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Autore: Nymeria90    18/07/2021    1 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando la sua testa infranse la superficie dell’acqua era notte e, sopra il suo capo, brillavano milioni di stelle.
Attorno a lei il vasto e liscio orizzonte era stato sostituito dalle chiare pendici di montagne innevate. Si trovava in un lago montano, illuminato dal riverbero di una luna sorprendentemente misteriosa e inviolata. Era in un luogo fuori dal tempo.
Nuotò fino a riva, mentre un freddo pungente le penetrava le ossa senza farle alcun male.
Quando i suoi piedi toccarono terra si trovò a camminare su una distesa di neve.
Sotto i piedi nudi sentiva il gelo della bianca coltre e, la parte razionale della sua mente, la informò che avrebbe dovuto provare dolore e preoccuparsi di un congelamento imminente. Ma le regole della materia non esistevano in quel luogo sospeso tra i mondi e lei camminava, scalza e bagnata, nell’aria gelida di un inverno montano, senza alcun timore della morte poiché, morta, lo era già. 
Prenderne coscienza fu un immenso sollievo.
Si avviò verso l’unica fonte di luce che brillava nell’oscurità di quella valle affacciata sul lago. I suoi passi avanzavano eterei sulla neve, senza lasciare traccia alcuna. 
Era un fantasma in un mondo di puro pensiero.
La casetta comparve all’improvviso, come per magia. Le parve di udire l’eco, lontano e indistinto, di una risata infantile. Si guardò intorno, cercando la fonte di quel suono inaspettato, ma non vide nulla. 
Qualcosa di umido le bagnò la guancia e quando alzò gli occhi al cielo si accorse che la luna e le stelle erano scomparse, tutte tranne una, che brillava sopra la sua testa come l’occhio luminoso di una divinità. Stava nevicando.
La porta della casetta si aprì e una forma indistinta comparve sulla soglia.
Sasha Shepard rimase immobile in mezzo alla neve, chiedendosi di chi stesse violando il riposo.
-Ah, sei tu.- disse una voce femminile, tra l’annoiato e il rassegnato – Mi chiedevo se saresti mai arrivata.-
Seguì un lungo silenzio mentre entrambe si domandavano cosa sarebbe accaduto dopo.
Fu la donna sulla soglia a parlare di nuovo– Avanti, vieni dentro. Il calore del fuoco è piacevole, anche se sei morto.-
Sparì all’interno, lasciando la porta socchiusa.
La luce che filtrava da dentro attirò il comandante come la falena verso la fiamma.
Sasha entrò con circospezione, guardandosi intorno alla ricerca di un indizio su chi fosse la sua misteriosa ospite.
La capanna era piccola e ospitale. Un caldo nido che parlava di famiglia e dolci ricordi. 
Era un luogo di pace.
Seguì il tepore del fuoco e si ritrovò in un salotto raccolto attorno a un camino di pietra. I divani sembravano fatti apposta per sprofondarci dentro e sul tavolo di legno grezzo erano appoggiati una teiera fumante e un vassoio di biscotti.
Di fronte a lei, sulla parete, capeggiava il ritratto ad olio di un uomo distinto che indossava con fierezza la divisa dell’Alleanza. Riconobbe gli occhi scuri e il naso aquilino dell’uomo e, in un attimo, l’identità della donna non fu più un mistero.
-Era tuo nonno?-
-Sì.- la voce giunse da una delle poltrone che davano le spalle alla porta – Il generale Williams amava e odiava quel ritratto. Gli ricordava l’uomo che era stato e ciò che non avrebbe più potuto essere. Non ho mai capito perché l’avesse appeso qui, nell’unico luogo dove poteva essere uomo, padre e nonno, invece che un generale. Questo è sempre stato un luogo di pace in un mondo di guerra.- la donna gettò un ceppo di legno nel fuoco che sfrigolò, felice di quel dono inaspettato – Non me l’ha mai voluto spiegare e, anche adesso, si rifiuta di darmi una risposta.-
Sasha Shepard incrociò gli occhi del generale. Erano stati dipinti con un’espressione autoritaria e altera, ma lei sapeva che c’era molto altro dentro quegli occhi: colpa e vergogna.
-Forse sapeva di non meritare un luogo come questo. Ci sono persone che non meritano pace. Ci sono colpe che non hanno redenzione.-
Ashley Williams prese un respiro profondo – Non sta a lui decidere, comandante Shepard. Qui la guerra non esiste. Qui i colpevoli non arrivano. C’è redenzione per le sue colpe, anche se lui si rifiuta di vederla. E c’è redenzione anche per te, Sasha.-
-Su Virmire ti ho lasciato indietro a morire.-
Ashley si alzò dalla poltrona. Non era cambiata. Era fiera e altezzosa, bella come un’antica dea, altrettanto superba.
Non erano mai state amiche. E come avrebbero potuto esserlo? Erano nate per essere rivali.
Eppure, nonostante tutto, avevano saputo essere alleate ed ora si guardavano negli occhi come sorelle.
-Fu anche una mia scelta. Non t’illudere di essere stata tu ad uccidermi.-
Persino in quell’occasione non voleva dargliela vinta.
-Ash … è più complicato di così e tu lo sai.- aveva la bocca arida e le mani sudate – Salvai Kaidan perché …- le mancò la voce, ma non poteva più tirarsi indietro. Le doveva una risposta e la doveva anche a se stessa, per quanto orribile potesse essere – Perché lui era mio amico e tu no. Ho scelto lui perché l’idea di perderlo mi era insopportabile. Ho scelto lui perché lo amavo più di te.-
Si sentì avvampare di vergogna, ma non poteva rimangiarsi quelle parole così orrende. Era la verità. Una verità terribile nella sua sconcertante banalità.
Con sua sorpresa Ashley sorrise. Era il sorriso oscenamente sollevato di chi sente finalmente una verità taciuta e terribile, ma sempre sospettata. Ashley sapeva da sempre che era quello il motivo della sua morte e sentirselo dire, infine, la liberava.
-Ci vuole coraggio, comandante, ad ammettere una scelta così brutalmente egoista. Credi che non lo sapessi? Nel momento in cui capii che avresti fatto una scelta seppi che avresti scelto lui. E perché non avresti dovuto? Sappiamo entrambe che Kaidan meritava di essere salvato, molto più di me. Lui è sempre stato il tuo rifugio, come per mio nonno questa capanna: un luogo di pace in un mondo di guerra. – Ashley Williams versò una tazza di tè e gliela porse – Tieni: si discute meglio davanti a una tazza di tè.-
Shepard strinse le dita attorno alla ceramica calda e si lasciò cadere su una poltrona – Ero certa che mi avresti odiata.-
-E l’ho fatto.- ammise Ash, sedendosi a sua volta – Per molto, molto tempo ho covato rancore. Non ero pronta a morire. Credevo di esserlo. Per tutta la vita mi sono preparata a quell’evenienza, come ogni soldato. Ma nulla può prepararti ad affrontare la consapevolezza di essere giunto alla fine delle propria esistenza, quando persino la speranza di un salvataggio impossibile ti abbandona. Quando capii che avresti scelto Kaidan io …- le sue labbra tremarono e abbassò lo sguardo, come se temesse che Shepard potesse leggerci dentro una verità imbarazzante - … non ho mai provato una paura così grande e una rabbia così profonda. Tu eri il comandante Shepard, il primo Spettro umano … pensavo che avresti trovato un modo per salvare entrambi, come hai sempre fatto. Ma io fui il tuo fallimento … proprio io...-
Shepard strinse le mani intorno alla tazza, così forte da scottarsi – Se tu mi conoscessi sapresti che non ho mai salvato nessuno e che i miei fallimenti sono innumerevoli. Tutti quelli che amavo sono morti.-
-Hai salvato Kaidan. Hai salvato Garrus. Hai salvato Jack e Miranda, Grunt e Jacob. Hai salvato i Krogan e i Racni. Hai salvato la Terra e l’umanità. Hai salvato la galassia intera.- gli occhi scuri di Ashley Williams brillavano – Ma non hai salvato me. Il comandante Shepard non ha mai fallito, tranne che con me. – si asciugò una lacrima sfuggita al controllo – Sarebbe stato più facile se tu non avessi salvato nessuno, se infine avessi perso la dannata guerra. Non sarei stata sola. Sono orrendi pensieri, non è così?- Ashely fissò le fiamme che sfrigolavano placide – Ma non è più il tempo né il luogo delle buone parole e dei buoni pensieri. Questo è il luogo della verità e la verità è questa: non sopporto l’idea di essere stata il tuo unico, vero, fallimento. L’unico membro dell’equipaggio ad essere stato lasciato indietro. Per questo … per questo perdonarti è così difficile.-
Non sapeva cosa risponderle. Bevve un sorso di tè per darsi coraggio. Non funzionò.
-Eppure lo hai fatto. Non sarei qui altrimenti.-
Ashley sospirò – Siamo molto simili tu ed io. Per questo non siamo mai state amiche. Abbiamo troppo in comune. Su Eden Prime sono stata l’unica superstite della mia squadra. Tu sai bene cosa vuol dire.- i loro occhi si incrociarono: vi era riflesso lo stesso, insondabile dolore – Non c’è onore nell’essere dei sopravvissuti, solo colpa. Azionare quella bomba, su Virmire, era la mia espiazione, come la tua lo è stata quella di distruggere il maledetto Catalizzatore. Morire laggiù era il mio destino. Nel momento in cui l’ho accettato ho smesso di biasimarti. Mi avevi già salvato una volta, cos’altro potevo pretendere? Non si può solo sopravvivere. La vita non è questo, un soldato non è questo.-
-Non ci avevo mai pensato in questi termini … è molto saggio quello che hai detto.-
Lo sguardo di Ashley si fissò su qualcuno che solo lei poteva vedere, seduto sull’unica poltrona rimasta libera – Non è farina del mio sacco. Io sarei rimasta arrabbiata per sempre. Ma è a questo che servono i nonni, no? Ad essere saggi quando tu non sei in grado di esserlo.-
Shepard rivolse un cenno di ringraziamento a quella presenza che poteva solo intuire, poi si alzò allungando la mano verso Ashley 
-Lui ti ha mostrato la via, ma sei stata tu a scegliere di seguirla. Il tuo perdono mi dona pace ed è più di quanto io meriti. Grazie, Ashley Williams. E, per quello che vale, sappi che quel fallimento, quel terribile, imperdonabile fallimento, non tormenta solamente te. Ma non è stato l’unico. Il comandante Shepard è stato creato per essere perfetto, ma Sasha … lei ha fallito molte volte: Akuze, Virmire, la prima Normandy, Arathot, Thessia. Garrus una volta mi disse che noi umani ci colpevolizziamo troppo, che vogliamo sempre salvare tutti anche se è impossibile … comprendo le sue parole, ma non riesco ad accettarle: che razza di eroe non riesce a fare l’impossibile? -
- Non ho risposte a questa domanda, ma c’è verità nelle parole di Garrus, anche se mancano di sincerità. – sospirò, lanciando un’occhiata in tralice al quadro suo nonno – Ricordo la sua disperazione nel non aver salvato degli innocenti. La colpa è un fardello con cui ognuno di noi deve convivere e la perfezione un’utopia irraggiungibile. I tuoi fallimenti, comandante Shepard, non mi consolano e questo …- Ashley strinse energicamente la sua mani con una smorfia che assomigliava ad un sorriso - … questo è un bene.-
-Ovunque tu decida di andare, Ashley Williams, sappi che c’è sempre un posto per te, sulla Normandy.-
-Un ultimo viaggio, comandante?-
-Con chi vorrà farlo. Quando sarà il momento lo saprai, e potrai scegliere se venire con noi. Non ti lascerò più indietro, Ashley Williams.-
Ashely scosse il capo con un sorriso beffardo sulle labbra, ma i suoi occhi erano finalmente liberi da qualunque dolore – Lo farai comandante, se sarò io a chiedertelo, come hai già fatto. Ma va bene così.- rise, una risata che sorprese entrambe nella sua genuina spontaneità – Va bene così.-
-Non hai mai avuto peli sulla lingua, Ash, sono felice che la morte non ti abbia cambiato.-
-Pure io, comandante, pure io. – Ashley Williams si ricompose e in lei Sasha notò una leggerezza che non aveva mai avuto prima, né da viva né da morta – Ti ringrazio, comandante per essere venuta fin qui, per essere tornata da me, ne avevo bisogno.- le impedì di replicare con un gesto perentorio. Il discorso era chiuso. Per sempre – Penserò alla tua offerta, ma prima devo occuparmi della mia famiglia. Sono stata lontana per troppo tempo. –
-Non c’è fretta, Ashley Williams … qui … qui c’è tutto il tempo del mondo. Buona fortuna e, se non dovessi più rivederti, sappi che è stato un onore averti al mio fianco.-
Ashley Williams si mise sull’attenti, per l’ultima volta – Comandante: requiescat in pace.-
Shepard non riuscì a trattenere un ampio sorriso: per la prima volta, dopo tanto tempo, quel sacco, pieno di tutti i dolori del mondo, cominciava ad alleggerirsi ed ora iniziava a sperare che, alla fine di quel lungo viaggio, avrebbe trovato finalmente la pace.
-Lo farò, Ash, lo farò.-
Non rimaneva altro da dire. Si avviò verso la porta e, di nuovo, fu in riva al mare.

La prima cosa che la colpì, fu la limpidezza dolorosa della luce. Una luce così pura che, per un istante, ne rimase abbagliata. La brezza marina portava alle sue narici odore di pino e terra calda.
Si trovava su un pendio sassoso che, dolcemente, arrivava fino a un mare liscio e cristallino. Il vento arrivava dall’entroterra, soffiando verso il largo, così nessuna onda giungeva a lambire la spiaggia sassosa. Attorno a lei cresceva un boschetto di olivi, antichi come la terra stessa. Erano anneriti e nodosi, forti e robusti, e la facevano sentire effimera, come se fossero esistiti da ben prima del tempo degli uomini e avrebbero continuato ad esistere per migliaia di anni dopo la fine di quel tempo. Persino in quella dimensione, dove il tempo non esisteva, si respirava aria d’eternità.
Esisteva un solo luogo in tutto l’universo così dolorosamente antico.
Era di nuovo a casa, nella sua Grecia, il luogo della sua prima morte.
Quel luogo era … tutto ciò che aveva cercato di dimenticare. Per tutta la durata della sua giovane vita, aveva accuratamente evitato ogni reminiscenza di quel passato tormentato e ostile … ma c’era bellezza in esso, lo vedeva soltanto adesso.
Diede le spalle al mare e risalì la piccola collina coperta di olivi. Il sole le scottava la schiena.
La casa era piccola e spartana, poco più di un quadrato di mattoni rivestiti di intonaco bianco. Una capretta brucava nel piccolo cortile dove troneggiava un grosso olivo dai rami spioventi. Sotto l’albero imponente c’era un tavolino di legno con sopra un cestino di verdure. Qualcuno aveva iniziato a tritare le cipolle e lì le aveva lasciate, con accanto un coltellaccio da cucina.
Davanti alla porta era steso un filo col bucato ad asciugare.
Era un luogo povero e spoglio, ma c’era in esso un dignitosa cura e una confortevolezza che raramente le era capitato di trovare. Di certo non nei luoghi più scintillanti della galassia. Per molti versi le ricordava la flotta Quarian, quelle navi pieni di difetti ed imperfezioni, ma più accoglienti e vive della Cittadella stessa.
Una donna uscì dalla porta, sorreggendo una grossa pentola piena d’acqua. D’istinto, Sasha, si rannicchiò dietro un albero, nascondendosi nell’ombra .
Non aveva mai visto quella donna, ma l’avrebbe riconosciuta ovunque. I lunghi capelli rossi, raccolti in una treccia spettinata, incorniciavano un viso cosparso di lentiggini. Era come guardare il proprio riflesso nell’acqua: c’erano delle discrepanze ma nessuna differenza.
Non aveva mai conosciuto sua madre, una prostituta di Atene morta dandola alla luce. Aveva sempre cercato di non pensare a lei, forse perché le, poche, cose che sapeva sul suo conto, raccontavano una storia terribilmente triste.
Non c’era nulla di bello nella sua vita da ricordare.
Un’orfana venduta e scambiata, sfruttata e stuprata nell’indifferenza assoluta. Una storia orrendamente comune.
Era stata una vita opaca quella di Sophie che tutti chiamavano Lily, finché non aveva conosciuto un ragazzo, un soldato dell’Alleanza, che l’aveva lasciata con un figlio nella pancia, un nome sussurrato nella notte e una promessa mai mantenuta. 
Lui si era perso tra le stelle e la puttana dai capelli rossi, un giglio tra i tulipani, era morta dando alla luce una bambina che aveva stretto tra le braccia giusto il tempo per darle il nome di suo padre: Sasha.
E quella bambina, dal retaggio così infame, era cresciuta fino a diventare l’eroe della galassia, quel comandante Shepard che era ormai una leggenda e ora si nascondeva, fantasma in un mondo di ombre, tra gli olivi di Grecia, incapace di affrontare la sua prima vittima.
Che cosa poteva dirle?
Sophie si era fermata davanti alla porta di casa e scrutava il mare che si intravedeva oltre gli oliveti nella costante attesa di una salvezza che non sarebbe mai giunta. Il ragazzo che aspettava non sarebbe arrivato in quel mondo di ombre come non era arrivato nel mondo reale. Sasha aveva conosciuto l’uomo che era diventato e non c’era salvezza per esso.
Ma quel luogo, in costante mutamento, non aveva ancora esaurito i suoi trucchi.
Da qualche parte, in mezzo agli olivi, non molto distante da lei,  si levò una melodia. Era uno splendido suono, come se un tordo avesse adattato il proprio canto ai gusti umani e stesse riversando tutto il suo cuore tra i rami nodosi. Una cascata di note la travolse, sorprendente come uno scroscio improvviso di pioggia, e poi divennero lievi e delicate, come una pioggerellina leggera che solletica appena la pelle, e infine le nuvole si diradarono e il sole splendette. 
Quando la musica finì si sentì defraudata: come poteva, una cosa tanto bella, terminare così all’improvviso?
Eppure le era già successo, molti anni prima, quando la morte si era intromessa, prepotente, nei giorni più felici della sua vita, portandoglieli via per sempre.
Dall’oliveto emerse un ragazzo con un mandolino a tracolla e il viso di Sophie s’illuminò con la stessa veemenza del sorgere del sole.
Era un giovanotto biondo e slanciato, che camminava come se non avesse alcun pensiero al mondo. Sasha sapeva chi era. Per anni aveva tenuto in tasca una fotografia con impresso il suo viso, sperando di scorgerlo tra una folla di sconosciuti. 
Quando l’aveva trovato, anni dopo aver smesso di cercarlo, quel viso era così trasfigurato da essere inconoscibile, eppure in quegli occhi verdi, identici ai suoi, aveva trovato il padre di cui portava il nome.
Ma del giovane uomo che aveva promesso a una puttana una vita tra le stelle non rimaneva che il guscio. La vita non gli aveva risparmiato alcun tormento, trascinandolo in un abisso dal quale non c’era alcuna risalita.
Ed ora, guardando il giovane musicista che abbracciava e baciava sua madre, capì che non era l’uomo che, in una bettola di Atene, le aveva raccontato i crimini di guerra dell’Alleanza prima di sacrificarsi per salvarle la vita. Lì, nel crocevia dei mondi, un uomo come quello non era il benvenuto.
Il giovane soldato di cui sua madre si era innamorata non era mai tornato dallo spazio profondo. Era morto in battaglia durante la Guerra del Primo Contatto.
Il padre che Sasha aveva conosciuto e pianto, il mostro di Frankenstein dell’Alleanza, era solo un dato statistico, una delle tante vite deviate e rovinate dalla guerra, un eroe corrotto e destinato al nulla.
Quell’uomo si era dissolto nel momento della sua morte e la sua anima putrida era finita sotto terra assieme a ciò che restava del suo corpo. In quel luogo di felicità e innocenza rimaneva soltanto il ragazzo che, per una notte, aveva amato sua madre.
L’uomo che rideva nel cortile era soltanto un volto impresso su una fotografia, nulla di più, e sua madre… lei non era nemmeno quello. Erano due sconosciuti che per caso e per gioco le avevano donato la vita.
Perciò Sasha non si mosse. Rimase a guardarli mentre si scambiavano tenerezze finché lui non rientrò in casa. 
Sasha desiderava andar via, ma qualcosa la trattenne: sua madre si era attardata sulla soglia e osservava il mare come se si aspettasse di veder sopraggiungere qualcuno.
Sasha sobbalzò, colpita da una rivelazione:  quella donna non attendeva il ritorno del suo uomo, stava aspettando sua figlia.
Le gambe si mossero da sole e, un passo dietro l’altro, la condussero allo scoperto, fuori dall’ombra degli olivi. Non si avvicinò alla casa, non tentò di parlare con sua madre, si limitò a rivolgerle un cenno di saluto e guardarla dritta negli occhi.
La donna trasecolò e si portò una mano al petto. Ebbe un’esitazione e lanciò un’occhiata dubbiosa alla porta dietro di sé, dove era svanito il suo compagno, ma non lo chiamò. Quel momento era solo per loro due, madre e figlia. Era stata lei a metterla al mondo nel dolore e nel sangue; lei a stringerla mentre lanciava il suo primo vagito; lei, ad implorare,  mentre la vita la abbandonava, che le fosse risparmiata un’esistenza come la sua.
Lui non c’era stato in quei momenti, gli unici passati insieme, e non era giusto che fosse lì adesso, in quel ricongiungimento che era già un addio. 
Sasha sorrise a sua madre, mentre lei si avvicinava silenziosamente al muretto che le separava. Non ci sarebbe stato nessun abbraccio, nessun pianto straziato, nessuna dichiarazione d’affetto. Erano due fantasmi vissuti senza mai conoscersi, dolorosamente consapevoli delle rispettive esistenze, ansiose di vedersi almeno una volta. E così era stato.
Si salutarono, guardandosi negli occhi, cercando di respingere quell’amarezza che faceva tremare entrambe: non era giusto incontrarsi così, alla fine delle rispettive esistenze, senza avere avuto alcuna possibilità di conoscersi. Eppure dovevano essere grate: non avrebbero dovuto aspettarsi nemmeno quello.
Sua madre, quella Sophie di cui aveva sempre sognato, annuì con riconoscenza e si portò una mano al cuore. Sasha Shepard fece lo stesso. 
E gli olivi iniziarono a dissolversi, il rumore delle onde sfumò, il vento cessò di accarezzarle la pelle e la piccola casa dall’intonaco bianco si dissolse assieme alla collina. Un velo si posò su sua madre, rendendola sfocata e lontana e, infine, scomparve.
Sasha Shepard fluttuò nell’oscurità, mentre scene di una vita passata le scorrevano davanti come spezzoni di un vecchio film di cui si è scordata la trama ma si conserva il ricordo.
Eccola assieme a Kobe e Louise, mentori di una vita sbagliata … e gli anni trascorsi con la Banda, il sangue versato, le violenze commesse, i terribili inganni e poi … poi fu luce abbagliante.
  
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