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Autore: LyliRose    31/08/2009    2 recensioni
Ale è una come tante, questo prima di incontrare un misterioso ragazzo dai profondi occhi ambrati che le cambierà la vita... Fan fiction in rigoroso stile Meyer che incorpora tutti i personaggi della saga senza stravolgere nulla, non posso dire nient'altro! :-)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Successivo alla saga
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Un enorme Ciao a tutti voi! Eccomi con la mi prima fan fiction di cui non vi posso anticipare nulla, se non che è una chicca per tutti gli appassionati di Twilight!
1.    Ricordi di vita.

Seduta sulla soglia dell’ingresso del campus cercavo di farmi passare una sbronza di quelle colossali senza pensare che in quel periodo erano molto, troppo frequenti, fu così che cominciai a pensare in un’altra lingua, la mia lingua madre, l’italiano.

Non ero più abituata a quella lingua, così armoniosa e carica di suoni familiari, l’avevo abbandonata da molto tempo assieme al resto della mia vita rimasto nello stivale come un bagaglio lasciato a terra, quella sera però volevo tornare al mio alloggio sana e salva e l’italiano mi faceva stare lucida.

L’inglese invece era un altro paio di maniche, ce l’avevo nel sangue, ed ero sempre stata convinta che un motivo ci fosse, ed era per questo che ora mi trovavo lì, ad Harvard ubriaca e stordita dal freddo.

Sentii che la lucidità necessaria per trovare il mio alloggio tardava a tornare e quindi feci una cosa che in quel momento sembrava molto sensata ma che si sarebbe rivelata molto pericolosa, pensai all’Italia.

La prima cosa che mi venne in mente fu il mio dolce paesino di 500 anime nel cuore delle marche, una regione centrale dello stivale, San Costanzo è adagiato sulle colline a ridosso di un piccolo monticello e circondato da altri paesini la cui attività principale erano delle piccole industrie e naturalmente l’agricoltura.

Il ricordo del mio luogo di nascita mi suscitava sempre non poca nostalgia, il profumo dell’erba bagnata di rugiada nelle fresche mattine d’inverno, quello delle Belle di Notte nelle calde sere estive e quello della imminente pioggia molto frequente nei pomeriggi di mezza stagione.

Rividi casa mia, sopra quella fantastica collina, isolata da tutto il resto del mondo come un eremo felice, vidi anche il nonno mentre mi teneva per mano e mi faceva ammirare il paesaggio, odorava di erba e di schiuma da barba, quel secondo padre fu per molti anni come un idolo per me, ai miei occhi i suoi racconti di guerra erano come una lezione di storia in diretta, nonché la dimostrazione della sua profonda cultura.

Gli altri bambini non mi avevano mai preso seriamente in considerazione, ero troppo strana, troppo diversa da loro con la mia mania per i cani e i libri e con le mie assurde fantasticherie su esseri fuori dal comune provenienti dalla saga di Harry Potter.  I miei genitori lavoravano per darmi un futuro stabile a questo mondo e io passavo le mie giornate in un altro secolo,  più precisamente immersa in racconti dei primi del novecento raccontati dalla viva voce di chi, come i miei nonni, li aveva vissuti sulla pelle.

Poi lo scenario nella mia testa cambiò, erano passati tanti anni, avevo scoperto la mia femminilità e con essa una schiera di ammiratori pronta a passare una serata con me, ero  veramente bella quasi da far girare la testa.

Fu allora che i miei pensieri aprirono un cassetto che era rimasto chiuso da tanto tempo, rividi gli occhi di lui sui miei, le sue mani che mi correvano sulla schiena nuda, la mia felicità nel vederlo ogni volta più bello e più perfetto  …

Poi  tutto era cambiato … io ero  stata costretta ad andarmene …

Mi presi la tasta tra le mani imprecando perché la cicatrice sul mio cuore si era riaperta e ricominciava a far male e la colpa di tutto era solo mia!!! Che stupida! Avrei dovuto saperlo che i ricordi erano pericolosi, comunque ora ero abbastanza lucida per leggere i piccoli numerini di ferro appesi alle porte degli alloggi e feci per alzarmi.

Ma il mio corpo come se stesse rispondendo ad uno stimolo naturale s’irrigidì e fu allora che capii che qualcuno era seduto accanto a me e mi osservava.

Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo molto giovane che mi fissava con un espressione incuriosita, era seduto al mio fianco ma ad una certa distanza da me, quando si accorse che lo stavo guardando si affrettò a salutarmi.

<< Ciao!>> mi disse.

Non risposi.

Non ero abituata a dare confidenza a persone appena conosciute quindi mi alzai e me ne andai il più velocemente possibile, c’era qualcosa nel modo in cui mi guardava che non mi convinceva per niente, come se mi conoscesse da una vita.
Per non parlare del suo aspetto così simile ad un divo del cinema muto … no! Non era possibile.

Corsi dentro, la lucidità era tornata quasi del tutto quindi salii al mio piano, mi girai spesso indietro, sicura che qualcuno mi stesse seguendo, ma non scorsi mai nessuno tranne un leggero spiffero una volta o due.

Entrai in camera e accesi la luce per accertarmi di non aver sbagliato stanza ma soprattutto di non aver beccato la mia compagna a letto con uno dei suoi tanti <>.

Era sola e si irritò parecchio che io la svegliassi così d’improvviso, doveva essere davvero tardi se anche lei dormiva.

La mia compagna di stanza era una ragazza bellissima, l’opposto mio, mora, molto alta, con degli occhi azzurro cielo e la pelle olivastra, i tratti del suo viso erano perfetti come se Michelangelo in persona li avesse disegnati su una tela che poi aveva preso vita.

Anna frequentava giornalismo ma ero sicura che se avesse avuto successo nella vita sarebbe stato più per doti fisiche e provenienza familiare che per il resto.

Era la bellissima figlia di un famoso procuratore di Washington il quale le aveva permesso di mantenersi nel lusso e di pagare la retta di Harvard ad una figlia poco interessata allo studio e più propensa al successo.

La vita che faceva le permetteva di stare in forma grazie alle frequentissime sedute in palestra e a quelle ancor più frequenti nei centri estetici, era una ragazza che avrebbe fatto diventare verdi di invidia qualunque donna di questo pianeta, ma non me.

Era per questo forse che stavamo bene assieme, io ero completamente disinteressata a qualunque cosa non riguardasse i miei studi di management e lei da qualunque cosa non fosse … se stessa!

Il nostro rapporto non era dei migliori, ma a noi andava bene così, ognuna faceva la sua vita e i venerdì e sabato sera io cercavo sempre di tornare in stanza il più tardi possibile per non disturbarla nel suo sport preferito.

Quella sera però spaventata com’ero dall’idea che qualcuno mi stesse seguendo fui molto più felice del solito nel vederla, devo confessare che ebbi un moto di rabbia però vedendo che anche appena sveglia era stupenda.

Chiesi scusa per l’irruzione rumorosa e mi infilai a letto, sicura che avrei preso sonno di li a poco

Infatti mi svegliai la mattina dopo e mi sembrò che fossero passati solo dieci minuti, in realtà guardai la sveglia e mi resi conto che erano le 12 di domenica mattina, forse avevo dormito troppo.
Anna non c’era, i suoi genitori la domenica la costringevano ad andare a messa nella chiesetta protestante del campus, erano amici del pastore.

Approfittando della sua assenza feci una doccia più lunga del solito e mi sistemai i capelli in boccoli ordinati che mi incorniciavano il viso.

Guardandomi allo specchio vidi con mia grande delusione che ero solo l’ombra della principessa bionda che popolava i miei ricordi.

Di lei in me era rimasta solamente l’enorme massa di capelli biondi che una volta forzavo in un liscio quasi perfetto, ma che di cui ora invece assecondavo il  riccio naturale.

La mia pelle era chiara come l’avorio e su di essa apparivano i segni di una goffaggine che mi aveva accompagnato tutta la vita.

Il mio viso aveva dei bei tratti ma senza un filo di trucco sembravo una casalinga disperata con problemi di acne, l’unica cosa che avevo sempre apprezzato di me erano i miei occhi castani incorniciati da folte ciglia biondo scuro e la mia bocca che somigliava tanto ad una rosa appena dischiusa.

Ho sempre avuto l’abitudine di tenere i capelli sciolti per via di un problema che mi aveva assillato durante la mia infanzia, le orecchie.

Ero sempre stata convinta che quelle protuberanze fossero state la ragione principale della mia stranezza in quanto erano esse per prime la cosa più strana che  avevo mai visto; erano diverse l’una dall’altra.

La destra era molto piccola perché piegata su se stessa nella parte alta ma era abbastanza diritta, la sinistra era enorme confronto alla sua compagna e questa enormità era accentuata dal fatto che era a sventola, sporgeva in avanti come se volesse uscire dalla capigliatura per scoprire il mondo.
Questo difetto mi aveva reso lo zimbello della scuola già all’età di sei anni e aveva reso la mia vita sociale molto difficile, costringendomi a rifugiarmi nei libri e nella mia fantasia.

Il resto del mio corpo era ormai deformato da anni di goloserie e di anticoncezionali ma tanto tempo prima era affusolato e magrissimo, il mio sedere era perfetto e il mio piccolo seno evidenziava il ventre piatto sotto di lui.

Unici crucci erano l’altezza, uno scarso metro e 65, e le cosce sempre leggermente più larghe di tutto il resto, per il resto a quattordici anni ero il ritratto di una dea greca bionda.

Cercando di scacciare questi pensieri che mi mettevano sempre di malumore mi vestii indossando un maglione rosa e un paio di jeans e mi truccai per far sparire dal mio viso i segni della notte brava.

Accesi il computer per leggere le mail dall’Italia e risposi a tutte con molta calma, non avevo assolutamente fame dopo la sbronza della sera prima.

Pulii la camera certa che Anna al suo ritorno si sarebbe messa al telefono con un centinaio di amiche invece di fare la sua parte di faccende.

Come se mi leggesse nel pensiero appena finito entrò e mi salutò ancora un po’ arrabbiata dalla sera prima e apri il suo piccolo cellulare rosa cominciando a ciarlare del ragazzo che aveva conosciuto ieri sera con un gruppo di ochette benestanti a cui interessava solo di chi fosse il figlio.
Normalmente in quelle domeniche me ne andavo a studiare in biblioteca perché le sue speculazioni a dir poco mi disgustavano, ma ormai gli esami erano finiti era febbraio e i prossimi sarebbero stati a maggio, avevo tempo, così mi decisi per una passeggiata nel parco.

Il parco dell’università in quella fredda domenica di febbraio era quasi deserto, nessuna coppietta stesa sul prato a fare le fusa, nessun ragazzo steso sulle panchine a cercare di smaltire la serataccia precedente, solo i patiti del jogging che correvano oppure facevano stretching appoggiati ad un albero.

Camminavo piano, l’aria fresca mi accarezzava il viso era molto piacevole anche perché nel college era sempre troppo caldo per i miei standard, in Italia al mio paese venti gradi erano una temperatura estiva.

 Mentre camminavo senza meta mi accorsi di aver superato di molto la parte del parco nella quale ero solita passeggiare , quella più prossima all’entrata del college, fu in quel momento che scorsi una panchina isolata e corrosa dal tempo proprio sotto una quercia secolare.
Mi avvicinai e mi ci sedetti.

La panchina dominava la cittadina universitaria e sembrava stesse lì da molto tempo, dimenticata anche dalle coppiette che nelle sere estive popolavano il parco.

La quercia era robusta con un tronco intrecciato e radici che fuoriuscivano dal terreno in maniera bizzarra; era degna di un bosco magico, pensai tra me e me sorridendo.

Mi alzai dalla panchina per avvicinarmi al grande albero spoglio e appoggiai le mani sulla corteccia ruvida ispezionandola in tutta la sua circonferenza.

Ad un certo punto vidi una data intagliata sul tronco, senza pensare troppo ai numeri incisi pensai che dovevano essere molto antichi, almeno di una ventina di anni prima a giudicare dalla corteccia che ci era cresciuta sopra come se l’albero stesse tentando di rimarginare il taglio.

Poi d’improvviso il mio occhio cadde sulla data impressa nella corteccia 06/6/2009 che in inglese significava 6 giugno 2009.

Scossa guardai l’orologio che portavo sempre al polso,ero sicura che fosse il sei di Febbraio 2009.
Ma come era possibile?
Come aveva fatto la corteccia a rimarginare un taglio così netto se la data impressa doveva ancora arrivare?
Qualcuno l’aveva forse vergata molto tempo prima? Ma a quale scopo? E perché proprio quella data?
In quel momento scorsi con la coda dell’occhio un movimento, mi girai di scatto e vidi il ragazzo della sera prima che mi guardava seduto sulla panchina ma stavolta la sua espressione era molto divertita.

Vi prego recensite!!!!
   
 
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