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Autore: DGrey    17/07/2021    1 recensioni
«Quando i bambini fanno così, non è più possibile rimediare.»
Le parole di sua madre le rimbombarono in testa, come pietre tirate su una parete di una stanza vuota, facendole del male fisico.
Non riusciva ad accettarle.
Sua figlia era una brava bambina... davvero.
Aveva solo molta curiosità e grinta.
Curiosità e grinta.
Curiosità… Grinta…
Sono doti importanti, anzi indispensabili, che vanno direzionate correttamente.

[Questa storia partecipa al contest "Come to the dark side? Ehm…" indetto da Severa Crouch sul forum di EFP]
[Attenzione - Nella storia è presente linguaggio offensivo verso una categoria particolare di persone da parte di un personaggio negativo]
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Tonks, Bellatrix Lestrange, Druella Black, Nuovo personaggio
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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[Questa storia partecipa al contest "Come to the dark side? Ehm…" indetto da Severa Crouch sul forum di EFP]
1955
«Bellatrix! Che stai facendo a tua sorella?»
«Piange Sempre! Volevo farla smettere…»
«Mettendole il cuscino sulla faccia?!»
Druella comprese la piega che stavano prendendo le attività ricreative della figlia più grande il giorno in cui la sorprese ad annegare un gattino di pochi giorni (chissà da dove lo aveva preso, poi) in una tazza di latte.
«Io lo volevo bianco, mamma» disse la piccola, senza battere ciglio, quando le vennero chiese delucidazioni su cosa stesse facendo di preciso.
Non che le importasse davvero qualcosa dell’animale, per il quale non ci fu più nulla da fare, ma da quel momento, inquietata dall’episodio, decise di tenere d’occhio la bambina. 
Nel vederla, qualche tempo dopo, cercare di soffocare la sorellina Cissy direttamente dalla culla, e giustificarsi poi con un “scusa-non-volevo” poco convinto e senza rimorso, tipico di chi recita un copione, capì di aver avuto ragione.
«Quando i bambini fanno così, non è più possibile rimediare.»
Le parole di sua madre le rimbombarono in testa, come pietre tirate su una parete di una stanza vuota, facendole del male fisico.
Non riusciva ad accettarle.
Sua figlia era una brava bambina, davvero.
Aveva solo molta curiosità e grinta. 
Curiosità e grinta.
Curiosità… Grinta…
Sono doti importanti, anzi indispensabili, che vanno direzionate correttamente.
«Cissy piange perché è triste.»
«Triste?»
«Triste perché ha appena scoperto che il mondo non è pulito come dovrebbe essere, e ha paura. Vedi, Bella, una volta, tanto tempo fa, Dio creò la magia e la donò ai maghi, per renderli i soli artefici di cose meravigliose, e il mondo ne era pieno, quindi era bello…»
«E poi?»
«…Poi alcune persone cominciarono a comportarsi male, e Dio punì la loro disobbedienza, privandole del dono della magia per tutte le generazioni a venire. Ma queste, per risposta, cominciarono a rubare la magia ai maghi e alle streghe, per poi ucciderli. Quindi adesso, ci sono pochi maghi nel mondo: gli uomini senza magia sporcano il nostro bel mondo riempiendolo di plastica, immondizia e bruttezza, e molti maghi, purtroppo, finiscono per unirsi a loro, non capendo il pericolo che corrono…»
«Oh.»
«…La nostra famiglia, la famiglia Black, è una tra le poche rimaste dei maghi originali. Nessuno dei nostri antenati ha rubato la magia e nessuno deve permettersi di farlo. Quindi, mi raccomando, proteggi la nostra famiglia dai ladri e da chiunque voglia distruggerla, ad ogni costo. Proteggi tua sorella dal male, e falle capire che è al sicuro.»
Affascinata dalla storia, Bellatrix sgranò gli occhi. Si avvicinò alla piccola Narcissa, cominciando a carezzarle la guancia.
«Tranquilla, Cissy, Ti proteggo io dai ladri cattivi!»
Il tono non era esattamente protettivo o affettuoso. Sembrava più che altro perentorio.
Ma era meglio di nulla.
Per il resto, non era possibile prevedere come sarebbe andata in futuro. Si poteva solo sperare.
Nel dubbio, decise che sarebbe stato più saggio evitare di portare animali domestici in casa.
1958
Bellatrix, pur essendo una bambina, non sapeva bene come divertirsi, e non socializzava molto con i suoi coetanei.
Preferiva stare da sola, sul marciapiede, a dar fastidio alle lucertole. Non era troppo spassoso, ma comunque interessante. Specialmente quando la coda si staccava dal resto del corpo e continuava a muoversi da sola.
Ma gli altri bambini la annoiavano. Oppure le provocavano un sentimento incontrollabile di fastidio.
«Ciao Bella! Vuoi vedere cosa mi ha regalato Papà?»
«Che palle... Ancora tu?»
Soprattutto quella bambina...
Nessuno voleva giocare con lei, perché era insopportabile. E si, anche perché era nata mongoloide.
Ma era stupida, come tutti i mongoloidi; ed era testarda come tutti gli stupidi.
Non faceva altro che presentarsi tutte le mattine vicino casa sua, con in braccio un Teddy Bear di stoffa grigio, dicendo di voler giocare.
Ogni volta, si presentava con il suo nome: sistematicamente, Bella se lo dimenticava. 
Dopotutto, che importa?
Chiamarla “La Mongoloide” basta e avanza per ricordarsela.
“Se non hai amici, cercateli, no?” pensava con rabbia. “Perché giocare proprio con me, se poi ti metti a piangere per ogni cosa che ti viene chiesta?”
Era stata comprensiva, Bellatrix, ma non sembrava andare bene niente.
Non andava bene giocare alla lotta;
non andava bene riempire di lassativo il cibo della mensa dei poveri;
non andava bene incendiare il negozio di giocattoli di suo padre;
non andava bene sezionare il cane del vicino per controllare cosa avesse mangiato l'ora prima.
Niente.
Fosse stato per la mongoloide, sarebbero state tutto il giorno a raccogliere fiori, giocare alla famigliola felice, o sedute in giardino a bere il tè con le bambole e i pupazzi.
Non lo faceva neanche con le sorelle, quello, figurarsi con una qualunque.
Vero che non sapeva come divertirsi, ma di certo aveva idee chiare su cosa non le piacesse fare.
«Non hai nessuno con cui giocare perché nessuno ti sopporta!»
«Ma Papà mi vuole bene…»
«Nessuno vuole bene a quelli come te. Tua madre è andata via perché sei nata brutta e tuo padre non ti ha abbandonato in chiesa solo per pietà.»
«Non… NON È VERO!»
Ad un certo punto, Bellatrix si accorse che passare il tempo con quella mocciosa non era così male.
Soprattutto quando quest'ultima stava al suo gioco.
Una volta aveva camminato con lei per diversi chilometri, aspettando che si stancasse, per poi dirigersi in una vecchia villa abbandonata.
«Vogliamo fare una prova di coraggio?»
«Che prova?»
«Lo sai chi ci vive qui dentro?»
«...no.»
«Si dice che qui viva la vecchia Signora Smith, una megera che mangia i bambini. Non so se sia vero, ma tu non perderti eh!»
Così le aveva detto.
E lei ci aveva creduto. 
Era davvero una stupida.
La spinse ad entrare dentro la casa. Fecero insieme qualche passo, Poi Bella si allontanò di qualche metro nel buio, non facendosi notare.
La sua compagna di avventure aveva cominciato a chiedere timidamente aiuto, stringendo il suo Teddy, ma non ci fu risposta.
Alla prima occasione, decise di spingerla dentro uno sgabuzzino polveroso, chiudere la porta e tenerla ferma.
Quando la mongoloide si mise a piangere e ad urlare, Bella sentì una strana onda di eccitazione attraversarle tutto il corpo.
Era la cosa più piacevole che avesse mai fatto. Tanto da doversi costringere a trattenere le risa che salivano verso le sue labbra.
Quelle urla valevano tutto il fastidio e la fatica che provava stando in compagnia di una scema. Più queste aumentavano di volume, più lei si sentiva meglio.
E fu ancora più soddisfacente riaprire la porta mezz'ora dopo e notare che la stupida se l'era letteralmente fatta sotto dalla paura.
«Io te l’avevo detto di non perderti. Per fortuna ci sono io!»
Ad un certo punto, maltrattarla divenne qualcosa di cui la piccola strega non poté più fare a meno. Come mangiare troppi dolci o fare battute cattive.
Staccare la coda alle lucertole non era più così interessante come prima.
Non sapeva perché quella bambina continuasse a venire da lei, nonostante tutto.
Ma, in quel momento, andava bene, anche se non sapeva il motivo preciso.
«Stanotte esci senza farti notare. Vediamoci proprio qui. Voglio mostrarti una cosa!»
«Non è uno dei tuoi dispetti, vero?»
«Per niente! È una cosa bellissima, dico sul serio!»
«Non so se ti credo…»
«Ah beh, allora non venire. Vado da sola.»
Quella mattina, Bellatrix era stata ripresa da sua madre perché aveva osato sporcare il vestito buono.
Ed era arrabbiata per questo.
Voleva sfogarsi un po', divertirsi. Stavolta sul serio.
Riuscì a convincere la sua compagna di giochi ad uscire di nascosto durante la notte, per portarla al Regent's Canal, vicino al tunnel di Islington.
A quell'ora, in quella zona, non c'era nessuno.
C'erano solo terra e alberi a separare le bambine dall'acqua.
«Non mi dire che hai paura, pisciasotto.»
«Io... io non ho paura...»
«E allora dimostralo! Questo è l'unico giorno dell'anno in cui i Salmoni D'Oro passano in questa strada. Se ne catturiamo uno possiamo venderlo, puoi tenerteli tu i soldi, io li ho già.»
«Non è vero! Racconti un sacco di bugie!»
«Ti dico che è così! Io ne ho già catturato uno l'anno scorso, per questo siamo ricchi. Se anche tu lo catturi poi diventi ricca anche tu, così finalmente sarai utile alla famiglia. E magari la tua mamma torna a casa!»
«Torna... a casa...?»
Ci era cascata di nuovo. Quella stupida credeva davvero che la madre morta potesse tornare dall'aldilà. Si poteva essere più cretini di così?
«E come faccio a catturarlo?»
«Se ti avvicini all'acqua, salta da solo!»
Lentamente, l'altra si avvicinò al canale per cercare di guardare nel fondo.
Una mano le si pose sopra la testa, affondandola sotto l'acqua.
Ci volle qualche momento di troppo, prima che la scema si rendesse conto della situazione, e si appellasse al suo istinto di sopravvivenza, cercando di divincolarsi.
Mentre la mongoloide si dimenava, Bellatrix capì finalmente il perché stesse facendo tutto questo.
L'adrenalina le attraversò di nuovo il corpo, come un’onda, facendola divertire come mai prima di allora.
La scena era ipnotica, e lei non poteva distogliere lo sguardo.
Senza farci caso, nel momento in cui la sua preda cominciò a entrare nel panico, muovendosi sempre più forte, sentì l'impulso di ridere.
Dapprima delicate, le sue risate si fecero sempre più forti, per poi riecheggiare sulle pareti, sul pelo dell’acqua e sulla corteccia degli alberi. Ad un certo punto, una minuscola parte di lei si preoccupò della possibilità che quei suoni fortissimi potessero svegliare il vicinato.
Non aveva mai riso in quel modo in vita sua.
Ma non importava più di tanto.
Era così bello. Si sentiva bene.
Sentì il mondo girare e lo stomaco accartocciarsi per la contentezza, mentre la sua stessa risata squarciava il cielo e superava la barriera del suono.
O forse era solo un’impressione.
Perché quando la cretina smise del tutto di muoversi, effettivamente, nessuno si affacciò a vedere che fosse successo.
E il divertimento finì.
Troppo presto.
«Bella?»
«Si, Andromeda?»
«Oggi un signore gentile mi ha detto che non trova sua figlia e mi ha chiesto se l'ho vista. Non era quella che giocava sempre con te, gli occhi storti, il vestito rosa, l'orsacchiotto e i capelli biondi lunghi fino a qua?»
«Non me la ricordo.»
«Ma lui mi ha dato questo...»
«Cosa?»
Andromeda stringeva qualcosa tra le braccia. Era una bambola di pezza, apparentemente fatta a mano, con vestito grigio, strappato in più punti, e lunghi ricci neri, accompagnata da un foglio con su scritte lettere deformi e irregolari.
PER BELLA
DA ABBY
La sorella maggiore prese il foglio e lo accartocciò. Il giocattolo non lo guardò neanche.
«Non la conosco. Comunque io non ci gioco con i babbani. E neanche tu dovresti. Butta quella cosa, le bambole che ci hanno regalato a Natale sono più belle.»
Andromeda, dal basso dei suoi cinque anni non era molto convinta. 
«Ok» disse.
Invece andò nella sua stanza, e fissò intensamente la bambola di pezza.
Sembrava ispirare tristezza, in qualche modo.
Forse con un tocco in più…
Prese il cappello da una delle bambole di Natale e lo posizionò sopra quella dai ricci neri.
«Adesso va meglio!»
Questa idea era nella mia testa da un po' di tempo. Fin d'ora, mi hanno bloccato alcuni timori dati dal fatto di voler scrivere di un personaggio che, seppur sia spesso presente nelle fanfiction, da parte mia non ho mai affrontato davvero.
Spero comunque che il tutto sia uscito bene.
In ogni caso, vi ringrazio tutti in anticipo per la lettura. Alla Prossima.

[Questa storia partecipa al contest "Come to the dark side? Ehm…" indetto da Severa Crouch sul forum di EFP]

[Attenzione - Nella storia è presente linguaggio offensivo verso una categoria particolare di persone da parte di un personaggio negativo]






1955

«Bellatrix! Che stai facendo a Cissy?»

«Piange Sempre! Volevo farla smettere…»

«Mettendole il cuscino sulla faccia?!»

Druella, il giorno in cui sorprese la figlia più grande ad annegare un gattino di pochi giorni (chissà da dove lo aveva preso, poi) in una tazza di latte, comprese davvero la piega che stavano prendendo le sue attività ricreative.

«Io lo volevo bianco, mamma» disse la piccola, senza battere ciglio, quando le vennero chiese delucidazioni su cosa stesse facendo di preciso.

Non che le importasse davvero qualcosa dell’animale, per il quale non ci fu più nulla da fare, ma da quel momento, inquietata dall’episodio, decise di tenere d’occhio la bambina. 

Nel vederla, qualche tempo dopo, cercare di soffocare la sorellina neonata direttamente dalla culla, e giustificarsi poi con un “scusa-non-volevo” poco convinto e senza rimorso, tipico di chi recita un copione, capì di aver avuto ragione.


«Quando i bambini fanno così, non è più possibile rimediare.»

Le parole di sua madre le rimbombarono in testa, come pietre tirate su una parete di una stanza vuota, facendole del male fisico.

Non riusciva ad accettarle.

Sua figlia era una brava bambina... davvero.

Aveva solo molta curiosità e grinta. 

Curiosità e grinta.

Curiosità… Grinta…

Sono doti importanti, anzi indispensabili, che vanno direzionate correttamente.


«Cissy piange perché è triste.»

«Triste?»

«Triste perché ha scoperto che il mondo non è pulito e sicuro come dovrebbe essere, e ha paura. Vedi, Bella, una volta, tanto tempo fa, Dio creò la magia e la donò ai maghi e alle streghe, per renderli i soli artefici di cose meravigliose. Il mondo era pieno di magia, di natura, di bellezza e di perfezione…»

«E poi?»

«…Poi alcune persone cominciarono a comportarsi male, e Dio punì la loro disobbedienza, privandole del dono della magia per tutte le generazioni a venire. Ma queste, per risposta, cominciarono a rubare la magia ai maghi e alle streghe, per poi ucciderli. Per questo, adesso, siamo così in pochi: gli uomini senza magia sporcano il nostro bel mondo riempiendolo di plastica, immondizia e bruttezza, e molti maghi, purtroppo, finiscono per unirsi a loro, per moda, non capendo il pericolo che corrono…»

«Oh.»

«…La nostra famiglia, la famiglia Black, è una tra le poche rimaste dei maghi originali. Nessuno dei nostri antenati ha rubato la magia e nessuno deve permettersi di farlo. Quindi, mi raccomando, proteggi la nostra famiglia dai ladri e da chiunque voglia distruggerla, ad ogni costo. Proteggi le tue sorelle dal male, fai loro capire che sono al sicuro, e non permettere che subiscano alcuna influenza.»

Affascinata dalla storia, Bellatrix sgranò gli occhi. Si avvicinò alla piccola Narcissa, cominciando a carezzarle la guancia.

«Tranquilla, Cissy, Ti proteggo io dai ladri cattivi!»

Il tono non era esattamente protettivo o affettuoso. Sembrava più che altro perentorio.

Ma era meglio di nulla.

Per il resto, non era possibile prevedere come sarebbe andata in futuro. Si poteva solo sperare.

Nel dubbio, decise che sarebbe stato più saggio evitare di portare animali domestici in casa.

 

 

 

 

1958

Bellatrix, pur essendo una bambina, non sapeva bene come divertirsi, e non socializzava molto con i suoi coetanei.

Preferiva stare da sola, sul marciapiede, a dar fastidio alle lucertole. Non era troppo spassoso, ma comunque interessante. Specialmente quando la coda si staccava dal resto del corpo e continuava a muoversi da sola.

Ma gli altri bambini la annoiavano. Oppure le provocavano un sentimento incontrollabile di fastidio.


«Ciao Bella! Vuoi vedere cosa mi ha regalato Papà?»

«Che palle... Ancora tu?»


Soprattutto quella bambina...

Nessuno voleva giocare con lei, perché era insopportabile. E si, anche perché era nata mongoloide.

Ma era stupida, come tutti i mongoloidi; ed era testarda come tutti gli stupidi.

Non faceva altro che presentarsi tutte le mattine vicino casa sua, con in braccio un Teddy Bear di stoffa grigio, dicendo di voler giocare.

Ogni volta, si presentava con il suo nome: sistematicamente, Bella se lo dimenticava. 


Dopotutto, che importa?

Chiamarla “La Mongoloide” basta e avanza per ricordarsela.


“Se non hai amici, cercateli, no?” pensava con rabbia. “Perché giocare proprio con me, se poi ti metti a piangere per ogni cosa che ti viene chiesta?”

Era stata comprensiva, Bellatrix, ma non sembrava andare bene niente.

Non andava bene giocare alla lotta;

non andava bene riempire di lassativo il cibo della mensa dei poveri;

non andava bene incendiare il negozio di giocattoli di suo padre;

non andava bene sezionare il cane del vicino per controllare cosa avesse mangiato l'ora prima.

Niente.

Fosse stato per la mongoloide, sarebbero state tutto il giorno a raccogliere fiori, giocare alla famigliola felice, o sedute in giardino a bere il tè con le bambole e i pupazzi.

Non lo faceva neanche con le sorelle, quello, figurarsi con una qualunque.

Vero che non sapeva come divertirsi, ma di certo aveva idee chiare su come non le piaceva passare il tempo.


«Non hai nessuno con cui giocare perché nessuno ti sopporta!»

«Ma Papà mi vuole bene…»

«Nessuno vuole bene a quelli come te. Tua madre è andata via perché sei nata brutta e tuo padre non ti ha abbandonato in chiesa solo per pietà.»

«Non… NON È VERO!»


Ad un certo punto, Bellatrix si accorse che passare il tempo con quella mocciosa non era così male.

Soprattutto quando quest'ultima stava al suo gioco.

Una volta aveva camminato con lei per diversi chilometri, aspettando che si stancasse, per poi dirigersi in una vecchia villa abbandonata.

«Vogliamo fare una prova di coraggio?»

«Che prova?»

«Lo sai chi ci vive qui dentro?»

«...no.»

«Si dice che qui viva la vecchia Signora Smith, una megera che mangia i bambini. Non so se sia vero, ma tu non perderti eh!»

Così le aveva detto.

E lei ci aveva creduto. 

Era davvero una stupida.

La spinse ad entrare dentro la casa. Fecero insieme qualche passo, Poi Bella si allontanò di qualche metro nel buio, non facendosi notare.

La sua compagna di avventure aveva cominciato a chiedere timidamente aiuto, stringendo il suo Teddy, ma non ci fu risposta.

Alla prima occasione, decise di spingerla dentro uno sgabuzzino polveroso, chiudere la porta e tenerla ferma.

Quando la mongoloide si mise a piangere e ad urlare, Bella sentì una strana onda di eccitazione attraversarle tutto il corpo.

Era la cosa più piacevole che avesse mai fatto. Tanto da doversi costringere a trattenere le risa che salivano verso le sue labbra.

Quelle urla valevano tutto il fastidio e la fatica che provava stando in compagnia di una scema. Più queste aumentavano di volume, più lei si sentiva meglio.

E fu ancora più soddisfacente riaprire la porta mezz'ora dopo e notare che la stupida se l'era letteralmente fatta sotto dalla paura.

«Io te l’avevo detto di non perderti. Per fortuna ci sono io!»

Ad un certo punto, maltrattarla divenne qualcosa di cui la piccola strega non poté più fare a meno. Come mangiare troppi dolci o fare battute cattive.

Staccare la coda alle lucertole non era più così interessante come prima.

Non aveva idea del perché quella bambina continuasse a venire da lei, nonostante tutto.

Ma, in quel momento, andava bene, anche se non sapeva il motivo preciso.


«Stanotte esci senza farti notare. Vediamoci proprio qui. Voglio portarti in un posto!»

«Non è uno dei tuoi dispetti, vero?»

«Per niente! È una cosa bellissima, dico sul serio!»

«Non so se ti credo…»

«Ah beh, allora non venire. Vado da sola.»

 

Quella mattina, Bellatrix era stata ripresa da sua madre perché aveva osato bagnare il letto.

Ed era arrabbiata per questo.

Voleva sfogarsi un po', divertirsi. Stavolta sul serio.

Riuscì a convincere la sua compagna di giochi ad uscire di nascosto durante la notte, per portarla al Regent's Canal, vicino al tunnel di Islington.

A quell'ora, in quella zona, non c'era nessuno.

C'erano solo terra e alberi a separare le bambine dall'acqua.

«Non mi dire che hai paura, pisciasotto.»

«Io... io non ho paura...»

«E allora dimostralo! Questo è l'unico giorno dell'anno in cui i Salmoni D'Oro passano in questa strada. Se ne catturiamo uno possiamo venderlo, puoi tenerteli tu i soldi, io li ho già.»

«Non è vero! Racconti un sacco di bugie!»

«Ti dico che è così! Io ne ho già catturato uno l'anno scorso, per questo siamo ricchi. Se anche tu lo catturi poi diventi ricca anche tu, così finalmente sarai utile alla famiglia. E magari la tua mamma torna a casa!»

«Torna... a casa...?»

Ci era cascata di nuovo. Quella stupida credeva davvero che la madre morta potesse tornare dall'aldilà. Si poteva essere più cretini di così?

«E come faccio a catturarlo?»

«Se ti avvicini all'acqua, salta da solo!»

Lentamente, l'altra si avvicinò al canale per cercare di guardare nel fondo.

Una mano le si pose sopra la testa e la affondò sotto l'acqua.


Ci volle qualche momento di troppo, prima che la scema si rendesse conto della situazione, e si appellasse al suo istinto di sopravvivenza, cercando di divincolarsi.

Mentre la mongoloide si dimenava, Bellatrix capì finalmente il perché stesse facendo tutto questo.

L'adrenalina le attraversò di nuovo il corpo, come un’onda, facendola divertire come mai prima di allora.

La scena era ipnotica, e lei non poteva distogliere lo sguardo.

Senza farci caso, nel momento in cui la sua preda cominciò a entrare nel panico, muovendosi sempre più forte, sentì l'impulso di ridere.

Dapprima delicate, le sue risate si fecero sempre più forti, per poi riecheggiare sulle pareti, sul pelo dell’acqua e sulla corteccia degli alberi. Ad un certo punto, una minuscola parte di lei si preoccupò della possibilità che quei suoni fortissimi potessero svegliare il vicinato.

Non aveva mai riso in quel modo in vita sua.

Ma non importava più di tanto.

Era così bello. Si sentiva bene.

Sentì il mondo girare e lo stomaco accartocciarsi per la contentezza, mentre la sua stessa risata squarciava il cielo e superava la barriera del suono.

O forse era solo un’impressione.

Perché quando la cretina smise del tutto di muoversi, effettivamente, nessuno si affacciò a vedere che fosse successo.

E il divertimento finì.

Troppo presto.


«Bella?»

«Si, Dromeda?»

«Oggi un signore gentile mi ha detto che non trova sua figlia e mi ha chiesto se l'ho vista. Non era quella che giocava sempre con te, magra, alta così, gli occhi storti, il vestito rosa, l'orsacchiotto e i capelli biondi lunghi fino a qua?»

«Non me la ricordo.»

«Ma suo padre mi ha dato questo...»

«Cosa?»

Andromeda stringeva qualcosa tra le braccia. Era una bambola di pezza, apparentemente fatta a mano, con vestito grigio, strappato in più punti, e lunghi ricci neri, accompagnata da un foglio con su scritte lettere deformi e irregolari.


PER BELLA

DA ABBY


La sorella maggiore prese il foglio e lo accartocciò. Il giocattolo non lo guardò neanche.

«Non la conosco. Comunque io non ci gioco con i babbani. E neanche tu dovresti. Butta quella cosa, le bambole che ci hanno regalato a Natale sono più belle.»

Dromeda, dal basso dei suoi cinque anni, non era molto convinta. 

«Ok» disse. Invece andò nella sua stanza, e, per qualche minuto, fissò intensamente la bambina di pezza.

Non era così male, dopotutto. Ma sembrava ispirare tristezza, in qualche modo. Forse con un tocco in più…

Prese il cappello da una delle porcellane di Natale e lo posizionò sopra la bambola dai ricci neri.

«Adesso va meglio!»















Questa idea era nella mia testa da un po' di tempo. Fin d'ora, mi hanno bloccato alcuni timori dati dal fatto di voler scrivere di un personaggio che, seppur sia spesso presente nelle fanfiction, da parte mia non ho mai affrontato davvero.

Spero comunque che il tutto sia uscito bene.

In ogni caso, vi ringrazio tutti in anticipo per la lettura. Alla Prossima.

 

   
 
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