi piace di te, il modo in cui mi rendi equilibrata nonostante le mille facce che puoi assumere. Forse non vederle aiuta!». E rise di se stessa, per alleggerire la tensione. Non era brava con le dichiarazioni d’amore, era Teddy quello fin troppo sentimentale e lei era sempre attenta a non immischiarsi con parole dolci o promesse. Aveva troppa paura di ferire ed essere ferita.
«Sei più brava di me in questo gioco, vedi?».
Forse aveva conosciuto i colori per una vita intera e non se n’era mai accorta.

«Se tu sei il giallo, io che colore sono?».
«Oh, allora siamo arrivati al mio preferito. Vieni, andiamo a fare una passeggiata?».
«Se hai intenzione di farmi prendere il volo anche oggi, no, passo!».
«Victoire Weasley, giuro che mi porti allo stremo delle mie forze! Volevo portarti in riva al mare».
Lei si aggrappò al suo braccio e si fece condurre. Più si avvicinavano al mare, più i piedi nudi sentivano l’umidità della sabbia bagnata, e più riusciva a percepire quell’odore di salsedine che le sapeva così tanto di casa.
«Sai qual è il colore fisso dei miei capelli?».
Victoire lo sapeva, gliel’aveva chiesto quando erano più piccoli, ma non era sicura che negli anni non fosse cambiato.
«Blu?».
«Come i tuoi occhi. Come te».
Lo disse in un modo così dolce che Victoire non riuscì nemmeno a prenderlo in giro per il sentimentalismo.
«A volte quando ti guardo anche i miei occhi nocciola prendono il colore dei tuoi. Harry mi ha detto che è la dimostrazione d’amore più grande per un Metamorfomagus».
«E perché io sarei il blu?».
«Perché indossi una malinconia viva, vibrante, reale. Perché sei come le onde del mare che si infrangono sugli scogli, perché il blu è concentrazione, pensiero, amore per il sapere. Perché non è un colore caldo, ma nel suo essere un colore freddo è comunque accogliente. Forse semplicemente perché è il colore dei tuoi occhi e dei miei capelli da quando ti conosco».
«Mi piace il blu, ma forse il mio preferito è il giallo».
«Sei inquietantemente dolce, oggi» Teddy le baciò la mano, non gli dispiaceva affatto quello slancio.
È un addio.
«Credo sia un ossimoro».
«Non lo siamo anche noi?».
E mentre appoggiò la testa sulla sua spalla, Victoire ammise che aveva ragione: non facevano altro che esprimere concetti contrari. 
×××

Teddy Lupin aveva la testa incastrata tra le nuvole, e questo lo portava a inciampare su se stesso e dimenticare parti di sé ovunque. Ma in quei giorni, stava cercando di essere più vigile che mai, perché gli sembrava di essere su un palcoscenico e di essere l’unico non informato del cambio di copione.
Entrava in una stanza e tutti si zittivano, tutto ciò che riusciva a carpire era Tolosa, Aritmanzia, studio sperimentale. 
Alla Tana Molly era scoppiata in lacrime, stringendosi ad Arthur e dandogli la colpa di aver parlato troppo ai propri nipoti del mondo babbano. E Teddy, a quel punto, collegò i puntini e giunse all’unica conclusione che gli sembrava plausibile. 
Mentre si materializzava a Villa Conchiglia sorrideva d’un sorriso triste, nostalgico come il blu dei suoi capelli. Le aveva insegnato la libertà d’infrangere le regole e così lei aveva preso il volo.
Era un ossimoro quell’emozione d’orgoglio misto rabbia che lo pervadeva, e stupidamente si chiese che sfumatura di colore avesse raggiunto la sua chioma.

Trovò una lettera sul letto, in camera sua. Funzionava come una strillettera, ma senza urla, solo parole sussurrate nel buio di una stanza.
Così Teddy conobbe il nero, il non-colore, l’assenza di tutti i colori, l’unico che Victoire aveva potuto percepire in tutta la vita.
Teddy s’abbandonò tra le lenzuola mentre la voce nell’aria concludeva la lettera.
Per sempre tua, Vic.








 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: VigilanzaCostante