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Autore: Melabanana_    17/07/2021    1 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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anche se ho fallito molte volte,
sono tutti ricordi importanti

starò bene
perché tutta la felicità
mi sta aspettando
(生まれる願い - uta ari)



 


Epilogo (1)
 

 
Si sta alzando il vento. Nel viale colorato di rosa dai ciliegi in fiore, i petali raccolti sul marciapiede si sollevano e sparpagliano in giro, mentre quelli appesi ai rami, già in precario equilibrio, perdono la presa e volano via.
Il cielo è nuvoloso, ma caldo, e non appena il vento si placa e riesco a aprire gli occhi, chiusi d’istinto per evitare la polvere, vedo i raggi del sole spuntare audaci tra le nuvole e dipingere d’oro il tetto dell’aeroporto. Nel cortile c’è un gran viavai di persone con le valigie in mano e il naso incollato a un qualche dispositivo elettronico, cosicché nessuno fa caso a me nonostante io sia seduto a bordo strada sulla valigia da almeno dieci minuti. Solo ogni tanto qualcuno mi getta uno sguardo curioso, forse sospettano che io sia uno straniero. Quanti di loro mi hanno visto scendere dal volo di Parigi, o recuperare la valigia dal nastro dei voli intercontinentali? O forse hanno semplicemente scorto il piccolo adesivo della bandiera francese incollato sul fianco della mia valigia mentre la trascinavo all’uscita.
Guardo l’ora sullo smartphone che a malapena sta nella mia mano. È un modello grosso, e comunque non mi sono ancora abituato all’idea di averne uno. È stata una sorpresa quando Raimon me l’ha portato, presentandolo come un regalo per la mia partenza; l’ha detto in modo piuttosto convincente, ma il suo sorriso – bonario e allo stesso tempo complice – mi ha fatto intuire che dietro questo regalo c’è molto di più. Ho finito di scontare la mia pena, e questo cellulare è la prova che ho superato il test finale… senza neppure rendermi conto che ce ne fosse uno (ma ci ho fatto il callo. Per tutta la mia permanenza a Parigi mi hanno tempestato di test mai annunciati). In ogni caso, ho guadagnato la fiducia delle Spy Eleven. Così, dopo otto anni in cui mi è stato permesso di comunicare solo via lettera o massimo per email, ora finalmente posso fare ritorno al ventunesimo secolo e usare i messaggi e le chiamate come tutte le persone comuni. L’unico problema è che non so esattamente chi verrà a prendermi. Avrei dovuto partire tra una settimana, ma a sorpresa Raimon ha anticipato la data e, visto che mi ha dato il cellulare praticamente cinque minuti prima che salissi in aereo, non ho avuto il tempo di chiedere i numeri di nessuno (sì, al momento la mia rubrica conta solo Raimon e mia madre).
Probabilmente verrà Hitomiko. Mi guardo attorno nervosamente, colto da un dubbio improvviso. E se fossero già qui, e non mi hanno visto? Proprio quando penso di alzarmi in piedi, però, una macchina nera attira la mia attenzione parcheggiandosi accanto al marciapiede opposto al mio. Ancora prima che la macchina si fermi del tutto, la portiera dal lato passeggeri si spalanca e un ragazzo si lancia fuori, quasi inciampando nella cintura per l’entusiasmo. Anche se sono troppo lontano per impedirgli di cadere, istintivamente mi alzo di scatto, ma il ragazzo riprende subito l’equilibrio; poi si gira, mi vede, e un sorriso raggiante gli illumina il viso incorniciato da una cascata di capelli azzurri.
-Ryuuji!- Gridando il mio nome, Kazemaru attraversa la strada di corsa per raggiungermi. Vorrei rispondergli, ma prima che io possa aprir bocca lui si tuffa su di me e mi stringe con impeto, togliendomi il respiro. Questo abbraccio mi dà subito una strana sensazione. Ho stretto tra le dita il biglietto per il Giappone, sono salito sul volo, ho messo piede in aeroporto; eppure solo adesso penso davvero: Ah, sono tornato. E non riesco a trattenere una risata di sollievo.
Ci stacchiamo e per un attimo restiamo semplicemente a osservarci a vicenda, in silenzio ma con un sorriso inarrestabile stampato in volto. Ci guardiamo come si guarda un luogo che non vediamo da tanto tempo, e che quindi ci appare familiare eppure estraneo. Kazemaru indossa un paio di jeans chiari e stretti e una felpa arancione con la zip chiusa fino al mento. I suoi capelli, più o meno della stessa lunghezza di prima, sono sciolti e morbidi sulle spalle, tenuti a stento fermi da un fermaglio in cima; il ciuffo sull’occhio sinistro, quello c’è ancora. Ha un’aria più matura, adulta. 
Nei suoi occhi leggo gioia, ma anche tante domande, e sono sicuro che la mia espressione tradisce gli stessi sentimenti. 
Dopo un minuto di silenzio, Kazemaru allunga una mano, esitante, e confronta le nostre altezze. Mi accorgo in quel momento che sono più alto di lui, anche se di poco. Fa uno strano effetto.
-Non è giusto!- Kazemaru ride scuotendo il capo. -Cavolo, mi sa che sei persino più alto di Hiroto. Io e lui siamo alti uguale ora.
-Davvero?- rispondo con un sorriso. Devo dire che l'idea non mi dispiace.
-Davvero. E hai fatto crescere anche i capelli!- dice Kazemaru, indicando la treccia spettinata che ho improvvisato sull’aereo per tenere fermi i miei capelli. All’inizio li tagliavo, ma crescono così in fretta che a un certo punto ci ho rinunciato e li ho lasciati liberi, così ora mi arrivano fino al petto. A mia madre piacciono molto, anche lei li porta così e mi ha insegnato a legarli in una treccia quando la coda di cavallo tira troppo. Sto per dire tutto questo a Kazemaru quando nell’aria esplode il rumore di un clacson.
Io e Kazemaru ci giriamo nello stesso momento verso la macchina nera parcheggiata accanto al marciapiede. A causa del riflesso del sole, non riesco a capire chi ci sia alla guida, ma poi il finestrino del lato passeggeri si abbassa e vedo qualcuno che non mi aspettavo. Ho dato per scontato che sarebbe venuta a prendermi Hitomiko, ma di lei non c'è traccia né alla guida né nei sedili posteriori; invece, al volante c’è Desarm, una Spy Eleven che ho sentito poco in questi anni. Non mi spiego la sua presenza qui, e sono certo che lo stupore di vederlo sia scritto sulla mia faccia. Mentre lo guardo a bocca spalancata, Desarm si alza gli occhiali da sole sui capelli neri come pece e ci guarda con un’espressione accigliata.
-Capisco che dobbiate recuperare il tempo perduto, ma non potete farlo mentre andiamo?- ci chiede, e rilevo una certa impazienza nella sua voce.
Kazemaru gli fa un sorriso di scuse e mi prende per mano, così afferro al volo la valigia e insieme attraversiamo la strada. Dopo avermi aiutato a posare il bagaglio , Kazemaru sale con me dietro invece di sedersi avanti; mi chiedo se non sia scortese, ma Desarm non pare farci caso e mette in moto senza indugi. Inoltre, quando apro bocca per parlare, mi anticipa come se già sapesse cosa sto per chiedere.
-Sono sicuro che sei sorpreso di vedermi. Hitomiko mi ha chiesto di venire a prenderti- dice Desarm senza distogliere lo sguardo dalla strada. Il suo volto è calmo e impassibile, ma per qualche motivo sento che è nervoso. Resto in silenzio e annuisco, anche se ancora non mi è chiaro come mai si trovi a Tokyo.
Per fortuna, notando la mia confusione, Kazemaru accorre in mio soccorso.
-In questi anni la nostra sede e quella di Hokkaido si sono avvicinate molto, praticamente abbiamo una sorta di gemellaggio. Come quando abbiamo fatto quello scambio con te e Clara, solo che ora è una cosa fissa, succede almeno una volta all’anno. Il mese prossimo Honoka-chan dovrebbe venire da noi, e in cambio manderemo lì Maki, non è vero, Saginuma-san?
Desarm annuisce. Ma io ancora non capisco.
-Saginuma? Honoka?- ripeto quei nomi poco familiari, spostando lo sguardo da uno all’altro. Kazemaru capisce che la sua spiegazione mi ha confuso ancora di più e prova a rimediare, ma Desarm si intromette.
-Saginuma Osamu. È il mio vero nome- dice con leggerezza. -Per quanto riguarda Honoka, forse tu la ricordi come Rean.
Ho bisogno di riflettere un momento, ma poi mi torna in mente.
-La sorella di Bonitona? La drifter del fuoco? Quella Rean?
-Proprio lei. Dopo quello che è successo, l’abbiamo convinta a entrare in squadra. Da qualche anno ha completato l’addestramento ed è diventata un'agente di Hokkaido.
Annuisco in silenzio, poi chiedo, esitante:- Quindi… Saginuma-san?
-Sì, Midorikawa. Devi essere confuso, ma in realtà è molto semplice- dice Saginuma. -È partito tutto dal progetto Touch, un programma ideato per trovare e salvaguardare tutti i possessori di doni. All’inizio ci siamo concentrati solo sull’area metropolitana di Tokyo, ma ci stiamo espandendo pian piano in tutto il Giappone. In pratica è una rete di solidarietà, appena qualcuno scopre un drifter lo fa entrare in contatto con la rete.
-Ai drifter viene dato tutto l’aiuto possibile, vengono addestrati perché possano controllare i loro doni e scegliere cosa fare in futuro- spiega ancora. -Il programma comprende anche un’iniziativa di sostegno alle famiglie. L’obiettivo primario del progetto Touch è che nessuno resti isolato, tutti devono essere aiutati. E il primo passo è stato normalizzare l'esistenza di doni e drifter, invece di nasconderla. In questo modo anche chi prima non aveva un posto ora può vivere alla luce del sole... proprio come me e la mia squadra.
Saginuma si ferma a prendere fiato, o forse è solo concentrato sulla guida. Per fortuna non c’è molto traffico, ma Saginuma è un guidatore meno paziente di quanto ci si aspetterebbe ed è chiaro che vuole rientrare il più presto possibile. Dopo un sorpasso particolarmente audace, un sorriso soddisfatto gli compare sulle labbra.
-Onestamente, è un ottimo progetto. Non è perfetto, ma è comunque incredibile se consideriamo che prima non esisteva niente di simile. I drifter che nasceranno nei prossimi anni potranno contare su una rete di solidarietà enorme. Fino a dieci anni fa non avrei mai immaginato che una cosa del genere fosse possibile, ma suppongo che da lui non potevamo che aspettarci grandi cose.
-Lui chi?- chiedo, perplesso. Quando con la coda dell’occhio noto che Kazemaru sta sorridendo, ho come un presentimento, ma nonostante questo ho un tuffo al cuore quando Saginuma me lo dice.
-Il progetto Touch è stato lanciato da Hiroto Kiyama subito dopo essere diventato Spy Eleven.
Il cuore mi batte forte mentre mi torna in mente la conversazione che io e Hiroto abbiamo avuto il pomeriggio prima che partissi per l’Europa. Quindi questo progetto è il primo passo verso la realizzazione del suo sogno...
-Subito dopo che sei partito, sono saltati fuori parecchi nomi di gente coinvolta nei piani di Kenzaki e Garshield, quindi abbiamo avuto molto da fare. Ma non era abbastanza, ovviamente, perciò abbiamo cominciato a cercare le vittime. Non è stato semplice, non ce l’avremmo mai fatta senza l’aiuto di Kudou- dice Kazemaru, poi si ferma e si gira verso Saginuma.
-Manca ancora molto?
Saginuma getta un’occhiata all’orologio digitale sul cruscotto e stringe le mani sul volante.
-Posso fare mezz’ora- risponde, e quella che segue è probabilmente la mezzora più veloce della mia vita.
Saginuma sfreccia tra le strade come un uccello tra i cieli, incurante di tutto ciò che gli passa a fianco; rispetta le regole, ma quando arriva il momento procede senza guardare in faccia a nessuno, senza fare concessioni. Sono onestamente tanto colpito quanto terrorizzato, e non riesco a spiccicare parola per il resto del viaggio. Anche se ho del sonno arretrato, mi sento più sveglio che mai: continuo a pensare a cosa mi aspetta. Capendo come mi sento, Kazemaru poggia la mano sulla mia e la stringe, ed io trovo conforto in quel gesto mentre aspetto trepidante di scorgere l’edificio dell’agency.
Ma niente di ciò che avrei potuto immaginare si sarebbe avvicinato, e quando finalmente imbocchiamo una strada familiare, la sorpresa è comunque inevitabile.
Proprio davanti a noi si staglia imponente il vecchio edificio: è rimasto quasi identico, a parte una grande porta a pannelli scorrevoli e una verniciata di bianco fresco che lo fa quasi brillare alla luce del sole. Ma la novità più grande è che c’è un altro palazzo, più o meno delle stesse dimensioni, a poco più di sei metri dall’altro, con una sorta di passaggio che li collega al pianterreno.
La nostra agency non è più una sola. Si è sdoppiata.
-Ta-da! Ti piace? Bella, no?- esclama Kazemaru raggiante appena scendiamo dall’auto. Lo seguo tenendo lo sguardo fisso sui due edifici, con la bocca spalancata per la sorpresa. Osservo con meraviglia il nuovo edificio, cogliendo tutti i dettagli che lo rendono unico, diverso dal fratello più vecchio: il tetto a spiovente blu, i muri recentemente affrescati di un delicato color panna, la fila di finestre del primo e secondo piano. Qualche finestra è aperta, e all’interno s’intravedono sottili tende bianche smosse dal vento. D’un tratto mi sembra di sentire un vociare e abbasso lo sguardo sul breve passaggio che connette i due edifici, una linea retta di cemento coperta da una tettoia, come il corridoio esterno di una scuola; poco dopo, un gruppetto di ragazzi esce dal vecchio edificio e si dirige a quello nuovo. Non ne riconosco nessuno, sono chiaramente più piccoli di noi.
Così, mentre alle nostre spalle Saginuma scende e inserisce il blocco sicure alla macchina, cerco di attirare l’attenzione di Kazemaru tirandogli una manica. Kazemaru segue subito il mio sguardo e anche lui nota il gruppetto, ma non li chiama né fa altro per fermarli; così restiamo semplicemente a guardarli chiacchierare finché non si infilano nel nuovo edificio e spariscono alla nostra vista. A quel punto domando, curioso:
-Chi erano quelli?-
-In un certo senso, i nostri kouhai- risponde Kazemaru con un sorriso, poi mi poggia una mano sulla schiena e mi spinge delicatamente avanti. -Vieni, andiamo dentro. Prendiamo un caffè e ti spiego tutto- aggiunge, e sinceramente l’idea di un caffè solletica il mio interesse. Non appena mi sovviene che sono a digiuno da stamattina presto, il mio stomaco inizia a brontolare, come rispondendo a un richiamo primordiale.
-Scusate… sull’aereo ero troppo nauseato per fare uno spuntino- borbotto, imbarazzato.
Kazemaru mi guarda comprensivo, Saginuma sospira.
-Ho capito. Andiamo alla caffetteria- dice, e senza aspettarci si incammina verso l’entrata, infila la porta ed entra. Guardo Kazemaru con aria interrogativa.
-Abbiamo una caffetteria?
Lui annuisce e mi spinge dentro senza dire altro.
Una volta entrati, mi rendo immediatamente conto che solo l’esterno dell’edificio è rimasto identico: dentro è stato ristrutturato da capo a piede. Tanto per cominciare, dove prima c’era la mensa ora c’è una caffetteria, e non è più una stanza chiusa: al contrario, il muro di separazione è stato abbattuto e ora i tavoli sono in mezzo al corridoio. Entrando vediamo subito Saginuma appoggiato al bancone e intento a studiare il “Menù del giorno”, scritto con gesso bianco su una lavagnetta appesa al muro. Alle spalle del bancone si intravedono una porticina e una finestrella con la luce accesa che di certo danno sulla cucina. Mi avvicino per esaminare il menù, ma faccio giusto in tempo a scorgere sōmen freddi e yakitori in salsa che la mia attenzione si sposta invece sulla serie di salse, spezie e condimenti disposti sul bancone, sul frigorifero a vetri ricolmo di bevande, e non ultimo sulla pila di bento vuoti sull’angolo destro del bancone, puliti e pronti per l’utilizzo. Noto che c’è anche una macchina da caffè semiprofessionale, simile a quelle nei cafés parisiens, niente a che vedere con le macchinette automatiche su cui facevamo affidamento prima. Mentre la guardo estasiato, Kazemaru mi punzecchia il fianco con il gomito e mi indica una teca che prima non avevo notato, ma che cattura rapidamente il mio interesse non appena mi accorgo che al suo interno ci sono manju sia dolci che salati, delle fette di torta al cioccolato e varie altre merendine che sembrano fatte in casa. Anche se non ne sento il profumo, la sola vista di queste prelibatezze mi risolleva l’animo e mi fa brontolare di nuovo lo stomaco. Sto giusto scegliendo su cosa tuffarmi quando la porta della cucina si apre e ne esce Tobitaka: non è cambiato di una virgola, eccezion fatta per la barba ispida e non rasata che gli costella mento e zigomi.
-Ehi, seconda colazione?- chiede, senza alzare gli occhi mentre si asciuga le mani sul grembiule sporco di farina.
-In realtà penso che Midorikawa non abbia fatto neanche la prima- osserva Kazemaru.
A quelle parole Tobitaka smette di pulirsi le mani, solleva gli occhi verso di me e mi scruta con aria corrucciata. A un certo punto il cipiglio muta in un’espressione sorpresa e, anche se non ci siamo mai parlati al di fuori dei pasti, capisco che mi ha riconosciuto.
-Ah, il ragazzo che è partito, no?
Resto in silenzio mentre, per un momento, ripeto e rigiro quelle parole nella mente. È  probabilmente la definizione fin troppo lusinghiera per descrivermi; mi piace, me la tengo.
Rivologo a Tobitaka un sorriso di gratitudine che non può capire.
-Vorrei un caffè, e tutti i manju salati che ti sono rimasti- comunico in tono allegro. Lui solleva entrambe le sopracciglia, ma mi accontenta senza fare troppe domande, poi si mette a preparare tre caffè.
Saginuma beve il suo in piedi, tamburellando le dita sul bancone. Kazemaru ed io lo lasciamo lì e occupiamo un tavolo a scelta, tanto sono tutti liberi. Aspetto a stento di sedermi prima di aprire il sacchetto di carta e addentare il primo manju, mugolando di piacere quando il dolce, speziato sapore della carne con salsa si espande sulla mia lingua. Kazemaru, intanto, sorseggia il caffè allungato e mi spiega la nuova organizzazione dell’agency.
Tre anni fa tutti gli uffici sono stati spostati al piano di sopra, dove c’erano le nostre stanze. Al piano terra ora ci sono solo la caffetteria, una palestra, la sala conferenze, e al posto dell’ufficio di Gazel una biblioteca che tutti i membri della squadra hanno contribuito ad arricchire, anche se il grosso l’ha comunque messo Hitomiko, che ha recuperato un gran numero di libri usati tra le conoscenze di suo padre. Attaccato alla biblioteca resiste ancora l’archivio, dove però si possono trovare solo faldoni di vecchi casi irrisolti e innocue pratiche, mentre dati sensibili e documenti davvero importanti sono stati digitalizzati o messi in sicurezza altrove.
-A un certo punto siamo diventati tutti adulti, e abbiamo capito che non potevamo più vivere qui tutti assieme, che avevamo tutti bisogno dei nostri spazi. Quindi la decisione è stata unanime. Beh, Endou ed io avevamo già deciso di andare a vivere da soli, comunque- dice Kazemaru tra un sorso e l’altro. Un tempo solo dirlo lo avrebbe fatto arrossire, invece ora sembra calmo, come se si fosse ormai abituato a quell’idea; quando abbassa gli occhi, però, colgo una punta di malinconia nella sua espressione.
-Sai, è stato Endou a propormelo. Dopo che te ne sei andato, non riuscivo a dormire da solo. Così gli è venuta questa idea, e stiamo davvero bene insieme- aggiunge con un sorriso. Annuisco, con un leggero senso di colpa per non esserci stato quando ne aveva bisogno. Fisso il manju che sto per mangiare con la fronte un po’ aggrottata, poi decido di non commentare e concentrarmi invece sul cibo, perché l’appetito di certo non mi è passato, e anche perché non credo che a Kazemaru farebbe piacere se mi scusassi. Cosa più importante, dovrò imparare a conoscere questo edificio da capo, a quanto pare, e ci sono ancora tante cose che mi lasciano perplesso.
-Okay, ma quindi l’edificio accanto a che serve? E chi erano quei ragazzini?
Kazemaru abbassa il bicchiere e si lecca le labbra pensieroso.
-Sono le nostre nuove reclute- dice alla fine. -Hiroto non te lo ha scritto?
-No… Non ci era permesso di parlare del suo lavoro- rispondo, un po’ mogio. Kazemaru annuisce, non commenta, e va avanti.
-Okay, allora ti spiego tutto io. Ecco, quando i nostri doni sono saltati fuori in pratica c’erano solo due scelte, no?- dice, alzando due dita. -O ci si affidava alla polizia, come abbiamo fatto noi, oppure si viveva nell’ombra, e chi sceglieva la seconda opzione spesso finiva in attività illegali. Per questo Hiroto ha ampliato le scelte di partenza. Certo, la strada è ancora lunga, ma… normalizzando l’esistenza dei doni nel mondo intero, ora è possibile scegliere altre strade. Il progetto Touch sostiene i possessori di doni e le loro famiglie, qualsiasi cosa vogliano fare.
-Stando così le cose, pensavamo che avremmo avuto un calo nei nostri numeri. Ma non è stato così, anzi, ho sentito che in altre nazioni sono addirittura raddoppiati! Quanto a noi, c’è stato un po’ di viavai, ma adesso abbiamo un gruppetto di kouhai più o meno stabile, quei ragazzi che hai visto prima. È per loro che Hitomiko e Hiroto hanno voluto il dormitorio qui di fianco. I più sono possessori da poco tempo, li abbiamo scoperti nell’ultimo anno. Te li presento più tardi-. Fa una pausa e abbassa lo sguardo sul bicchiere mentre gratta il cartone con le unghie; per un attimo appare pensieroso, poi scrolla le spalle e si alza.
-Facciamo ancora due passi, ti va? Ti faccio vedere anche il piano di sopra.
Anche se ho ancora un manju da finire, annuisco e mi alzo a mia volta. Kazemaru si gira verso Saginuma, che sta fissando l’orologio da polso con un cipiglio severo, come se guardare minacciosamente un orologio facesse passare più veloce il tempo.
-Saginuma-san! Porto Ryuuji a fare un giro!
Preso di sorpresa, Saginuma ha un impercettibile sussulto, ma si sforza di apparire composto e fa un cenno con la mano mentre sorseggia il caffè con aria di assorta nonchalance. Quando lancio a Kazemaru un’occhiata interrogativa, lui si stringe nelle spalle, perplesso quanto me, poi mi prende per mano e mi trascina con sé. Così ci lasciamo alle spalle Saginuma e Tobitaka e, mentre ci addentriamo nell’agency, osservo il profilo di Kazemaru in silenzio. Ho la sensazione che ci sia qualcosa di non detto nell’aria.
-Puoi dirmi tutto quello che vuoi, sai?- dico senza particolare intonazione, con la massima calma mentre sbocconcello l’ultimo manju. Kazemaru esita per un momento, poi sento la sua mano stringere la mia.
-Lo so. Ma te lo dico dopo- dice, e mi è sufficiente per non fare altre domande.
Intanto abbiamo sorpassato biblioteca e palestra senza fermarci, e benché questo mi sorprenda resto in silenzio e mi lascio guidare al piano di sopra. Dal mio punto di vista è anche meglio, perché è quello che mi incuriosisce di più; forse per questo all’imbocco del corridoio Kazemaru si ferma e mi lascia andare avanti a esplorare da solo.
Qui il silenzio è interrotto solo dal ticchettio delle dita che battendo sulla tastiera del pc calcolano, compilano, revisionano, e da un brusio di voci che commentano, domandano, chiamano. Si respira un’atmosfera del tutto diversa da quella che ricordavo, le cose sembrano funzionare in modo più efficiente. Non posso fare a meno di restarne colpito. Quando siamo arrivati all’agency una decina di anni fa, era evidente che l’edificio non era stato pensato per noi: era piuttosto una caserma di polizia che Kira Seijirou aveva rilevato e adattato alle necessità sorte, inserendo degli uffici, una mensa e anche delle stanze dove potessimo dormire. Ma restava pur sempre una caserma. Adesso invece la struttura è tutt’altra cosa, è parte di un progetto ben preciso, studiato nei dettagli dal principio.
Fa uno strano effetto percorrere il corridoio, passare davanti alle porte e realizzare che in quelle che per almeno due anni sono state le nostre camere da letto ora ci sono solo impiegati sommersi di lavoro. A ogni tasto colpito, a ogni foglio stampato, un pezzetto della nostra vita precedente viene archiviato e lasciato indietro in una scatola chiusa. La stanza che ho condiviso con Kazemaru non è più nostra; la stanza dove Hiroto si è chiuso per scappare da suo padre non esiste più, non come prima. Quando arrivo davanti a quella porta, mi fermo un attimo più a lungo mentre i momenti che ho trascorso lì con Hiroto mi scorrono davanti agli occhi. Ed è come se solo ora riuscissi ad accettare l’idea che siamo cambiati, e che il mondo che ho lasciato quando sono partito è cambiato con noi.
Mi stacco dalla porta e torno indietro per raggiungere Kazemaru, che mi sta aspettando accanto alla scala. Sta scrivendo qualcosa al cellulare, uno smartphone con una cover arancione, ma quando mi sente arrivare si affretta a metterlo via e mi scruta in volto, come per accertarsi che vada tutto bene. Gli rivolgo un sorriso rassicurante e senza dire niente lo supero per tornare di sotto.
Una volta tornati giù, Kazemaru mi indica la palestra. -Vuoi dare un’occhiata?
-Sinceramente mi incuriosisce di più il nuovo edificio- rispondo, e vedo qualcosa balenare nei suoi occhi, un’emozione troppo rapida da identificare. Sto per chiedergli se qualcosa non va, quando proprio di fronte a noi la porta della biblioteca si apre e qualcuno appare sull’uscio. Mi blocco di colpo, e la mezza esclamazione di sorpresa che non riesco a trattenere attira la sua attenzione su di me.
Per un momento io e Fubuki Shirou restiamo a fissarci, ugualmente confusi. Fubuki è il primo a ricomporsi, e la sua bocca si curva in un sorriso divertito.
-E così l’eroe torna a casa. Fatto buon viaggio?- esclama, come se fossimo vecchi amici. Annuisco, ancora sbigottito dalla sua presenza. Dovrei chiedergli perché è qui? Guardo Kazemaru in cerca di aiuto, ma la sua attenzione è rivolta più che altro al fascicolo che Fubuki ha in mano.
-Sei stato all’archivio? Cosa facevi lì?- domanda, accigliato.
Il sorriso di Fubuki non vacilla neanche per un istante.
-Sono andato a distruggere tutti i documenti su me e Atsuya, naturalmente- risponde in tono serio. Kazemaru alza gli occhi al cielo.
-Certo. Beh, spero che tu non abbia lasciato tracce, a Suzuno non piacerà.
-A Suzuno non piace quasi niente- ribatte Fubuki con naturalezza.
Durante tutto lo scambio continuo a osservarlo stranito. A eccezion fatta per la riga dei capelli, ora laterale, non è cambiato poi molto da come lo ricordo.
-State tranquilli, sto solo lavorando- riprende Fubuki, e per fugare ogni dubbio si fruga nel colletto della maglia e tira fuori la targhetta identificativa che porta appesa al collo. Per un attimo la fisso senza capire, poi nel mio cervello scatta qualcosa.
-Lavori qui?!
Fubuki mi guarda con un misto di curiosità, sorpresa, e una punta di divertimento per la mia ignoranza.
-Ah, quindi è proprio vero che non potevi avere contatti con nessuno- osserva, si gira verso Kazemaru. -Posso dirglielo io?
Kazemaru si copre il volto con una mano e sospira.
-Accomodati.
Fubuki sorride e torna a rivolgersi a me.
-Atsuya ed io siamo stati assunti come informatori. Abbiamo accumulato parecchi contatti utili da quando siamo a Tokyo, e sappiamo come muoverci anche in ambienti poco… raccomandabili. Un lavoro perfetto per noi, non credi?
-Niente da dire a riguardo- replico, -ma come…?
Il sorriso di Fubuki si affievolisce un po’, e mentre parla evita il nostro sguardo.
-Beh, anche dopo che è finita la faccenda di Kenzaki, non potevamo certo andarcene a spasso. Ero ancora in convalescenza, e non sono riuscito a trovare il modo di far tornare il dono di Atsuya… Perciò siamo rimasti sotto la custodia della polizia per un po’-. Fa una pausa, poi scrolla le spalle e continua con più nonchalance.
-Ci hanno messi in un percorso di riabilitazione e lasciati lì a fare la muffa... pensavo che ci avrebbero lasciati là a vita, sinceramente. Invece Kiyama ci ha fatto un’offerta di lavoro piuttosto interessante, quando è diventato il capo di questo posto.
Fubuki sorride di nuovo, e questa volta mi sembra un sorriso sincero, diverso dall’espressione di scherno di poco fa.
-“Non ho potuto mantenere la promessa di ridare il dono ad Atsuya, ma voglio comunque aiutarvi”, mi ha detto così. Che idiota, vero? Avrebbe potuto fare finta di nulla e basta. Ma sono felice che non l’abbia fatto. Grazie a lui abbiamo potuto addestrarci come agenti e venire a lavorare qui-. Fa un’altra pausa, ride. -Anche questo fa parte del suo grande piano per un mondo migliore, suppongo. Uno dei nostri compiti è rintracciare drifter in posti che di solito la gente non conosce, non sa neanche che esistono.
-Per chiarire, fa tutto parte del progetto Touch. In questo modo, secondo Hiroto, sarà possibile poco a poco integrare nel sistema anche i drifter già esistenti e non ancora legalizzati, dopo un percorso di riabilitazione... come è successo ai Fubuki- interviene Kazemaru. -Purtroppo non sempre la riabilitazione riesce. Non siamo mai riusciti a recuperare i ragazzi che Garshield ha sfruttato, per esempio- aggiunge con amarezza.
-Non tutti possono essere salvati. Eppure Kiyama mi ha detto… “Voglio raggiungere tutti”, me lo ricordo benissimo. È stupido, ma quando me lo ha detto non ho potuto fare a meno di pensare che sarebbe stato bello seguirlo- conclude Fubuki. -E quindi eccomi qui. Soddisfatto del riassunto?
Annuisco e lo ringrazio mentre penso a quanto Hiroto sia incredibile. Il mio desiderio di vederlo cresce sempre di più, ma quando chiedo a Kazemaru dov’è, lui esita.
-Mi dispiace, Ryuuji, stamattina è uscito con Hitomiko, ma sono certo che tornerà presto- dice in tono vago, sembra in imbarazzo. -Lo sai... è marzo- aggiunge sottovoce, e solo grazie a questo realizzo in che periodo sono arrivato. È in questo mese che il padre di Hiroto è morto, anni fa; senza dubbio lui e Hitomiko sono andati a trovarlo, e se è così, allora non c'è niente da fare. Sono arrivato una settimana prima del previsto, dopotutto. Sospiro, senza nascondere la mia delusione, e Fubuki ne approfitta per inserirsi nuovamente nella conversazione.
-Ho un’idea, perché non visiti il dormitorio mentre lo aspetti? Così conoscerai anche le nostre nuove promesse- propone.
-Oh, giusto-. Imbattermi in Fubuki a sorpresa mi ha distratto. Mi giro verso Kazemaru, e per un istante lo sorprendo a guardare storto Fubuki; ma è solo un secondo.
-Oh, e va bene, andiamo- acconsente Kazemaru.
Fubuki si illumina. Per qualche motivo sembra divertirsi un mondo, e decide di mettersi in testa al nostro piccolo corteo; io vengo per secondo e infine Kazemaru ci segue con il viso chino e gli occhi incollati allo smartphone mentre scrive messaggi rapidissimi con i soli pollici. Durante il tragitto incrociamo anche Saginuma, che una volta saputo dove stiamo andando si unisce a noi, e così come il party dell’eroe in un videogioco ci incamminiamo verso la meta.
Andiamo al dormitorio per il corridoio esterno, e mentre cammino resto ancora una volta impressionato da quell’idea. Pare davvero di essere tornati a scuola; è una sensazione strana ma familiare allo stesso tempo, anche se i miei ultimi ricordi scolastici risalgono alle medie. E sono anche stato fortunato. Guardo Fubuki di soppiatto e penso che probabilmente lui non le ha neanche mai fatte, le medie. Dopo quello che è stato archiviato come “l’incidente Kenzaki”, sono venute a galla parecchie cose, non solo su di me. Scoprire di essere solo una delle tante vittime di Kenzaki, e che alcune di quelle persone erano proprio a un passo da me, è stato un pugno allo stomaco.
Osservandolo adesso, Fubuki non sembra più portare con sé quell’immensa rabbia che lo seguiva ovunque come un’ombra, ma non posso dirlo per certo; è sempre stato bravo a nascondere ciò che pensa davvero.
-Non guardarmi così, detective, mi consumi.
E ha ancora un irritante spirito di osservazione, a quanto pare.
Fubuki mi lancia un’occhiata veloce, con un sorriso irriverente sulle labbra.
-Stai facendo di nuovo il giochetto delle emozioni?- mi chiede, una punta di sarcasmo sempre presente nella voce, ma senza il mordente che mi sarei aspettato. Il Fubuki Shirou che ricordo io non è certo uno che si trattiene.
Scuoto il capo. -So come controllarlo ora- dico nel modo più pacato possibile. -In fondo, è come entrare in casa di altri senza invito, e senza neanche bussare. Quindi ora non lo faccio più. Anzi, ti chiedo scusa per averlo fatto in passato.
-Scuse accettate. Ma comunque stavo scherzando, rilassati. Siamo compagni di riabilitazione, dopotutto- replica Fubuki con un’alzata di spalle. Si ferma davanti alla porta, poi ci ripensa e si sposta per farmi largo con un gesto quasi galante. Gli lancio un’occhiata stranita mentre gli passo davanti e apro la porta.
Quando la porta si spalanca, non faccio nemmeno a tempo a sbattere le palpebre che un boom di colori mi scoppia davanti agli occhi, accompagnato da un bang bang bang! assordante. Per un momento penso che mi stiano attaccando, ma non sento dolore da nessuna parte. Poi con la coda dell’occhio vedo una striscia di carta colorata scivolarmi su una spalla, le mie scarpe sono piene di coriandoli. Sento un coro di voci urlare “Sorpresa!” totalmente fuori sincrono, e subito dopo qualcuno mi vola tra le braccia e qualcun altro esclama:- Ehi Maki, così non vale!
Davanti a me ci sono i miei amici: Suzuno, Nagumo, Endou, Gouenji, Kidou, Reina, persino Diam. E abbassando lo sguardo riconosco Maki tra le mie braccia, mi sta abbracciando così stretto che quasi non respiro. Le tulle gialle del suo vestito ondeggiano dietro di lei come la coda di una papera quando si alza sulle punte per guardarmi meglio.
-Oh, non posso credere sia tutto vero- dice, con la voce vibrante di emozione.
-Maki, sei sleale- la riprende Diam. -Avevamo detto di non correre subito ad abbracciarlo, di aspettare che gridassimo Sorpresa!
-Non ho resistito! Insomma, guardalo, è qui! In carne e ossa! Ed è diventato un figo!
A quel punto Diam si avvicina, mi scruta da capo a piede e poi commenta:- Beh, vero.
Il loro battibecco mi diverte e, anche se sono un po’ imbarazzato, sto al gioco.
-Anche tu non sei male, Diam- replico.
Diam mi fa un sorrisone. Porta una maglia nera con jeans scuri strappati al ginocchio, ma al polso ha due bracciali di plastica giallo limone che sembrano coordinati al vestito di Maki. Ha i capelli più lunghi adesso, legati in un codino sulla nuca, e quando ride gli orecchini a pendente viola oscillano leggermente.
-Sono Miura Hiromu adesso. O meglio, di nuovo- esclama e mi tende la mano con aria casual, come se cambiare identità due volte nel giro di una vita sola fosse una cosa normale. Mentre gli stringo la mano, vedo Reina e gli altri venire verso di noi.
-Maki, Miura, basta monopolizzarlo- dice Reina, poi con decisione mi attira a sé e mi abbraccia forte. -Ci sei mancato molto, Midorikawa- sussurra con il volto nella mia spalla, e quando si stacca mi rivolge un largo sorriso. Se possibile, è diventata ancora più bella di prima; ha un’aria più rilassata, oserei dire leggera, e i capelli a caschetto che le solleticano la nuca le danno un look sbarazzino.
Dopo di lei, anche Nagumo, Suzuno, Kidou, Endou e Gouenji mi salutano con strette di mano, pacche sulle spalle, o battendo il pugno contro il mio. In pochi secondi mi trovo circondato da sorrisi più o meno familiari; persino Suzuno sta sorridendo. L’unico escluso da questa atmosfera gioiosa sembra essere Saginuma: appena entrato si è messo in piedi in un angolo con le braccia incrociate, la faccia contrita come se avesse ingoiato un limone. Ma in questo momento poco importa. Tutti i miei amici sono qui per me.
-Scusa, non abbiamo finito di sistemare, abbiamo preparato tutto in fretta quando abbiamo saputo che arrivavi oggi- spiega Endou ridendo, mentre con una mano indica un largo striscione bianco con la scritta Bentornato, Midorikawa!, e solo quando me lo fa notare mi accorgo che la stanza è chiaramente decorata a festa, con palloncini che scorrazzano qui e lì come bambini indisciplinati.
-Tra parentesi, in teoria Kazemaru avrebbe dovuto portarti qui più tardi- fa notare Suzuno inarcando entrambe le sopracciglia.
-Non è colpa mia- si lamenta Kazemaru. -Ho fatto del mio meglio per tenerlo lontano, ma Fubuki ha rovinato tutto.
-Morivo dalla voglia di vedere la sua faccia sorpresa-. Fubuki si stringe nelle spalle, per nulla pentito. -E poi anche voi non vedevate l’ora di vederlo, no? Dì la verità, Kazemaru, volevi solo tenerlo tutto per te un altro po’.
Kazemaru arrossisce, borbotta qualcosa a bassa voce, e fissa male Fubuki. A quel punto interviene Gouenji, forse per evitare che il battibecco degeneri.
-Comunque sia, siamo contenti che tu sia tornato, Midorikawa. Oggi si festeggia…- Si ferma, aggrotta la fronte. -A proposito, Shirou, ma Atsuya non è andato a prendere da bere un’ora fa?
-Oh, lo sai com’è Atsuya. Quando vede qualcosa che gli piace, si distrae subito.
Gouenji sospira, non so se rassegnato o esasperato. -Lo so bene, infatti casa nostra sta diventando un bazar, non so più dove mettere la roba che compra.
-Se Atsuya sa che ti disturba, probabilmente lo fa apposta. Non è adorabile?- conclude Fubuki con un tono più allegro del dovuto. Gouenji scuote il capo e sospira. Qualcosa mi dice che non è la prima volta che hanno questa conversazione.
Mentre loro continuano a parlare, mi distraggo a osservare la stanza, una specie di sala comune con il pavimento di morbida moquette verde, ora costellata di coriandoli e stelle filanti – quelli che mi hanno sparato addosso –, e pareti tappezzate di poster, festoni e ghirlande di carta colorata appiccicati con lo scotch al muro. Sugli scaffali si alternano libri impilati in ogni senso possibile e piantine di fiori rossi, e in una libreria ad angolo scorgo qualche gioco da tavolo: delle carte hanafuda tenute assieme con un elastico, una scacchiera da Shogi piegata in due, e delle pedine del Go orfane di tavolo da gioco. Attorno a un tavolo di legno rotondo, coperto da una tovaglia quasi trasparente, ci sono due divani verdi e qualche sedia pieghevole.
A un certo punto attira la mia attenzione una grande bacheca di sughero, con fogli fittamente scritti che oscillano e sventolano verso l’alto come piccole bandiere al minimo soffio di vento nonostante le puntine colorate. Su uno leggo “Turni di pulizia” e sotto una tabella con i nomi – ne conto almeno sei –, e proprio a fianco noto un foglietto a righe scarabocchiato con furia, praticamente illeggibile da lontano, così mi avvicino per curiosità. La calligrafia non è delle migliori, ma riesco comunque a decifrare la scritta: “Kariya, smettila di saltare i turni o darli ad altri!!!” Ma l’appello è stato inutile, perché qualcuno – scommetto il destinatario del messaggio – ha risposto solo con un impietoso commento a pennarello rosso: “Senpai, la tua grafia è orribile”. Non riesco a trattenere un sorriso. Il mio sguardo cade poi su una bacheca portachiavi di legno: le chiavi delle camere sono tutte qui. Guardandomi attorno, vedo una scala che porta al piano di sopra. Mi avvicino e poso una mano sulla ringhiera, ma non salgo, mi limito a scrutare il pianerottolo.
Pochi secondi dopo, sento un mezzo grugnito venire dal piano di sopra, e poi qualcuno che fa “ssssh!” furiosamente, ma non c’è nulla da fare, l’altro sembra essere stato colpito da un attacco di ridarella e quella voce cristallina si fa sempre più forte.
-Chi c’è lassù?- domando ad alta voce, ma nessuno mi risponde chiaramente. A quel punto anche gli altri si girano verso la scala. Maki comincia a ridacchiare.
-Oh, i ragazzi sono timidi- dice.
-Già, sei una specie di superstar, amico- aggiunge Hiromu.
-Io?- Rivolgo loro uno sguardo confuso, mentre Kazemaru si avvicina e getta uno sguardo esasperato verso l’alto.
-Ragazzi, potete uscire, non vi morde mica.
Le sue parole sono seguite da un attimo di silenzio, poi scoppia un brusio caotico e sconnesso: sembra che stiano decidendo chi deve andare avanti. Guardo Kazemaru, lui scuote il capo con aria rassegnata, e così aspettiamo. Anche gli altri si radunano vicino alla scala, curiosi e divertiti. Alla fine, apparentemente, i ragazzi decidono di affidarsi a una rapidissima partita di carta sasso forbici che dura circa venti secondi.
-Non vale, perdo sempre io!- bisbiglia il perdente in tono lamentoso.
-Una sconfitta è una sconfitta, vai prima tu!- lo redarguisce un altro.
Altro silenzio, poi un borbottio:- E se invece la piantassimo di fare questo stupido gioco?-che scatena altre polemiche, e i due finiscono nuovamente a bisticciare.
-Forse dovremmo salire noi- dico a Kazemaru, che inarca le sopracciglia. Prima che possa rispondermi o salire, però, inaspettatamente qualcuno scende di sua volontà.
È un ragazzino alto e smilzo, che cammina con la schiena dritta e un portamento sicuro, le mani infilate nelle tasche del pantalone a zuava viola e fluenti capelli blu legati in una coda di cavallo alta. Il ragazzino si ferma davanti a me e mi guarda dritto in faccia quasi con fare sfrontato, non sembra affatto timido. Ma quello che più mi colpisce sono i suoi occhi, con ciglia lunghe e nere e un filo di eyeliner scuro che fa risaltare ancora di più il colore dorato delle iridi. Mi fanno pensare all’ambra e al miele.
Il suo coraggio smuove un po’ le acque, e poco dopo dietro di lui cominciano a scendere anche gli altri, cosicché nel giro di pochi secondi le nuove reclute sono tutte davanti a noi.
Kazemaru si porta un pugno alle labbra e tossicchia per schiarirsi la voce.
-Facciamo le presentazioni. Allora, da destra: Kyosuke, Ranmaru, Masaki, Takuto e Taiyou- dice, indicando i ragazzi man mano che li nomina.
Così apprendo che: Kyosuke è il ragazzo con i capelli blu che mi è venuto incontro; Taiyou è quello che sta ancora tentando di sopprimere la ridarella; Takuto sembra il più mite di tutti; Masaki è quello che ha perso al gioco, e Ranmaru non perde occasione di farglielo notare.
-Avresti dovuto scendere tu per primo- dice infatti, senza preoccuparsi nemmeno di parlare sottovoce, e provocando immediatamente la stizza dell’altro.
-Avete barato!
-No, è che butti sempre carta per prima!
-Masaki, Ranmaru, basta così-. Kazemaru batte le mani per interromperli e aspetta che il bisticcio si spenga prima di riprendere il filo. -So che avete sentito parlare molto di lui, ma voglio presentarvelo ufficialmente: lui è Midorikawa Ryuuji, il mio partner. Ha dovuto lasciare l’agency per cause di forza maggiore, ma adesso che è tornato riprenderà il suo ruolo di agente operativo.
Appena sentono il mio nome, i ragazzini sgranano gli occhi e spostano lo sguardo su di me come se stessero osservando una specie rara, Kyosuke e Masaki in particolare. Mi sento un po’ in soggezione, ma faccio finta di nulla e, sfoggiando un sorriso sicuro, alzo la mano per un saluto.
-Spero di lavorare bene con voi- dico in tono tranquillo. I ragazzi rispondono di sì in coro, qualcuno con un largo sorriso, qualcuno imbarazzato, e non c’è il tempo di dire altro perché in quel momento la porta si apre di nuovo e stavolta a entrare sono Zell e Atsuya.
Zell – o qualunque sia il suo nome ora – si avvicina per salutarmi.
-Ehi, ti trovo bene. Devi fare un salto a Hokkaido quando puoi- dice, sorride mentre si alza gli occhiali da sole sulla fronte. Nell’altra mano ha una busta da cui spuntano due bottiglie di Pepsi-Cola. Vedo Atsuya dietro di lui con altre due buste.
-Accidenti, sarebbe fantastico! Verrai, no?- esclama Hiromu, entusiasta per il suggerimento di Zell. Annuisco e sorrido.
-Sì sì, sicuramente io…- comincio a dire, ma vengo subito interrotto da Nagumo, che mi sposta con un braccio e si china in avanti per sbirciare nelle buste di Atsuya; la sua voce sovrasta la mia mentre chiede:- L’hai trovata la birra alla ciliegia?
Atsuya non risponde subito. I suoi occhi sono nascosti da un paio di occhiali dalle lenti rosate, e per un momento è difficile capire la sua espressione; poi però abbassa gli occhi e mi guarda mentre le sue labbra si curvano in un ghigno.
-No, ma ho portato qualcosa di meglio- dice, e allo stesso tempo fa un passo di lato.
Ora che Atsuya non è più in mezzo, mi accorgo che qualcuno viene di corsa verso di noi, e quando questa persona raggiunge la porta e si getta dentro, quasi inciampando per la fretta, il mio campo visivo si riempie di rosso e la mia mente si svuota. Tutto il corpo brucia per il desiderio di muovermi verso di lui, di averlo tra le braccia, di baciarlo. Invece lo fisso, paralizzato: dentro di me si affaccia, oltre all’emozione di vederlo, una paura sibillina che mi gela per un attimo le vene. In un flash mi torna in mente la nostra camera, ormai svuotata di tutto ciò che ricordava noi, e per un istante ho paura.
Ma poi Hiroto alza gli occhi e la paura scompare come una bolla di sapone, Hiroto apre la bocca e tutti i suoni scompaiono nella sua voce. Dice il mio nome e di colpo il mondo si ferma.
Questa volta posso rispondere, e lo faccio senza esitare. Mi sento leggero mentre gli getto le braccia attorno con slancio, sicuro che mi prenderà. Lo abbraccio forte, respirando nei suoi capelli, contro la sua pelle. Ha degli occhiali neri nuovi, un po’ storti per aver corso, e quando chino la testa per baciarlo sbatto involontariamente il naso contro il suo nel tentativo di evitarli; scoppiamo a ridere, ci riproviamo, questa volta ci troviamo alla perfezione e oh, penso, oh. Adesso sì che ci siamo. Gli infilo le mani nei capelli, lo tiro a me e lo bacio per tutte le volte in cui ho pensato a lui in questi anni, per tutte le volte in cui pensare a lui ha acceso una luce nell’oscurità. Lo bacio per tutte le volte in cui avrei voluto baciarlo, lo bacio sentendomi vivo e grato di esserlo. Devo chinare la testa per baciarlo bene, e quindi è vero che sono più alto di lui. Questa cosa mi piace veramente tanto e sorrido mentre lo bacio intrecciando le dita nei suoi capelli, che sono diventati un po’ più fitti e lunghi sulla nuca.
Nessuno osa interromperci, e noi ci dimentichiamo completamente di loro. Anche volendo, non riuscirei a pensare ad altro che a lui: la mia testa è piena solo dei suoi occhi, delle sue mani, delle sue labbra, piena della sua voce quando mormora il mio nome tra un bacio e un altro, come se non potesse mai dirlo abbastanza. Trattengo a stento i singhiozzi, e solo quando i baci cominciano a essere salati mi rendo conto che stiamo piangendo entrambi. Allora gli prendo il viso tra le mani e poggio la fronte contro la sua.
-Scusa se ci ho messo tanto- sussurro. -Ma sono a casa, Hiroto.
Mi risponde con una mezza risata e la voce carica di emozione.
-Bentornato… ti stavo chiamando. Mi hai sentito?
-Sì- mormoro, poi gli getto le braccia al collo e lo stringo forte, parlando contro il suo collo. -Non lasciarmi mai più. Anche se dovesse essere per il mio bene… non lasciare mai più che me ne vada. Non lasciarmi andare mai più- dico, serio, con voce tremante.
-Non lo farò- mi assicura, e io lo stringo ancora di più, respirando piano mentre le lacrime mi scorrono sul viso. Ho tenuto duro fino a questo momento perché Kazemaru o gli altri non mi vedessero triste, volevo solo ridere con loro in modo spensierato, volevo una riunione piena di gioia. Ma vedere Hiroto ha sconvolto tutto, ovviamente.
Ho pensato spesso all’ultima sera prima della partenza. Quella sera, nonostante quanto le parole di Hiroto mi abbiano reso felice, non sono riuscito a fare altro che piangere e farmi consolare da lui. Ero così debole e spaventato che non sono riuscito nemmeno a ringraziarlo. Ma ora finalmente posso dargli la mia risposta, quindi faccio un respiro profondo, mi stacco da lui e lo guardo negli occhi.
-È lo stesso per me. Voglio vivere con te- dico tutto d’un fiato, e non mi ferma nemmeno la sua espressione stupefatta; anzi, sono così nervoso che parlo ancora più veloce. -Niente ha senso per me se non ci sei tu al mio fianco. E sono sicuro che questa cosa non cambierà mai. Anzi, ti sposerei subito. Adesso…
Hiroto mi stringe a sé con tale impeto da sollevarmi da terra, e intorno a noi esplode un coro di esclamazioni, incitamenti e fischi. Maki e Hiromu gridano più di tutti. Tutti applaudono, tranne i nostri kouhai, che apparentemente sono troppo scioccati per fare qualcosa che non sia fissarci a bocca aperta. Ops?
Mi viene da ridere, ma mi blocco quando noto che alle spalle di Hiroto c’è Hitomiko. Le mie orecchie vanno a fuoco quando realizzo che è sempre stata lì e che ho appena fatto una sfacciata proposta di matrimonio a suo fratello davanti a lei; poi però mi accorgo che anche lei sta applaudendo e, quando i nostri sguardi si incrociano, il suo volto si apre in un sorriso raggiante. D’un tratto mi sento travolgere da un’ondata di affetto e gratitudine verso di lei. Hitomiko è una delle poche persone con cui ho avuto contatti costanti negli ultimi anni, e senza di lei io e Hiroto non avremmo potuto neanche scambiarci le lettere. Una volta pensavo fosse una persona fredda, ma non avevo capito niente: al contrario, è una delle persone più gentili che abbia mai incontrato. Vorrei ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me, ma Hiroto mi sta ancora tenendo tra le braccia e Saginuma le si avvicina prima che possa farlo io. Si ferma a un passo da lei, le prende la mano e...
-Hitomiko, ti prego, potresti sposarmi?!
Una bomba. Ha lanciato una bomba.
Di colpo tutti smettono di parlare e nella sala comune cala un silenzio incredulo. Per un istante restiamo tutti pietrificati, Hitomiko compresa. Lui compreso. Saginuma ha il viso contorto in una smorfia contrita ed è così rosso che sembra sul punto di esplodere; appena si rende conto di cosa ha sbottato, impallidisce, sgrana gli occhi, e le lascia la mano.
-No, aspetta, hai ragione, sono stato precipitoso- farfuglia, mentre comincia a frugarsi nervosamente nelle tasche. -Mi sono fatto prendere dall’emozione, ma non sarebbe dovuta andare così, avevo scritto un discorso, ce l’avevo proprio qui, per l’amor del…
-Sì.
Hitomiko lo interrompe bruscamente. Anche lei è rossa scarlatta adesso. Saginuma si blocca con la mano ancora impigliata nella tasca. Quando alza lentamente lo sguardo su di lei, ha un’espressione stordita, come se pensasse di aver avuto un’allucinazione uditiva.
-Cosa hai…? Scusa, forse non ho...
-Sì- ripete Hitomiko con voce soffocata. Per la sorpresa aveva smesso di piangere ma ora ha ripreso. -Sì, posso… Voglio dire, possiamo sposarci. Lo voglio.
Hiroto la guarda senza fiato. Saginuma ha l’aria di chi sta per avere un collasso.
-Ommioddio, ommioddio, ommioddio!- strilla Maki, scuotendo Hiromu con un braccio. -Ma che sta succedendo oggi?! Hiromu, se è un sogno dammi un pizzicotto!
-Oh no, credo che sia proprio tutto vero- risponde Hiromu. Getta la testa indietro in una risata fragorosa, poi tira fuori dalla tasca uno smartphone nero e scatta una foto a Saginuma, nemmeno troppo di nascosto visto che l’altro è troppo scosso per accorgersene. -Questa la mando a Natsuhiko. Cioè, non possono perdersi la vista del capo in preda allo stordimento amoroso, vero, Ryuuichirou?- esclama, dando di gomito a Zell/Ryuuichirou – il quale però non lo sta ascoltando.
-Scusa Miura, devo fare una cosa- dice infatti in tono assente. Ha l’aria di aver avuto lui stesso una grande rivelazione. Così, sotto gli sguardi perplessi di Maki e Hiromu, si gira verso Reina con una luce determinata negli occhi.
-Yagami, ti ho sempre amata. Vuoi uscire con me?
Lo dice così, senza girarci troppo attorno. Reina lo fissa basita, come se non avesse recepito il messaggio, poi sembra finalmente capire e il suo viso diventa di mille colori per l’imbarazzo.
-Ommioddio- soffia Maki, mentre Hiromu scuote solo il capo a bocca aperta, apparentemente troppo sbalordito per spiccicare parola. Per una volta, Miura Hiromu è davvero senza parole: questo sì che sarebbe uno scatto unico e irripetibile, penso mentre scoppio a ridere per la strana piega che la giornata ha preso. Sembra infatti che la mia goffa dichiarazione d’amore abbia causato una sorta di reazione a catena. Anzi, una dichiarazione a catena, direi. Per un attimo intravedo Nagumo girarsi verso Suzuno, ma l’altro lo respinge con decisione borbottando un Non ci provare, Haruya, e subito dopo le loro voci vengono sovrastate da altre.
-Tutto questo è veramente incredibile- sta dicendo infatti Fubuki a pochi passi da me e Hiroto. Lo vedo girarsi verso Gouenji con un largo sorriso.
-Che ne dici, Shuuya? Andiamo a vivere insieme?
-Shirou, noi viviamo già assieme. Io, te e Atsuya.
-Oh, è vero! Assurdo il mondo, eh?
-Okay, non parliamone mai più in pubblico- interviene Atsuya, stappandosi una lattina di birra come se necessitasse dell’alcol per affrontare questa conversazione.
-Bene, gente, non ho fatto duecento metri a piedi per prendere bibite che nessuno beve! Quindi muovete il culo e venite a prendervi la roba, sì, pure voi ragazzini, dai!
Mentre tutti intorno a noi si muovono per andare a prendersi da bere, Hiroto invece mi tira per mano fuori dalla stanza, e ci lasciamo la confusione alle spalle per appartarci in cortile. Siamo vicini abbastanza da sentire ancora le voci degli altri, ma anche lontani abbastanza da non essere disturbati, e appena siamo soli Hiroto mi bacia di nuovo all’ombra dell’edificio, sfiorandomi dolcemente la guancia con le dita. Fuochi d’artificio esplodono nel mio petto ogni volta che mi tocca. Non c’è nulla che io abbia sognato più di lui.
Quando ci stacchiamo, non riesco a smettere di sorridere.
-Non pensavo che avrei scatenato tutto questo, ma mi piace- sussurro.
-Hai sempre portato scompiglio ovunque andassi- mi risponde. -Per quanto mi riguarda, però, la tua proposta rimane la più bella di tutte.
-Stavolta volevo dirtelo io- ammetto. -E ho ancora tante altre cose da dirti… Ho sentito tutto quello che hai fatto. Mi hanno detto tutto… Sei incredibile. Hai davvero fatto tutto quello che avevi promesso, vero?- aggiungo, pieno di ammirazione.
Hiroto annuisce.
-Non è stato facile, soprattutto all’inizio. Ma tutti erano con me, in ogni momento. Non sono mai stato solo... Ho mantenuto anche la mia promessa con te. Tutti i bambini che Kenzaki aveva rapito ora sono al sicuro- dice, si morde il labbro. -Due di loro sono qui, adesso, penso che dovresti saperlo- mi confessa. Per un istante mi si mozza il fiato.
-Chi?- dico soltanto.
-Masaki, Kyosuke- risponde lui in un soffio, e sentire i loro nomi mi fa piangere. Perché non sono più solo numeri. Hanno dei nomi, che qualcuno può chiamare.
Di colpo mi rivedo nella stanza, rivedo i loro occhi su di me – hanno lo stesso colore di occhi, ora che ci penso – e capisco tutto. Sono così sollevato che la terra mi manca da sotto i piedi, ma per fortuna Hiroto mi sostiene.
-Grazie- mormoro, soffocato. Non so nemmeno per cosa lo sto ringraziando, ma sono sincero. Anche se non era colpa mia, mi sento come se mi avesse tolto un enorme peso dalla coscienza, e ora una voce dentro di me mi dice che il viaggio è finito e finalmente posso riposarmi; che una volta raggiunto un porto sicuro, posso fermarmi e non ripartire mai più, perché adesso questa è casa mia.
Alzo lo sguardo sull’edificio, sbircio attraverso la finestra aperta e vedo gli altri chiacchierare e divertirsi come se nessuna tragedia fosse mai avvenuta.
Hiroto mi passa un braccio attorno alla vita e mi tira a sé, poggiando la testa contro la mia.
-Cosa senti?- mi chiede. Sorrido e, per la prima volta da quando ho fatto ritorno qui, lascio a briglia sciolta la mia empatia: il mio potere scivola fuori dal mio corpo silenziosamente ed entra nella stanza sfiorando le persone all’interno come una brezza primaverile, calda e ospitale.
-Felicità. Amore. Speranza- rispondo piano.
Sono a casa.





 
**Angolo dell'Autrice**
*rullo di tamburi* Eeee buonasera, finalmente eccoci con la prima parte dell'epilogo!
Mi sono divertita un mondo a scriverlo e spero tanto che ve lo siate goduto anche voi. In un certo senso, è stato davvero liberatorio scrivere così tanti baci tra Hiroto e Midorikawa, visto che il ritmo degli eventi nel corso della storia non me lo permetteva - ma, come dire, se lo meritano, no? (e ce lo meritiamo anche noi)
La seconda parte è in lavorazione, ma spero di poterla pubblicare presto. Ancora non ci credo che siamo quasi arrivati, ma il viaggio non è ancora finito del tutto, ci vediamo al prossimo capitolo per i saluti finali! Intanto vi auguro buone vacanze, divertitevi e riposatevi ;)
Come sempre grazie alla mia Ohana che mi fa da beta ♥
Alla prossima,
            Roby

 
   
 
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