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Autore: Fran Truth    18/07/2021    0 recensioni
Crowley non si aspetta più nulla dalla vita: una laurea in astronomia presto ridotta a un hobby solitario e notturno, il lavoro come insegnate di fisica, il sabato sera al bar con gente sconosciuta. Una routine fiacca e maniacale rotta solo da qualche pomeriggio in compagnia di Anathema, sua collega e vicina di casa, e nulla più. Finché una telefonata dall’Italia non rompe tutti gli schemi, perché la figlia di sua sorella Helen, morta quasi sedici anni prima, è rimasta orfana e senza parenti. Isotta si vede così costretta a lasciare Trieste, il mare e Ilenia, il suo primo e ancora fragile amore.
Aziraphale credeva di aver finalmente trovato il suo equilibrio, barattando il mondo esterno con quello dei suoi libri, ma a un certo punto si ritrova a soffocare nella sua stessa bolla. Preso da un impellente desiderio di sfuggire a quella solitudine, pubblica un annuncio di lavoro alla porta della sua libreria. Isotta coglie quella che sembra una piccola possibilità di ripartire, ammaliata da quell’angolo di mondo che odora di carta e tè, una luce in fondo a quel tunnel di delusione. Quel fioco bagliore si avvicina sempre di più e, infine, illumina tutti e tre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il commesso non aveva smesso di sorridergli come uno scemo per un secondo, mentre annotava il suo ordine. «Non avevo mai letto questa poesia» disse a Crowley. «Byron?»

«Keats.»

Nonostante il suo tono secco, il ragazzo non abbandonò la sua espressione ebete. «Ah, romanticismo! Che bel periodo.»

«Meraviglioso.»

Il ragazzo lo accompagnò alla cassa e gli allungò un foglio. «Sono venticinque sterline. Torni fra tre giorni e avrà il regalo per sua figlia.»

«Nipote.»

Armeggiò con le dita nel portafoglio e gettò sul bancone tre banconote. Il commesso premette un tasto sulla cassa, ma lo sportello non si aprì. Borbottò delle rapide scuse a Crowley e corse a cercare un collega.

«Oh, Satana» esalò Crowley.

La signora dietro di lui sussultò e Crowley ghignò, ma il suo sorrisetto scomparve non appena un bambino a pochi metri da lui scoppiò in un pianto disperato.

Crowley viveva a Londra da qualche anno, ormai, e si era abituato alla vita frenetica che la metropoli imponeva ai suoi nove milioni di abitanti, alle sue code ordinate e interminabili e al fracasso a ogni ora del giorno. Ma alla Londra sotto Natale no, a quella non si sarebbe mai abituato. Poteva sopportare le strade stracolme e illuminate e farsi quasi piacere i grandi alberi che trasudavano brillanti colori, ma non i negozi presi d'assalto dalla gente pronta a comprare dieci regali al colpo, sempre sul punto di invadere il suo spazio vitale e capace sopprimere, col suo brusio, le note di "All I Want For Christmas Is You".

Non che avesse mai avuto un gran bisogno di comprare regali, per sua fortuna. Newton e Anathema erano le uniche persone decenti per cui valesse la pena spendere anche una sola sterlina, prima dell'arrivo di Isotta. E come al solito, lei aveva turbato le sue buone abitudini, costringendolo a scervellarsi per non regalarle un altro banale pacco di libri. Ne sarebbe stata contenta, certo, ma forse, a quel punto, un Kindle sarebbe stato più utile per impedire all'appartamento di collassare. Quantomeno, con i DVD l'aveva risolta comprandole l'abbonamento a Netflix.

Il ragazzo tornò con una collega. Insieme, studiarono il marchingegno della cassa e la ragazza batté qualche tasto fino a far comparire la fattura. Sotto la cascata di capelli biondi, guardò il collega in tralice, per poi sorridere a Crowley con finta cortesia.

«A lei, signore» disse il ragazzo. «Ricordi di portare il foglio che le ho dato, quando verrà a ritirare lo stencil con la poesia. Non perda le istruzioni per attaccarlo al muro, mi raccomando.»

«Sì, sì, 'rivederci.»

Uscito dal negozio accaldato, assaporò l'aria fresca della città, ancora sotto qualche residuo di neve. Le vacanze natalizie non erano ancora iniziate, ma le strade erano già gremite alle cinque del pomeriggio. La tentazione di tornare a Cadmen fu forte, ma Crowley era deciso a concludere il suo magro shopping natalizio il prima possibile. Saltò in macchina e imboccò la strada per Westminster, trovando per miracolo un parcheggio. Quando scese, si concesse un rapido caffè da asporto e il suo cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni. Isotta.

«Tutto bene, principessa? Hai trovato l'ambasciata?»

«Sì, zio» in sottofondo, il lieve chiacchiericcio di un gruppetto. «Volevo solo dirti che probabilmente ci metterò più del previsto. Qua c'è una fila... »

«Non preoccuparti, vedi solo di risolvere le cose per bene.»

«Tranquillo, sistemo tutto.»

«Sei sicura di voler tornare da sola? Per me non è un problema venire a Mayfair.»

«Faccio da sola, zio, non sono troppo distante da casa» il suo tono era leggermente infastidito.

«Va bene, va bene» Crowley sorseggiò dell'altro caffè. «Hai fatto quello che ti ho detto ieri sera, a proposito?»

«Cosa?»

Crowley sospirò. «Le due ragazze che hai visto ai campi. Le hai richiamate?»

Dall'altra parte un silenzio colpevole.

«Non ti sono state simpatiche?»

«Sì, zio! È solo che, non so, magari non gradiscono.»

«Ti ha dato il suo numero, Isotta, è ovvio che si aspetta che la richiami. Ormai è passata quasi una settimana.»

«Mh, stasera lo faccio... »

«Non andrai avanti stando nascosta così, lo sai?»

«Devo andare, ciao» e riattaccò.

Crowley si prese il ponte del naso fra le dita e inspirò col naso. Sei mesi in Inghilterra e Isotta non faceva altro che leggere, vedere i suoi film e bere il tè con il proprietario di una libreria antiquaria e lui continuava a non capire se la situazione le andasse bene o meno. Era stata davvero contenta di mostrargli il numero di telefono che Frieda le aveva dato, eppure si ostinava a non chiamarla.

Gettò il bicchiere vuoto del caffè nei rifiuti, tornando a concentrarsi sull'ultimo regalo rimasto. Con Newton aveva risolto in fretta la questione qualche giorno prima, comprandogli un videogioco scontato per PC, uno di quei mystery vecchio stile per cui andava matto, ma mancava ancora Anathema. Ultimamente, durante i pasti a scuola, aveva preso a parlargli a raffica di magia celtica e Crowley aveva trovato su internet un meraviglioso manuale degli anni Cinquanta che le avrebbe fatto fare i salti di gioia, ma non era disponibile in nessuno shop online. In un'ora, girò quattro librerie che vendevano libri usati, ma nemmeno una ne era fornita.

«È un libro ottimo, signore, conosco questa casa editrice» disse il quarto libraio. «Purtroppo non lo stampano da anni. Ha già provato la libreria vicino al pub irlandese?»

Crowley annuì e riprese il biglietto con il titolo, dove sul retro c'era il testo integrale della poesie di Keats. «A questo punto, credo che sceglierò altro. Qualche mattone fantasy, Tolkien o Lewis.»

«Se vuole accettare un consiglio, conosco un posto che potrebbe – e sottolineo potrebbe – avere quello che cerca.»

Crolwey si tolse gli occhiali da sole. «Dica pure.»

«Si trova a Soho. C'è una libreria antiquaria con una vasta collezione di vecchi libri sulla stregoneria, magia, cultura celtica e quant'altro, piace molto al proprietario. Se possiede più di una copia di questo – è molto geloso, capisce – penso lo troverà a un prezzo ragionevole.»

«Soho, ha detto?»

Il libraio annuì. «È una libreria con l'insegna cremisi, la "A. Z. Fell&Co". Il proprietario è un signore di buona famiglia che l'ha ereditata. Un tipo simpatico, se preso con i modi giusti. La prego, non insista se non vuole venderglielo.» Prese un pezzo di carta e vi scrisse l'indirizzo del negozio. Crowley lo accettò senza guardarlo. «Se non lo trova nemmeno qui, le consiglio di cambiare regalo per la sua amica.»

«Grazie, signore» si rimise gli occhiali. «Mi è stato molto d'aiuto.»

Salì di nuovo in macchina, si allacciò la cintura con foga e si insultò. Certo che avrebbe dovuto passare per Soho, Isotta gli ripeteva sempre quando pieno fosse quel posto e a lui non era neanche passato per l'anticamera della mente.

Ricordandosi della stizza del signor Fell quando era entrato verso l'orario di chiusura, violò più volte i limiti di velocità. Se Isotta fosse stata lì, lo avrebbe coperto di ingiurie in italiano e in dialetto, paralizzandosi sul sedile, ma, in fondo, era per una buona causa.

Giunto a Soho senza multe, imboccò la strada per la libreria. Oltre la porta a vetri crepata proveniva una calda luce giallognola che rompeva il buio precoce della sera. Impaziente, Crowley varcò la soglia facendo tintinnare la campanella.

Il posto non era cambiato di una virgola, da quando lo aveva visto per la prima volta. Tappeti persiani, piccole fette di pavimento ligneo che cigolavano, cumuli di libri ovunque ci fosse spazio. Come l'altra volta, non c'erano clienti, quasi il signor Fell avesse qualche potere che impedisse alla gente di entrare dopo le cinque e mezza. Magari avercelo.

Crowley non fece nemmeno in tempo a raggiungere i gradini che un ciuffo biondo si mosse oltre una pila poco distante. «Stiamo per chiudere, come posso aiutarla?» Dal suo tono traspariva una leggera irritazione.

«Cerco un libro» rispose Crowley. «Non le ruberò molto tempo, signor Fell.»

Il volto del signor Fell sbucò oltre la pila con uno scatto. Crowley lo fissò per un attimo nei suoi piccoli occhi blu, poi ricambiò il sorriso che il signor Fell gli rivolse mentre emergeva dai tomi.

«Mi spiace, signor Crowley, non ho riconosciuto la sua voce.»

Crowley alzò le spalle. «Spero di non averla disturbata.»

«Non si preoccupi, stavo solo sistemando alcune cose» si avvicinò sistemandosi il papillon di tartan. «Le serve una mano?»

Il suo fastidio era scomparso, lasciando spazio a una soffice affabilità. Crowley si tolse gli occhiali da sole. «Sì, cerco questo libro» gli porse il foglietto con il titolo. «Ho girato un po' di librerie in centro e l'ultimo tizio mi ha detto che lei potrebbe averlo.»

Il signor Fell cercò gli occhiali nella tasca del cappotto. «Ha incontrato Arthur Moss?»

«Sul cartello c'era scritto Moss, quindi immagino fosse lui.»

«Sì, è un collega di vecchia data» si prese qualche secondo per studiare il titolo. «E aveva ragione, ho tre copie di questo. Mi dia solo un secondo.»

Quando il signor Fell girò i tacchi, Crowley lasciò un sospiro sollevato. La spesa era finita e avrebbe potuto ringraziare Anathema a dovere, dopo che aveva passato un anno ad ascoltare i suoi lamenti. Quell'uomo era un angelo venuto dal cielo.

Il signor Fell ritornò con un grosso libro in mano e i dettagli dorati della copertina scura baluginarono alla luce dei lampadari. «Ecco qui. Vuole darci un'occhiata o compra subito?»

«Compro subito, grazie.»

Crowley estrasse tre banconote dal portafoglio e il signor Fell batté alla cassa. «È uno dei libri migliori che ho su questo tema. Non pensavo le interessasse la cultura celtica.»

Crowley gesticolò con la mano. «No, non è per me, è un regalo per un'amica. Anathema, sa, la nipote di Agnes Nutter.»

«Sì, me la ricordo, anche se sono passati... sette anni, credo, dall'unica volta in cui l'ho vista. Ha preso da sua nonna, a quanto pare. Ha bisogno di altro?»

«Grazie, sono a posto così.»

Il signor Fell gli porse un sacchetto con il libro e il biglietto con il titolo. «Le piace Keats?»

Crowley lo guardò stranito, poi comprese. «Come? Ah, la poesia, intende.»

Il signor Fell annuì. «Non è una delle mie preferite, ma è molto bella.»

«È stato uno dei pochi poeti che sono riuscito a farmi piacere al liceo» disse Crowley. «Questa non è tra le più interessanti, a parer mio, ma è perfetta per Isotta. Mi serviva per il suo regalo.»

Il signor Fell sorrise. «Ora capisco: "Un sogno, dopo aver letto in Dante l'episodio di Paolo e Francesca".»

Crowley si appoggiò al bancone. «Ultimamente la signorina ha lasciato da parte i suoi lirici italiani. Si è ossessionata a Keats e Byron e ieri recitava l'Ode a Psiche mentre impastava.»

«Ho notato che in questi tempi legge più romanzi in inglese che in italiano, infatti» si sistemò il ciuffo biondo. Aveva i capelli lindi e curati e sembravano davvero soffici. «Per curiosità, cosa c'entra il suo regalo con Keats?»

«Ho ordinato uno stencil da muro» rispose Crowley. «Ha liberato un pezzo di parete dopo aver tolto alcuni poster sul tennis. È bello ampio e bianco, dovrei poterci lavorare bene.»

Il signor Fell giunse le mani al petto. «Trovo sia un'idea meravigliosa. Ha fantasia, signor Crowley.»

«Quella almeno non è tra i miei difetti.»

Il Big Ben suonò le sei in punto. Il suono delle campagne riecheggiò in strada e il signor Fell controllò l'orologio al muro. «Finito anche oggi... » mormorò tra sé e sé. Guardò Crowley e sorrise. «Ha fretta? Le va un bicchiere di vino?»

Crowley ritrasse il capo. Sebbene lui stesso lo avesse invitato due volte a bere, non si aspettava avrebbe ricambiato le sue richieste di compagnia, timido com'era. Sperò soltanto che non si sentisse in debito, ma ciò che era certo era che Crowley non avrebbe mai rifiutato un po' di buon vino. «Volentieri, ma poco e leggero, per favore, devo guidare.»

Il signor Fell annuì compiaciuto, chiuse in fretta il negozio e condusse Crowley nel retrobottega. Isotta gli raccontava spesso come usassero prendere lì delle piccole pause e infatti una tazza con le foglie verdi, sporca di caffè, ne affiancava due che emanavano ancora un lieve aroma di tè nero.

Il signor Fell preparò un bianco francese degli anni Ottanta e servì a Crowley mezzo bicchiere.

«È appassionato di vini?»

«Giusto un po'» rispose il signor Fell riempiendo il suo bicchiere. «Mio zio faceva il sommelier per hobby e mi ha trasmesso questa passione. Lei?»

«Io bevo e basta.» Al signor Fell sfuggì un sorrisino. «L'Italia è stata un paradiso. I vini del Carso sono magnifici.»

«La diversità dei vini italiani è molto affascinante. Credo di aver bevuto più varietà a Milano che in tutta la mia vita.»

Bevvero in silenzio e il signor Fell riprese la parola. «Isotta mi ha detto di dover andare in ambasciata, oggi.»

Crowley annuì. «Sì, per questo è uscita prima. Ora è ancora a Mayfair.»

«Non è nulla di grave, spero. Non mi ha detto il motivo per cui l'hanno convocata.»

«Nah, solo qualche casino burocratico coi documenti in Italia. Scartoffie, in poche parole. Avrebbe dovuto essere una roba da una manciata di minuti, ma stanno procedendo a rilento.»

Il signor Fell fece ondeggiare il bicchiere. «Avete deciso se tornare in Italia dopo Capodanno?»

Crowley scosse la testa. «Isotta ha preferito rinunciare.»

Lo sguardo confuso del signor Fell ricordò a Crowley quello dei suoi studenti peggiori davanti a un problema di media difficoltà. «In che senso?»

«In realtà sono rimasto stupefatto anche io, inizialmente, ma poi mi ha spiegato che Ilenia sarà in montagna da Capodanno fino all'Epifania. Sa, non abbiamo parenti e i nostri amici non possono raggiungerci in Italia, quindi a questo punto tornare non avrebbe molto senso.» Scolò il vino. «Ho pensato di andare in montagna con la famiglia di Ilenia senza passare per Trieste, ma il posto è piuttosto costoso e affollato e non sono riuscito a trovare una doppia abbastanza economica.»

«Mi dispiace molto» disse il signor Fell abbassando lo sguardo. «So che Isotta ci teneva.»

«Non era felice, infatti, ma penso che la sua sia stata una scelta ponderata. Almeno qui ci sono i nostri amici.»

«Resterete a Londra?»

Crowley alzò le spalle. «Sì, no, non abbiamo ancora deciso. A Natale di sicuro. Lei?»

La mano del signor Fell tremò per un istante e Crowley si maledisse. Solo in quel momento si ricordò ciò che era successo soltanto qualche giorno prima.

Il signor Fell si allargò il colletto della camicia con l'indice. «Credo che quest'anno lascerò da parte la cena con la mia famiglia. Di solito andiamo al Ritz.» Crowley spalancò gli occhi per un attimo. «Forse questa volta cambieranno ristorante per... questioni varie. Io credo mi godrò un buon libro davanti al fuoco e a un piatto di pudding.»

La sua voce era ferma e calma, ma la vaga tristezza che aleggiava sul suo viso tradiva la sua tranquillità. Crowley poteva contare sulle dita di una mano i Natali che non aveva passato in solitudine, dopo il suo trasferimento in Inghilterra. Guardare il signor Fell era come osservare il suo riflesso da giovane.

«Non ha altri parenti?»

Il signor Fell scosse la testa e si versò dell'altro vino. «Non degni di nota. Una vecchia amica mi ha chiesto di passare il Natale con lei, ma ho declinato l'invito. Una festa grande, sa, e io conosco soltanto lei e suo marito a malapena.» Sorrise con una punta di amarezza. «In fondo, stare da soli qui non è male.»

«È un posto molto bello» disse Crowley, preferendo cambiare argomento. «Da quanto lavora qui?»

Il signor Fell lasciò da parte il bicchiere e le sue spalle si rilassarono. «È una storia un po' lunga. Questo posto – la libreria e l'appartamento – è mio, non sono in affitto, l'ho ereditato poco più di due anni fa da un mio zio. Ha lavorato qui per molto tempo e in realtà ho frequentato il negozio per cinque anni prima che lui morisse.» Sorrise sereno e fece un piccolo segno della croce. «Ogni tanto svolgevo qualche piccola mansione e buona parte di ciò che conosco sul restauro l'ho imparato da lui. Non era sposato e non aveva figli: mi ha lasciato il massimo che poteva, secondo la legge.»

«Pensavo che la sua famiglia fosse tutta impegnata in azienda.»

«Da parte di mio padre, sì. Mio zio era il fratello di mia madre, venivano dal Galles. Lei si è unita e lavora ancora alla Fell, lui si era messo in proprio. Ha sempre avuto un certo talento per gli affari: seguiva il suo istinto, faceva pochi conti e puntualmente beccava il centro. Un genio simile non è passato inosservato a mio padre, ovviamente.»

«Hanno tentato di trascinarlo dentro?»

«Sì, ma non hanno proseguito a lungo coi tentativi» ridacchiò. «Era un uomo un po' scorbutico e molto schietto. Ha messo subito in chiaro come non volesse avere nulla a che fare con loro. In generale, aveva rapporti solo con me.»

I suoi occhi parevano brillare, mentre parlava, e sedeva appoggiato allo schienale, più rilassato di quanto Crowley lo avesse mai visto. Assomigliava a un facoltoso borghese vittoriano in un rispettabile pub del centro dopo una giornata di lavoro. Lo avrebbe visto bene con una tuba bianca in testa.

«Non ho mai cambiato molto della libreria, da quando è morto» riprese. «Avevamo gusti abbastanza simili, quindi non ce n'è mai stato bisogno. Il soppalco lo ha aggiunto lui perché detestava le libreria troppo alte. Lo trovavo sempre lì a guardarmi, quando entravo. Era lì che accoglieva gli acquirenti di testi pregiati, ma io onestamente l'ho sempre trovato un po' scomodo. Molti frequentano ancora il posto, sa? Mio zio mi ha persino lasciato una lista con i tè preferiti di ognuno di loro.» Il suo sorriso, all'improvviso, si spense. «Scusi, credo di aver parlato troppo.»

Crowley lo stava ascoltando, rapito dalla passione con cui discuteva della sua libreria, e quell'interruzione fu come la rottura di una bella illusione. «Si figuri, è interessante.»

Il signor Fell si passò la mano sulle guance, ora tinte di una leggera sfumatura di rosa. «Non credo che il mio sia un lavoro molto interessante.»

«Lei è troppo modesto. Isotta dice che vende manoscritti anche anteriori al Mille.»

Il colorito sul suo viso si fece più intenso. «Qualcuno...» Si schiarì la gola e versò altro vino sia a lui che a Crowley. «E lei, con la scuola? Tra poco mi pare inizino le vacanze.»

«Già iniziate, per fortuna. Ero sfinito.»

«E i suoi studenti? Come sono?»

Crowley gesticolò un po' con la mano. «Normali. Adolescenti. La mia materia di certo non genera molta simpatia, ma la maggior parte se la cava, anche se alcuni a momenti dormirebbero sul banco. Qualcuno eccelle, ma non sono molti. Come in tutti i campi, dopotutto, ma ho le mie soddisfazioni, ogni tanto.»

«Quindi tutto sommato non si è pentito di aver lasciato l'università.»

Crowley grugnì. «La considero ancora una delle scelte migliori che io abbia mai preso. Non che ci voglia tanto, a dire il vero.»

Il signor Fell lo guardò incuriosito. «Lei è uno spericolato, signor Crowley?»

«No, non più, soprattutto da quando c'è Isotta. Più che spericolato ero un po' sciocco, in realtà. Non ho avuto le migliori compagnie, da giovane.» Allontanò il bicchiere. Stava bevendo troppo e Isotta lo aspettava tutto intero. «Comunque, Crowley e basta va bene. Il mio nome è Anthony, ma preferisco Crowley.»

Il signor Fell inclinò la testa, poi sorrise gioviale. «Allora anche lei mi chiami Aziraphale.»

Crowley aggrottò la fronte. «A-see-rah... »

«Aziraphale» scandì lui, volgendo gli occhi al pavimento. «Lo so, è un po' strano.»

«È biblico?»

«Sì, è un angelo poco noto. Anche i miei fratelli hanno nomi simili. Scelta di mio padre.»

«Un uomo religioso, suppongo?»

«Abbastanza» rispose. «Ma non più praticante del credente medio, a dire il vero. Era più che altro interessato alla teologia come campo di studio, ma non è mai stato più di un hobby. Per lui lo studio – specialmente se umanistico – non poteva andare oltre alla pura teoresi.»

Crowley annuì, come se sapesse davvero cosa fosse la teoresi. «Quindi immagino non fosse molto d'accordo quando hai iniziato ad allontanarti.»

«No, ma oltre ad essere pratico era anche un tipo molto ragionevole. Non odiavo il mio lavoro in azienda, ma lo tolleravo a malapena perché mi concedeva un guadagno sicuro e discreto, e lui lo aveva capito, anche se molto tardi. Non me lo disse mai, ma credo che fosse quasi contento che avessi preso la decisione di cambiare strada.» Si fermò e il suo viso si imporporì ancora. «Scusa, ho parlato troppo di nuovo... »

Crowley fece un gesto rapido con la mano, sorridendo. «Nessun problema, davvero.»

Aziraphale bevve con mano tremante il vino rimasto e sollevò il bicchiere il più possibile per nascondere le guance. A Crowley venne quasi da ridere nel vedere quella scena. Si appoggiò allo schienale della sedia, rilassato come non era stato da giorni. C'era qualcosa di particolare in quell'uomo capace di dissolvere tutte le sue preoccupazioni, anche solo per una mezz'ora. Non capiva se fossero i suoi modi calmi e galanti, il suo tono placido, il bagliore nei suoi occhi quando parlava del suo angolo di pace, e dopotutto, non era importante, non finché poteva godere di quella piccola serenità.

«E... » balbettò un attimo. «I suoi studenti bravi come sono?»

«Alcuni sono semplicemente alunni capaci, veloci a capire e a ragionare, ma nulla più. Ho pochi studenti davvero appassionati. C'è una ragazzina del secondo anno, Lucy, che è la migliore del suo corso. A momenti, potrebbe tenere lei le lezioni.»

«Immagino sia gratificante vedere uno studente tanto appassionato.»

Crowley sorrise. «Molto, a dire il vero. vuole studiare ingegneria meccanica. È dura, però la ragazza ha grinta: sono certo non avrà problemi. Invece ho un altro studente, Luke, anche lui molto bravo, ma durante le lezioni se ne sta molto in disparte e ha sempre paura di rispondere.»

«Forse è solo molto timido?»

«Non è solo timido, è letteralmente terrorizzato dall'idea di sbagliare, ma è uno dei migliori che abbia mai avuto. Spero solo che il suo atteggiamento non lo blocchi troppo.»

Aziraphale si passò una mano sulla nuca e smise di guardarlo. «Bassa autostima, suppongo. Non è rara fra i ragazzi della sua età.»

«Sì, temo che anche la sua famiglia non giochi un bel ruolo. Li ho incontrati una sola volta, ma sembrano così pretenziosi che quasi mi viene la nausea. Non ho idea di che testa devi avere per pressare così un ragazzino di quattordici anni. È bravo anche nelle altre materie, ma ha il costante timore di non aver fatto abbastanza.»

«Ma non ci sono servizi di supporto? Psicologi scolastici, qualcuno che possa aiutarlo.»

«Servirebbe un consultorio a tutta la famiglia, altroché.» Sul punto di ricoprire d'ingiurie il padre di Luke, un tizio cinico e perfezionista che girava con più orrido gel in testa che capelli, il cellulare squillò sopprimendo la tranquillità con una scoccante melodia dei Sex Pistols. Aziraphale rimase un attimo inebetito con la bottiglia mezza piegata.

«Solo un attimo» disse Crowley. Ancora Isotta. «Ciao. Hai finito? Sei a Mayfair? Vengo a prenderti?»

«Zio, sono a casa da più di un'ora.»

Crowley si bloccò. In che senso, un'ora? Controllò l'orologio al polso e gli venne un colpo: le otto e mezza passate.

Isotta sbuffò. «Dimmi quando arrivi, ché intanto preparo la cena. Ti va bene il tacchino? Roberto mi ha passato una ricetta nuova con le erbe.»

«Sì, va... va benissimo. A dopo» chiuse la chiamata, ancora frastornato. Non ricordava l'ultima volta in cui aveva del tutto perduto il senso del tempo, non con la compagnia chiunque al di là del cielo stellato.

«Devi andare?» chiese Aziraphale. Le palpebre calarono appena in un'espressione di malcelata amarezza.

«Isotta è già a casa. Freme per spadellare» si alzò e Aziraphale lo accompagnò verso l'atrio. «Grazie per il vino.»

«Grazie a te per avermi tenuto compagnia» sorrise con dolcezza, le mani giunte sopra la pancia sporgente.

Scese i gradini e si diresse verso l'uscita, ma il guizzo di un'idea lo fece desistere. Guardò Aziraphale, poi il caminetto spento mezzo nascosto dietro a un caotico angolo colmo di scatoloni. L'immagine della torre di bicchieri di plastica puzzolenti di vodka accatastati sul suo tavolo gli rubò un respiro. Provare, dopotutto, era gratis.

«Perché non vieni da noi, a Natale?»

Aziraphale sbatté le palpebre come se lo avesse colpito un fascio di luce intermittente. Boccheggiò e infine gli chiese di ripetere.

«Natale. Con noi» indicò se stesso. «Una cosa piccolina, molto semplice e con tanto cibo.»

Per un attimo, fu in grado di scorgere l'ombra della gioia sul volto di Aziraphale, ma non durò a lungo. «Io vi ringrazio molto, davvero, ma... »

«Ma?»

«Io non vorrei... mi creda, sarei un elemento troppo fuori luogo.»

«Siamo un astronomo mancato, una storica che pratica l'occultismo, un tecnico informatico che non sa accendere i computer e una principessa del mare che ha fatto fin troppa spesa. Credo saresti quello più a posto.»

Aziraphale continuò ad aprire e chiudere la bocca senza dare risposta, tormentandosi le mani. Crowley attese, ma pensò fosse meglio ammorbidire la situazione.

«Non devi rispondere subito» disse. «Puoi dirlo anche a Isotta.»

Aziraphale annuì e sciolse le mani. «Grazie» rispose. «Ci penserò su.»

Crowley gli sorrise, sventolò la mano e uscì nel gelo serale che ormai aveva dimenticato. Guidò fino a casa senza accelerare. Da una parte, temeva di aver incusso un eccessivo timore ad Aziraphale, con quella richiesta improvvisa. Dall'altra, sperava con tutto il cuore che accettasse. Anche se non ne capiva il perché.

L'appartamento odorava di erbe, spezie e carne, con il rumore della cappa che copriva la voce calda di un giovane cantante in tv.

Isotta si voltò quando la porta si chiuse e sventolò la paletta. «Alleluia!»

«Scusa, principessa.» Aprì la credenza e raccolse due piatti e due bicchieri. «Finito tutto in ambasciata?»

«Tutto a posto.»

«Com'era? Dentro, dico.»

«Solenne, sfarzosa. Molto bella, a dire il vero.» Spense il fuoco e fece cenno a Crowley di passarle i piatti. «Tu, piuttosto. Sei andato a comprare ad Anathema degli amuleti direttamente da un tempio abbandonato?»

«No, in realtà ho avuto una bella conversazione con il tuo capo.»

Isotta lasciò cadere in malo modo la fetta di tacchino e aprì le mani verso l'alto. «Eh?»

«In libreria. Occhio, ti sporchi col sugo.» Le prese la paletta e l'appoggiò sul piano cucina.

«Sei rimasto lì fino ad adesso?»

«Sì, abbiamo bevuto un po'.» Si versò altre patate nel piatto. «Gli ho chiesto se volesse venire qui a Natale.»

«Cosa?!»

«Ha detto che probabilmente sarà da solo. Ho pensato perché no, è un tipo simpatico.»

Isotta batté le dita sul bordo del piatto. «Be', ok allora. Ti ha detto di sì?»

«Ha detto che ci deve pensare. Lo immaginavo, di certo non se lo aspettava.»

Lo guardò di sbieco un'ultima volta, poi sorrise e prese posto con il suo piatto. «Non pensavo avreste potuto diventare amici.»

«Perché no?»

«Oh, insomma, guardati. Il burbero rockettaro dal cuore d'oro e il colto libraio all'angolo.» Rise con il labbro sporco di sugo. Crowley la fece tacere passandole la salvietta sulla bocca.

«Ho il caro pregio di piacere a tutti.»

«Sì, bevi che rinsavisci.»

Gli passò il vino, ma Crowley si versò un goccio minuscolo e molto annacquato.

«Ho chiamato Frieda, comunque.»

«E ti ha mangiata?»

Isotta infilzò in malo modo il tacchino. «Smettila.»

«Dai, principessa, che ti ha detto?»

«Che era felice di risentirmi». Crowley trattenne un "te l'avevo detto". «Mi ha invitata a vedere un film al cinema con Kat.»

«Hai trovato delle cinefile come te, allora.»

«Non proprio. Frieda guarda solo film di guerra e mi porta in un posto dove proiettano film d'epoca. Ha detto che vengono a prendermi in moto direttamente in libreria e ceniamo in un bar vicino alla cineteca.» Si alzò per riempire la brocca dell'acqua. «Non sono mai stata in moto.»

«Be', dovrai pur avere la tua prima volta.»

Finito di cenare, Isotta lo costrinse a guardare un melenso film comico di Natale («Lo so, è mediocre, ma lo adoro») con le luci dell'albero che illuminavano in allegria il piccolo soggiorno. Crowley avvolse entrambi in una pesante coperta e accolse Isotta sulla sua spalla, acquisendo il monopolio della ciotola dei popcorn. Rispose alle risatine di Isotta, ma seguì poco o niente dell'esagerata vicenda familiare multiculturale, vuoi per il troppo vino, vuoi per una paffuta testa bionda che galleggiava nella sua mente.

   
 
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