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Autore: ChrisAndreini    19/07/2021    0 recensioni
Misaki pensava che quello sarebbe stato l'inizio del più bel capitolo della sua vita, invece si trova catapultata in un incubo dal quale non vede via d'uscita.
Un hotel a 5 stelle isolato dal mondo, 16 studenti di enorme talento, un orso pazzo telecomandato da non si sa chi, tantissime regole che possono farti ammazzare e una sola che è davvero importante: Se vuoi uscire devi uccidere. E attento a non farti beccare.
Tra eventi con gli amici, freetime, omicidi, class-trial e moventi sempre più pericolosi, Misaki dovrà fare del suo meglio per restare in vita e proteggere le persone più care.
Ma attenzione, le apparenze raramente si rivelano realtà.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Monobear, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Chapter 2: Memories, sins and children’s games

Class Trial

 

-Non credo che ci metteremo molto questa volta- commentò Leland mentre lui, Misaki, Nowell e Midge si dirigevano insieme nel salottino privato della Hall.

Misaki non voleva credere all’ovvietà che l’ultimo indizio trovato aveva portato, e aveva messo la polaroid al sicuro nella molto remota speranza di non cacciarla più fuori e di scoprire nuovi indizi che scagionassero l’unico che lì dentro sembrava avere un movente.

-Pierce!- mentre aspettavano i ritardatari, Misaki raggiunse il dentista, che parlava tranquillo con Winona, come se si stesse dirigendo ad una gita, e non al processo di classe che avrebbe decretato la loro vita o la loro morte.

-Oh, Misaki Ikeda. Comment-ca-va?- chiese lui, con un sorriso sornione.

-Le analisi sul sangue di Godwin… che risultato hanno dato?- chiese Misaki, preoccupata dalla risposta ma bisognosa di conoscerla il prima possibile per capire come agire di conseguenza.

-Oh, beh, esami estremamente inconcludenti, ma una cosa è certa: non è stato drogato. Ma quel ragazzo sta male. Se non è il killer, e credo proprio sia il killer, dovrei fargli un’esame approfondito del sangue perché mi sembra abbia globuli bianchi inesistenti- rispose Pierce, dando a Misaki la peggiore notizia possibile.

Proprio in quel momento arrivarono gli ultimi studenti mancanti: Alan, River e Godwin.

-Oh, ecco qui l’assassino!- esclamò Pierce, indicando il gruppo.

Tutti e tre sobbalzarono, sorpresi dalla sua enfasi, poi si guardarono tra di loro, preoccupati.

Pierce ridacchiò.

-Immagino che lo confermeremo al processo di classe- si avviò verso l’ascensore, che si aprì per farli entrare e permettere al gruppo di raggiungere la sala.

Misaki si posizionò accanto a Leland e al posto ormai vuoto di Ogden. Era piuttosto inquietante stare vicino al suo volto segnato dalla x rosa. Era come se la guardasse da dentro la tomba.

-Upupupupu, siamo finalmente giunti al secondo Class Trial! Questo processo si preannuncia pieno di sorprese. Non vedo l’ora di vedere come voi menti bacate reagirete alle prove trovate- Monokuma, seduto sul suo trono con un drink che ricordava terribilmente quello preparato nella precedente esecuzione, incoraggiò gli studenti a cominciare la discussione, eccitato come un bambino il giorno di Natale.

-Mettiamo subito le carte in tavola, tutti qui hanno un alibi ad eccezione di Brett, Naomi e Godwin, quindi è chiaro che sia uno di questi tre!- Leland non perse tempo e subito cominciò con i pezzi grossi.

-Che?!- Brett si ritirò immediatamente, preoccupato.

-Tsk, quindi ora non assistere ad una mediocre opera comica mi rende un’assassina?- Naomi storse il naso e roteò gli occhi, molto meno preoccupata.

Godwin non commentò, e si limitò ad abbassare la testa.

Era estremamente pallido, più di prima. Misaki non era sorpresa che avesse pochi globuli bianchi.

Anche se la consapevolezza che non fosse stato drogato le metteva una forte tensione nello stomaco.

-Sentiamo cosa avete da dire riguardo al momento dell’omicidio, avete un qualche alibi?- Leland insistette, continuando sulla sua teoria, che effettivamente aveva senso, anche se… perché l’assassino avrebbe dovuto scegliere un orario dove sapeva che tutti avrebbero avuto un alibi e quindi i sospettati sarebbero inevitabilmente stati molti meno?

-Io stavo aggiustando una perdita nella camere di River. Il suo lavandino faceva acqua da tutte le parti… letteralmente, intendo- si difese immediatamente Brett molto nervoso per essere accusato.

-È il tuo alibi a fare acqua da tutte le parti… metaforicamente- obiettò Chap, irritata.

-Già! Mi avevi promesso che ci avresti messo massimo dieci minuti a riparare la perdita. Dove sei stato il resto del tempo? Dovevi assistere alla fine del nostro spettacolo- le diede man forte Sophie, offesa dal non aver avuto l’idraulico tra il suo pubblico.

Brett arrossì vistosamente, e lanciò un’occhiata nervosa verso Naomi, che sbuffò, e scosse leggermente la testa.

-Eravamo insieme- ammise infine, come se confessarlo fosse peggio che essere accusata di omicidio.

-Woo! Tu e Super Mario?!- chiese Sophie, estremamente divertita e incredula.

Naomi grugnì infastidita.

-Ci siamo incontrati all’ingresso delle camerate, e abbiamo iniziato a parlare. Siamo rimasti nel salottino dei ragazzi tutto il tempo- spiegò Naomi con più dettagli.

-Esatto! Siamo rimasti lì tutto il tempo! Poi abbiamo sentito che lo spettacolo era finito e Naomi ha… ehm… insomma, ognuno è tornato nella propria stanza- Brett arrossì, imbarazzato.

Probabilmente Naomi gli aveva detto qualcosa del tipo “Eww, non voglio che ci vedano insieme, evapora e fingi che non ci siamo mai incontrati!”.

Misaki non la biasimava, visto che Brett non spiccava certo per personalità, ma forse c’era di più di quanto ci si potesse aspettare.

Solo che… se erano rimasti insieme tutto il tempo significava che avevano un alibi, e questo lasciava una sola persona senza alibi.

No! Misaki si rifiutava di crederci!

-Molto comodo che siano stati insieme durante l’omicidio. Potrebbero essersi alleati per non risultare sospetti e stare mentendo!- provò a suggerire, lanciando un’occhiata sospettosa a Naomi, che storse il naso, infastidita.

-Non scenderei mai così in basso per provare la mia innocenza. Eravamo davvero insieme. E poi cosa ci guadagnerebbero due persone a collaborare? Solo l’assassino esce fuori da qui- obiettò immediatamente Naomi.

Misaki non sapeva come ribattere.

-A meno che Brett non voglia sacrificare la propria vita per Naomi, dubito che mentirebbe per salvarla- osservò Leland, pensieroso.

-Quindi questo ci lascia con solo un sospettato. È stato più semplice del previsto- osservò Pierce, quasi deluso dallo svolgersi degli eventi.

Tutti gli sguardi si puntarono su Godwin, che non aveva fatto alcuno sforzo per difendersi, e impallidì, preso in contropiede dalla improvvisa attenzione.

Dopo qualche istante sobbalzò vistosamente.

-Cosa?! Pensate che sia stato io?!- chiese, sconvolto, e ritirandosi su sé stesso.

-Sei l’unico senza alibi. Tutti gli altri erano allo spettacolo, mentre Naomi e Brett evidentemente erano insieme. Tu dov’eri mentre Kismet veniva uccisa?- chiese Leland, ovvio.

-I_Io…- Godwin provò a parlare, ma venne immediatamente interrotto da Winona.

-Già, e poi sei anche stato l’ultimo a vederla viva. Non si staccava da te, avevi parecchie opportunità per ucciderla- lo mise all’angolo, scrivendo febbrilmente sul suo blocco per appunti.

-Ma…- la spiegazione di Godwin venne nuovamente interrotta da Pierce, che tirò fuori dei fogli di analisi.

-E non puoi più dire di essere stato drogato, perché ho analizzato il tuo sangue e non c’è traccia di anestetici- affossò immediatamente la versione che aveva già dato dei fatti.

Godwin rimase senza parole.

-C_cosa?! Ma non è possibile! Io ero… io sono…- sembrava al limite di un attacco di panico.

Misaki decise di prendere la parola.

-Non giungiamo a conclusioni affrettate! Cerchiamo innanzitutto di ricostruire come sono andati i fatti. Magari anche coloro con un alibi erano in grado di uccidere Kismet! Potrebbero aver agito prima dello spettacolo con una trappola a distanza, iniziamo da lì e poi passiamo alle accuse!- suggerì, andando incontro a Godwin.

-Misaki, mi meraviglio di te. Non ci sono molti misteri riguardo alla causa della morte, la scena del crimine era piuttosto chiara- Leland incrociò le braccia, deluso.

-Però penso che potrebbe aiutare ricostruire meglio le dinamiche- provò a suggerire Midge, molto timorosa.

-Concordo con la signorina Lewis. Non sono stato in grado di osservare con attenzione la scena del crimine, sarebbe utile un’analisi più approfondita- Adam appoggiò l’orafa, accanto a lui, che gli sorrise riconoscente.

Leland sospirò.

-Come scritto nel Monokuma file, Kismet è morta alle cinque e quarantacinque, con un colpo in testa. È morta sul colpo. Non c’è granché da capire- spiegò, mostrando il monokuma file sul suo e-Handbook.

-Sì, ma ci sono tante cose strane in questo omicidio. Innanzitutto perché usare un metodo tanto complicato per ucciderla? Poi era ferita in molte parti del corpo. L’assassino ha infierito più volte su di lei prima di ucciderla. Deve aver urlato. O dovremmo averla sentita. Perché non l’abbiamo sentita?- chiese Misaki, tirando fuori alcune delle domande che le premevano.

Sapeva già la risposta a quella domanda, ma voleva protrarre la conversazione il più possibile, per farsi venire una qualche idea di come salvare Godwin.

Perché si rifiutava di credere che fosse Godwin l’assassino.

-Ahhh, mi sta scoppiando la testa, facciamo una cosa per volta!- propose Chap, massaggiandosi la fronte, confusa.

-Va bene, ripartiamo dall’inizio…- Nowell iniziò a fare il punto della situazione -Alle quattro precise è iniziato lo spettacolo, a cui erano presenti Sophie, Chap, io, Misaki, Leland, Winona, Pierce, Midge e River. Anche Alan faceva avanti e indietro dalla cucina. Kismet e Godwin erano in infermeria perché Godwin si era sentito male, mentre Brett era in camera di River a riparare l’impianto, e Naomi era… dov’eri alle quattro?- Nowell si rivolse alla ragazza, che si rigirò una ciocca di capelli tra le dita.

-Ero in camera mia a leggere una rivista, credo. Sono uscita dalla stanza che erano quasi le cinque, e poi ho incontrato Brett- spiegò.

-Bene, tra le quattro e le sei c’è stato lo spettacolo, ininterrotto, l’ora della morte è alle cinque e quarantacinque. Dobbiamo capire cosa è successo nell’ora e quarantacinque che è passata dall’inizio dello spettacolo alla morte- Nowell porse un obiettivo da raggiungere, poi si rivolse a Godwin.

-Godwin, tu sei stato l’ultimo a vedere Kismet viva, poi spiegarci cosa è successo?- chiese, un po’ brusco ma cercando di essere più incoraggiante possibile.

Godwin sembrò recuperare il coraggio.

-Dopo l’inizio dello spettacolo è venuto Alan per portare a me e Kismet qualcosa da mangiare, mi pare che fossero le quattro e qualcosa. Lo spettacolo era iniziato da poco. Poi mi sono messo a riposare, e dopo un po’ ho sentito urlare, e mi sono svegliato. Ho visto una persona mascherata che aveva preso Kismet, che sembrava svenuta. Ho provato ad alzarmi, ma quella persona mi ha messo qualcosa davanti alla bocca e sono svenuto- spiegò Godwin.

-Quindi qualcuno ha drogato Kismet? Qualcuno di mascherato?- chiese Alan, credendo alle sue parole.

-Uffi, ti ostini con questa messa in scena? Ho già ampiamente dimostrato da un’analisi accurata che non sei stato drogato- Pierce sbuffò, annoiato.

-Non mi ostino! Dico solo la verità!- insistette Godwin, stringendo i pugni.

-Quando ti sei svegliato Kismet era già addormentata?- chiese Misaki, riflettendo sulle prove ottenute.

-Sì… no… sì, quasi. Aveva gli occhi chiusi, ma sembrava che stesse cercando di ribellarsi. Non ne sono sicuro, sono crollato subito dopo- spiegò Godwin, sforzandosi di ricordare. Sembrava sincero, non dava segni fisici che stesse mentendo.

Eppure…

-Quindi non hanno combattuto, lei e l’assalitore?- chiese Nowell, poco convinto a sua volta.

-No, non mi sembra proprio. Il tipo mascherato ha agito prima che Kismet potesse accorgersi di lui- rispose Godwin, convinto.

-Non è esatto!- obiettò Misaki, ripensando alle prove. Non voleva andare contro Godwin, ma era più forte di lei.

-Godwin, pensaci bene, c’erano segni di lotta nella stanza, era pieno di anestetici rotti- gli fece notare, ricordando ciò che aveva trovato in infermeria.

-Solo anestetici…- osservò Pierce, pensieroso.

-Un momento, ma gli anestetici non si trovano nel cassetto più lontano dalla porta? Come hanno fatto a finire lì?- chiese Midge, confusa.

-È possibile che l’assassino si sia dimenticato che sono esperto di analisi chimiche, e che abbia cercato di confondere le acque eliminando gli anestetici per non farci capire che uno o più di essi era stato utilizzato- Pierce iniziava a divertirsi.

-Non è importante per il momento, concentriamoci su ciò che è successo dopo. Kismet è stata presa dall’infermeria, questo ormai è assodato, e Pierce ha confermato che è stata drogata con del Propofol, giusto?- chiese Misaki, per conferma.

-Yup. Su questo Godwin ha detto la verità. Il propofol è un potente anestetico che agisce in pochi secondi, ma il suo effetto dura poco, a meno che non venga iniettato continuamente- spiegò Pierce, con aria da primo della classe e occhi spiritati.

-Hai scoperto se è stato iniettato continuamente?- chiese Alan, molto affascinato dalle analisi del dentista.

-Non ho pensato di controllare- Pierce ruppe la magia.

-Okay, quindi Kismet è stata drogata, e poi è stata portata nella sala dei bimbi, dove è stata uccisa subito, giusto?- Chap provò a ricostruire i fatti, ma c’erano parecchie contraddizioni nella sua tesi.

-Non è esatto!- obiettò Misaki, ripensando allo stato del corpo -Secondo il monokuma file, il suo corpo presentava numerose fratture e contusioni agli arti, alle costole e alla schiena. Quindi prima di essere colpita in testa è stata colpita altrove- spiegò, mostrando il suo e-Handbook.

-Eww, perché fare una cosa del genere?!- chiese Sophie, ritirandosi su sé stessa disgustata.

-Per il momento non è importante capire il perché, ma il come! È stata torturata, probabilmente per almeno un’ora, dato che la morte è avvenuta alle cinque e quarantacinque e il rapimento quando erano ancora le quattro. Quindi la domanda sorge spontanea… come mai nessuno ha sentito nulla?- Misaki passò ad uno dei quesiti più importanti. Lei e Nowell sapevano la risposta, ma era meglio arrivarci per gradi.

-Già, Godwin, come mai non hai sentito nulla, dato che eri nell’altra stanza?- lo provocò Winona, sospettosa.

-Ero drogato!- insistette il ragazzo, ormai con le lacrime agli occhi.

-Non solo lui, ma tutti gli altri. Naomi e Brett erano solo ad un piano di distanza, esattamente sotto la stanza dei bimbi, ma non hanno sentito nulla. Capisco il tonfo attutito del peso che colpiva Kismet, ma tutto il resto? Non vi sembra strano che una tortura continua non sia stata sentita da nessuno? Che Kismet non abbia urlato?- insistette Misaki.

-Dove vuoi arrivare?- Leland la guardò con un sopracciglio inarcato, confuso.

-Rispondi alla domanda- lo incoraggiò lei.

-Beh, per quanto riguarda l’urlo, aveva la bocca tappata. Il sangue non ha raggiunto la bocca, quindi era chiaro che lo fosse, ma per il resto… so per certo che la sala dei bimbi non è insonorizzata- ammise Leland, pensieroso.

-Questo perché la tortura non è avvenuta nella sala dei bimbi!- alla fine, Misaki scoprì le sue carte.

-Il magazzino, giusto?- chiese Alan, ricordando di aver incontrato il gruppo proprio lì fuori.

-È stato concepito come una camera da letto dell’hotel, quindi era insonorizzato, come tutte le stanze. Io e Nowell abbiamo trovato una sedia rovinata, una mazza da baseball, delle corde e anche la maschera e il mantello descritti da Godwin. L’assassino ha portato la sua vittima lì per non farsi sentire- alla fine Misaki spiegò le dinamiche.

-Sì, va bene, ma quindi? Non capisco cosa c’entri il luogo, e perché l’assassino ha finto fosse la stanza dei bimbi- Leland era confuso.

-Esatto! Perché l’assassino ha finito l’omicidio in un luogo diverso? Non ha senso!- Misaki era molto turbata dal modus operandi. 

-Forse per non far trovare le prove della tortura- propose Nowell, pensieroso.

-Ma il monokuma file le avrebbe comunque mostrate- obiettò Sophie.

-Avrebbe potuto fare tutto direttamente in sala bimbi o direttamente nel magazzino, perché usare due luoghi del delitto?- Misaki non riusciva a comprendere la psicologica usata per quello scambio.

E sentiva che fosse un pezzo del puzzle davvero importante.

-Sì okay, è strano, ma non è così importante- obiettò Leland, scuotendo la testa.

-Sì che è importante, la psicologia…- Misaki provò ad insistere, ma lui la interruppe immediatamente.

-Non sei nella mente dell’assassino, non puoi capire la sua psicologia. Non è psicanalizzando l’assassino che capiremo chi è. Dobbiamo solo capire il come, il perché è indifferente- esclamò con enfasi e praticità.

-Il perché è fondamentale per capire affondo un crimine. Per dargli un senso- Misaki non voleva vedere la situazione con distacco, voleva sentire le motivazioni, capire i ragionamenti, scoprire l’umanità celata dietro un atto così inumano.

-Vogliamo parlare di perché?! Bene, parliamo di moventi, allora- Leland, irritato dalla irragionevolezza di Misaki, cambiò direzione del discorso.

Misaki impallidì. Non voleva ancora tirare fuori la polaroid.

-Aspetta, aspetta, dobbiamo prima finire di parlare delle dinamiche dell’omicidio!- lo fermò Chap, che non stava capendo poi molto.

-Il killer ha portato Kismet nel magazzino, l’ha legata ad una sedia, e l’ha colpita ripetutamente con una mazza da baseball, probabilmente a più riprese, e con molta forza. Poi l’ha portata in sala da ballo, ha appeso un peso tramite la sbarra di ferro che tiene le luci, e l’ha fatto cadere sulla suatesta- mentre ricapitolava i fatti, a Misaki venne un’illuminazione -Il sangue…- sussurrò tra sé, ripensando alla scena del crimine e alle condizioni del corpo.

-Sangue?- chiese Winona, incuriosita.

-Ecco perché l’assassino ha scelto la stanza dei bimbi! Lanciando un peso a distanza sulla testa di Kismet, il sangue provocato dalla botta letale non gli è arrivato addosso, perché ha potuto compiere l’omicidio a distanza- spiegò.

-I colpi precedenti non avevano fatto uscire sangue, hanno tutti generato fratture interne e non esterne- rifletté Nowell, capendo il suo ragionamento.

-Esatto! Mentre il colpo finale avrebbe lasciato del sangue, e l’assassino non poteva permettersi di esserne sporcato, forse perché doveva essere visto subito dopo aver compiuto l’omicidio e non aveva il tempo di cambiarsi- suppose Misaki.

-Già, troppo impegnato a fingersi svenuto- borbottò Naomi, guardandosi le unghie.

Misaki le lanciò un’occhiataccia.

-In che senso?- chiese Midge, confusa.

Misaki avrebbe preferito che non la incoraggiasse.

-Mi chiedo solo perché stiamo facendo tante congetture quando sappiamo benissimo chi è stato. L’unica persona senza alibi, e con un chiaro movente- Naomi indicò Godwin, che si ritirò sul posto.

-Quale movente?! Io non avevo alcun motivo per ucciderla! Anzi, eravamo amici. Non mi lasciava mai solo- Godwin si rivolse a tutti per far capire la sua buona fede, Naomi scosse la testa.

-Appunto, se la bifolca l’avesse fatto con me probabilmente anche io l’avrei uccisa. Insopportabile- 

-Ora sappiamo chi sarà il colpevole quando Super Mario morirà- scherzò Sophie.

Brett sobbalzò.

-COSA?!- chiese, preoccupato, facendo passare lo sguardo tra Sophie e Naomi.

-Su questo ne riparliamo quando Brett morirà, ma per il momento è morta Kismet, e chiaramente è stato Godwin. Dopotutto perché uccidere solo uno e non entrambi? Erano sempre insieme ed erano una facile preda- il ragionamento di Naomi era sensato, ma senz’altro sbagliato.

-Magari hanno lasciato Godwin in vita per incastrarlo. Non ci hai pensato?!- obiettò Misaki. Dopotutto era troppo ovvio, in quel caso.

-O magari Godwin ha provato a giocare sul suo essere un santarellino per farti credere a questa cosa. Chi mai sospetterebbe di un piccoletto che non si sa tenere in piedi?- Naomi era molto convinta di ciò che diceva. Era decisamente sospetto quanto ci tenesse ad assegnare la colpa di Godwin così in fretta.

-Appunto, come poteva Godwin, così debole, trasportare il corpo di Kismet non solo nel magazzino, ma poi anche nella sala bimbi. E sollevare quel peso immenso, e infliggere dei danni tanto gravi!- logicamente non aveva alcun senso, e Misaki provò a farlo capire a tutti.

-In effetti è troppo basso per raggiungere le sbarre della sala bimbi. Probabilmente il vero assassino è qualcuno di alto capace di raggiungere le sbarre- osservò Midge, prendendo le parti di Misaki. Sembrava orgogliosa di esserci arrivata.

Nowell ruppe le sue speranze.

-Errato!- obiettò -Nella sala bimbi c’erano graffi sulla moquette. L’assassino ha usato una sedia per arrampicarsi e far passare la corda. Godwin ha provato a salire e raggiungeva la sbarra, quindi è sospettabile quanto tutti gli altri. Anzi, possiamo escludere persone alte- spiegò, portando in causa gli indizi raccolti nella sala bimbi.

-Non se hanno cercato di incastrare Godwin, potrebbero averlo fatto di proposito- Misaki continuò a difenderlo.

-Davvero sei pronta a scommettere la tua vita sull’innocenza di qualcuno solo perché ti sembra innocuo?- Naomi iniziava a stancarsi di quel botta e risposta.

-So che non potrebbe mai aver fatto niente di male!- Misaki era convinta delle sue idee.

-Perché? Perché è carino, tenero, affettuoso, come un cagnolino? Ogden era un santo. Era gentile, era disponibile. Era sempre pronto ad aiutare tutti. E ha ucciso Janine! Non possiamo fidarci l’uno dell’altro! Qui siamo tutti sospetti finché non viene provato il contrario, e anche allora c’è un grande margine di dubbio! Siamo ragazzini buttati nell’arena dei leoni! Se iniziamo a credere alla buona fede di qualcuno solo perché sembra affidabile, finiremo con una coltellata nella schiena!- per la prima volta da quando era lì, Naomi mostrò delle vere emozioni, e Misaki capì dalla sua voce, dai suoi occhi, e dalle mani tremanti, che nonostante la sua presunta freddezza, Naomi era forse la più spaventata lì dentro, la più insicura, e una di quelli che aveva preso peggio il tradimento di Ogden.

Il suo astio si abbassò appena, ma la determinazione non scemò.

Perché Misaki era brava a capire le persone, e Godwin… Godwin…

Godwin era decisamente sospetto.

Molte volte durante le indagini aveva agito come se fosse colpevole. La sua storia non stava in piedi, era l’unico senza alibi, e non si difendeva. Era Misaki a difenderlo.

Lui non stava aprendo bocca.

Si limitava a sembrare spaventato, insicuro, e innocente.

Misaki non ribatté, e abbassò la testa, ripensando meglio agli indizi. Non voleva credere che fosse stato Godwin, ma se voleva scoprire la verità non poteva neanche escluderlo.

-Concordo caldamente con ciò che ha detto Naomi, ma ho qualche dubbio sul movente. Dopotutto tutti qui abbiamo lo stesso movente: vogliamo uscire. Quindi non credo che stabilire un movente sia così importante, dato che tutti potrebbero aver voluto uccidere Kismet- Pierce ruppe il silenzio carico di tensione con un commento spassionato.

-Non è esatto- sussurrò Misaki, a bassa voce, ma facendosi sentire da tutti.

-Uh?- Pierce la guardò confuso.

Gli studenti si girarono verso di lei, chiedendosi perché all’improvviso lo avesse contraddetto, quando aveva detto qualcosa di ovvio.

-Questo omicidio è stato particolarmente brutale, soprattutto l’intento dell’assassino di impedire alla vittima di camminare. Kismet è stata colpita in punti ben specifici, quando teoricamente sarebbe bastato un colpo netto, che avrebbe lasciato anche meno prove- Misaki citò ciò che aveva detto Leland, che si girò verso di lei, incuriosito da come le cose si stessero evolvendo.

-Beh, magari voleva solo evitare che scappasse- suggerì Chap, guardando Godwin preoccupata. Anche lei si era molto affezionata a lui da quando erano nell’hotel.

-Non è esatto!- Misaki scosse la testa, cercando di pensare solo ai fatti, e non lasciarsi distrarre dalle emozioni -La vittima era legata, non poteva scappare- spiegò, ripensando agli indizi trovati nel magazzino.

-Quindi cosa stai suggerendo?- chiese Winona, smettendo di scrivere perché troppo concentrata sulle parole di Misaki.

-Che Godwin… potrebbe avere un movente specifico- borbottò Misaki, con lo stomaco in subbuglio per il senso di colpa nello stare accusando uno dei migliori amici che si era fatta lì dentro.

-Cosa?!- Godwin impallidì. Fissò Misaki con sgomento ed estrema confusione.

-Abbiamo trovato questa, nella stanza dei bimbi, nascosta in una scatola di giochi- la ragazza, infine, tirò fuori la prova più importante e decisiva: la polaroid dove Godwin veniva colpito alla schiena da Kismet a cavallo.

Tutti gli studenti rimasero sgomenti.

-Santo cielo! Godwin, stai bene?- chiese Chap, rivolgendosi a Godwin preoccupata.

Lui fissava l’immagine ad occhi sgranati, sembrava una statua di marmo.

Misaki però notò con la coda dell’occhio, che un’altra persona, in quella sala, aveva avuto una reazione a dir poco inaspettata.

River, che non aveva proferito parola dall’inizio del processo ed era rimasto impassibile ad ascoltare passivamente lo svolgersi degli eventi, nel notare la foto si era improvvisamente irrigidito, e aveva sgranato gli occhi, preoccupato.

Questa reazione mise in moto il cervello di Misaki, che però non aveva troppo tempo di riflettere, perché mostrando quella prova aveva provocato una reazione a catena.

-Mi chiedevo quando saresti finalmente rinsavita mostrando la prova decisiva- commentò Leland, soddisfatto.

-Co_cos’è quella?!- Godwin sembrò sbloccarsi, e si ritirò su sé stesso nel panico.

-A me sembra una polaroid- lo prese in giro Pierce, che iniziava davvero a divertirsi.

-Di chiara provenienza aggiungerei. E tu ti ostinavi a credere che il riccone fosse innocente?- Naomi era incredula e gongolante.

-Non è mia!- obiettò Godwin, finalmente iniziando a provare a difendersi, anche se iniziava a sembrare troppo tardi -Non l’ho mai vista in vita mia!- insistette, indicando la polaroid con disgusto.

-Certo, conveniente fingere che non sia tua una foto che ti da un movente molto importante per voler uccidere qualcuno- Winona scosse la testa, per niente convinta dalla sua tesi.

-Ve lo giuro! Non sapevo che Kismet…- si interruppe, portando una mano alla schiena, e poi scosse la testa con forza -…non dimostra niente! Anche se mi ha colpito non significa che ho riportato danni permanenti, quindi non avevo motivo di vendicarmi!- le sue guance si fecero leggermente rosse.

Stava chiaramente mentendo.

-Non è esatto. Godwin… hai una lunga cicatrice che ti percorre l’intera spina dorsale. Qualche conseguenza c’è stata- gli fece presente che aveva notato il suo problema, e Godwin girò la testa verso di lei, indurendo lo sguardo.

-Cosa?! Come… come lo sai?!- chiese, sempre più nel panico.

-L’ho vista quando ti ho trovato svenuto nell’infermeria… o quando pensavo fossi svenuto- continuava a sentire che qualcosa non andava, ma doveva guardare ai fatti, e i fatti lo rendevano estremamente colpevole.

-Uhhh, ecco perché hai i globuli bianchi così bassi. Delle operazioni alla schiena così invasive ti hanno lasciato un sistema immunitario a terra. Un motivo più che valido per ammazzare la colpevole e colpirla soprattutto alla schiena, lasciatelo dire. Lo comprendo- Pierce gli diede del finto supporto.

-Aspettate! Aspettate! Ragioniamo un secondo! Possiamo provare che quella foto non è mia! Ci sarà un modo. Perché non è mia! Non sapevo che Kismet mi avesse colpito! Non ne avevo idea! E non le avrei mai fatto niente di male, in ogni caso. Non l’avrei mai uccisa!- Godwin non sapeva come difendersi.

-Non ci voglio credere neanche io Godwin! Allora perché non ci mostri la tua polaroid. Se non è questa significa che hai la tua!- Misaki provò ad andargli incontro, con le lacrime agli occhi.

Per un secondo, gli occhi di Godwin si accesero di speranza. Per un secondo, sembrò davvero innocente, rasserenato, come se Misaki gli avesse appena dato una soluzione a cui non riusciva ad arrivare da solo.

Ma durò solo un istante, perché subito dopo essersi tastato la tasca dei pantaloni, la sua speranza lasciò posto ad una completa disperazione.

-No…- sussurrò, controllando meglio le tasche -No!- esclamò con foga, preoccupato.

-Fammi indovinare, l’hai persa?- chiese Naomi, scuotendo la testa.

-Conveniente- le fece eco Winona, per niente impressionata.

-L’avevo fino a prima del processo! La tengo sempre con me per paura che qualcuno la veda!- Godwin ormai era in lacrime, e lo stomaco di Misaki così intricato che la ragazza temeva davvero che avrebbe vomitato da un momento all’altro.

-Su, Godwin, confessa i tuoi crimini, è più facile così- lo incoraggiò Leland, pratico.

-Signor Dixon, è stato davvero lei?- Alan era sconvolto. 

-Godwin, dacci una prova concreta e ti giuro che l’ascolteremo- Chap provò a venirgli incontro, ma anche lei non sembrava affatto convinta della sua innocenza.

-Non so che dirvi. So di essere sospetto! Ma non ho idea di come dimostrare la mia innocenza. Ero davvero svenuto, non so come ha fatto l’assassino ad impedire che la droga risultasse nel sangue, ma mi ha fatto svenire in qualche modo, ed era mascherato, e alto, e con un mantello- Godwin seppellì il volto tra le mani, e iniziò a singhiozzare.

Misaki era sempre più confusa.

Di solito, con prove schiaccianti, l’assassino veniva fuori.

Ogden alla fine si era arreso.

E Godwin… Godwin aveva a suo carico prove ancora più schiaccianti, tra cui un movente estremamente specifico, e l’alibi peggiore.

-Per me possiamo votare, così riusciremo ad andare a dormire ad un orario decente- Naomi sembrava davvero rilassata.

-Oh? Già pronti a votare? Mi aspettavo un processo più lungo- Monokuma si mise sull’attenti, sembrando deluso.

C’era decisamente qualcosa che non andava in quel caso.

Perché Godwin era intelligente, non avrebbe mai ucciso qualcuno rendendo così ovvio che fosse stato lui.

L’aveva appena detto.

So di essere sospetto, ma non so come dimostrare la mia innocenza”.

All’improvviso, il volersi aggregare a Misaki e Nowell assunse un altro significato. E anche la sua decisione nel voler capire cosa fosse successo, a scapito della propria salute.

Che fosse innocente o colpevole, era stato abbastanza intelligente da unirsi ai due che avevano scoperto più cose nel precedente omicidio e impegnarsi per capire il più possibile le dinamiche nel tentativo di scagionarsi.

Ma la polaroid… la polaroid, unico indizio raccolto quando non erano insieme, l’aveva fregato.

La polaroid… c’era qualcosa di strano nella polaroid.

-Per me possiamo procedere- Leland si rilassò insieme a Naomi, convinto della sua accusa.

Misaki aprì la bocca per obiettare, decisa a riflettere meglio sulla situazione e fare quantomeno un riassunto finale,  ma venne anticipata dall’ultima persona che si sarebbe aspettata avrebbe sollevato un’obiezione.

-Aspettate!- arrivò chiara e limpida la voce di River.

Tutti si girarono verso di lui, catturati come da un incantesimo.

Il ragazzo si era raddrizzato, e il suo volto era una determinata maschera calma e sicura -Non è stato Godwin ad uccidere Kismet- affermò con assoluta certezza.

-Un po’ tardi per obiettare- si lamentò Naomi, irritata.

-River!- Godwin guardò l’amico con sollievo e commozione, ma il suo sorriso appena accennato ebbe vita breve, e si trasformò in sgomento e orrore quando River pronunciò le tre parole successive: 

-Sono stato io- affermò infatti, ammutolendo completamente gli studenti, e cambiando drasticamente l’umore nella sala.

Ci furono alcuni secondi di completo silenzio.

Poi la stanza si riempì di esclamazioni sorprese, confuse, incredule e scettiche.

-Cosa?!-

-Non è possibile!-

-È uno scherzo, vero?!- 

-Stavamo per morire tutti?!?!?-

-Sei stato tu?! Come puoi essere stato tu?!- 

-Lo sapevo che eri uno psicopatico!- 

E tra le voci schiamazzanti, una si elevò sopra le altre.

-Silenzio! Non ci sto capendo nulla! Voglio essere intrattenuto, non assordato! Uno alla volta!- li rimproverò Monokuma, irritato e mostrando gli artigli.

-River, capisco la tua devozione verso il tuo amico, ma stai diventando ridicolo. Fingere di essere stato tu e farci condannare tutti mi sembra una dichiarazione d’amore un po’ azzardata- Leland prese la parola, del tutto scettico sulla sua confessione.

River lo guardò per niente impressionato dalla sua obiezione.

-Perché non potrei essere stato io?- chiese, pronto probabilmente a confessare fino al più minimo dettaglio della sempre più confusa vicenda.

-Per prima cosa non ha senso che l’assassino si riveli. Seconda cosa… avevi un alibi, come tutti quelli che erano allo spettacolo… giusto?- chiese Naomi, molto confusa dalla piega che gli eventi avevano appena preso, e non fidandosi minimamente della sua testimonianza.

-Sophie, tu hai una buona memoria fotografica, non è così? Ricordi con molta sicurezza quasi tutto ciò che vedi- River si rivolse a Sophie, che sobbalzò vistosamente sentendosi chiamata in casa.

-Sì! Io? Che c’entro? Perché me lo chiedi?!- si mise immediatamente sulla difensiva, preoccupata. Gli era accanto, e temeva potesse fare qualche gesto azzardato.

-Potresti elencare gli spostamenti avvenuti durante lo spettacolo tra il pubblico? So con assoluta certezza che qualcuno è uscito dalla sala durante lo spettacolo, e poteva compiere l’omicidio approfittando della finestra di tempo priva di alibi- spiegò River, pratico e senza perdere la calma glaciale.

Era terrificante vedere un ragazzo così minaccioso di suo, e allo stesso tempo così piccolo, parlare di un omicidio che aveva commesso con la nonchalance di qualcuno che sceglie cosa mangiare a pranzo.

-Oh… OH! Giusto! Non avevo pensato a questa cosa- Sophie si sforzò la mente, cercando di ricordare -Sì, ecco, Pierce è stato il primo ad allontanarsi, verso metà spettacolo- cominciò la cronaca.

Tutti lanciarono un’occhiata piena di sospetto verso Pierce, che sollevò le mani, sulla difensiva.

-Ehi, ehi! Sono solo andato a prendere da bere in cucina!- si difese.

-Da bere in cucina? Ma c’era Adam che andava dalla cucina alla sala da ballo per portarci del cibo. A che serviva andare in cucina?- chiese Chap, sospettosa.

-Sì, ma non erano le cose che piacevano a me, quindi sono andato a prenderle da solo. Sono stato via pochissimo!- si giustificò Pierce, con sicurezza.

-È vero, è tornato quasi subito- Sophie testimoniò in suo favore -Poi… poi Midge si è allontanata, per un bel po’ di tempo devo dire, poco dopo il ritorno di Pierce- continuò a fare l’elenco degli alibi traballanti.

Stavolta tutti si girarono verso Midge, che iniziò a tremare per il nervosismo.

-Ah! Io! Sì! Sono andata in bagno! Non riuscivo più a trattenerla, e ho fatto il prima possibile!- si spiegò, rossa come un pomodoro.

-E infine River… sì, River si è allontanato per parecchio tempo prima di tornare… verso la fine dello spettacolo. Non saprei dire l’orario preciso, ma potrebbe essere durante l’orario della morte di Kismet- Sophie si portò una mano alla bocca, sconvolta.

-Aspetta! Quindi le persone che avevano un alibi inattaccabile… non avevano un alibi così inattaccabile?!- Leland era molto in difficoltà. Buona parte del suo attacco si era basata sugli alibi. Ma oltre a River, anche Pierce e Midge avevano ormai un alibi traballante. Quindi gli alibi non erano più sinonimo di sicurezza, soprattutto considerando che non si sapeva nulla sui tempi di tortura.

-Beh, non sono importanti più gli alibi, giusto? Sono stato io, dopotutto. L’ho confessato. Vogliamo votare?- River era esageratamente tranquillo per una persona che stava per essere accusata di omicidio e condannata ad una terribile esecuzione.

-Non così in fretta- obiettò Nowell, trovando tutta quella tranquillità fin troppo sospetta.

-Volete che vi dica per filo e per segno come si è svolto l’omicidio? Va bene, farò un breve resoconto- River sbuffò, come se la faccenda fosse solo un enorme seccatura, e iniziò il suo racconto: 

-Mi sono assentato dallo spettacolo con l’intento di andare nell’infermeria e stordire sia Kismet che Godwin. Volevo utilizzare l’alibi dato dallo spettacolo per sembrare il meno sospetto possibile, e ho puntato Kismet e Godwin perché erano sempre insieme, e sapevo che se uno dei due fosse morto, l’altro sarebbe immediatamente risultato sospetto.

Ho deciso di uccidere Kismet perché ero consapevole che nel passato avesse fatto qualcosa di male a Godwin, così potevo usare il movente del ragazzo per renderlo ancora più colpevole ai vostri occhi. Ho drogato Kismet con un anestetico, e ho stordito Godwin con un altro anestetico diverso, in modo che se Pierce avesse fatto un’analisi del sangue, non lo avrebbe trovato…- cominciò il racconto.

-Cosa?! Non è possibile! Ho sperimentato con tutti gli anestetici presenti nell’infermeria, e non c’erano risultati!- obiettò Pierce, punto sul vivo dall’accusa.

-…e ho poi distrutto tutti gli altri facendo finta di volerli celare ma in realtà cercando di confondere le acque. Tu hai cercato di far risalire uno degli anestetici presenti nella pila con le analisi del sangue di Godwin, ma in realtà ho usato una sostanza diversa e naturale, difficile da trovare se non la si cerca, per far credere che Godwin avesse mentito- spiegò River, con un sorrisino soddisfatto.

Il suo labbro tremava leggermente però.

Sembrava… che stesse mentendo.

Ma non era possibile, giusto?

Pierce sembrava voler ribattere, ma chiuse in fretta la bocca, riflettendo.

-Potrebbe essere… possibile. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma è possibile- ammise infine, poco convinto ma ammettendo le sue colpe.

-Praticamente metà delle prove contro Godwin erano a causa di persone incompetenti?!- Leland era estremamente infastidito dalla piega che stavano prendendo gli eventi.

-Guardate che sono un dentista, la chimica è solo un hobby- obiettò Pierce, facendo il muso.

Misaki era confusa.

Perché nel momento in cui Pierce aveva dato per buona la versione di River, il sorrisino soddisfatto di quest’ultimo si era tramutato per un secondo in un sorriso sollevato.

Come se fosse riuscito in un bluff a poker.

Non era bravissimo a nascondere i suoi segnali.

C’era qualcosa che non andava in quel caso, qualcosa di importante. Misaki tornò a guardare le polaroid, sia quella di Godwin, che quella di Kismet recuperata sul corpo.

C’era un dettaglio davvero importante che doveva trovare il prima possibile.

-Ho lasciato Godwin lì e ho portato Kismet nel magazzino. L’ho legata alla sedia mentre era ancora addormentata, e ho iniziato a colpirla, svegliandola, e cercando di ferirla il più possibile per rendere più credibile l’ipotesi di un crimine vendicativo- la sua voce era leggermente tremante mentre raccontava quella parte, ma per il resto rimase fredda come un blocco di ghiaccio.

-Lei urlava, ma la stanza era insonorizzata. Dopo averla appiedata le ho coperto la bocca con del nastro isolante, per farla stare zitta, e l’ho portata nella sala dei bimbi, per ucciderla definitivamente senza macchiarmi di sangue. Ho spostato la sedia per raggiungere la sbarra di ferro e ho fatto passare la corda per poi colpirla a distanza con il peso- continuò il resoconto, senza la minima esitazione.

-Quindi il segno sula bocca era nastro isolante, l’avevamo sospettato- gli diede ragione Nowell, ancora poco convinto ma iniziando a credere alla storia di River.

-Poi l’ho lasciata lì e sono tornato allo spettacolo prima della fine- concluse River, alzando le spalle -Ho fatto tutto in modo da dare la colpa a Godwin

-E quindi perché hai confessato?- chiese Naomi, senza capire.

-Suppongo mi sia sopravvenuto un forte senso di colpa per ciò che avevo fatto- River sospirò.

-Non ha senso! Avevi realizzato il crimine perfetto e confessi alla fine?- Leland non riusciva a capacitarsi di un comportamento simile, e non aveva tutti i torti.

-Non sei forse stato tu ad affermare che la psicologia di un killer non ha sempre senso e che non è necessario approfondirla per risolvere il caso? Vi ho dato il come, perché indagare sul perché?- River era punto sul vivo dall’insistenza mostrata dal critico, che strinse i denti, irritato che le sue parole venissero usate contro di lui.

-Wow, sei un completo psicopatico!- esclamò Sophie, ritirandosi da lui e finendo quasi per occupare il posto ormai vuoto di Kismet.

-Ne prendo atto. Allora, andiamo alla votazione?- li incitò River, facendo un cenno a Monokuma, che sembrava parecchio divertito.

Strano, non doveva essere annoiato dal fatto che il killer avesse confessato di sua spontanea volontà?

-Volete votare?- chiese rivolto a tutti gli altri, in tono gongolante.

-No, ho ancora un dubbio- Misaki lo fermò, e guardò River dritto negli occhi -La polaroid?- indagò.

River sembrò per un attimo in difficoltà.

-L’ho rubata a Godwin e l’ho posizionata sulla scena del crimine per usarla per il suo movente. Lo volevo incastrare, come ho già detto- spiegò, distogliendo lo sguardo da quello inquisitore di Misaki, che lanciò un’occhiata a Godwin, che per tutto il tempo aveva fissato River con occhi pieni di lacrime, sconsolati e delusi, ma improvvisamente sobbalzò.

-No! Stai mentendo! Perché quella polaroid non era mia!- esclamò, con sicurezza.

River lo guardò con tristezza.

-Non c’è più bisogno di mentire per salvarti, Godwin, ormai ho confessato, e sanno tutti che non sei stato tu, anche se avevi i motivi di farlo- accennò un sorriso rassicurante.

-Quindi sei certo che la polaroid fosse di Godwin?- Misaki chiese conferma, tenendo in mano entrambe le polaroid ritrovate sul luogo del crimine.

River la guardò confuso.

-Certo! Come puoi notare i due soggetti nella foto sono Godwin e Kismet, e dato che non può essere di Kismet, è senz’altro di Godwin! L’ho rubata e l’ho messa sulla scena del crimine sperando che la trovaste. Ora possiamo votare?!- River iniziava a perdere la calma.

Godwin sembrava in procinto di obiettare, ma Misaki fu più veloce.

-Non è esatto!- lo contraddisse, mostrando con più insistenza la polaroid.

-Cosa non è esatto?! Ero lì! Sono stato io! È così difficile da accettare che per una volta le cose sono semplici?!- River sbottò, ormai perdendo del tutto le staffe.

-Le cose sono tutt’altro che semplici, soprattutto perché qualcuno qui mente sulla propria colpevolezza- Misaki era sicura di sé. Se River avesse confermato quello che Misaki aveva appena capito osservando non solo le due polaroid trovate, ma anche le due in suo possesso, la sua storia sarebbe risultata credibile, ma in questo modo, aveva appena dimostrato di aver mentito sulla propria colpevolezza, o che quantomeno c’era una terza persona coinvolta in quell’omicidio.

-Di che stai parlando?!- chiese River, in difficoltà.

-Questo ricordo non è di Godwin!- affermò Misaki, mostrando la foto a tutti.

-Perché ne sei così convinta?- chiese Winona, prendendo appunti.

-Guardate la polaroid di Kismet. E pensate a quella che avete ricevuto. Vedrete che c’è un dettaglio che accomuna tutte, ma che non compare su questa foto- li incoraggiò a pensare.

Vide alcune persone sporgersi verso di lei, altre presero le proprie polaroid, che tenevano in tasca o nascose da qualche parte.

Nowell sorrise, osservando le due che Misaki teneva in mano.

-Molto sveglia, amicona. È dall’inizio del processo che cercavo di capire cosa non mi convincesse in quella foto- sorrise, facendole un occhiolino.

Misaki si sentì estremamente orgogliosa.

Leland fece passare lo sguardo tra i due, infastidito.

-Non capisco, quale differenza?- chiese alla fine, esternando la confusione di quasi tutti.

-Le nostre polaroid sono tutte in soggettiva. È la scena che ricordiamo di aver visto, dai nostri occhi. Mentre questa…- Misaki indicò l’immagine di Godwin colpito dal cavallo di Kismet -…questa immagine riprende chiaramente i due soggetti, quindi non può essere la polaroid di Godwin, né di Kismet- spiegò Misaki, rigirandosi la prova tra le mani.

-Quindi è un falso?- chiese Alan, pensieroso.

-No, è una soggettiva, del vero assassino! Che ha assistito all’incidente, e ha deciso di approfittarne mettendo la prova nella stanza, e incastrare Godwin. E questo assassino sarebbe potuto essere River, se non avesse appena confermato di non sapere a chi appartiene questa polaroid- Misaki indicò il presunto colpevole, che osservava la propria polaroid, ritirata fuori dalla tasca, con sguardo perso e confuso.

-No… non capisco, non ha senso…- borbottava tra sé, confuso.

Sophie approfittò della sua distrazione per fargli un agguato alle spalle e prendergli la polaroid tra le mani.

-Ehi, ridammela!- provò ad obiettare il ragazzo, ma Sophie fu più veloce e la lanciò verso Misaki, che la prese al volo.

La ragazza capì da dove venisse la confusione di River, e perché fosse tanto convinto che la polaroid fosse di Godwin. Infatti la propria lo vedeva sì in soggettiva, ma era anche riflesso allo specchio, e quindi presente nella scena, nel bagno di quello che sembrava un ospedale, e in lacrime. Dietro la scritta leggeva “L’avevi predetto ma non sei arrivato in tempo. È tutta colpa tua!”.

-Ridammela!- River l’aveva raggiunta, e le strappò la foto dalle mani.

stringendosela poi al petto.

-Quindi non è stato River?- chiese Midge ad Alan, sottovoce.

-Parrebbe di no- rispose lui, poco convinto.

-Chi mentirebbe su un omicidio che non ha commesso?!- Brett era davvero confuso.

-Per me continua ad essere un assassino psicopatico, solo per i suoi atteggiamenti strani- esclamò Chap, lanciandogli un’occhiataccia.

Misaki non la vedeva allo stesso modo. River in quel momento sembrava tutto meno che un assassino psicopatico. Solo un fragile ragazzo che cercava di proteggere un amico.

Un ragazzo che senza esitazioni sarebbe andato incontro alla morte, per difendere quello che sicuramente aveva creduto fosse il vero assassino.

-Leland si sbagliava- sussurrò un po’ tra sé, ma facendosi sentire dal compagno alla sua sinistra.

-Io? Che ho fatto adesso?!- si indignò lui.

-In questo caso non è importante scoprire i come. In questo caso è fondamentale capire i perché. Questo non è un omicidio normale, come con Ogden e Janine, dove dovevamo solo capire come si erano svolti i fatti. Dove il movente era uscire, e tra di noi ci conoscevamo poco e niente. No, qui i moventi sono più personali, subdoli. E ognuno di noi ha qualche segreto che ci lega a doppio filo a qualcun altro, nel bene e nel male. Per questo Monokuma ha aggiunto una regola- Misaki finalmente capì qualcosa di fondamentale che sarebbe servito alla risoluzione del caso.

-Non distruggere le polaroid?- chiese Brett, che non aveva seguito il filo del discorso.

-Abbiamo la possibilità di salvare qualcuno al nostro posto, se uccidiamo qualcuno. La nostra libertà e la nostra vita verrebbe sacrificata per qualcun altro. Abbiamo visto questo caso come se Godwin fosse colpevole, e poi come se Godwin fosse usato come capro espiatorio. Ma forse Godwin in questo caso… è colui che verrebbe salvato. Sarebbe l’unico ad uscire, pur senza aver commesso alcun crimine. Ironico, vero? Fare in modo di accusare colui che alla fine verrebbe comunque salvato- Misaki illustrò la sua teoria, tutti rimasero senza parole.

-Perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere?- chiese Naomi, che sicuramente non aveva idea di cosa fosse lo spirito di sacrificio.

-Sono pronta a passare il resto del processo a scoprirlo, ma ne sono piuttosto certa- Misaki aveva recuperato padronanza della situazione. La psicologia era il suo forte, ben più rispetto a prove nude e crude.

E l’espressione sconvolta di River, con l’occhio che andava da una parte all’altra cercando di riflettere velocemente, non faceva che confermare la sua teoria.

-No! Aspetta un momento! Perché mai qualcuno dovrebbe uccidere una persone per me?! Io non voglio uscire! Io ho espressamente detto… io… perché una persona, in generale, anche se tiene a me, dovrebbe uccidere qualcuno solo per farmi uscire, e per vendicarmi. Non mi sono fatto nulla di grave! E nessuno qui avrebbe motivi di salvarmi- obiettò Godwin, così tremante che sembrava stesse per crollare a terra da un momento all’altro.

-Interessante che proprio ora che c’è la possibilità che si salvi senza muovere un dito non voglia indagare su questa pista- commentò Pierce, lanciandogli un’occhiata per niente impressionata.

-Non è questo il motivo per cui sto obiettando! Solo… chi potrebbe mai voler sacrificare la sua vita per me?! Non ha senso!- Godwin si abbracciò nervoso e preoccupato.

-Beh, di sostenitori ne hai almeno uno… Bill Cipher, lì, è chiaramente disposto a morire per te- Sophie indicò il ragazzo accanto a lei, che non era più visto come un possibile assassino, ma era ancora adocchiato con sospetto.

Il ragazzo si ritirò su sé stesso.

-Anche Misaki e Chap non volevano credere alla tua colpevolezza… beh, non che sospetti di loro! Hanno un ottimo alibi! Stavo solo dicendo che Godwin è molto apprezzato qui nell’hotel!- osservò Midge, andando nel panico subito dopo.

-River… perché hai mentito?- chiese Misaki, rivolgendosi al ragazzo senza traccia di giudizio, ma con semplice e innocente curiosità.

River guardò Godwin, poi la propria polaroid, ed infine Misaki, incerto, preoccupato, e senza sapere minimamente come rispondere.

-Misaki…- dopo qualche secondo di profonda riflessione, si rivolse alla ragazza in tono confidenziale -La polaroid scagiona Godwin, vero?- chiese in un sussurro, speranzoso.

Misaki annuì con un sorriso -Sì, sono certa che Godwin sia solo stato incastrato e la polaroid appartiene al vero assassino- annunciò con sicurezza. Non era ancora certo al 100%, ma doveva far credere a River che lo fosse in modo che rivelasse ciò che fino a quel momento aveva tenuto nascosto.

-Sospettavo fosse stato Godwin, per questo ho mentito- ammise infine, abbassando la testa.

Godwin era molto ferito dall’accusa di uno dei migliori amici che aveva lì dentro.

-Perché pensavi fossi stato io?! Sapevi che non avrei mai fatto nulla del genere!- obiettò, con labbro tremante.

-Non volevo crederci infatti, ma…- River iniziò a giustificarsi, in tono di scuse, ma venne interrotto da Naomi, che scosse la testa.

-Probabilmente perché è la scelta più ovvia! Le prove sono ancora tutte contro di lui, polaroid o non polaroid. Poteva comunque sapere che Kismet lo aveva colpito. E poi l’immagine potrebbe essere stata contraffatta!- incrociò le braccia, continuando a sostenere la sua tesi.

-Perché avrebbe dovuto contraffare una polaroid che gli dava un movente e lo avrebbe reso il soggetto più sospetto? Mi sembra alquanto improbabile, Soprano- Nowell scosse la testa.

-Dico solo che…- Naomi provò ad obiettare nuovamente, ma questa volta fu River ad interrompere lei.

-No! Godwin non è l’assassino! Godwin sarebbe solo uscito!- affermò con estrema sicurezza.

-Cosa?- indagò Winona, confusa.

-Se l’assassino non viene scoperto Godwin uscirà… per questo pensavo fosse stato lui. Non avevo proprio pensato alla regola di Monokuma- River si prese il volto tra le mani, deluso da sé stesso.

-Come mai ne sei così certo?- indagò Misaki, confusa dalla sua sicurezza.

River sospirò.

-Se ve lo dicessi non mi credereste- scosse la testa, nervoso.

-Perché non ci metti alla prova? Stiamo dando una nuova occhiata alla psicologia piuttosto che alle prove, tutte le cose strane e incredibili sono bene accette per il momento- lo incoraggiò Misaki.

River esitò un secondo, ma alla fine cedette.

-Il mio talento… io… sono l’Ultimate Medium- rivelò infine.

Ci fu qualche istante di silenzio.

Misaki era estremamente affascinata dal suo talento. Chissà come funzionava un’abilità così sfuggente.

Winona non la vedeva allo stesso modo, perché scoppiò a ridere.

-Wow! Incredibile! Perché non chiami Kismet e le chiedi chi l’ha uccisa? Sarebbe utilissimo- lo prese in giro, scuotendo la testa.

River alzò gli occhi al cielo.

-Non funziona così, altrimenti non avrei mai pensato che fosse stato Godwin- spiegò, offeso.

-Con un talento del genere nella scuola risolvere gli omicidi sarebbe troppo facile- Pierce sembrò parecchio deluso, più che scettico.

-Non parlo facilmente con i fantasmi, dipende da loro e da me. Di solito mi vengono dei segnali dall’universo che mi avvertono di cose che stanno succedendo o stanno per succedere. Mi era arrivato il messaggio che Godwin sarebbe sopravvissuto se l’assassino non fosse stato trovato, ma non ho idea di chi sia l’assassino, ma solo delle conseguenze di un futuro in cui non viene scoperto. Non è una scienza esatta! E non volevo rivelarlo perché temevo che poi sarei stato un bersaglio per un futuro omicidio- River condivise i dettagli del proprio talento.

-Aspetta, quando esattamente ti è arrivato questo messaggio?- chiese Chap, curiosa e confusa.

River esitò.

-River…- a Misaki venne un dubbio -…se non sei stato tu ad uccidere Kismet, dov’eri durante la tua assenza dallo spettacolo?- chiese, ricordando l’alibi traballante che lui stesso aveva aiutato a mostrare.

-Io… sentivo una brutta energia provenire dal terzo piano- ammise il ragazzo, dopo un po’ di esitazione -La prima regola di un medium è non interferire con ciò che si sente, ma sapevo che Godwin era lì, e non riuscivo a capire se fosse in pericolo, così ho deciso di andare a controllare che stesse bene, ma quando ho raggiunto l’infermeria…-esitò, un po ‘a disagio -…non l’ho visto- ammise infine.

-Aspetta un momento! Quindi Godwin era davvero assente quando doveva essere svenuto- osservò Winona, controllando i suoi appunti.

Misaki ripensò a quando aveva trovato Godwin svenuto in infermeria.

-Senza entrare, e senza controllare bene, risultava quasi del tutto nascosto dalla tenda che divideva i letti. È normale che River non l’abbia visto. Io stessa ci ho messo parecchio a notarlo- obiettò Misaki.

-Io ho visto distrattamente, e mi era sembrato non ci fosse. Mi sono preoccupato e ho controllato la sala bimbi, e lì… l’ho vista- River si morse il labbro inferiore, come se ricordare quel momento gli provocasse grande dolore, o un forte senso di colpa.

-Kismet già morta?- indagò Misaki per essere certa.

River non rispose.

A Misaki le colse un terribile dubbio.

-Era già morta, giusto?- ripeté, certa di ottenere una risposta positiva.

Tutti fissavano River aspettando la sua risposta, che tardò un po’ ad arrivare, ma alla fine venne rivelata.

-Era viva- ammise, con sguardo basso e occhi carichi di lacrime.

Misaki si portò una mano alla bocca, sconvolta.

-Cosa?!- esclamò Chap, sconvolta.

Godwin sembrava nauseato.

-Kismet era ancora viva?! E tu non hai fatto niente?!- Winona gli puntò il dito contro, accusatrice, furiosa per l’ammissione di River.

Misaki non sapeva più cosa pensare. Questa confessione ribaltava completamente molti fatti del caso. Se Kismet era ancora viva quando River l’aveva trovata, significava che il killer aveva agito a più riprese, e a meno che non fosse un omicidio effettuato da più persone, nessuno oltre a Godwin aveva un alibi che permetteva un’azione a più riprese. Naomi e Brett erano stati insieme durante l’omicidio, mentre gli assenti allo spettacolo si erano allontanati solo una volta, e River era stato l’ultimo, quindi se lui l’aveva trovata viva…

-Sono andato nel panico! Era a terra, immobile, al centro della sala. Pensavo fosse morta, all’inizio, ma poi ho notato che respirava, anche se a fatica. Mi sono avvicinato pensando di aiutarla. Volevo aiutarla, stavo per chiamare aiuto, ma quando l’ho toccata, e lei si è svegliata, e ha provato a chiedere aiuto… mi sono reso conto di quello che era successo, della tortura, e di quanto fosse ormai debole. Probabilmente sarebbe morta comunque. E poi ho visto… ho visto la polaroid a terra, posizionata proprio sotto il suo corpo, pronta ad essere trovata e ho pensato…-

-Che fosse stato Godwin- concluse Misaki per lui, sconvolta da quel racconto, ma iniziando a capire i motivi che potevano aver spinto River ad agire come aveva agito.

Solo che… c’erano tante cose che non riusciva ancora a capire.

-Un momento, ma abbiamo trovato la foto nella scatola dei giochi. Come è finita lì?- chiese Leland, confuso.

-L’ho messa io. Avrei dovuto prenderla e basta, ma ero di fretta, ero nel panico, pensavo che Godwin sarebbe potuto tornare da un momento all’altro per finire il lavoro, così l’ho solo nascosta nel primo luogo che ho trovato, sperando che nessuno la trovasse, e sono scappato via, verso la sala da ballo, per finire di assistere allo spettacolo. Fingendo di non aver visto nulla- 

-Se ci avessi informato avremmo potuto salvare Kismet, e Godwin non sarebbe stato a rischio, non ci hai pensato?!- gli fece notare Winona, ancora sul piede di guerra.

-Sì che ci ho pensato! Ma ho deciso di non farlo perché non volevo che Godwin fosse bollato come possibile assassino e allontanato, o ucciso in futuro, o che Kismet morisse per le ferite e Godwin fosse accusato senza che io potessi salvarlo! Io dovevo salvarlo! Glielo devo- River non sembrava sentirsi particolarmente colpevole per il suo non agire. La lealtà che provava per Godwin era molto più forte di quanto Misaki avrebbe pensato.

Beh, avrebbe dovuto immaginarlo. Era disposto a morire e uccidere per lui, era chiaro che non volesse rischiare che avvenisse il peggio.

-River, ma che stai dicendo?! Tu non mi devi niente! Perché pensavi di dovermi qualcosa! Io non capisco…- obiettò Godwin, sempre più confuso.

-È colpa mia se sei così. Avrei potuto impedirlo! Avevo sentito che quell’incidente sarebbe avvenuto, ma non sono arrivato in tempo per impedirlo- River aveva le lacrime agli occhi, e strinse la propria polaroid al petto.

Finalmente, alla luce di ciò che si era scoperto in quel processo, Misaki capì perché River si sentisse così in colpa nei suoi confronti. 

E come facesse, River, ad essere sempre perfettamente consapevole di quando Godwin avrebbe avuto qualche crollo.

Per qualche strano motivo i suoi poteri paranormali sembravano reagire molto prontamente quando si trattava di Godwin. Forse perché era affezionato a lui, forse per motivazioni sovrannaturali.

-Parli dell’incidente di Kismet?- indagò Midge.

-Non sapevo che fosse stata Kismet, sapevo solo che c’era stato un grave incidente, che i miei poteri avrebbero potuto impedire- 

-Su, su, non è una scienza esatta- Sophie gli diede qualche pacca sulla spalla, a distanza perché ancora non si fidava molto di lui.

-River, non mi devi nulla, non dovevi scendere a tanto per me. Gli incidenti capitano, e ormai…- Godwin iniziò a piangere, cercando di trattenersi ma non riuscendosi per quanto si sforzasse -…ormai l’ho accettato. Non ho paura- qualcosa, in quella frase, fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale di Misaki.

-Aspetta, aspetta, aspetta, mi sono persa. Accettato cosa?- chiese Chap, facendo passare lo sguardo tra i due come in una partita di ping pong che però non sembrava riuscire a seguire del tutto.

-La mia polaroid- rispose Godwin, in un sussurro, tentando di asciugarsi le lacrime -Io… ho pochi mesi di vita- rivelò, lasciando tutti nella sala sconcertati.

Non era la prima rivelazione sconvolgente della serata, ma era di certo quella che più sorprese gli studenti, tranne forse Pierce che annuì tra sé come se avesse appena capito tutto.

-Ma l’ho accettato, e non voglio vendetta, né voglio uscire. Voglio solo vivere in pace il tempo che mi resta- si affrettò a continuare Godwin, consapevole che la sua rivelazione gli aveva appena dato un movente ancora peggiore del semplice incidente.

Perché un conto era volere vendetta per qualche operazione, un conto era volerla per un incidente che l’aveva portato alla soglia della morte.

Ma non era stato Godwin, di questo Misaki era ormai convinta.

-Godwin, ci potresti rivelare il contenuto esatto della tua polaroid?- chiese Nowell, cercando di essere il più delicato possibile.

Godwin sospirò.

-Ero dal medico per discutere della mia salute generale dopo aver fatto delle analisi. C’erano anche delle radiografie. La mia spina dorsale era completamente fratturata, e le operazioni fatte per risolvere il problema non avevano fatto che peggiorare la mia salute- spiegò, torturandosi le mani.

-Aspetta, ma se hai la spina dorsale fratturata, come mai cammini?- chiese Brett, grattandosi la base del collo.

Sophie gli lanciò contro una pallina di carta.

-Non puoi chiedere ad una persona perché cammina!- lo rimproverò, con un’occhiataccia.

-Però ha senso, dai. Magari siccome cammini significa che ti sei curato e ora stai meglio- provò a supporre Chap, ottimista.

Godwin scosse la testa.

-Le operazioni fatte per tentare di risolvere il problema mi hanno permesso di camminare con un supporto elettronico. Non so bene come spiegarlo, ma riesco a camminare nonostante non mi senta fisicamente le gambe. Per questo rischio spesso di cadere, e la mia salute è così traballante- spiegò, a testa bassa -Avrò qualche settimana, forse qualche mese, e sicuramente morirò qui, ma mi va bene. Non voglio uscire, non voglio salvarmi. Soprattutto non al posto di qualcuno che può sperare e merita di vivere molto più di me e più a lungo. Preferisco morire piuttosto che essere l’unico sopravvissuto- 

-Non dire così, Godwin! Fuori di qui potrebbe esserci speranza! E tu meriti di vivere!- obiettò River, con le labbra tremanti e le lacrime che minacciavano di uscire a sua volta.

Non era l’unico commosso dalla storia di Godwin, e dal suo coraggio e spirito di sacrificio.

Misaki si asciugò discretamente una lacrima a sua volta.

Ma l’atmosfera non era destinata a durare.

-Sì, va bene, tutto molto bello, romantico e simpatico. Ma qui dobbiamo capire chi ha ucciso Kismet! E se non è stato né Godwin né River, allora chi diavolo è stato?!- obiettò Naomi, sbuffando irritata.

In effetti era ancora impossibile stabilire chi fosse il vero assassino.

-Beh, abbiamo due persone con un alibi incerto- osservò Leland, pensieroso.

-Io sono solo andata in bagno! Non ho niente a che fare con l’omicidio!- si affrettò ad obiettare Midge, con le lacrime agli occhi.

Pierce sospirò.

-Immagino che non avendo notato la droga nel sangue di Godwin sono decisamente sospetto, vero? Beh, non vale molto come difesa, ma io non avrei mai commesso un omicidio per salvare Godwin o chicchessia. Se un giorno ucciderò qualcuno lo farò per uscire e basta- affermò, senza la minima sensibilità -E poi sono stato via davvero solo due minuti, e prima dell’omicidio- aggiunse poi, dandosi un alibi che reggeva di più.

-Mmmmm, tu sei sempre sospetto qualsiasi cosa fai. Alan, l’hai visto in cucina?- chiese Sophie, sospettosa.

-Beh, io…- Alan cominciò a rispondere, ma Pierce lo interruppe subito.

-No, non ci siamo incontrati in cucina, ma non per questo sono sospetto, dai- 

-Infatti River è stato l’ultimo a vedere Kismet viva e dopo il suo ritorno nella sala da ballo tutti avevano un forte alibi- gli diede man forte Misaki, pensando a cosa potevano aver tralasciato.

-Tutti tranne Godwin- ricordò Naomi.

-Siamo punto e a capo! Non risolveremo mai questo mistero!- Chap sbuffò, iniziando a perdere le speranze.

-Siete uno spasso da guardare- ridacchiò Monokuma, osservando la loro disperazione come se gli nutrisse l’anima. Anima che non aveva ma dettagli.

-Sapete, stavo pensando ad una cosa. Non so se è importante, ma…- Midge prese la parola, un po’ incerta.

-Cosa?- Nowell la incoraggiò a parlare.

-Beh, stavo pensando che Godwin e River erano gli unici a sapere le conseguenze dell’incidente, quindi l’assassino probabilmente non sapeva che l’incidente avesse fatto dei danni gravi alla schiena. Quindi come mai ha comunque insistito tanto nell’appiedare Kismet, se non sapeva che anche Godwin non sentiva più le gambe?- rifletté.

Misaki non ci aveva proprio pensato, ma aveva senso.

-Giusto! Presi singolarmente, i due indizi dati a Godwin e all’assassino non portano necessariamente al crimine consumato. Il killer sapeva dell’incidente, ma non aveva modo di conoscere le condizioni di Godwin, a meno che…- Misaki si rivolse al ragazzo, che aveva sgranato gli occhi e aveva cominciato a scuotere appena alla testa, probabilmente intuendo dove Misaki sarebbe andata a parare, ma non volendo crederci.

-Godwin… tu hai rivelato a qualcuno del tuo ricordo?- chiese, cercando di non perdersi neanche il più piccolo movimento nei gesti e nell’espressione del ragazzo.

Lo vide lanciare una brevissima e quasi impercettibile occhiata verso la zona dove stavano Midge, Alan e Brett.

-Io… non lo so. Non ricordo. Può essere, ma ero così sconvolto! Ho cercato di tenerlo per me!- Godwin esitò, senza sapere cosa dire, e sudando freddo.

-Godwin… a chi l’hai detto?- insistette Nowell, fissandolo con attenzione.

Di nuovo il ragazzo lanciò una breve occhiata verso i tre, e Misaki si girò a guardarli, chiedendosi chi potesse essere l’artefice di quell’efferato delitto.

Fu come se fosse colpita da un fulmine.

-Un momento…- Pierce interruppe l’interrogatorio, colto a sua volta da un dubbio -…perché Alan non era in cucina, quando ci sono andato io?- osservò, ripensando a quando avevano confermato il suo alibi.

-Alan?- Naomi si girò verso di lui, aggrottando le sopracciglia.

-Probabilmente ero nella zona frigo, a prendere altro ghiaccio per le bibite- spiegò lui, senza perdere la sicurezza e la calma.

-No, io sono andato in zona frigo, e sono passato per la sala da pranzo, quindi tu non c’eri proprio, o ci saremmo incontrati per forza- insistette Pierce, adocchiandolo con sospetto.

-Forse era venuto a portare del cibo a me e Kismet!- provò a supporre Godwin, in tono acuto.

-No, perché Pierce è andato in cucina a metà spettacolo, e tu hai detto che Alan è venuto da voi all’inizio dello spettacolo- Winona lo contraddisse, ricontrollando i suoi appunti. 

-Allora forse in quel momento ero nella sala. Non capisco perché stiate di nuovo puntando il dito contro di me- Alan sembrava leggermente irritato, ma non si scompose.

-Ah! Il colpevole è il maggiordomo! Parte seconda!- esclamò Sophie, entusiasta.

-Può smetterla con questo stereotipo? Dovrebbe sapere meglio di me che non si rivela mai vero, signorina Wilkinson- era ammirevole come nonostante l’irritazione, riuscisse ad essere così formale -Non potete davvero credere che sia stato io ad uccidere Kismet. Ero impegnato nel lavoro, non avrei avuto il tempo di fare alcunché. Ero sempre presente a poca distanza da un ordine all’altro- si giustificò.

Signorina Wilkinson… Kismet.

A poca distanza da un ordine all’altro…

-Facevi avanti e indietro dalla cucina… River!- Misaki si rivolse al medium, che si mise sull’attenti.

-Cosa?- 

-Hai detto che quando sei andato a controllare Kismet era ancora viva- 

-E avrebbe potuto salvarla- ricordò Winona, guardandolo storto.

-Sì, non c’era né il peso né la corda, non avevo idea di come Go… l’assassino l’avrebbe uccisa. In realtà non avevo idea di dove e come l’avesse torturata. La mia finta confessione è derivata dall’aver ascoltato le vostre teorie. Non ho la più pallida idea neanche di come ha fatto l’assassino a drogare Godwin- spiegò River.

-Ah, lo sapevo che la storia dell’anestetico in più era una stupidata- esclamò Pierce, soddisfatto che le sue analisi non si fossero necessariamente rivelate sbagliate. 

-Il punto è che l’omicidio è stato compiuto in step! Questo spiegherebbe perché usare una stanza insonorizzata e perché coprire la bocca di Kismet una volta lasciata nella stanza dei bimbi. Nessuno dei presenti avrebbe avuto abbastanza tempo per rapire, torturare e poi uccidere Kismet, neanche Alan, a meno che non abbia agito in step- spiegò Misaki, convinta della propria teoria, e allo stesso tempo combattuta sul dover accusare il maggiordomo.

Non si sarebbe mai aspettata da lui tale violenza.

-Eccellente teoria, ma non avevo alcun motivo di fare tutto questo teatrino solo per il signor Dixon. Non siamo neanche così uniti, perché mai avrei dovuto uccidere e torturare una persona per vendicarlo?- Alan scosse la testa, ancora calmo, ma iniziando a sudare leggermente.

Misaki spostò lo sguardo verso Godwin, che aveva le mani alla bocca e si era ritirato su sé stesso, incapace di proferire parola, e in estrema e totale difficoltà. Era chiaro che l’accusa verso il maggiordomo l’aveva sconvolto profondamente.

-Non sapete più su chi puntare il dito e quindi lo puntate verso di me, ma spero che vi ricordiate che anche l’altra volta avevate fatto altrettanto ed eravate in errore. Se volete la mia onesta opinione, il vero colpevole voleva semplicemente accusare il signor Dixon, e il super potere del signor River era completamente sbagliato. O forse è lui l’assassino. Ha ucciso Kismet e vi ha confuso tutti. Mi sembrate davvero tutti molto confusi- Alan cominciò a straparlare, e fece un errore non da poco.

O forse più che altro una leggerezza.

-Kismet…- commentò Misaki, unendo tra sé i tre indizi lasciati dal maggiordomo.

-Come?- 

-Signor Dixon, Signor River… Kismet. Da quando sei qui chiami sempre tutti i maniera formale, ma non Kismet, e neanche River, in parte. È dall’inizio che tratti Kismet in maniera diversa, senza il rispetto che al contraro riservi a tutti gli altri. Questo denota un certo disprezzo, non ti pare?- gli fece notare.

-L’astio nei confronti di qualcuno che per primo è sempre stato irrispettoso non mi rende certo un criminale. Considerando che qui nessuno sopportava la signorina… Reed, credo che ci voglia una prova più sostanziosa di una semplice scelta semantica- Alan non demorse, ma i suoi baffi tremavano leggermente.

-Eri l’unico che faceva avanti e indietro nella stanza, l’unico che potesse commettere l’omicidio in step- insistette Misaki, cercando di farlo cedere.

-Hai prove che sia salito al terzo piano? Hai prove che la polaroid sia mia? Puoi chiedere a tutti qui di mostrare le proprie polaroid, ma dubito fortemente che accetterebbero di rivelare il proprio segreto. Perché come diceva la signorina Rossini poco fa, qui nessuno di può fidare di nessuno. Quindi quella prova potrebbe essere di chiunque, e l’assassino poteva avere qualsiasi motivazione per commettere l’omicidio- in effetti, tutte le prove mostrate fino a quel momento erano circostanziali, e Godwin continuava ad essere sospetto quasi quanto Alan, di cui non si poteva dimostrare un coinvolgimento.

-Un momento…- Naomi si intromise, pensierosa.

Alan sembrò allarmato.

-Io potrei avere una testimonianza incriminante- continuò la cantante lirica.

-Ora che ci penso, la signorina Rossini e il signor Price sono stati graziati molto facilmente, e hanno un alibi ben meno solido del mio- Alan fece un veloce sforzo per far dichiarare invalida la futura testimonianza di Naomi, che però non si fece intimidire.

-L’ho incontrato, a circa metà spettacolo, in effetti, quindi probabilmente verso l’orario in cui Pierce è andato in cucina. Io ero… ero scesa all’ingresso per…- Naomi esitò, arrossendo appena.

-Tranquilla, Naomi, nessuno qui ti giudicherà per voler leggere qualche rivista porno- la incoraggiò Sophie, generando un’occhiata oltraggiata da parte di Naomi, che si affrettò a difendersi.

-No! Volevo solo guardare lo spettacolo!- spiegò, coprendosi poi la bocca e arrossendo ulteriormente.

-Oh oh oh! Ma senti un po’. Miss puzza sotto al naso voleva assistere al nostro spettacolo?- Chap ridacchiò, estasiata.

Naomi sbuffò: 

-Ho ascoltato solo qualche battuta dal salottino, poi sono risalita, e mentre salivo le scale per il secondo piano ho incontrato Alan che le scendeva. Gli ho chiesto cosa stesse facendo, e mi ha risposto che era andato a portare qualcosa da mangiare a Brett. Non ci ho dato molto peso al momento, ma… Brett, hai incontrato Alan?- chiese Naomi all’idraulico, che scosse violentemente la testa.

-No! Assolutamente no! L’unica persona che ho incontrato sei stata tu, davanti alle scale per scendere- affermò con sicurezza.

-Avendoti incontrato subito dopo Alan ho supposto che la sua storia fosse vera, e non ho indagato oltre, ma avrei dovuto pensarci prima che qualcosa puzzava. Solo che era accaduto prima dell’omicidio, quindi non pensavo fosse sospetto- Naomi si rigirò una ciocca di capelli tra le dita, delusa da sé stessa per non averci pensato prima.

-Non avevo trovato il signor Price, ecco perché non mi ha visto. Probabilmente aveva già finito, o ancor più probabilmente stava uccidendo Kismet… ehr… la signorina Reed- provò a giustificarsi Alan.

-Non avevi piatti in mano, Alan. Quindi era impossibile che stessi portando del cibo a qualcuno- Naomi continuò ad accusarlo.

-Ammettilo, Alan, sei l’unico che potrebbe aver commesso l’omicidio, tutti gli indizi portano a te- Misaki lo accusò un’ultima volta.

Tutti gli sguardi erano puntati verso il maggiordomo, che sudava freddo, ma non sembrava voler cedere.

Poi anche Godwin sollevò finalmente la testa.

I suoi occhi erano rossi e lucidi, le guance fradice di lacrime.

Guardò Alan supplicante. Alan abbassò la testa, incapace di mantenere lo sguardo.

Misaki non aveva più dubbi, ormai. 

-Godwin, hai detto ad Alan della tua polaroid?- chiese al ragazzo, che si morse con forza il labbro inferiore, e annuì.

-Alan, come pensi di difenderti quando anche la persona che vuoi salvare ti sta accusando?- Misaki si rivolse quindi al maggiordomo, che alla fine sospirò, e tornò completamente rilassato.

-Volevo che Godwin vedesse nuovamente le stelle, tutto qui. E che Kismet pagasse per tutto quello che gli aveva fatto- ammise infine la sua colpevolezza, con grande calma, e nel silenzio generale degli studenti che pendevano dalle sue labbra.

-Quindi… è stato…- Midge, accanto ad Alan, si allontanò sconvolta. Sembrava portare sfortuna, perché era il suo secondo vicino di posto che veniva accusato di omicidio.

Il lato positivo era che non aveva altri vicini.

-Siamo sicuri che non stia mentendo anche lui per proteggere Godwin? La faccenda continua ad essere parecchio strana- rifletté Brett, molto confuso.

-In effetti mi farebbe bene un riepilogo- ammise Chap, massaggiandosi le tempie per placare il mal di testa.

-Mi sembra una buona idea… ecco come è andata- Misaki chiuse gli occhi, sussurrò qualche parola in giapponese, e quando li riaprì, aveva in mente un quadro preciso della situazione.

 

Closing Argument 

“Tutto è cominciato la notte in cui Monokuma ha dato le polaroid del secondo motivo. L’assassino ha sognato un terribile incidente avvenuto tra Kismet, a cavallo, e Godwin, colpito alla schiena. Si è svegliato il giorno successivo con la polaroid sul comodino, e il suo affetto per il ragazzo l’ha lasciato incerto su cosa fare e come reagire.

Non so bene quando, se il giorno successivo, o la stessa notte, ma ad un certo punto, dopo aver scoperto i moventi, Godwin è andato dall’assassino, confessando di avere poco da vivere a causa di problemi alla spina dorsale, e a quel punto l’assassino ha fatto due più due, e a ha pensato alla nuova regola di Monokuma, che permette a qualcuno si sacrificare sé stesso e l’intera classe per la salvezza di un altro studente. Ha iniziato ad attuare il suo piano.

Probabilmente il calo di zuccheri di Godwin durante la colazione ha accelerato il suo intento vendicativo, e infatti il pomeriggio stesso, approfittando dello spettacolo che gli avrebbe dato un alibi, l’assassino ha deciso di agire.

Essendo responsabile di fare avanti e indietro dalla cucina alla sala da ballo, egli invece aveva una terza meta dove dirigersi ogni volta che non era presente con tutti gli altri, ovvero il terzo piano.

Per prima cosa si è assicurato che Kismet e Godwin fossero in infermeria, portando loro del cibo e confermando che lo spettacolo fosse iniziato. Poi è tornato travestito, ha drogato Kismet, e stordito Godwin con un anestetico, che ha poi…”

-Non l’ho drogato- interruppe Alan, offeso.

-Uh?- Misaki lo guardò con un sopracciglio inarcato, ma poi annuì -Ovviamente, non avresti mai drogato Godwin con qualcosa che avrebbe deteriorato ulteriormente la sua già precaria salute. Hai usato la tua abilità manuale da maggiordomo per stordirlo toccando il nervo giusto?- chiese Misaki, comprendendo perfettamente il suo ragionamento.

-Woo, come nei film?- chiese Sophie, emozionata.

Il maggiordomo annuì.

“Ha stordito Godwin con un attacco nervino, e l’ha lasciato sul letto, svenuto, portando poi Kismet nel magazzino, e legandola ad una sedia. Probabilmente ha anche rotto gli anestetici per far credere ad un confronto tra lui e la sua vittima, e per confondere le acque circa l’uso degli anestetici. È tornato in cucina, e poi in sala da ballo, per servire da mangiare. Quando è tornato nel magazzino, Kismet si era ormai svegliata, e probabilmente Alan l’aveva legata e messa in una stanza insonorizzata per evitare che tentasse di scappare.

Ha iniziato la sua tortura, che non so quanti step ha comportato, ma che l’ha lasciata piena di fratture, tra cui molte alla spina dorsale e alle gambe, per farle provare il minimo di ciò che ha fatto provare a Godwin. L’ha poi lasciata nella sala dei bimbi, imbavagliata, svenuta, e non più capace di muoversi. Rendendosi conto del tempo che scorreva, è probabilmente sceso nuovamente in sala da ballo, e poco dopo River è salito, avvertendo una tremenda energia, e non ha visto Godwin in infermeria perché era coperto dalle tende. Credendo che gli fosse successo qualcosa, l’ha cercato in quel piano, e quando ha notato Kismet nella sala dei bimbi, ha creduto che fosse stato Godwin ad ucciderla.

Ha poi notato che era ancora viva, ma non ha fatto nulla per salvarla, per evitare di accusare l’amico che si sentiva in colpa di aver condannato. Ha trovato la polaroid sotto il corpo di Kismet, e pensando fosse caduta a Godwin, ha provato a nasconderla nel primo luogo che gli fosse venuto in mente, per poi scappare via dalla sala dei bimbi, di nuovo allo spettacolo. La polaroid era in realtà stata messa appositamente dall’assassino per incastrare Godwin.

Verso la fine, l’assassino è tornato, ha preparato il peso e la corda in modo da poter dare la colpa a Godwin e soprattutto non sporcarsi di sangue. Ed infine ha lasciato tutto lì, ed è tornato in sala da ballo, dove ha assistito agli ultimi minuti dello spettacolo senza più servire da mangiare, e ormai senza più bisogno di fare avanti e indietro.

Alan Smith, l’assassino…”

 

-Aspetta, aspetta!- Sophie interruppe la dichiarazione di Misaki, e sia lei che Alan si voltarono nella sua direzione con la medesima espressione confusa e a tratti quasi offesa.

-Fammi indovinare, vuoi confessare di essere in realtà tu l’assassina? Tanto, visto l’andazzo…- borbottò Leland, con uno sbuffo.

-Ew, no! Volevo solo essere io a fare l’annuncio!- chiese, con occhi da cucciolo, come se non stesse per condannare qualcuno a morte.

-Eh… okay?- Misaki, come appena svegliata da una trance, le diede il permesso.

-Il colpevole è il maggiordomo!- esclamò Sophie, con veemenza, e sollevando l’indice come Phoenix Wright in direzione del maggiordomo, che roteò gli occhi, molto infastidito dalla semplicità con la quale Sophie stava trattando la faccenda.


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-Sì, sono stato io. Ho ucciso io quella piccola, insignificante, deplorevole schifosa bastarda! E non mi pento assolutamente di ciò che ho fatto, perché lo rifarei un milione di volte, soprattutto se servisse a condannare anche voi e proteggere il mio padroncino- ammise Alan, abbandonando completamente la sua facciata professionale e gentile, e mostrando grande astio nei confronti di tutti quanti i presenti.

-A_Alan?- Midge era molto ferita da quelle parole, guardava con lo stesso sguardo tradito che aveva mostrato al processo prima con Ogden. E in effetti, neanche Misaki riusciva a credere alla vera faccia del maggiordomo che era sempre stato estremamente cortese e disponibile con tutti quanti.

Sempre pronto ad aiutare, confortare, e prendersi cura di loro come un grande padre di famiglia, più che un semplice maggiordomo.

-Non fare così Alan… non parlare come se fossi un mostro. Tu non sei un mostro!- sussurrò Godwin, tra i singhiozzi, così tra sé che furono davvero in pochi a capire cosa stesse dicendo.

-Bene bene, vi vedo convinti. Vi siete decisi a votare?- chiese Monokuma, battendo le mani entusiasta.

Ci fu un generale mormorio di assenso, e il pulsante per votare si materializzò davanti a loro.

Misaki ebbe qualche incertezza nel votare per Alan, che guardava Godwin con una certa preoccupazione.

Anche la ragazza osservò la sua reazione, e notò che Godwin non aveva votato, ed era piegato su sé stesso intento a singhiozzare, devastato dal verdetto che sicuramente stavano per raggiungere, e che lui stesso aveva contribuito a far raggiungere.

Misaki alla fine votò, temendo che non lo avrebbero fatto tutti.

-E lo sfortunato nominato di questa volta è… momento di pausa… Alan Smith! Wooo, il colpevole è il maggiordomo. Prevedibile, ma ci avete messo parecchio a scoprirlo, stavolta. Siamo a 34 pagine e non abbiamo ancora toccato la tragic backstory del padroncino e del suo maggiordomo- osservò Monokuma, ridacchiando tra sé.

Misaki ricordò il primo giorno in cui era arrivata lì, e come aveva pensato che Alan fosse il maggiordomo di qualcuno. Aveva supposto fosse Naomi, ma evidentemente aveva sbagliato padrone, ed era invece Godwin. Non era sorprendente, in effetti, considerando quanto spesso i due stavano insieme.

-Uno figlio dell’uomo più potente degli Stati Uniti d’America, l’altro semplice figlio di uno dei suoi maggiordomi. Eppure sono cresciuti insieme, sempre uno accanto all’altro… beh, più Alan accanto a Godwin, direi, dato che la protezione era a senso unico- mentre Monokuma raccontava la favoletta, dagli schermi della stanza vennero proiettate parecchie immagini, e qualche video, in soggettiva, di momenti d’infanzia di Alan e Godwin, il primo sempre accanto a Godwin, sempre pronto a servirlo, e proteggerlo, una guardia del corpo più che un semplice maggiordomo.

Momenti più disparati: Godwin che insegnava ad Alan a leggere, Alan che portava del cibo di nascosto a Godwin che sembrava essere in punizione, Godwin che vedeva le stelle con Alan accanto che sembrava concentrarsi soprattutto su di lui, Alan che aiutava Godwin a raggiungere cose troppo in alto per lui.

La parte più inquietante, era sapere che Monokuma sembrava avere accesso non solo ai ricordi dimenticati, ma a tutti i loro ricordi, di tutta la loro vita.

Era terrificante.

-Alan Smith farebbe di tutto per il suo amico d’infanzia, anche morire. Non è adorabile questo spirito di sacrificio, pregno della mia tanto amata disperazione? Vi va di vedere qualche clip?- chiese Monokuma, godendosi parecchio lo show nonostante fosse ormai tardi, fossero tutti stremati, e ancora pieni di domande alle quali l’orso non sembrava voler rispondere.

Nonostante le lamentele degli studenti, dagli schermi vennero visualizzate immagini di sorveglianza, riprese da quando loro erano lì. La prima sembrava essere stata ripresa proprio il giorno del loro arrivo, quando si erano ritrovati nell’hotel senza preavviso o spiegazione.

-Signor Dixon, sta bene?- chiese Alan preoccupato, svegliatosi in cucina accanto a Godwin, ancora addormentato, e svegliandolo poi a sua volta. Si vedeva che Godwin era molto più provato da qualsiasi droga gli avessero somministrato, probabilmente a causa della sua salute.

-Alan? Alan, sei tu? Che succede? Dove siamo? Non siamo a scuola?- Godwin si mise a sedere, aggrappandosi ad Alan come un’ancora vitale.

-Non saprei, signor Dixon, ma farò in modo di proteggerla, qualsiasi cosa sia successa- gli promise il maggiordomo, con fare protettivo.

Godwin scosse la testa, e accennò un sorrisino.

-No, no, Alan. Ti ricordi il nostro accordo? Sei alla Hope’s peak per il tuo talento, non per me. Siamo solo compagni di classe, adesso- gli sistemò il papillon con dolcezza.

-Ma…- provò ad obiettare Alan.

-Non preoccuparti per me. Andrà tutto bene. E poi sai che mi mette a disagio il mio titolo. Se avessi anche il mio maggiordomo personale a scuola sarei troppo in imbarazzo. Meglio fare finta di nulla- Godwin sgranò gli occhi quando provò ad alzarsi, ed ebbe parecchie difficoltà a mettersi in piedi, aiutato da un Alan con espressione davvero sofferente.

-Signor Dixon… Sta bene?- indagò il maggiordomo, sempre più preoccupato.

-Io… sì… non… non preoccuparti. Usciamo da qui e cerchiamo di capire cosa è successo- Godwin fece finta di niente, e precedette Alan fuori dalla stanza, ancora incerto sulle sue gambe. Alan lo seguì, servile, ma chiaramente molto teso.

-Oh, e ti prego, Alan, chiamami Godwin. Siamo solo amici adesso- Godwin si girò un attimo verso di lui, e accennò un sorriso.

Lo schermo si fece nero per un attimo, e la scena cambiò, mostrando i due in camera di Alan, Godwin molto infreddolito, con due coperte.

-Grazie di avermi aperto. Scusa se sono piombato all’improvviso, ma la mia camera era gelida- Godwin prese il bicchiere che Alan gli porse, ripieno di liquido fumante.

-Ho incontrato Ogden nel salottino dei maschi, non è un problema isolato- commentò Alan, sedendosi sul bordo del letto e cercando di riscaldare al meglio l’amico.

Godwin accennò un sorriso. 

-Che fortuna che le nostre camere sono vicine. Mi rassicura molto avere accanto qualcuno di cui mi fido. Questa faccenda mi spaventa parecchio- ammise Godwin, abbassando la testa.

-Non ti fidi degli altri?- chiese Alan, indurendo lo sguardo.

-Sì, mi fido. Sembrano tutti brave persone, anche Kismet. Solo… il movente di Monokuma…- Godwin si portò una mano alla schiena -…lascia stare, non è nulla. Sono sicuro che se lavoriamo insieme e ci facciamo guidare dalla speranza, usciremo di qui, e tutto si risolverà al meglio senza che nessuno debba morire- Godwin cercò di essere ottimista, prendendo un sorso di bibita calda.

Alan lo guardò con estremo affetto.

La scena cambiò un’altra volta, questa volta la location era sempre una camera, ma probabilmente quella di Godwin.

E il ragazzo, seduto sul letto, stava singhiozzando sul petto di Alan,  stringendolo forte, e con la polaroid in mano.

-Ho paura, Alan… non voglio morire così, qui dentro, così presto…- si stava sfogando, disperato.

Il maggiordomo lo stringeva a sé, il suo sguardo duro, vuoto, furioso.

Probabilmente pensava al proprio movente.

-Non morirà qui, signor Dixon. Glielo prometto, uscirà da qui, in un modo o nell’altro- promise Alan, stringendolo così forte da rischiare di soffocarlo.

Godwin sgranò gli occhi, e si allontanò, tentando di fermare le lacrime.

-Che intendi, Alan? In che senso?- chiese Godwin, confuso, e leggermente spaventato.

-Farei qualsiasi cosa per lei, lo sa- Alan gli prese le mani tra le sue, e lo guardò negli occhi, cercando di fargli capire quanto tenesse a lui.

Godwin scosse appena la testa, poi sempre più forte mano a mano che capiva quello che Alan sembrava avere intenzione di fare.

-No, Alan. No! Non vorrei mai… non potrei mai… Non dici sul serio, vero?- chiese, incredulo.

Alan sembrò deluso da quella reazione, ma non propriamente sorpreso, accennò un sorrisino.

-No, ovviamente no. È stato solo un momento…- mentì, accarezzandogli la testa.

-Alan, sul serio, promettimi che non farai nulla- insistette Godwin, guardandolo negli occhi.

Il maggiordomo esitò, ma poi annuì.

-Sa che seguo sempre i suoi ordini- rispose, professionale. 

Godwin tirò un sospiro di sollievo.

-Bene, non vorrei mai che succedesse qualcosa ai nostri compagni- si rimise più comodo, e si girò la polaroid tra le mani, tristemente. La rimise in tasca, e si appoggiò ad Alan, cercando di godersi il momento che stava passando con lui.

-Sai, mi basta stare con te per essere felice. E con River, e Misaki, e Chap… alla fine non sarà male morire circondato da persone che mi vogliono bene- commentò, cercando di restare ottimista e pieno di speranza, e accennando un sorriso.

Era convinto che Alan non avrebbe mai ucciso nessuno.

Lo schermo tornò nero, questa volta permanentemente, e Monokuma si schiarì la gola per ricominciare un discorso strappalacrime prima di procedere con l’esecuzione.

-Che tremendo tradimen…-

-Alan…- Godwin alla fine si fece forza, e si rivolse direttamente all’amico, tagliando l’orso.

-Ehi, è maleducato interrompere!- si indignò Monokuma, ma nessuno gli stava prestando attenzione, perché erano troppo intenti ad osservare l’interazione tra Godwin e Alan.

-…perché l’hai fatto? Sapevi che non sarei mai voluto arrivare a questa situazione- chiese infatti il filantropo, guardando ferito l’amico.

-Mi hai detto tu di non agire come tuo maggiordomo, e ho ignorato gli ordini- rispose Alan, senza guardarlo, a denti stretti.

-Ma perché sei arrivato a tanto?! Per uno stupido ragazzo morente! E perché hai provato ad incastrarmi? Non capisco- chiese infatti il filantropo, avvicinandosi ad Alan e crollando praticamente tra le sue braccia.

Alan si abbassò al suo livello, e lo strinse con forza e affetto.

Per la prima volta, il suo sguardo mostrava chiaro rimpianto, e tristezza.

-Volevo… volevo dimostrarti che nessuno qui dentro avrebbe creduto alla tua innocenza. Che nessuno si fidava davvero di te. Che nessuno fosse davvero tuo amico e che valeva la pena lasciarli indietro. Volevo proteggerti perché so quanto sei buono signor Dixon, così buono che pensi sempre agli altri prima che a te stesso, quando sei la persona che più di tutte merita di essere felice- rivelò Alan.

-Anche tu meriti di essere felice. Anche Kismet meritava di essere felice e di redimersi- obiettò Godwin, continuando a singhiozzare sulla divisa del maggiordomo.

-Non avevi calcolato che qualcun altro avrebbe difeso Godwin a spada tratta, pur credendolo colpevole- osservò Misaki, spostando lo sguardo verso River. Anche il maggiordomo si girò verso di lui. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa.

-Suppongo che la fretta di adempiere al piano mi abbia fatto sottovalutare quanto alcuni di voi fossero legati al signor Dixon. E se devo morire, sono felice di morire sapendo che il signor Dixon ha qualcuno qui dentro che starà dalla sua parte- Alan accennò un sorrisino, e accarezzò la testa di Godwin, che lo lasciò andare, e lo guardò negli occhi, senza capacitarsi che fosse davvero la fine, per lui.

-No, non lo posso accettare. Non è giusto che tu muoia a causa mia. È colpa mia se Kismet è stata uccisa. Alan avrebbe fatto uscire me. Monokuma!- Godwin spinse via Alan e si allontanò, dirigendosi verso Monokuma, che lo guardò, sorpreso dalla sua veemenza.

-Signor Dixon?- anche Alan sembrava parecchio sorpreso dalla determinazione del suo padroncino.

-Uccidi me! Prendo il posto di Alan per questa esecuzione! Dopotutto è colpa mia se Kismet è morta! Ti prego, risparmia Alan- lo supplicò, con determinazione.

E sembrava davvero convinto di quello che diceva, pronto a sacrificare la sua vita per quella di un assassino, che era anche il suo amico d’infanzia.

-Signor Dixon, non ci pensare nemmeno!- Alan raggiunse Godwin e lo allontanò da Monokuma prendendolo per un braccio e mettendosi davanti a lui per proteggerlo.

Anche gli altri studenti iniziarono ad avvicinarsi ai due, sorpresi dall’improvviso colpo di scena.

River rimase al suo posto, con espressione imperscrutabile.

Misaki, per qualche motivo, si ritrovò ad osservarlo con attenzione.

-Non funziona così, damerino. Il colpevole è quello che viene giustiziato, ma… visto che Alan avrebbe salvato te, e questo era parecchio chiaro, suppongo che effettivamente sei tu quello che dovrebbe morire, dato che sei quello che sarebbe uscito- Monokuma controllò le regole tra sé, e poi ridacchiò sguaiatamente, nell’osservare il colore sparire dal volto di Alan.

-No, non te lo permetterò mai, non ti devi azzardare a toccare il signor Dixon!- esclamò, furente, per la prima volta dall’inizio del processo, sembrava seriamente in difficoltà, e spaventato.

Molto più dalla possibile morte di Godwin, che dalla propria.

Era davvero possibile amare qualcuno a tal punto da voler sacrificare la propria vita per quella persona? Misaki, sebbene ancora intontita da tutti i fatti avvenuti in quel processo, era anche affascinata dal rapporto tra i due ragazzi.

-Va tutto bene, Alan. Tanto morirò comunque. Tu invece puoi ricominciare, qui, in mezzo a tutti. Sono sicuro che ti perdoneranno per quello che hai fatto. È colpa mia dopotutto- Godwin, provò a rassicurare Alan che quella era la cosa migliore da fare.

-No, Signor Dixon! Non posso permettere che le venga fatto alcun male. Sono io l’assassino! Devo essere io a morire- continuò ad insistere con Monokuma.

-Uff, basta obiezioni- l’orso di peluche imitò uno schiocco di dita (nonostante non avesse dita) e una cintura metallica prese Godwin per la vita, e lo trascinò nell’altra stanza.

Alan si affrettò a seguirlo, insieme agli altri studenti.

Misaki rimase indietro, ad osservare River, che sembrava confuso. Osservò il luogo in cui era sparito Godwin, poi Alan, ed infine, come colto da una tremenda consapevolezza, guardò Monokuma, con disgusto.

Non rabbia, o sofferenza, per la sorte che stava per toccare all’amico che aveva tentato di proteggere in tutti i modi.

Ma disgusto, misurato disgusto, come se Monokuma stesse giocando con loro e i loro sentimenti.

 

Execution: My ride or die

 

Godwin fu trascinato in quello che sembrava un campo erboso e all’aperto, anche se era chiaro che fossero ancora tutti all’interno dell’hotel.

Gli altri studenti erano tenuti lontani da un recinto di metallo. Alan batteva con forza sulle sbarre, cercando di forzarle.

Godwin venne immobilizzato al suolo. Si vedeva che fosse estremamente spaventato, ma era anche determinato. 

Misaki, raggiungendo gli altri, notò che degli schermi riproducevano la sua immagine in primo piano.

Il ragazzo impallidì quando dal nulla iniziarono ad uscire una mandria di cavalli imbizzarriti, meccanici ma estremamente realistici, che si dirigevano nella sua direzione.

Alan smise di battere sulle sbarre, e impallidì.

Aveva già visto questa scena una volta, nei suoi sogni. L’incidente che aveva ridotto esponenzialmente la vita di Godwin.

Un incidente che non era riuscito ad impedire, la prima volta.

E che ora stava per finire il lavoro.

-No! Godwin!- esclamò con forza e determinazione, sfondando il recinto con una spallata e correndo in direzione di Godwin, che aveva chiuso gli occhi preparandosi all’impatto, ma li riaprì immediatamente quando notò Alan correre verso di lui. Era la prima volta che lo sentiva pronunciare il suo nome.

-Alan!- lo chiamò, cercando di fermarlo, ma il maggiordomo era determinato.

Nel momento stesso in cui raggiunse il luogo dell’impatto, parandosi davanti a Godwin, quest’ultimo venne risucchiato nel terreno, in quello che sembrava uno scomparto costruito apposta per tenere Godwin fuori dal pericolo, e trasparente, in modo che fosse in grado di assistere in prima fila allo spettacolo agghiacciante che per gli altri studenti fu visibile solo a distanza.

E Misaki capì perfettamente il perché del disgusto di River, e guardò Monokuma con la stessa espressione.

L’orso, divertito, aveva fatto in modo che Godwin pensasse di potersi sacrificare per Alan, ma fin dall’inizio aveva previsto che fosse il vero assassino a pagare, e Godwin era quindi stato inondato dalla massima disperazione.

La stessa massima disperazione provata da Alan pochi istanti prima di essere brutalmente assalito dai cavalli meccanici, e ridotto ad una carcassa insanguinata davanti agli occhi inorriditi del ragazzo che aveva tentato in tutti i modi di salvare, senza avere la certezza di esserci davvero riuscito.

-Upupupupu, è stato il processo di classe più bello del mondo. Che vi serva da lezione, studenti. Potete salvare qualcuno, ma sarà l’assassino a pagare le conseguenze dell’omicidio, nel caso venga scoperta. Solo lui!- spiegò l’orso, in tono minaccioso.

Gli studenti erano troppo impegnati a fissare la scena con orrore per badare troppo a lui.

-Beh, si è fatto un po’ tardi. Su, su, ragazzi, tornate ai dormitori- una volta finita l’esecuzione, Monokuma ridacchiò gioioso, spense gli schermi, e aprì il contenitore dove Godwin era rimasto tutto il tempo.

Misaki si avvicinò, cercando di aiutarlo ad uscire. River fece altrettanto, e anche altri studenti si avvicinarono per accertarsi delle loro condizioni, anche se restii a stare troppo vicini ad Alan.

L’odore del sangue era nauseabondo, ma per Godwin ne valeva la pena.

Quando Misaki si avvicinò, Godwin era immobile, ancora all’interno, e fissava Alan senza credere a cosa fosse successo.

Tremava come una foglia, e con l’apertura della porta trasparente, il sangue lo aveva inondato.

-Godwin…- River provò a scuoterlo, con voce insolitamente gentile.

Godwin sobbalzò, osservò i due ragazzi avvicinatisi a lui, poi tornò a guardare Alan, e i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime.

Uscì dalla scatola il più in fretta possibile, rischiando più volte di cadere, e, ignorando completamente sia Misaki che River, corse via, fuori dal tribunale, con la mano davanti alla bocca come se stesse per vomitare da un momento all’altro. River lo seguì, più lentamente.

Misaki non poteva biasimarlo, anche lei era senza parole, incredula e inorridita dallo spettacolo al quale aveva appena assistito.

Lo erano tutti.

-Uffa! Vi ho detto di tornare ai vostri dormitori! Volete che vi punisca tutti quanti?!- si lamentò Monokuma, mostrando gli artigli.

Misaki lanciò un’ultima occhiata ad Alan, con le lacrime agli occhi, e poi seguì il resto dei suoi compagni fuori dall’aula.

 

Fu l’ultima ad uscire, ed erano tutti andati via, ad eccezione di Nowell, che l’aspettava nel salottino privato.

-Amicona- l’approcciò, preoccupato.

-Nowell- sussurrò lei, avvicinandosi.

Lui le asciugò le lacrime che la ragazza non si era neanche accorta fossero scese sulle sue guance, e Misaki si ritrovò ad abbracciarlo in cerca di conforto.

Quel processo di classe l’aveva lasciata stremata, e non solo per gli indizi difficili, e l’esecuzione finale, ma per l’attaccamento emotivo che gli aveva suscitato l’intera faccenda.

Non riusciva ancora a metabolizzare esattamente cosa fosse successo, e sentiva il bisogno di avere qualcuno accanto che la confortasse.

E Nowell… Nowell era la persona migliore che potesse chiedere al suo fianco.

Si sedettero sul divano, Misaki sempre attaccata a Nowell come un’ancora di salvezza.

-Non ce la faccio più- ammise tra sé.

-Lo so. È stato davvero terribile- le diede man forte Nowell, sospirando.

-Ho paura che anche altre polaroid possano essere dei moventi tremendi, e non riuscirei ad affrontare un altro omicidio- continuò Misaki, mettendo sul tavolo tutte le sue preoccupazioni.

-Non pensarla così, Misaki. Non possiamo perdere la speranza proprio ora- provò ad incoraggiarla Nowell, ma si vedeva che non fosse del tutto convinto di quello che diceva.

Si morse il labbro inferiore, nervoso.

-Mi dispiace, non dovevo crollare così. Forse sarebbe meglio tornare in camera. L’orario notturno è passato da un pezzo- si alzò, abbracciandosi per darsi conforto, ma Nowell la fermò, prendendole una mano.

-Aspetta…- non sembrava molto sicuro di sé, ma era chiaro che volesse dire qualcosa alla ragazza.

-Cosa?- chiese lei, piegando la testa e girandosi verso di lui, aspettando che continuasse.

-Io… posso farti una domanda?- chiese il ragazzo, evitando il suo sguardo.

Misaki si risedette.

-Che domanda?- indagò, un po’ preoccupata, giocherellando con il ciondolo del bracciale che teneva sul braccio, in un posto speciale rispetto agli altri.

Nowell lo osservò, con sguardo indefinibile.

-Cosa rappresenta quel bracciale?- chiese, sorprendendola non poco. Era l’ultima domanda che si sarebbe aspettata.

E Misaki… non sapeva rispondere.

Perché quel bracciale era l’unica cosa fuori posto quando si era svegliata.

-È… è un bracciale importante. Me l’ha dato qualcuno a cui tengo davvero molto- questa era la verità. Non si ricordava chi fosse questa persona, ma sentiva un attaccamento speciale verso di esso.

-Chi?- indagò Nowell, avvicinandosi appena.

-Io…- Misaki esitò.

-Non lo ricordi, vero?- suppose Nowell, indovinando e distogliendo lo sguardo da lei, a disagio. Iniziò a giocherellare con le due targhette metalliche che indossava al collo.

-Perché questa domanda?- indagò Misaki, con il cuore che iniziava a battere furiosamente senza un motivo preciso.

Nowell aprì la bocca per spiegare, sempre senza guardarla, poi la richiuse, sospirò, e tirò fuori un oggetto dalla tasca, che porse a Misaki.

Era la sua polaroid.

L’immagine era una soggettiva di Nowell, seduto sotto un albero. Sulle sue ginocchia, era poggiata Misaki, e sorrideva, allegra, con in mano il bracciale che ora adornava il suo braccio.

Misaki non credeva di essersi mai vista così felice.

Girò la polaroid, e lesse la scritta: “Dai un regalo a Misaki per il vostro primo anniversario”.

Rimase a bocca aperta, e lanciò un’occhiata a Nowell, che la guardava di sottecchi, ed era arrossito in zona d’orecchie.

La ragazza non credeva che il suo cuore avrebbe potuto battere più forte di così senza condannarla a morte.

 

 

 

 

 

(A.A.)

Questo capitolo è il più lungo che io abbia scritto per questa storia, e onestamente ero tentata di dividerlo, ma sono una perfezionista ossessivo compulsiva, e mi sono data uno schema che intendo seguire.

Però se prossimamente vorrete che i capitoli troppo lunghi vengano divisi in due, fatemelo sapere e lo farò. Perché i lettori vengono prima delle mie manie.

Allora… vi aspettavate che fosse stato Alan?

Ammetto che gli indizi non puntavano troppo su di lui, anche se comunque per i più attenti si poteva capire che Alan fosse l’unico dello spettacolo che aveva la possibilità di agire, andando avanti e indietro per la stanza.

Sappiate che il motivo principale per cui l’ho reso un assassino è il meme “Il colpevole è il maggiordomo”. Lo so, sono una persona orribile. Tutto questo casino solo per un meme.

Questo processo è stato molto difficile da scrivere, e penso che si discosti un po’ da quelli del gioco, perché ho voluto introdurre (e ci sarà anche nei prossimi) la dinamica psicologica.

Probabilmente se fossimo nel gioco la parte dove Misaki chiede se Godwin ha detto a qualcuno del suo problema, ci sarebbe stato un minigame stile Apollo Justice dove doveva capire dai suoi gesti chi fosse la persona incriminata, ma questa è una fanfiction, quindi è ancora più semplice andare verso la psicologia.

Spero che questo Chapter in generale vi sia piaciuto, allego il solito sondaggio per decidere i prossimi freetime, e ho già iniziato a scrivere il prossimo capitolo, anche se avrò un leggero hiatus perché preferisco sempre concludere un intero Chapter prima di pubblicarlo.

Ora che si è scoperto il passato tra Misaki e Nowell, le cose potrebbero farsi davvero interessanti.

 

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