Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Josy_98    19/07/2021    0 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




8. La botte piena, la guardia ubriaca
 
Dopo diversi giorni di silenzio, in cui i nani cominciarono a perdere le speranze di riuscire a scappare, fu Balin, con sua sorpresa, a spezzare quella pesante quiete che si era creata da quando Legolas era andato via.
«Penso sia arrivato il momento di raccontare la verità, mia cara ragazza.» non c’era accusa nelle sue parole, nè rabbia, solo comprensione, e fu in quel momento che Lumbar capì che il vecchio nano sapeva.
«Da quanto?» gli domandò in un sussurro, dopo giorni di mutismo e immobilità. «Da quanto lo sai?»
Balin sospirò. «Dal primo momento in cui ti ho vista, temo.» disse, stupendola ancora. «Non ero sicuro, all’inizio, ma i sogni che continuavamo a fare, notte dopo notte, mi hanno dato abbastanza indizi per capire. E la tua canzone…»
«È stata la conferma finale. L’ultimo pezzo della storia.» concluse lei.
«Non ricordo tutto, ma ricordo molto. Ricordo quando sei arrivata, la tua amicizia con Thror, il tuo legame con Thrain e la nascita di Thorin. Ricordo come l’hai guardato quando Thrain te l’ha messo in braccio la prima volta, e ricordo quando lui ha cominciato a guardarti nello stesso modo. Ricordo le vostre litigate.» continuò sorridendo leggermente. «Così tremende che tu facevi tremare l’intera montagna, e ricordo quei momenti spensierati in cui vi rincorrevate felici facendo ridere chiunque vi vedesse. Ricordo le tue canzoni, che arrivavano in ogni angolo della montagna. E ricordo quel giorno, il giorno in cui tutto è finito.» rivelò facendole venire gli occhi lucidi. «Sono così addolorato per ciò che hai dovuto fare. Tu ci hai salvati, più di una volta. Non potrò mai ringraziarti abbastanza, per questo. Hai fatto in modo che avessimo un futuro e la possibilità di tornare.»
«Di che state parlando?» domandò Thorin passando lo sguardo da uno all’altra attraverso le sbarre.
«Del nostro passato.» mormorò Lumbar senza voltarsi. Era rimasta nella stessa posizione per tutto il tempo, senza bere nè mangiare e limitandosi ad ascoltare i movimenti dello hobbit all’interno del palazzo, in attesa che trovasse un modo per liberare i nani. «Del passato che non ricordi perchè te l’ho tolto, così come l’ho tolto a tutti gli altri in modo che poteste andare avanti.»
«Cosa?» chiese Thorin.
«Cos’hai fatto, tu?» sibilò Dwalin incredulo e sconvolto.
«Tranquillo fratello.» lo calmò Balin. «Non aveva scelta. Credeva che sarebbe morta, lo credevamo tutti, e sapeva che era l’unico modo per darci una possibilità di sopravvivere. Non arrabbiarti con lei per ciò che ha fatto; è la persona che ha sofferto di più, fra tutti.»
Nessuno disse niente, mentre i nani elaboravano le nuove informazioni.
«Sono io, vero?» chiese a un certo punto Thorin alzandosi in piedi e guardandola attraverso le sbarre. «Quel lui di cui parli. L’uomo per cui hai dato tutto, anche la vita.»
Lei annuì senza guardarlo, non ne aveva il coraggio.
«Perchè non me l’hai detto?» urlò sbattendo le mani sulla porta della cella, la sua voce che rimbombava attraverso le prigioni. «Avevo tutto il diritto di sapere! Sono i miei ricordi, il mio passato!»
Lumbar si irrigidì, mentre i mormorii dei nani svanivano a causa dello scoppio d’ira del loro capo.
«I tuoi ricordi? Il tuo passato?» sibilò, mentre attorno a loro un gelo prepotente, di quelli che entrano nelle ossa e paralizzano, si faceva strada inglobandoli. «Era la mia vita, Thorin! E mi è stata portata via!» la ragazza voltò la testa di scatto verso di lui per guardarlo in faccia, per mostrargli la sua espressione e tutto il dolore che aveva patito in quei decenni. «Era l’unica casa che io abbia mai conosciuto che è bruciata, quel giorno. Le uniche persone che io abbia mai, davvero, chiamato famiglia. I primi che mi hanno accolto senza aspettative, senza volere nulla in cambio.» prese fiato, ormai incapace di fermarsi. «Ero presente all’incoronazione di tuo nonno. Ho cresciuto tuo padre, insegnandogli a combattere e preparandolo a essere un buon re. Io ti ho visto nascere, Thorin Scudodiquercia.» gli svelò schietta, senza mezzi termini. «Ho aiutato tua madre a partorire sia te che i tuoi fratelli. Appena ti ho visto ho capito chi saresti diventato per i nani. E quando ti ho avuto tra le braccia, con i tuoi occhi che mi studiavano in tutta la loro intensità, ho capito chi saresti diventato per me. Sono stata una zia, una sorella, un’amica per te. Così come lo sono stata per Frerin, Dis, Dwalin e molti altri, con la mia esperienza e conoscenza del mondo. Non mi sono mai spinta oltre, in nessun modo, adeguandomi ai tuoi comportamenti, a ciò di cui avevi bisogno. Sei stato tu a cambiare, senza che me ne accorgessi. In realtà non mi aspettavo che succedesse. Sapevo cosa saresti diventato tu per me ma non il contrario, quindi non avrei mai creduto che potessi vedermi in un modo diverso da come mi avevi sempre vista. È stato Dwalin ad aprirmi gli occhi.» il nano in questione esclamò sorpreso, ma lei lo ignorò. «Il nostro migliore amico aveva visto lungo: si era accorto da tempo di come ti guardavo, ma non aveva mai detto niente rispettando il mio silenzio. E così è stato fino a quando non hai cominciato a guardarmi nello stesso modo, mentre io ero troppo cieca per capirlo, troppo impegnata a rispettare i limiti che mi ero imposta. Venne a parlarmi, ricordo ogni parola di quel giorno, e mi convinse a lasciarmi andare, a permetterci di innamorarci, senza sapere che ti amavo dal giorno in cui eri nato.» Thorin la osservava sconvolto, senza sapere cosa pensare, figuriamoci cosa dire. «Quindi non venirmi a dire che erano i tuoi ricordi e il tuo passato, perchè erano i nostri. Gli anni che ho trascorso a Erebor sono stati i più felici della mia vita. Gli unici felici. E per una persona come me, che ha visto la Terra di Mezzo cambiare e combattere per la propria libertà, la creazione degli Orchi e i Valar affrontare Morgoth, puoi ben immaginare che centottantuno anni sono ben poca cosa a confronto con il tempo passato dagli Anni degli Alberi.» concluse con gli occhi lampeggianti e lasciandoli totalmente senza parole.
«Scusa, quand’è che sei nata?» domandò Kili dopo un po’, rompendo il silenzio. «Negli Anni di cosa?»
«Gli Anni degli Alberi, ragazzo.» rispose Balin per lei, troppo impegnata a fissare Thorin che, a sua volta, non le toglieva gli occhi di dosso. «Gli Anni degli Alberi furono un periodo antecedente alla Prima Era, successivi agli Anni delle Lampade e seguiti dalla prima Era e dagli Anni del Sole, in cui ci troviamo ora. Lumbar è una delle persone più antiche della Terra di Mezzo.» spiegò.
«Accidenti se sei vecchia!» esclamò il ragazzo, spezzando così la tensione e facendo ridacchiare alcuni nani. «Certo che li porti bene i tuoi anni. Quanti sarebbero…?» domandò titubante cercando di fare il conto.
«Undicimiladuecentottantaquattro.» rispose lei tranquilla. «Senza contare i circa cinquecento degli Anni degli Alberi, che hanno una lunghezza diversa ed è complicato calcolarli. Sono più o meno gli stessi di Thranduil, forse una trentina in meno. Ormai non li conto più.» ammise alzando le spalle, ma senza distogliere lo sguardo da Thorin.
«Questo non è importante adesso.» disse Thorin facendo tornare il silenzio. «Non hai comunque spiegato perchè mi hai tolto la memoria. Perchè mi hai portato via la nostra storia?» le chiese quasi ringhiando.
«Azog.» rispose soltanto.
Sentendo quel nome Thorin si paralizzò. Lumbar vide chiaramente come cercava di capire a cosa si riferisse, fino a quando un lampo si accese nei suoi occhi.
«La Battaglia di Azanulbizar.» disse infatti. «Tu eri lì, ed è lì che lui ti ha uccisa.» Lumbar non disse niente, ma una lacrima traditrice scivolò sulla sua guancia confermando l’intuizione del nano. «Ma perchè cancellarmi la memoria?» domandò ancora, incapace di comprendere cosa l’avesse spinta a un atto così estremo. Si era seduto vicino alle sbarre, rilassando i muscoli irrigiditi e appoggiando la fronte al metallo, continuando a osservarla. «Perchè togliermi il tuo ricordo?»
«Perchè ti avrebbe ucciso.» sussurrò lei in risposta. «Non hai visto le condizioni in cui versavi. Dopo la morte di Thror e di Frerin eri a pezzi. Dovevi sostenere tuo padre, ma con la mia morte ti saresti lasciato andare per la disperazione. Ho fatto l’unica scelta possibile: ho cancellato la mia presenza nella tua vita, in modo che non ti lasciassi morire. Volevo che tu vivessi anche per me, ma sapevo che non ci saresti riuscito. Fosti tu a dirmelo, e vedendoti così devastato, quel giorno, compresi che purtroppo avevi ragione.» la disperazione che entrambi avevano provato in quel momento traspariva da ogni parola che la ragazza pronunciava, atterrendo il nano e i suoi compagni. Lumbar abbassò lo sguardo, incapace di osservarlo mentre raccontava la parte peggiore. «Non mi ero sacrificata, salvandoti, perchè tu ti lasciassi morire dal dolore della mia perdita. Non l’avrei mai permesso. Tu dovevi vivere per entrambi, e dovevi guidare il tuo popolo alla salvezza. Così raccolsi le mie ultime energie e recitai l’incantesimo. È stata la cosa più difficile che abbia mai fatto.» confessò. «Morire, in confronto, è stato facile. Vedere che ti rendevi conto di cosa stavo facendo, che ti accorgevi che i ricordi cominciavano a svanire, e sentire che mi pregavi di fermarmi, di non farlo, di non toglierti la nostra storia... la tua disperazione... è stato devastante. Non so chi dei due abbia pianto di più. Risvegliarmi e capire che non ero morta è stato il colpo di grazia.» strinse le mani tra loro, sbiancandone le nocche dalla forza che usò. «Venni a cercarti. Volevo sapere come stessi, ovviamente. Ancora non sapevo quanto tempo fosse passato, lo scoprii viaggiando. E sempre viaggiando seppi dove vi eravate stabiliti. Quando ti trovai, molto tempo dopo, sembravi così tranquillo. Sentivo che il dolore della perdita era ancora presente, ma sentivo anche che lo stavi accettando. Ti stavi rifacendo una vita, così come tutti gli altri, e non me la sono sentita di stravolgerla con un racconto che non potevo dimostrare. Non avevo il diritto di portarti via quella parvenza di serenità che avevi, così me ne andai. Tornai alla nascita di Fili e Kili, come ero stata presente alla tua volevo esserlo anche alla loro, e tornai anche altre volte, non rivelando mai chi fossi davvero. Ero la giovane vagabonda che ogni tanto passava a raccontare storie, quella che attirava sempre l’attenzione dei bambini che volevano sapere le avventure della Terra di Mezzo, e che non si fermava mai più di qualche giorno.»
«Aspetta, parli della Settimana delle Storie?» la interruppe Fili. «Quella che tutti, dai neonati ai ragazzi più grandi, persino gli adulti, aspettavano con impazienza?»
Lei scosse la testa. «Ancora mi chiedo perchè abbiate dato un nome alle mie visite.» commentò con un lieve sorriso in volto.
«Perchè non avremmo dovuto?» ribattè Fili. «Venivi una volta all’anno, sempre nello stesso periodo e sempre per lo stesso tempo. È ovvio che le abbiamo dato un nome. Adoravamo quelle storie. Ora capisco perchè portavi sempre il cappuccio e non parlavi mai di te.»
«Perchè non hai spezzato l’incantesimo?» domandò Thorin, zittendo il nipote.
«Idiota.» borbottò Dwalin nel silenzio che si era creato.
Lumbar osservò Thorin in silenzio, attraverso le grate delle loro celle, e dette mentalmente ragione a Dwalin.
«Questa domanda potevi risparmiartela.» disse, infatti, al nano. «Credi davvero che non ci abbia provato?» gli domandò bloccando le sue proteste sul nascere.
Thorin confermò a se stesso di essere un idiota, dando ragione a entrambi. Era ovvio che ci avesse provato, chiunque l’avrebbe fatto. 
«Perchè non ci sei riuscita?» chiese, infine.
Lei alzò le spalle. «Temo di aver fatto il lavoro troppo bene, dovevo essere davvero disperata.» il nano alzò un sopracciglio e lei spiegò meglio. «È il miglior incantesimo che abbia mai lanciato. Particolarmente complesso e meravigliosamente riuscito. Disgraziatamente.»
«Ma ora stiamo ricordando.» si intromise Balin. «I sogni sono tutti ricordi, e gli elfi sanno la vostra storia. Anche gli orchi e i goblin.» aggiunse, ripensando alle conversazioni avute con il Grande Goblin e Azog. «Perchè?»
Lei sospirò, scuotendo la testa. «Ho una teoria, ma non è nient’altro che questo. La verità è che non lo so, non dovreste ricordare.»
«Quale teoria?» domandò Dwalin, impaziente.
«Non so quando il processo è iniziato.» premise lei. «Ma ricordo quasi perfettamente cosa dissi durante l’incantesimo. Probabilmente state ricordando perchè Thorin si sta avvicinando a quella che lui riconosce come Casa, il luogo a cui appartiene.» spiegò semplificando le cose in modo che capissero. «Credo di aver inserito una specie di condizione affinchè l’incantesimo svanisse, non ne sono sicura. Ero un po’ morta, sapete, e stavo dicendo addio alla mia ragione di vita.» non si preoccupò di nascondere cosa provasse per Thorin, ormai era chiaro a tutti quindi non si trattenne, ignorando volutamente l’espressione nel nano in questione.
 

 
****

 
Passarono un altro paio di giorni tranquilli prima che le cose cambiassero. Erano trascorse circa due settimane da quando erano stati imprigionati e Lumbar sapeva che Bilbo aveva escogitato qualcosa.
L’elfa Tauriel stava facendo il suo solito giro di perlustrazione come ogni giorno, passando davanti alle celle dei nani e salutando Lumbar con un cenno, quando si fermò. Lumbar non poteva vederla, ma riusciva tranquillamente a sentire cosa diceva.
«La pietra che hai in mano.» disse a un nano. «Che cos’è?»
Dopo qualche secondo di silenzio il nano rispose. «È un talismano.» il nano era Kili. «Un potente incantesimo l’avvolge. Se qualcuno oltre ai nani leggesse queste rune… sarebbe eternamente dannato!» concluse facendo sorridere Lumbar per la scemenza che aveva appena detto.
Tauriel fece appena un paio di passi, prima di venire fermata dalla voce di Kili. «O no! Dipende se credi in quel tipo di cose, è solo un ricordo.» esclamò, infatti, confermando il pensiero di Lumbar che fosse uno scherzo e facendo tornare indietro l’elfa. «È una pietra runica.» disse sincero, con la voce malinconica. «Me l’ha data mia madre perchè ricordassi la mia promessa.»
«Quale promessa?» domandò curiosa Tauriel.
«Che sarei tornato da lei.» rispose il nano come se fosse ovvio. «Si preoccupa.» sospirò. «Mi ritiene spericolato.» spiegò ridendo leggermente.
«E lo sei?» chiese Tauriel.
Non sai quanto, pensò Lumbar senza dire niente. Non voleva intromettersi tra i due.
«Nah.» disse Kili nello stesso momento, mentre lanciava in aria la pietra.
Al posto che prenderla al volo, però, gli cadde e sarebbe precipitata nel vuoto se Tauriel non l’avesse fermata con il piede. L’elfa la prese e la studiò, osservandola attentamente, mentre le voci degli elfi in festa li raggiungevano dalla parte alta del palazzo.
«Sembra che stiate facendo una gran festa lassù.» mormorò, infatti il nano.
«È Meleth en Gilith, la Festa della Luce Stellare.» spiegò l’elfa. «Tutta la luce è sacra per gli Eldar, ma gli elfi silvani adorano la luce delle stelle.»
«L’ho sempre trovata una luce fredda.» disse il nano. «Remota, e molto lontana.»
«Essa è memoria.» ribattè l’elfa avvicinandosi alla sua cella. «Preziosa e pura. Come la tua promessa.» concluse restituendo la pietra al proprietario. «Sono andata lì, qualche volta.» riprese poi. «Oltre le foreste, di notte. Ho visto il mondo cadere via, e la luce bianca dell’eternità riempire l’aria.»
«Ho visto una luna di fuoco, una volta.» disse il nano. «Si era levata sul passo vicino a Duillond. Enorme, rossa e dorata era, riempiva il cielo. Scortavamo alcuni mercanti da Ered Luin; loro scambiavano lavori in argento con pellicce. Prendemmo il verdecammino a sud, tenendo la montagna a sinistra. E poi è apparsa, un’enorme luna di fuoco illuminava il sentiero. Magari potessi mostrarti le caverne sotto quelle montagne…»
Lumbar e Tauriel non erano le uniche ad ascoltare: Legolas, infatti, era immobile su una sporgenza, nascosto agli occhi dell’elfa, e osservava la scena con un cipiglio sul volto. Bilbo, invece, sembrava essere diversi piani più in basso. O almeno così pensava, basandosi su ciò che aveva sentito fino a quel momento.
Passò qualche altro minuto prima che Tauriel si allontanasse e solo in quel momento Legolas si avvicinò alla cella di Lumbar, osservandola.
«Mi dispiace.» gli disse lei ricambiando lo sguardo.
«Per cosa?» domandò lui, non capendo.
Lumbar fece un cenno nella direzione di Kili, provocando una smorfia sul volto dell’elfo.
«Non voglio parlarne.» commentò.
«Perchè sei qui?» domandò allora, assecondandolo.
«Mio padre vuole sapere se ti va di unirti a noi per i festeggiamenti.» spiegò, prendendola alla sprovvista. «Non me l’aspettavo.» ammise.
«Nemmeno io.» Lumbar sospirò, passandosi una mano sul volto stanco e ripensando all’ultima volta che aveva partecipato al Meleth en Gilith. «Per quanto mi piacerebbe esserci, per quanto mi manchino queste tradizioni, non ho intenzione di allontanarmi da loro.» disse indicando con un cenno i nani. «E sappiamo entrambi che non sono invitati.»
Legolas annuì.
«Ringrazia tuo padre da parte mia, per favore, e digli che apprezzo il suo invito. Ascolterò i vostri canti da qui, così come riesco a sentire la luce delle stelle nonostante non possa vederle.»
«Certo.» acconsentì lui. «Se ti serve qualcosa fammi chiamare.» disse prima di voltarsi e incamminarsi verso i festeggiamenti.
«Legolas.» lo chiamò lei facendolo fermare sui gradini.
Lui voltò la testa per osservarla, in silenzio.
«Non avercela con lei.» continuò la ragazza, mentre un lampo passava negli occhi del biondo. «Non si sceglie di chi innamorarsi.»
Legolas non rispose, limitandosi a voltarsi e allontanarsi in totale silenzio, mentre Lumbar sospirava piano appoggiandosi con la schiena alla parete della sua cella. Non voleva che il suo amico soffrisse, ma in quella situazione sapeva che sarebbe successo. E le dispiaceva.
 

 
****

 
«Scommetto che il sole sta sorgendo.» pronunciò Bofur con sconforto dopo diverse ore di silenzio, facendosi sentire da tutti. «Dev’essere quasi l’alba.»
«Non raggiungeremo mai la Montagna, non è vero?» rincarò Ori.
«Io non dubiterei troppo.» mormorò Lumbar con un sorriso in volto, mentre si alzava in piedi e si sporgeva verso l’esterno attraverso le grate, attirando la loro attenzione.
«Non chiusi qui dentro di certo.» esclamò piano Bilbo apparendo davanti alla sua cella e a quella di Thorin con le chiavi delle prigioni in mano, riportando un po’ di speranza tra i nani.
«Finalmente.» esclamò la ragazza. «Ti ho sentito andare su e giù per il palazzo tutto il tempo, aspettando che trovassi un modo per farli uscire.»
«Cosa?» esclamò Thorin, osservandola.
Lo hobbit lo ignorò. «Non potevi farli uscire tu?» domandò osservando le sue armi ancora appese alla cintura.
«Avevo fiducia nelle tue capacità. E poi ho promesso a Thranduil che non li avrei fatti evadere. Dovresti saperlo, ci hai ascoltati.» gli fece notare.
«Cosa?» domandò nuovamente Thorin facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza.
«Bilbo è rimasto nelle vicinanze della sala del trono, dopo che ti hanno portato via.» spiegò al nano sotto l’attenzione completa dei membri della compagnia, che si erano tutti alzati impazienti di uscire da lì. «Ha ascoltato quello che il re degli elfi e io ci siamo detti, come Legolas. E poi ha ascoltato anche le nostre conversazioni, dopo che il biondino ha vuotato il sacco. Non è stato sempre qui, tornava ogni tanto a controllarci.»
I nani cominciarono a esultare, mentre lo hobbit apriva la porta della cella di Thorin.
«Shhhh!» li zittirono Lumbar e Bilbo. «Ci sono le guardie nelle vicinanze.»
Poi lo hobbit passò alla cella di Lumbar, che lo fece fare nonostante avrebbe potuto liberarsi da sola, e si diresse verso gli altri lasciando la ragazza e il nano l’uno di fronte all’altra. In completo silenzio.
Non sapevano come agire; attorno a loro una coltre di disagio li aveva avvolti, soffocandoli. Lumbar non aveva idea di come comportarsi, ora che Thorin sapeva la verità e il nano, dal canto suo, non sapeva più cosa pensare. Aveva riflettuto molto da quando aveva saputo come stavano le cose, ma non era arrivato a capo di niente. Aveva compreso che i sogni che stava facendo in quel periodo erano la vera versione del suo passato, quella che lei gli aveva in parte raccontato, e si ritrovava molto in quei ricordi, come se il suo corpo accettasse quella realtà facilmente. Ma la sua mente, purtroppo, non la smetteva un attimo di ragionare, portandolo ad analizzare ogni singola cosa, anche la più piccola, nel tentativo di sbrogliare quella matassa ingarbugliata che era diventata. E doveva ammettere che non ci riusciva; più passava il tempo, più non riusciva a capire perchè lei avesse fatto tutto quello, nonostante glielo avesse spiegato. Era arrabbiato nei suoi confronti, molto, e sconvolto; ma c’era anche qualcos’altro che premeva per uscire, confondendolo ancora di più perchè non riusciva a capire cosa fosse. Se solo fosse stato in grado di ricordare chiaramente come Balin era sicuro che avrebbe avuto tutto più chiaro, sarebbe stato tutto più semplice; ma sapeva che, per riuscirci, sarebbe dovuto tornare a Casa, così si ritrovò più determinato che mai a riprendersi la Montagna, la sua patria, in modo da riuscire a spezzare definitivamente quell’incantesimo maledetto. Nel frattempo avrebbe cercato di capire come comportarsi con la ragazza, consapevole che tutto fosse cambiato.
«Non di là, quaggiù. Seguitemi.» esclamò Bilbo attirando la loro attenzione e interrompendo quell’eterno scambio di sguardi.
Lo hobbit li stava conducendo giù per una scala, nelle profondità del palazzo, e Lumbar comprese in fretta quale fosse il suo piano. Strisciarono fin nelle cantine più basse. Passarono davanti a una porta attraverso la quale poterono vedere il capoguardia e il maggiordomo, Galion, beatamente intenti a russare con un bel sorriso dipinto sul volto. Il vino di Dorwinion fa dormire e sognare cose belle, ricordò Lumbar. Il giorno dopo ci sarebbe stata un’espressione diversa sul volto del capoguardia.
«Non ci credo, siamo nelle cantine!» protestò Kili.
«Dovevi portarci fuori, non ancora più all’interno!» continuò Bofur, facendo attenzione a non svegliare i due elfi.
«So quello che faccio.» rispose lo hobbit, mostrando poi loro dove andare.
Lumbar gli fece l’occhiolino quando lo raggiunse poi, però, si irrigidì e il mezzuomo lo notò.
«Entrate tutti nei barili.» disse loro Bilbo, indicando dei grossi barili accatastati in modo ordinato accanto a loro. «Presto!»
I nani cominciarono a protestare.
«Sei impazzito?!» chiese Dwalin, avvicinandosi. «Ci troveranno.»
«No no, non è così, te l’assicuro.» gli disse, prima di rivolgersi a tutti. «Vi prego! Vi prego! Dovete fidarvi di me.»
I nani cominciarono a parlottare tra loro, perdendo tempo prezioso mentre Lumbar e Thorin stavano in disparte, lei con gli occhi chiusi e le orecchie elfiche ben tese, lui ad osservarla per capire cosa ci fosse che non andasse.
«Falli entrare in quei barili.» mormorò la ragazza al nano accanto a lei. «Adesso.»
«Che succede?» domandò lui mentre Bilbo spostava la sua attenzione su di loro.
«Hanno trovato le celle vuote.» rispose riaprendo gli occhi e puntandoli in quelli di ghiaccio del nano.
«Fate come dice!» ordinò allora agli altri, facendo procedere il piano dello hobbit.
«Funzionerà.» li tranquillizzò la ragazza mentre aiutava i nani a sparire all’interno dei barili.
Una volta che furono tutti nascosti, Bofur sporse fuori la testa per osservare Bilbo e Lumbar, ancora in piedi.
«Adesso che facciamo?» domandò facendo uscire le teste degli altri, in attesa di una risposta.
Lumbar e Bilbo si scambiarono uno sguardo mentre il mezzuomo appoggiava le mani su una leva accanto a lui, poi tornarono a guardare i nani.
«Trattenete il fiato.» disse la ragazza.
Nello stesso momento Bilbo spinse la leva, aprendo una botola sotto i barili e facendoli, così, precipitare nel fiume che scorreva sotto il palazzo e che li avrebbe portati sulle rive del lago. Le botti, con i nani urlanti al loro interno, rotolarono all’interno del fiume, mentre la botola si richiudeva sopra di loro separandoli dagli altri due. Lumbar si irrigidì sentendo Tauriel, alcuni piani più su, chiedere dove fosse Galion che, in quel momento, si stava svegliando a pochi passi da loro facendo agitare lo hobbit. La ragazza, mantenendo il sangue freddo, lo prese per un braccio camminando sulla botola fin quando il loro peso non la fece aprire di nuovo, facendoli finire a loro volta nel fiume mentre salutava Tauriel, che la osservava dalla botola, con un sorriso. Siamo scappati appena in tempo, pensò mentre la botola si chiudeva, separandoli definitivamente. I nani si erano aggrappati a delle sporgenze per aspettarli, e Lumbar aiutò Bilbo ad afferrare uno dei barili, mentre Thorin si complimentava con lui per il piano e le faceva spazio nel suo.
«L’hai davvero salutata?» domandò il mezzuomo, incredulo.
Lumbar si strinse nelle spalle mentre un sorrisetto si faceva spazio sul suo volto. «È gentile, non volevo si sentisse responsabile per la nostra fuga.»
«Oppure volevi prenderla in giro con un silenzioso “ciao ciao, ci vediamo”?» ribattè, facendola ridere.
Si lasciarono trasportare dalla corrente verso valle, affrontando le cascate e le rapide del fiume cercando di non affogare. Lumbar si voltò verso la grotta da cui erano usciti e vide Legolas osservarli, insieme a Galion. Il sorriso che le era rimasto sul volto scomparve.
«Oh oh.» mormorò attirando l’attenzione di Thorin, dietro di lei, che la teneva stretta a sè.
«Che succede?»
In quel momento il suono di un corno si sparse nell’aria e sentirono altre voci di elfi qualche decina di metri più avanti.
«Chiudono il cancello, ecco che succede.» disse lei cercando di sollevarsi e uscire dal barile.
«Cosa stai facendo?» domandò il nano cercando di fermarla.
«Rimedio al problema.» disse lei, ovvia, mentre qualcosa attirava la sua attenzione. «Anche perchè non è l’unico problema che abbiamo.» commentò impallidendo e dandosi lo slancio necessario per saltare e atterrare sul ponte sopra di loro prima che la botte venisse bloccata dalle grate chiuse del cancello, seguita dalle altre.
Gli elfi sulla chiusa avevano imbracciato le armi rivolgendole contro di lei. La ragazza li ignorò e prese l’arco dalle sue spalle, incoccò una freccia e mirò verso uno di loro. Per qualche secondo nessuno si mosse, in quella strana impasse. Poi l’elfo a cui Lumbar stava mirando venne colpito alle spalle da una freccia, cadde nel fiume e lasciò il posto a un orco, che venne prontamente ucciso dalla freccia già incoccata della ragazza. Subito gli elfi rivolsero le loro armi contro il loro nuovo nemico, ma gli orchi erano troppi e li avevano colti di sorpresa.
Lumbar venne accerchiata in fretta e non riuscì ad avvicinarsi alla leva che avrebbe aperto il cancello, permettendo agli altri di continuare. Sentiva le voci preoccupate dei nani chiamarla, metterla in guardia, ma era troppo concentrata nel cercare di liberarsi di quegli esseri per farci davvero caso.
«Uccideteli tutti.» sentì dire da un orco che riconobbe come Bolg, il figlio di Azog.
«Andiamo sotto il ponte!» urlava Thorin, nel tentativo di far riparare i suoi compagni mentre si difendevano come potevano. «Presto!»
Lumbar tentò di arrivare alla leva e aprirla ma era troppo in difficoltà, gli orchi erano ovunque e lei cercava in tutti i modi di tenerli lontani dai nani. A un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione dall’angolo del suo campo visivo: dava le spalle al ponte, la testa voltata di lato nel tentativo di respingere l’attacco di un orco che aveva provato a prenderla di sorpresa con la mazza ferrata, ma riuscì comunque a vedere Kili arrampicarsi su per il ponte e dirigersi verso la leva, mentre affrontava degli orchi con una spada lanciatagli da Dwalin. Era bravo, si difendeva bene, ed era sempre più vicino alla leva.
Nel momento in cui Lumbar uccise l’orco con cui era impegnata, si guardò intorno e vide Bolg prendere l’arco e puntarlo contro Kili, una freccia nera incoccata, proprio mentre il ragazzo stava per abbassare la leva.
«NO!» gridò saltando verso il ragazzo e facendo voltare gli altri nella sua direzione.
Ma Bolg aveva già scoccato la freccia, e lei potè soltanto prendere al volo il nano quando venne colpito alla coscia destra.
«Kili!» urlò suo fratello, ma lei non ci fece caso e sostenne il giovane mentre Tauriel colpì un orco sopra di loro e lo uccise.
Le due si osservarono, poi Tauriel le fece un cenno con la testa e riprese a combattere mentre Legolas spuntava fuori dagli alberi e li raggiungeva.
Lumbar si rivolse a Kili, ancora concentrato sull’elfa. «Capisco che Tauriel sia bellissima e che ti piaccia, ma ti pare il momento di contemplarla come un babbeo che non ha niente di meglio da fare? Tua madre ha ragione: sei davvero spericolato.» domandò ironica facendolo arrossire prima di continuare, più seria. «Appoggiati a me con tutto il tuo peso e alzati. Sto assorbendo il tuo dolore, ma dovrò curarti e non posso farlo qui. Dobbiamo aprire quel cancello e allontanarvi il prima possibile da questo posto.» poi avvolse una mano attorno alla freccia. «Farà male.» disse, sincera. «Ma se non la tolgo subito avrai troppo veleno in circolo per sopravvivere.»
Il ragazzo annuì osservandola e, quando lei tirò via la freccia dalla sua carne, un grido strozzato lasciò le sue labbra. Poi entrambi si rimisero in piedi e il nano si rese conto che era vero: Lumbar stava assorbendo il suo dolore e lui riusciva a sopportare meglio la ferita, per quanto bruciasse infiammandogli il corpo.
Si aggrapparono entrambi alla leva e tirarono, aprendo finalmente i cancelli della chiusa e permettendo ai loro compagni di scorrere via insieme al fiume. Alcuni di loro si erano aggrappati al ponte, in attesa che li raggiungessero e Lumbar aiutò Kili a calarsi nuovamente nel suo barile.
«Sbrigati ragazza!» le urlò Dwalin, ma lei era già corsa oltre il ponte, verso valle, all’inseguimento di Bolg e degli orchi che, a loro volta, inseguivano la compagnia di Thorin; così anche gli ultimi nani si lasciarono trascinare dalle correnti, finendo per raggiungere il resto del gruppo.
Gli orchi li attaccavano ogni volta che le correnti li avvicinavano troppo alle sponde del fiume e tentavano in tutti i modi di colpirli con le loro frecce nere, ma i nani erano attenti e riuscivano a difendersi nonostante l’assurda situazione in cui si trovavano. Lumbar, d’altra parte, era messa meglio e rincorreva e uccideva ogni orco che vedeva, saltando da una roccia all’altra, da una sponda all’altra, arrampicandosi sugli alberi e correndo sui loro rami per colpirli dall’alto, e più orchi uccideva più si avvicinava ai suoi compagni, che riusciva anche a tenere d’occhio. Era una vera macchina da guerra. Veloce, agile e letale, si era accorta di Legolas, Tauriel e gli altri elfi che li stavano raggiungendo, ma non se ne curava; l’unica sua preoccupazione era portare al sicuro i suoi compagni e prendersi cura della ferita di Kili. Agli elfi ci avrebbe pensato in un secondo momento.
I nani si passavano le armi, aiutandosi a vicenda, e ogni tanto osservavano Lumbar, che procedeva parallelamente a loro sulle sponde del fiume. A volte se la ritrovavano persino a volare sopra le loro teste per passare da una parte all’altra; ma tra le rapide e i continui attacchi degli orchi non potevano distrarsi troppo a lungo.
I nani tagliarono, uno dopo l’altro, un tronco che fungeva da ponte tra le due sponde, attraversando il fiume, pieno di orchi; li fecero cadere tra le correnti e Lumbar ne approfittò per uccidere i pochi ancora vivi che li avevano osservati passare. Poi cambiò nuovamente sponda per riprendere la caccia. O l’inseguimento.
Aveva appena ucciso un orco quando un tonfo alle sue spalle la fece girare di scatto: Bombur stava rotolando, ancora dentro il suo barile, verso di lei e senza controllo. La ragazza spalancò gli occhi e fece l’unica cosa che le venne in mente: saltò sul barile e proseguì la discesa verso valle tenendosi in equilibrio su di esso mentre rotolava e saltava da una riva all’altra travolgendo ogni orco che trovava sul suo cammino, sotto lo sguardo incredulo dei nani e dello hobbit. Quando, poi, Bombur si schiantò su una parete di roccia, semi-devastando il suo barile, la ragazza lo aiutò a rimettersi in piedi e lo voltò verso il fiume. Lui, dato che riusciva a vedere grazie a un buco all’altezza degli occhi, cominciò a combattere contro gli orchi con due asce che aveva fatto fuoriuscire dal barile assieme alle braccia. Combatteva come se niente fosse, usando il barile come armatura e girando su se stesso, finchè non distrusse totalmente l’oggetto e corse verso il fiume, saltando dentro un altro barile vuoto e lanciando le asce a Dwalin, che le prese al volo mentre la ragazza passava sopra di lui dopo essersi assicurata che Bombur fosse al sicuro e atterrava sull’altra sponda, riprendendo a combattere come se niente fosse.
Legolas li aveva raggiunti ed era saltato in mezzo al fiume, usando le teste dei nani come appoggio per i piedi, per colpire più orchi possibile con le sue frecce; poi era tornato su una sponda, aveva combattuto qualche altro orco e aveva di nuovo utilizzato le teste dei nani, stavolta come passaggio per andare sulla riva opposta.
Lumbar lo vide combattere contro diversi orchi e saltò sul barile di Thorin, tenendosi in bilico sui bordi di legno per non calpestarlo come aveva fatto l’elfo.
«Permetti, tesoro?» domandò al nano, che si affrettò a tenerla per le caviglie per impedirle di cadere nel fiume.
Thorin la osservò con un sopracciglio alzato, non capendo cosa volesse fare, ma lei non lo degnò di uno sguardo, troppo concentrata a rinfoderare la spada e a puntare l’arco contro l’elfo, per poi lanciare una freccia che si conficcò nella testa di un orco che stava per colpirlo alle spalle e ucciderlo.
Quando vide che Legolas aveva ucciso quello con cui era impegnato e si era voltato a guardarli, Lumbar si rimise l’arco a tracolla e gli fece un cenno con la testa, poi si infilò all’interno del barile ritrovandosi il volto serio e velatamente preoccupato di Thorin davanti agli occhi. Gli orchi, infatti, erano stati tutti uccisi, e in ogni caso li avevano distanziati abbastanza, così come gli elfi. Potevano tirare, momentaneamente, un sospiro di sollievo.
Thorin le accarezzò delicato una guancia, toccandola appena, nel punto in cui un orco le aveva procurato un taglio, e Lumbar gli sorrise dolcemente appoggiando completamente il volto sul suo palmo. Stava bene, stavano bene entrambi, e quando quella consapevolezza colpì il nano Lumbar lo vide rilassare le spalle, prima di venire attirata contro di lui, che la strinse in un travolgente abbraccio. Era sporca di sangue suo e degli orchi da capo a piedi, ma non le importava: aspettava quel momento da centoquarantadue anni, e voleva goderselo il più possibile. Ricambiò la stretta, appoggiando la testa nell’incavo del suo collo, respirando il suo odore che sapeva di casa, e si rilassò, consapevole che quell’attimo di quiete non sarebbe durato a lungo. Sapeva che il nano era turbato e aveva delle domande, molte domande, e sapeva che meritava delle risposte che solo lei avrebbe potuto dargli; ma sapeva anche che prima si sarebbe dovuta occupare della ferita del nipote, o il veleno lo avrebbe ucciso. Decise, comunque, di tranquillizzarlo almeno un po’.
«Tutto quello che ho fatto, dal mio sacrificio all’incantesimo al non essermi mostrata dopo, l’ho fatto per te.» gli disse all’orecchio. «Perchè ti amo. E rifarei tutto di nuovo se volesse dire saperti vivo e al sicuro. Anche a costo della mia felicità.» ammise tranquilla, in pace con sè stessa per quella verità.
Lui non rispose, limitandosi a stringerla più forte consapevole di quanto fosse sincera. Riusciva a ricordarla, infatti, ricordava il loro passato. Non tutto, purtroppo, ma abbastanza da riconoscerla e da riconoscere i sentimenti che avevano ripreso a bruciare dentro di lui la prima volta che l’aveva rivista, allora inconsapevole che non si fossero mai davvero spenti. La sua mente aveva dimenticato, certo, ma il suo corpo, chissà come, non aveva mai smesso di ricordarla. E lui si era innamorato di lei senza avere idea di chi fosse, senza sapere che la amava già da due secoli.
Rimasero così, abbracciati, mentre il fiume li portava sempre più a valle insieme ai loro compagni, che avevano assistito alla scena in silenzio, ma felici. Finalmente il loro re aveva qualcuno al suo fianco, e loro avevano ritrovato un membro importante della loro famiglia. Non potevano che gioirne.
A un certo punto, Lumbar si irrigidì nella stretta del nano, preoccupandolo. Ebbe appena il tempo di mormorargli la parola “visione”, tranquillizzandolo solo in parte, prima che la sua mente la catapultasse in un altro luogo.

 
Gandalf era arrivato alle Colline di Rhudaur. Riusciva a vederlo mentre si inerpicava sulle rocce con passo sostenuto, complice la gravità della situazione, dirigendosi verso la tomba nascosta nelle profondità della pietra. Lo stregone salì a fatica i gradini usurati, e in parte distrutti, dal tempo e osservò l’ingresso prima di oltrepassarlo: il pesante cancello di metallo nero era stato divelto e ripiegato verso l’esterno, come se qualcuno, dall’interno, lo avesse sfondato per uscire. Per poco lo stregone non cadde nelle profondità della montagna, quando scivolò lungo il corridoio in discesa subito al di là del cancello; fortunatamente riuscì a non perdere l’equilibrio e a non precipitare. Accese la pietra sul suo bastone, portando un po’ di luce in quella caverna oscura, e osservò davanti a sè: dall’altra parte del baratro, piantato nella roccia, un altro cancello divelto faceva mostra di sè nelle stesse condizioni del primo. Non significava niente di buono, lo sapevano entrambi.
Gandalf percorse, rasente al muro, una stretta passatoia in pietra e si infilò nel passaggio ancora più oscuro del precedente, oltre il secondo cancello. Andò sempre più in profondità nella montagna. Alla fine di uno stretto e corto corridoio, la tomba di solida roccia in cui il re degli Stregoni di Angmar era stato rinchiuso si mostrava al Grigio non più intatta, ma spezzata, con il coperchio divelto e ridotto in pezzi, dal cui interno volò fuori un pipistrello che lo fece spostare di scatto.
Fu in quel momento che entrambi si accorsero di Radagast, arrivato silenziosamente dietro di lui.
«Ah, sei tu.» sospirò il Grigio.
«Perchè sono qui, Gandalf?» domandò, tranquillo, il Bruno mentre faceva appollaiare degli uccellini nel nido sotto il suo cappello.
«Fidati di me, Radagast.
» rispose Gandalf. «Non ti avrei convocato qui senza un buon motivo.»
Radagast si rimise il cappello, nascondendo nido e uccelli, e osservò l’amico. «Questo non è un bel posto per incontrarsi.» commentò.
«No, non lo è.» la sua voce grave mostrava quanto fosse spiacevole quella situazione. E non solo, mostrava tutta la sua preoccupazione, che normalmente lui teneva celata.
«Sono incantesimi oscuri, Gandalf.» commentò Radagast osservando le scritte incise nella pietra sopra il cancello più interno. «Antichi. E pieni di odio. Chi è sepolto qui?»
«Se aveva un nome è da molto tempo che è andato perduto.» rispose Gandalf. «Solo Lumbar, forse, se lo ricorda; ma dubito che lo direbbe mai. Sarebbe stato conosciuto solo come Servo del Male.» spiegò affiancandolo sul baratro e facendo luce verso il basso, mostrando le fila di tombe sotto di loro, tutte con i cancelli scardinati come quelli che avevano passato. «Uno dei tanti.» concluse mentre la sua voce rimbombava attraverso la roccia. «Uno dei Nove.»
I due stregoni uscirono in fretta e in silenzio da quel posto maledetto, e solo quando furono all’esterno Radagast pose la domanda che lo stava tormentando.
«Perchè ora, Gandalf? Non capisco.»
«I Nazgul sono stati convocati a Dol Guldur.» rispose il Grigio.
«Ma non può essere il Negromante.» considerò Radagast. «Uno stregone umano non potrebbe evocare un tale male.» gli fece notare, mentre si allontanavano dalle Colline di Rhudaur.
«Chi ha detto che era umano?» chiese con voce grave Gandalf, fermandosi sotto un albero morto e facendo voltare Radagast terrorizzato. «I Nove rispondono a un solo padrone.» continuò osservando l’orizzonte. «Siamo stati ciechi, Radagast. E nella nostra cecità il Nemico è tornato. Sta convocando i suoi servi.» si voltò verso l’altro stregone. «Azog il Profanatore non è un comune cacciatore, è un comandante. Un comandante di legioni. Il nemico si prepara per la guerra.» Radagast lo osservava senza parole, troppo spaventato per commentare. «Comincerà nell’Est.» continuò Gandalf. «La sua mente è fissata su quella Montagna!» si incamminò a passo svelto, superando l’altro.
«Ma dove vai?» domandò il Bruno.
«A raggiungere gli altri.» rispose senza fermarsi.
«Gandalf.» lo richiamò il Bruno, facendolo voltare.
«Io ho iniziato il tutto. Non posso abbandonarli.» lo rimbeccò. «Sono in grave pericolo. E Lumbar lo sapeva.»
«Se quello che dici è vero, è il mondo ad essere in grave pericolo.» gli fece notare Radagast con la tranquillità che lo caratterizzava. «Il potere in quella fortezza potrà solo aumentare.» Continuò.
«Tu vuoi che metta i miei amici da parte.» mormorò Gandalf. «Vuoi che metta Lumbar da parte.»
«Proprio perchè Lumbar è con loro, so che puoi farlo. La conosciamo abbastanza da sapere che probabilmente sta avendo una visione di noi proprio adesso.» gli fece notare il Bruno.
 

In quel momento la visione sfumò e tornò presente a se stessa. 
I nani, dopo essersi assicurati di aver distanziato gli orchi, stavano tentando di raggiungere la sponda rocciosa del fiume; impresa decisamente più semplice del previsto grazie al fatto che avevano perso la corrente.
Dopo aver mandato una muta richiesta a Galadriel, Lumbar accantonò la visione appena avuta, relegandola nell’angolo della sua mente con su scritto ‘ci penso più tardi’, e aiutò Thorin a far arrivare il loro barile a riva.
Una volta con i piedi ben piantati sulla roccia, anche se bagnata dalla testa ai piedi, si diresse subito verso Kili, che aveva fatto in tempo a muovere qualche passo all’asciutto prima di cadere in ginocchio gemendo di dolore a causa della ferita alla coscia.
«Sto bene, non è niente.» commentò rivolto a Bofur, che lo stava osservando preoccupato, mentre si tamponava il sangue.
«In piedi.» disse Thorin passando loro accanto.
«Kili è ferito. Bisogna fasciargli la gamba.» commentò Fili dopo aver raggiunto il fratello.
Thorin si voltò a osservare i quattro: Lumbar era inginocchiata davanti al ragazzo e studiava la ferita mentre cercava di fermare il sangue, Fili era al fianco del fratello e li osservava preoccupato, come Bofur appostato di fronte ai due e accanto alla ragazza.
«Abbiamo un branco di orchi alle calcagna, continuiamo a muoverci.» ricordò loro.
«Verso dove?» chiese Balin.
«La Montagna.» rispose Bilbo. «Ci siamo quasi.»
«Un lago si trova tra noi e quella Montagna.» gli fece notare l’anziano. «Non c’è modo di attraversarlo.»
«Ci gireremo intorno.» disse, allora, Bilbo.
«Gli orchi ci piomberanno addosso, sicuro come la luce del sole.» commentò Dwalin, positivo come al solito. «Non abbiamo armi per difenderci, a parte Lumbar. Ma lei non può proteggerci tutti.»
La ragazza non disse niente, nonostante le occhiate che le stavano lanciando, troppo presa a cercare di guarire la gamba di Kili; o, per lo meno, cercava di alleviargli il dolore come aveva fatto prima.
«Fasciategli la gamba, presto.» disse Thorin, impaziente, passando nuovamente accanto ai quattro. «Avete due minuti.»
«Non basteranno.» mormorò Lumbar attirando la loro attenzione.
«Che intendi?» domandò Thorin avvicinandosi.
«Lumbar…» protestò debolmente Kili, ma lei lo zittì con lo sguardo.
«È una ferita grave, anche se non sembra. Fasciarla non basterà. Devo prima tentare di guarirla, o anche solo migliorarla fermando la fuoriuscita di sangue.»
«Cerca di fare in fretta.» acconsentì lanciandole uno sguardo preoccupato. Per quanta fretta avesse, non voleva perdere uno dei suoi nipoti.
 

 
****
 

Dopo una decina di minuti, spesa nel più completo silenzio, Lumbar era riuscita a rallentare l’emorragia quanto bastava per poter fasciare la gamba di Kili; anche se non aveva potuto assorbire tutto il veleno che aveva nel corpo, era riuscita comunque a rallentarlo, dandogli così più tempo in modo che riuscissero a trovare ciò che le serviva per curarlo più facilmente. Non aveva detto a nessuno del veleno, Kili non voleva che lo sapesse nemmeno il fratello.
Stava avvolgendo la benda attorno alla coscia quando un movimento attirò la sua attenzione, ma continuò imperterrita nel suo lavoro affiancata da Fili.
Un’ ombra si stagliò vicino a loro, facendo voltare chi le dava la schiena. Un uomo dai capelli scuri lunghi fino alle spalle imbracciava un arco, puntando una freccia contro Ori. Dwalin si mise tra i due impugnando minaccioso un bastone contro di lui che, di rimando, gli scagliò la freccia contro incastrandola nel legno tra le sue mani. Poi l’uomo si volse verso Kili che, contrariando la ragazza, si era alzato con una pietra nella mano destra pronta a lanciargliela addosso. L’estraneo scagliò una seconda freccia nella sua direzione, colpendo la pietra e dimostrando di avere un’ottima mira, poi ne incoccò una terza.
«Fatelo di nuovo…» disse tenendo tutti sotto tiro. «…e siete morti.»
Balin fece qualche passo avanti, lentamente, attirando la sua attenzione e quella della sua freccia, che si ritrovò puntata contro. Aveva, furbamente, alzato le mani come a mostrare di non avere cattive intenzioni.
«Eh, scusami ma… sei di Pontelagolungo se non vado errato.» commentò rallentando il passo. «Quella… quella tua chiatta… ehm… non sarebbe possibile noleggiarla, per caso?»
L’arciere abbassò l’arco e i nani si rilassarono. Lumbar si era rimessa il cappuccio, durante il piccolo diverbio, e nessuno ci aveva fatto caso più di tanto, nemmeno l’arciere che non l’aveva neanche notata. La ragazza costrinse Kili a sedersi di nuovo, poi finì di avvolgergli la benda attorno alla gamba e si raccomandò di non sforzarla, nè di sforzarsi in generale o avrebbe fatto circolare più velocemente il veleno nel suo sangue, diminuendo il tempo a loro disposizione.
Nel frattempo i nani e lo hobbit avevano seguito l’umano verso un pontile e la chiatta che aveva visto Balin. I due li raggiunsero in fretta per non perdersi niente.
«Cosa ti fa pensare che vi aiuterò?» domandò l’arciere caricando i barili con cui erano scesi lungo il fiume.
«Quegli stivali hanno visto giorni migliori.» notò Balin, continuando la trattativa che aveva avviato. «Come quel cappotto. Ah! No, sospetto che tu abbia delle bocche da sfamare, eh… quanti bambini?»
L’arciere si fermò prima di caricare sulla chiatta l’ennesimo barile e si voltò a guardarlo. «Un maschio e due femmine.» rispose  prima di riprendere a fare il suo lavoro.
«E tua moglie immagino che sia una bellezza.» continuò il nano.
L’uomo lasciò il barile accanto agli altri sulla chiatta, ma non si voltò.
«Che tatto, Balin. Complimenti.» commentò piano Lumbar, facendosi sentire solo dai nani.
Il sorriso che il vecchio nano aveva sul volto si affievolì fino a scomparire del tutto, quando l’arciere confermò quello che aveva implicitamente fatto intuire lei.
«Sì.”», infatti, l’uomo senza voltarsi, con il dolore intriso nella voce. «Lo era.»
«Mi dispiace, non intendevo…» cominciò il vecchio nano osservando l’espressione dell’arciere.
«Ah, avanti basta. Bando alle ciance.» si lamentò Dwalin.
«Perchè tanta fretta?» domandò l’uomo, insospettito.
«Perchè ti interessa?» ribattè il nano.
«Ah, vorrei sapere chi siete.» rispose l’arciere scendendo dalla chiatta e fermandosi davanti a Balin. «E che cosa ci fate in queste terre.»
«Siamo dei semplici mercanti delle Montagne Blu.» li giustificò il nano. «In viaggio per vedere i nostri parenti sui Colli Ferrosi.»
L’uomo alzò un sopracciglio, scettico. «Semplici mercanti? Tu dici?» caricò un altro barile.
«Ci occorrono cibo, provviste, armi.» intervenne Thorin. «Puoi aiutarci?»
L’uomo lo osservò un attimo, prima di poggiare la mano sul bordo dell’ultimo barile che aveva caricato.
«Lei mi sembra ben armata.» commentò indicando Lumbar. Non l’aveva vista in volto, ma il vestiario che portava non nascondeva il suo essere una donna, inoltre le sue armi erano in bella vista. Alcune. L’uomo prese un respiro profondo e impedì loro di ribattere. «So da dove sono arrivati questi barili.» gli disse.
«Perciò?» chiese Thorin lanciando uno sguardo a Lumbar.
«Non so che affari avevate con gli elfi, ma non credi sia finita bene.» commentò in risposta l’uomo osservandolo. «Si entra a Pontelagolungo solo con il permesso del governatore.» continuò cominciando a slegare la cima di ormeggio. «Tutte le sue ricchezze vengono dagli scambi col Reame Boscoso. Ti metterebbe ai ferri prima di rischiare l’ira di Re Thranduil.» spiegò loro lanciando la cima addosso a Balin.
«Offrigli di più.» bisbigliò Thorin a Balin, che lo osservava in cerca di un consiglio su cosa fare.
«Scommetto che ci sono altri modi per entrare non visti.» ribattè allora il vecchio nano all’uomo.
«Certo.» rispose lui appoggiando arco e faretra sulla chiatta. «Ma per quello vi ci vorrebbe un contrabbandiere.» concluse cominciando ad armeggiare con la seconda cima.
«Per il quale pagheremmo il doppio.» commentò Balin che l’aveva affiancato dal molo.
L’uomo si raddrizzò, osservandolo attentamente, poi fece lo stesso con i compagni. In quel momento Lumbar si irrigidì e i nani lo notarono subito.
«Cosa c’è?» le chiese Thorin attirando l’attenzione dell’uomo su loro due.
«Dobbiamo andare. Adesso.» rispose lei, con l’attenzione rivolta a ciò che sentivano le sue orecchie: gli orchi, infatti, si avvicinavano sempre di più; non ci avrebbero messo molto a raggiungerli.
«Tu…» mormorò confuso l’arciere spostando nuovamente l’attenzione su di sè. «La tua voce…»
Lumbar avanzò, sotto lo sguardo confuso dell’uomo, e quello ancora più confuso dei nani e dello hobbit, e si tolse il cappuccio mostrando il suo volto all’arciere.
«Sì.» confermò mesta. «È da un po’ che non ci vediamo.»
Gli occhi dell’uomo si sgranarono dalla sorpresa. Che ci faceva lei lì? Aveva detto che non sarebbe tornata, o che sarebbero passato molti anni. Credeva sarebbe stata via parecchio più tempo e, invece, se la ritrovava lì dopo nemmeno un decennio. Non capiva cosa le avesse fatto cambiare idea.
«Dopo le domande.» lo anticipò lei. «Ti spiego più tardi.» si rivolse ai nani. «E a voi spiegherò come lo conosco. Ma ora non abbiamo tempo.»
A quel punto l’arciere annuì e li fece accomodare sulla chiatta, slegando poi l’ultimo ormeggio e partendo verso Pontelagolungo.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Josy_98