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Autore: Lily_of_the_Valley01    18/07/2021    1 recensioni
Finite le lezioni all'università, Chiara torna al paese in cui è cresciuta in cerca di pace e serenità. Ha sempre amato il fiume che scorre poco lontano dal borgo, ma chissà che in una calda giornata di luglio esso non le porti qualcosa di inaspettato. Cosa lega Giulio, lo strano uomo che incontra sulle rive del fiume, e Andrea, il ragazzo con gli occhi del colore dell'acqua che la aiuta in un momento di difficoltà? E Chiara, che ha sempre avuto paura dei sentimenti, riuscirà a uscire dal suo guscio e a non perdere l'occasione di essere felice?
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Sono passati quasi undici anni dall'ultima volta che sono stata qui. Allora ero solo una bambina, una ragazzina di dodici anni che non si immaginava nemmeno che di lì a pochi mesi sarebbe stata travolta dalla valanga nota come "adolescenza".

Bei tempi, quelli. Si fa per dire, eh: in realtà non mi mancano affatto. Non mi capita spesso di ripensare agli anni in cui la mia vita è andata a rotoli, quando la magia dell'infanzia è andata in mille pezzi  e la vita reale è venuta a bussare alla mia porta con la scortesia che la contraddistingue.

Ma va be', è acqua passata... o almeno mi piace pensare che sia così. Quest'anno la mamma ha deciso di tornare a San Tommaso mossa dalla nostalgia dei tempi andati e io ho deciso di seguirla. È la prima volta che sento davvero il bisogno di allontanarmi dalla città, almeno per i mesi estivi. Sì, è colpa della calura, ma non solo. Questo è stato un anno strano. Ho finalmente concluso il percorso di studi che mi ha permesso di avere in tasca una laurea triennale in Lingue e Letterature straniere e ho come la sensazione che una parte della mia vita si sia conclusa.

Io andrò avanti a studiare, resterò nella stessa facoltà che mi ha accolto per gli ultimi tre anni, ma le altre... le altre no. C'è chi cambia ateneo, c'è chi va a lavorare, c'è chi parte per un'avventura all'estero. E c'è anche chi si sposa, come Emma. Pazza. Come diavolo si fa a sposarsi quando non si hanno nemmeno ventitré anni? Sinceramente mi sembra un suicidio. Un modo per buttare nel gabinetto gli anni migliori della propria vita e tirare lo sciacquone. Io non la capisco. Non riesco nemmeno a immaginarmi di avere un ragazzo serio, figuriamoci se  riuscirei a sopravvivere con un marito, magari con dei figli. Mi vengono i brividi solo a pensarlo.

Rabbrividisco davvero, mentre cammino sulla strada sterrata che profuma di erba e di sole. È impressionante vedere quanto poco gli anni abbiano cambiato questo posto: è praticamente rimasto uguale a come me lo ricordavo. I miei piedi calzati in un paio di vecchie scarpe da ginnastica sollevano nuvolette di polvere bianca che mi si appiccica alla pelle, ricoprendomi fino al ginocchio in una specie di patina grigiastra che dovrò lavare via al più presto. Quand'ero bambina me la trovavo fino in bocca.

Cammino sola, ma è come se accanto a me ci fossero le ombre dei ragazzini che un tempo mi accompagnavano. Sandra, Michele, Giovanni e Letizia. A volte Matteo, ma solo ogni tanto, perché i suoi genitori erano troppo apprensivi per permettergli di scorrazzare a piede libero come facevamo noi. Chissà che fine ha fatto. Chissà che fine hanno fatto: non ho più avuto notizie di nessuno di loro. Magari abitano ancora da queste parti.

In realtà non ho voglia di incontrare nessuno: questa estate la voglio dedicare solo a me. A settembre dovrò tornare in città e riprendere gli studi, dovrò ricostruirmi un nuovo nido in un nuovo appartamento, magari più piccolo dell'ultimo che ho affittato, se possibile senza coinquilini, ma fino ad allora non voglio pensare a nulla se non a me stessa.

Il fatto è che ho bisogno di ricaricarmi un po'. Mi sento spossata, vado a letto esausta e mi sveglio stanca. Le giornate mi sembrano opache e ripetitive, prive di interesse e di colore. A volte ho la sensazione di guardare la mia vita dall'alto, di assistervi senza esserne veramente la protagonista. Mia madre sostiene che sia colpa dello stress legato alla tesi che ho sostenuto pochi mesi fa, ma io mi chiedo se il problema non sia un altro. Google mi dice che i miei sintomi sono riconducibili a una forma d'ansia, magari anche a una leggera depressione, ma la verità è che io mi sento in attesa: di cosa, non sono certa di saperlo.

Sempre mia madre - l'unica persona che mi è abbastanza vicina per potersi permettere di darmi consigli in merito - sostiene che dovrei trovarmi un hobby o almeno un ragazzo. Più facile a dirsi che a farsi. Io li hobby ce li ho: mi piace leggere, scrivere, fare fotografie, ma ultimamente anche queste cose mi sembrano solo un modo inutile per passare il tempo. Il ragazzo ce l'avevo, ma ci siamo lasciati poco dopo Natale: le cose non funzionavano più già da tempo. Stavamo insieme per abitudine, senza provare più amore né tenerezza. Non rimpiango Stefano e lui non rimpiange me, ne sono certa.

Però, a volte...

Ecco, il fatto è che a volte ho l'impressione che il tempo passa e invece che andare avanti io vado indietro. So che non dovrei fare dei paragoni con gli altri, so che ognuno cresce con i propri tempi, ma ci sono dei momenti in cui non posso fare a meno di pensare che le mie amiche siano scappate avanti e mi abbiano lasciato ferma al palo.

Io non ho mai lavorato, se escludiamo qualche lavoretto estivo di poco conto. Durante l'anno accademico vivo da sola, sì, ma l'appartamento me lo paga la mia mamma. Non ho mai avuto una storia seria e il solo pensiero di averla mi fa girare la testa. Io non mi sento pronta. Non mi sento pronta a decidere cosa farò da grande e non mi sento pronta a pensare di farmi una famiglia tutta mia. Non posso immaginare di passare quello che mia madre ha passato per colpa di mio padre. Non riesco a vedermi con un neonato in braccio. Riesco a malapena a essere responsabile per me stessa, figuriamoci se potrei esserlo per altri.

Ci sono giorni in cui mi chiedo se in me ci sia qualcosa di sbagliato. Ma forse sto solo ricadendo nella mia vecchia abitudine di rimuginare troppo sulle cose. È per questo che mi serve questa estate: per schiarirmi le idee. E poi, anno nuovo, vita nuova. Più consapevole. Più sicura di me. Più adulta. Più...

Basta. Ci sto ricascando. Ho bisogno di resettare la mia mente e so anche qual è il posto perfetto per farlo.

Il sole di questa giornata di inizio luglio è fin troppo caldo per i miei gusti, ma so che dove sto andando mi aspetta una deliziosa brezza che sa di acqua dolce e di fiori di ginestra. Sono le due del pomeriggio, un orario in cui le persone sane di mente se ne stanno rinchiuse in casa o adagiate all'ombra di un albero o di un ombrellone, e la strada è tutta mia. Ho incontrato solo un signore che portava a passeggio un cane e due impavidi ciclisti, e sono sicura che giù al fiume non ci sarà nessuno: quello in cui sto andando non è un buon posto per pescare.

Anche se sono passati molti anni dall'ultima volta che l'ho percorsa, i miei piedi ricordano perfettamente la strada e i miei occhi riconoscono tutti i segnali naturali che mi indicano il percorso. Ecco la curva dove una volta sono caduta pedalando troppo velocemente, ecco l'albero marcio (è un miracolo che sia ancora in piedi) che da bambina mi sembrava un gigante mostruoso, ecco il masso che nasconde il sentierino che porta sulla riva del fiume. Sono arrivata.

Al di là del ciglio della strada l'erba è alta e all'improvviso mi raggiunge l'odore intenso delle ortiche. Sorrido: solo in questo momento mi accorgo di averne sentito la mancanza. Le ortiche, con il loro fusto urticante, sono state una presenza fissa nelle estati della mia infanzia e adesso mi sembra quasi che mi stiano dando il benvenuto, sorridendomi come delle amiche un po' stronze che quando ci sono ti punzecchiano, ma che quando non ci sono ti mancano.

Non mi mancano abbastanza per fargli di nuovo fare conoscenza con i miei stinchi, quindi mi muovo con cautela, facendo bene attenzione a dove metto i piedi. Come immaginavo, il sentiero è poco frequentato: l'erba che lo ricopre è appena calpestata da qualcuno che dev'essere passato da queste parti questa mattina o magari ieri pomeriggio. Alzo appena lo sguardo e vedo il fiume scintillare al di là delle betulle e degli ontani che crescono sulla riva.

Mi scopro di nuovo a sorridere e ad allungare il passo. L'angolino di prato ombreggiato sul quale ho passato tanti pomeriggi con i miei amichetti di un tempo è proprio là, a poche decine di metri da dove mi trovo ora. Già sento sotto ai miei piedi l'erba fresca, già mi pare di vedere, oltre le mie palpebre chiuse, il gioco di luci e ombre delle foglie mosse dal vento. Magari schiaccerò un pisolino. Magari resterò sveglia a fantasticare o a non pensare a niente o a sognare la trama di un nuovo racconto. Magari...

I miei sogni vanno in frantumi all'improvviso. Il mio posto, il mio angolino di fiume, il fazzoletto di terra sul quale avevo in programma di fermarmi per ricaricare le batterie è già occupato. Il cuore mi balza in gola e lo stomaco mi si stringe in una morsa oltraggiata. La mia prima reazione è la rabbia. No, seriamente: la mia cassa toracica si gonfia in un respiro bellicoso e per un istante sono tentata di andare dall'invasore e di dirgli di levare immediatamente le tende. Il che è ridicolo, visto che questo posto non è più mio che suo, però questo non toglie che ci sono rimasta male. Molto.

Il tizio che mi ha appena rovinato il pomeriggio (forse l'intera estate, sussurra la vocina pessimista che risiede nella mia testa) se ne sta appallottolato a pochi passi dalla riva del fiume, la testa incastrata tra le spalle e lo sguardo perso tra i flutti. O almeno immagino che lo sguardo sia perso tra i flutti: non ho modo di saperlo, visto che mi dà le spalle.

Indugio per un istante, indecisa se girare sui tacchi (silenziosamente, per non dare l'impressione di essermi data alla fuga appena l'ho visto) o se invece scendere fino al fiume per dare comunque un'occhiata al mio santuario rovinato. Vince la seconda opzione. E che diavolo: sono venuta fino a qui, tanto vale almeno respirare l'aria di quell'angolo di fiume che mi piace tanto.

Cerco di farlo con nonchalance, senza guardare l'intruso, ma il mio sguardo ricade inevitabilmente su di lui. È sempre così, quando vedo un'imperfezione su qualcosa che sarebbe altrimenti perfetto. 

Che poi, adesso che lo guardo bene, questo tizio mi sembra decisamente fuori luogo: è luglio, ci saranno trenta gradi e lui se ne sta seduto per terra con addosso un paio di jeans e una camicia a maniche lunghe. Da dove è sbucato? Cosa diavolo ci fa qui, uno vestito in questo modo? La gente del posto se ne va in giro in maglietta e pantaloncini, la sua eleganza spicciola mi sembra quasi ridicola. Dove crede di essere?

I miei passi devono richiamare la sua attenzione e il tizio si volta. Mi guarda e io vedo che è più vecchio di quanto mi aspettassi: la sua postura e i suoi capelli un po' lunghi e spettinati mi avevano fatto pensare a un ragazzo della mia età, ma in realtà credo che quest'uomo sia sulla trentina. Ci sono alcune rughe attorno ai suoi occhi scuri e il suo volto tradisce una certa maturità.

Esito per qualche secondo. Non è abbastanza giovane perché io lo possa approcciare come farei con un mio coetaneo, ma non è abbastanza vecchio perché io lo saluti come farei con un coetaneo di mia madre: la sua è un'età di mezzo che mi confonde e che mi innervosisce un pochino. 

Mai quanto i suoi occhi neri, però, che mi seguono con insistenza. Sul suo volto pallido - in verità piuttosto anonimo e, mi sbaglierò, ma mi pare che abbia il naso storto - si disegna un'espressione che mi sembra quasi infastidita. 

Be', ciccio, pure tu mi stai disturbando, penso, gettandomi i capelli dietro le spalle e spostando risolutamente lo sguardo sul fiume.

«Buongiorno» mi apostrofa. Ha una voce profonda, direi piacevole. Non riesce a nascondere una tensione di fondo: sì, è decisamente infastidito dalla mia presenza.

«'giorno» replico io dandogli le spalle e osservando l'acqua che scorre. Anche se non lo guardo, ho come l'impressione che i suoi occhi siano ancora fissi su di me e all'improvviso mi ricordo che i pantaloncini che indosso sono un po' troppo corti. Nulla di scandaloso, ma l'orlo mi arriva appena sotto il sedere. Sono comodi, perfetti per camminare nella calura estiva, ma ora le mie mani prudono per afferrarli e abbassarli un pochino nel tentativo di nascondere almeno un pezzettino di coscia.

Non farlo, mi dico. Non c'è nessun motivo di fargli vedere di che colore hai le mutande, e poi sono sicura che non ti stia guardando il culo. O almeno spero.

Resisto per meno di un minuto. Il tizio in camicia non dice una parola, non produce un singolo rumore, ma io avverto la sua presenza simile a una vibrazione elettrica e pulsante alle mie spalle. Chiudo gli occhi e conto fino a dieci, poi esalo lentamente. Va bene, ho marcato il territorio: adesso posso andarmene.

Lancio un ultimo sguardo all'acqua placida e turchese che scorre davanti a me, guardo la sabbia argentea nella quale non ho potuto affondare i piedi, accarezzo con gli occhi le foglie che vibrano smosse da una brezza leggera. Tornerò presto, prometto al mio angolino di fiume, poi mi dirigo di nuovo verso il sentiero che mi condurrà alla strada.

«Arrivederci» mormoro rivolta all'uomo in camicia, ma lui non mi sente, oppure finge di non farlo.

Poco male, penso: più che un arrivederci, il mio voleva essere un addio. 

   
 
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