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Autore: heliodor    19/07/2021    0 recensioni
Nata con grandi poteri magici, Bryce è stata addestrata fin da bambina per diventare la strega suprema, la più forte della sua generazione. Lo scopo della sua stessa esistenza è guidare l’esercito dell’Alleanza nella guerra contro l’Orda.
Quando Malag il rinnegato esce allo scoperto e attacca Valonde, la vittoria sembra allontanarsi sempre di più e molti iniziano a dubitare delle sue capacità.
Per diventare la guida che tutti si aspettano che sia e vincere la guerra, Bryce dovrà rinunciare all’amore, all’amicizia e a tutto ciò che la vita potrebbe offrirle se smettesse di combattere.
Ma sarà davvero in grado di compiere un sacrificio così grande?
Da oggi con il 100% di Mappa in più!
La trovate in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Prigioniera

 
“Sei una stupida” disse Elvana appena fuori dalla tenda.
“Zitta” le intimò Maggart. “O ti chiuderò quella boccaccia io stesso, strega della notte.”
“Devi solo provarci, sporco piediasciutti.”
Maggart emise un ringhio sommesso. “Da quella parte. Svelte.”
Fuori dalla tenda si era radunata una piccola folla di soldati e mantelli. I primi osservavano divertiti, come se vederle sfilare come prigioniere fosse uno spettacolo messo in piedi per distrarli dalla brutta situazione in cui si trovavano.
I visi di streghe e stregoni avevano espressioni diverse, ma nessuna sembrava amichevole.
Una ragazza dal mantello rosso scuro sputò a terra proprio davanti alla punta dei suoi stivali. Bryce sussultò al pensiero che avesse potuto colpirla.
“Vergogna” le gridò uno stregone sui trent’anni.
“Dovrebbero impiccarti, strega della notte” gridò una donna all’indirizzo di Elvana.
“Disperdetevi” gridò Maggart. “O vi farò frustare.”
La folla si ritrasse di qualche passo e loro furono libere di muoversi.
“Non era necessario che punissero entrambe” le sussurrò Elvana.
“Volevi essere punita da sola?”
“Lo avrebbero fatto lo stesso. I Londolin non attendevano altro che sputarmi addosso. Ma tu potevi risparmiarti di sporcarti quel bel mantello con gli schizzi.”
“Stai dicendo che avrei dovuto mentire alla comandante?”
“No, sciocca” disse Elvana. “Lei sapeva bene che la colpa non era mia. Non voleva punire te visto che aveva già me a portata di punizione.”
Bryce scosse la testa. “Se tu avessi detto la verità, non ti avrebbe punita. La colpa è tua.”
“Mia?” esclamò lei indignata. “Dici sul serio?”
Bryce annuì.
“Stai dando a me la colpa dopo che sei stata tu a colpirmi per prima?”
“Non dovevi metterti in mezzo.”
“Dovevo lasciarti disertare?”
“Non avrei disertato.”
“Certo che no” disse Elvana con tono di sufficienza. “Tu volevi solo unirti ai coraggiosi esploratori per difenderli dai cattivi rinnegati, giusto?”
“Il piano era proprio quello” rispose cercando di dominare l’irritazione.
“E il fatto che ci fosse quel Londolin nel gruppo di Yan è solo un caso, giusto?”
“Taci.”
“No” disse Elvana. “Se proprio volevi raccontare la verità ad Artesia, perché non le hai detto anche di Londolin?”
“Perché non sarebbe stato vero” disse con meno convinzione.
“Non ci credi neanche tu, principessa di Valonde” disse Elvana ghignando.
“Basta parlare ora” disse Maggart con tono imperioso. “O vi farò legare a un palo proprio qui al centro del campo e vi ci lascerò per cinque o sei giorni. Così avrete tutto il tempo per chiacchierare.”
Bryce trasse un profondo sospiro e serrò le labbra. Non le riaprì nemmeno dopo che Elvana venne spinta verso una tenda vicino alla sua.
Quella che le diedero era più piccole della tenda che aveva condiviso con la strega. Un soldato le portò la sacca qualche tempo dopo. Si affacciò all’ingresso e gliela lanciò in mezzo ai piedi ritraendosi subito prima che avesse il tempo di rivolgergli qualche domanda.
Bryce si protese verso la sacca e ne tirò fuori la coperta di lana. La stese a terra e vi si avvolse dentro. La mente ancora in subbuglio per quello che era accaduto le impedì di prendere sonno se non poco prima del sorgere del sole.
Quando aprì gli occhi, vide che vicino all’ingresso qualcuno aveva poggiato una ciotola piena di zuppa. Sospirò e la prese tornando subito a sedere sulla coperta stesa a terra.
Dopo aver finito si concesse di leggere qualche pagina del libro donatole da Joyce, ma non riuscì ad andare oltre la terza e dovette tornare indietro perché non ricordava ciò che aveva letto.
Ripeté l’operazione un paio di volte prima di arrendersi e gettare il libro nella sacca.
Lo finirò dopo, si disse poco convinta.
In due Lune era arrivata a poco più di un terzo della lunghezza e a mano a mano che avanzava nella lettura la vicenda raccontata dalla Stennig le sembrava sempre più complessa e piena di personaggi secondari dei quali a stento ricordava i nomi.
Eppure, Joyce li sa a memoria, si disse. Come ci riesce? Se fosse qui potrebbe raccontarmi la storia senza nemmeno aprire il libro, magari dopo averlo letto una sola volta nel giro di qualche giorno.
Sua sorella era sempre alla spasmodica ricerca di nuovi testi. All’inizio si era limitata a prenderli a prestito dalla biblioteca del palazzo, ma quando erano finiti, aveva iniziato a comprarli dai librai di Valonde.
Quelle erano le uniche occasioni in cui suo padre la lasciava libera di andare in città con una scorta dove Mythey non mancava mai.  A volte toccava a Roge o a Galef accompagnarla e in un paio di occasioni era stata scelta lei anche se andare a fare compere di libri l’annoiava a morte.
Joyce sembrava sempre entusiasta di tuffarsi tra quegli scaffali pieni di polvere e ricordava le sue grida di esultanza quando trovava un testo raro che diceva di cercare da tempo.
Aveva sempre faticato a farsi piacere quelle escursioni in città. Le considerava tempo sottratto ai suoi allenamenti e suo padre era d’accordo con lei, anche se non si era mai veramente opposto.
Di solito era sua madre a chiederle di concedersi una pausa per fare da scorta a Joyce.
“Ti farà bene uscire un po’” le diceva con tono pacato ma deciso. “Non puoi passare tutto il tempo nei sotterranei o ti verrà qualche malattia.”
Bryce non era sicura che esistesse un malanno del genere, ma accettava lo stesso per non dispiacere sua madre. Cercava di non farlo sembrare un impegno troppo gravoso e a volte aveva trovato piacevole girare per la città sulla carrozza scoperta, specie durante la stagione secca quando il sole era forte e il vento che spirava dal mare era fresco e carico di odori.
Un giorno aveva sorpreso Mythey a osservarla divertito.
Lei si era accigliata. “Cosa c’è di così divertente, vecchio cavaliere?”
Lui aveva scrollato le spalle. “Ho detto al nocchiero di fare il giro più lungo e passare vicino al quartiere del porto” aveva detto. “E di rallentare un po’ l’andatura, così avremmo potuto godere del profumo del mare.”
“Così ci metteremo più tempo” si era lamentata.
“Ma sarà più piacevole, giusto?”
Bryce aveva annuito. “Giusto.”
Bryce sospirò e cercò di allontanare quei pensieri. Essere confinata in quella tenda l’atterriva e il pensiero che Vyncent fosse fuori con il gruppo di esplorazione di Yan la rendeva ancora più inquieta.
Ormai dovrebbero aver lasciato il campo, si disse. E aver raggiunto i confini della valle. Da quel punto in poi inizia la parte più rischiosa. Per quanto ne sappiamo, i rinnegati potrebbero trovarsi lì fuori in agguato, pronti a colpirli a tradimento come avevano fatto la prima volta con l’armata di Artesia. Come hanno fatto con noi.
Scosse la testa con vigore per scacciare quel pensiero.
Elvana ha ragione, si disse. Sarei dovuta restare qui e non cercare di lasciare il campo. Sono una folle, ecco cosa sono. Se Artesia non mi punirà, lo farà certamente Erix quando tornerò alla sua armata. O mio padre non appena mi rimanderanno a Valonde con disonore.
Il pensiero di presentarsi davanti ad Andew di Valonde col marchio di infame e traditrice la terrorizzava. Avrebbe preferito morire nella maniera più dolorosa e umiliante piuttosto che subire una cosa del genere.
E costringere suo padre a vivere vergognandosi della figlia infame era altrettanto insopportabile.
Sospirò affranta e si avvolse nella coperta di lana. Dormì fino alla mattina seguente, quando trovò un’altra ciotola di zuppa e un pezzo di pane su di un vassoio. L’altra ciotola era sparita.
Non mi sono nemmeno accorta che qualcuno è entrato nella tenda, pensò mesta. Come speravo di sopravvivere lì fuori da sola, in mezzo ai rinnegati?
Mangiò senza badare al sapore del cibo e lasciò il pane per dopo. Mise la ciotola vicino all’entrata della tenda vincendo la tentazione di sbirciare fuori.
Ogni tanto aveva colto qualche movimento controluce. Ombre che si muovevano sullo sfondo. Aveva anche colto qualche frase scambiata sottovoce, ma non ne aveva compreso il significato.
Yan e Vyncent saranno già fuori dalla valle, si disse. Troveranno l’acqua che ci serve? O saranno costretti a tornare con brutte notizie? E se accadesse, quali sarebbero le conseguenze?
Un’armata senz’acqua la rendeva inquieta quasi come la prigionia in quella tenda.
Passò il resto della giornata cercando di calcolare quanto fosse distante Vyncent e quanto tempo ci avrebbero messo ad andare e tornare.
Vinta dalla noia prese il libro di Joyce e ne lesse un paio di pagine in cui Yanait, il vecchio e disgustoso mago, insidiava Shili e voleva usarne il sangue puro per far rivivere un antico demone prigioniero in un sotterraneo. Le palpebre iniziarono ad abbassarsi da sole dopo una decina di pagine in cui la principessa rifletteva su quanto fosse miserabile e disperata la sua condizione e si chiedeva se qualcuno sarebbe venuta a salvarla.
Chiuse il libro e lo gettò nella sacca. Appena si fu avvolta nella coperta di lana chiuse gli occhi e di addormentò.
Nei due giorni successivi cercò di andare avanti con il libro ma decise di averne abbastanza delle sofferenze di Shili per il momento e lo infilò sul fondo della sacca come a volersene dimenticare.
Guardò accigliata l’ingresso della tenda.
In quattro giorni nessuno si era presentato per parlarle o chiederle come stesse. Si era aspettata che venissero a rimproverarla o minacciarla e si era preparata ad accettare con orgoglio e fierezza le dure parole che le avrebbero rivolto.
Avrebbe accettato qualsiasi castigo o umiliazione pur di dimostrare a tutti che era ancora una strega degna di far parte di quell’armata.
Di qualsiasi armata, si disse.
Al quinto giorno decise che ne aveva abbastanza. Andò all’ingresso e fece per scostarlo.
Darò solo una sbirciata fuori, si disse.
Era sicura che i soldati e i mantelli di guardia le avrebbero intimato di tornare dentro, ma almeno avrebbe scambiato qualche parola con altre persone.
Il silenzio ovattato della tenda l’opprimeva a volte e quando calava il buio e il campo diventava meno animato, era il momento peggiore della giornata.
Esitò, la mano poggiata sul tessuto.
E se mi stessero mettendo alla prova? Si chiese. Forse Artesia vuole scoprire se sono in grado di ubbidire. Forse era quello il castigo che aveva ideato per me. Lasciarmi in una tenda finché non fossi impazzita.
Tornò alla coperta di lana e si concesse un’altra notte per rifletterci sopra.
Il giorno dopo notò che non c’era la zuppa all’ingresso. Strisciò fino al velo e lo scostò appena per guardare fuori. Da quel punto poteva vedere solo due tende ed entrambe erano chiuse. Non c’erano soldati o mantelli vicino a esse.
Si fece coraggio e mise la testa fuori guardando a destra e sinistra. Le guardie, se mai erano state presenti, erano sparite. Turbata chiuse l’ingresso e tornò alla coperta di lana.
Che cosa devo fare? Si chiese.
In quel momento restare lì dentro le sembrò la scelta più saggia, ma non ne poteva più di quella tenda.
Si alzò e andò all’ingresso, trasse un profondo respiro e uscì. Appena fuori raddrizzò la schiena e si guardò attorno. Si preparò a tornare subito dentro se qualcuno le avesse intimato di farlo, ma non accadde.
Nessuno di quelli che vide aggirarsi tra le tende stava badando a lei.
 
  
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