Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Lily_of_the_Valley01    19/07/2021    1 recensioni
Finite le lezioni all'università, Chiara torna al paese in cui è cresciuta in cerca di pace e serenità. Ha sempre amato il fiume che scorre poco lontano dal borgo, ma chissà che in una calda giornata di luglio esso non le porti qualcosa di inaspettato. Cosa lega Giulio, lo strano uomo che incontra sulle rive del fiume, e Andrea, il ragazzo con gli occhi del colore dell'acqua che la aiuta in un momento di difficoltà? E Chiara, che ha sempre avuto paura dei sentimenti, riuscirà a uscire dal suo guscio e a non perdere l'occasione di essere felice?
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il giorno dopo decido di tornare al fiume. Il primo tentativo è andato male, d'accordo, ma oggi andrà sicuramente meglio. Del resto quali sono le probabilità che il mio angolino preferito sia ancora occupato? Non ci passa poi così tanta gente da queste parti, e quello che porta sulla riva è un sentiero che non vedi, se non sai che è lì.

Mentre mi allaccio le scarpe da ginnastica mi raggiunge la voce di mia madre. «Stai uscendo di nuovo?» mi chiede.

Aggrotto la fronte. «In che senso "di nuovo"?» ribatto. Per oggi non ho ancora messo piede fuori di casa.

Lei mi guarda dalla poltrona sulla quale è accoccolata e si stringe nelle spalle. «Ieri pomeriggio sei sparita per diverse ore» mi fa notare.

«Sono andata a passeggiare giù al fiume» la informo, senza capire il perché di quell'interrogatorio inaspettato.

«Mh-mh» è l'unica risposta che ottengo. Mia madre riabbassa gli occhi grigi sul romanzo che sta leggendo e conserva una perfetta faccia da poker. È una professoressa, insegna filosofia in un liceo classico e sono più che sicura che durante le interrogazioni sia assolutamente terrificante. Poveri studenti.

Mi alzo in piedi per fronteggiarla meglio. «Be'? Si può sapere cosa c'è?» Ho la netta sensazione che voglia spingermi ad ammettere qualcosa. Dal momento che però non ho nulla da confessare, il suo atteggiamento mi confonde.

«No, niente» dice, senza alzare lo sguardo dal suo libro. «Mi chiedevo solo se per caso non avessi incontrato qualcuno dei tuoi vecchi amici.»

Ah, ecco. Spera che stia già socializzando, il che è piuttosto preoccupante, se consideriamo che siamo arrivate a San Tommaso solo un paio di giorni fa. L'estate si prospetta pericolosamente lunga, se questo è il modo in cui intende affrontarla.

«No, non ho incontrato nessuno» ribatto. Non è del tutto vero, ma quello che voglio dire è che non ho incontrato nessuno di interessante. «A dire il vero non so nemmeno se abitano ancora da queste parti.»

«Matteo e Letizia sì. Sandra è tornata per l'estate e Michele dovrebbe venire qui almeno per i week-end» mi informa solerte lei.

Perfetto, penso. Si è già informata per bene, a quanto pare. Non dico che la cosa non mi faccia in un certo senso piacere, ma mi mette addosso anche un po' di agitazione. Voglio decidere io come e quando riallacciare i rapporti con il passato.

«Ah, ok» taglio corto. «Va be', io vado, eh.»

«Ancora al fiume?»

Indico la mia tenuta sportiva. «Vado a correre» rispondo pronta. «Ho deciso di provare a ricominciare a farlo. Non può che farmi bene, no?»

Un sopracciglio nero e perfettamente disegnato schizza verso l'alto. «E lo fai alle due di pomeriggio?» mi chiede senza preoccuparsi di nascondere lo scetticismo.

Non ha tutti i torti, ma io mi stringo nelle spalle. «Un orario vale l'altro. Adesso almeno girano meno zanzare che alle sei di sera.»

«Mh.»

Alzo gli occhi al cielo. «A dopo, ma'» sospiro, agitando una mano in segno di saluto e infilando velocemente la porta. 

Per il primo tratto di strada corricchio davvero, anche se le mie gambe stentano un po' a riconoscere il ritmo che un tempo era loro famigliare. Forse quella di ricominciare a correre non è poi un'idea malvagia. Certo, dovrei farlo a un orario migliore: mia madre ha ragione. Oggi però i pantaloncini sportivi e il top rosa fluo che indosso sono solo un travestimento, un qualcosa per giustificare la mia presenza sulla strada sterrata per il secondo giorno di fila. E se...

Sì, va be'. Sono paranoica. Il fatto è che su questa cosa ci ho rimuginato ieri sera, prima di riuscire a prendere sonno. Mi sono immaginata di tornare al fiume e di trovare ancora il tipo che ci ho trovato ieri. Se per due giorni di fila ci incontrassimo nello stesso posto isolato dal mondo, potrebbe pensare che lo stia facendo apposta.

Potrei cambiare orario, mi sono detta. Ma no: c'è una parte scaramantica della mia mente che mi impone di ripetere quasi alla perfezione i gesti che ho compiuto ieri, come se così facendo potessi cancellare e superare la piccola delusione che ho provato trovando il mio posticino segreto già occupato da un estraneo.

Ed ecco che entrano in gioco le scarpe ammortizzate e i calzoncini da runner: se dovessi incrociarlo di nuovo (improbabile, ma non impossibile) potrei spacciarmi per un'atleta con una routine consolidata e non ci farei la figura dell'idiota. O almeno spero.

Dal momento però che io non sono un'atleta, appena mi allontano a sufficienza dal centro abitato rallento il passo fino a camminare. Ho corso per dieci minuti scarsi e già mi fa male la milza e un rivoletto di sudore mi scivola lungo le tempie. Mi porto automaticamente una mano alla nuca, lì dove i miei capelli lunghi sono raccolti in una coda alta. Caldo. Fa davvero troppo caldo per fare questi exploit fisici.

Proseguo camminando fino al sentiero dietro al masso e quando lo raggiungo mi accorgo di avere il cuore in gola. Ridicola, mi dico. Sei ridicola.

E nonostante riconosca io stessa quanto il mio atteggiamento sia stupido, mi avvio trotterellando giù lungo il sentiero, con tutta l'aria di una che stava già correndo sulla strada e ha semplicemente deciso di fare una piccola deviazioni per rinfrescarsi nell'acqua del fiume. Le rane e i moscerini apprezzeranno la mia performance, spero.

Quando arrivo a pochi passi dall'acqua mi accorgo però di avere anche un altro spettatore. Non è possibile! Penso fermandomi di colpo e rischiando di incespicare nei miei stessi piedi. Il tipo di ieri è ancora qui e la realtà dei fatti inizia ad assumere forma davanti ai miei occhi: il mio posticino è anche il suo. Il mio santuario è stato violato. Dovrò trovarmi un altro luogo in cui rilassarmi e riordinare i miei pensieri.

La mia è sicuramente una reazione eccessiva, ma per una manciata di secondi i miei occhi si riempiono di lacrime. Le ricaccio indietro, ma il nodo che mi stringe la gola non si allenta.

Lui, la mia nemesi, è praticamente nella stessa posizione in cui l'ho lasciato ieri: seduto a terra, gambe raccolte al petto, jeans scuri e camicia bianca risvoltata sugli avambracci. La camicia di oggi è, se possibile, ancora più ridicola di quella di ieri: solo un idiota si vestirebbe di bianco e poi andrebbe a sdraiarsi sull'erba. 

A differenza di ieri, però, si è già girato a guardarmi e sul suo volto passa immediatamente un guizzo di riconoscimento. Dio, questa cosa è imbarazzante, penso. Non so perché, ma ho come l'impressione che sia consapevole che la mia corsetta improvvisata è solo una farsa.

Ormai però sono qui e non posso fare altro che proseguire nella mia pantomima. Mi costringo a staccare gli occhi dal tipo seduto per terra e gli volto le spalle, comportandomi come se la sua presenza non mi turbasse affatto.

Con tutta la calma del mondo – e con i muscoli un po' più rigidi del normale, ma potrebbe pensare che sia colpa della corsa che in teoria ho fatto – porto le braccia sopra alla testa e mi stiracchio inarcando la schiena. Poi piego una gamba e stiro il quadricipite. Si faceva così, no?

L'acqua mi chiama. La calura è opprimente e la brezza fresca che spira dal centro del fiume ha un effetto quasi ipnotizzante. Senza nemmeno rendermene conto mi chino e mi tolgo le scarpe, poi entro nell'acqua bassa. I miei piedi affondano nell'impalpabile sabbietta grigio-argento che si è accumulata nell'ansa creata dal corso d'acqua. Le onde fredde mi lambiscono appena le caviglie, ma è già sufficiente perché una sensazione di profondo benessere si impossessi di me, salendo dalle gambe e arrivando fino al centro del petto. Mi era mancato. Il fiume, intendo.

Se fossi sola lancerei le scarpe sul prato e mi rimboccherei un po' i pantaloncini, poi mi siederei sull'erba che cresce sulla riva e lascerei che le mie gambe vengano sommerse completamente dall'acqua. Dal momento che però non sono sola, valuto per un attimo le mie opzioni. All'improvviso un ricordo mi attraversa la mente. Quando io e gli altri eravamo bambini, questo praticello nascosto dalla vista era il nostro posto preferito, ma bastava seguire il corso del fiume per pochi metri per approdare su una seconda spiaggetta.

Era piccola, ed era una spiaggia vera e propria, con il fondo di sabbia e non di erba, ma non era male. È esattamente quello cha fa al caso mio.

Cammino seguendo la corrente, senza voltarmi per controllare se l'invasore mi stia osservando. La vegetazione è più rigogliosa di quanto non ricordassi e i rami degli ontani si spingono sull'acqua, costringendomi a scostarli con entrambe le mani. Anche il fondo del fiume è un po' cambiato, e lì dove un tempo c'era solo morbida sabbia spunta adesso qualche ciottolo arrotondato. Porca vacca, penso quando il mio alluce destro urta dolorosamente contro una pietra che non avevo visto. 

La spiaggia c'è ancora, più o meno. Il fiume deve però aver cambiato leggermente il suo corso, o il suo livello deve essersi alzato, perché al posto della sabbia morbida che ricordavo trovo una fanghiglia grigiastra ben poco accogliente: non c'è nemmeno da pensare di sistemarsi qui.

Chiudo gli occhi ed esalo pesantemente. Si vede che non è proprio destino. Con la coda tra le gambe torno sui miei passi, sollevando in maniera esagerata le ginocchia per affrontare meglio la corrente. Quando approdo sulla spiaggia erbosa dalla quale ero partita solo un minuto prima, getto a terra le scarpe e mi concedo un secondo sospiro. 

E niente. Anche oggi niente da fare. Domani proverò a cambiare orario... sempre ammesso che io abbia davvero voglia di tornare qui. Questo posto sta iniziando a perdere un po' del suo fascino.

Quando mi giro per tornare verso il sentiero - e al diavolo i piedi bagnati - incontro gli occhi scuri del tipo con la camicia. Mi sta osservando, com'è naturale che sia, e sul suo volto pallido c'è un'espressione che non so bene come interpretare.

«Una volta lì dietro c'era un'altra spiaggetta» dico, prima di riuscire a trattenermi. Non so perché, ma mi sento in dovere di dargli qualche spiegazione.

Lui sgrana gli occhi, come se non si aspettasse che gli rivolgessi la parola. 

«Adesso però non c'è più» proseguo. Forse è una mia impressione, ma la mia voce suona un po' strozzata. Perché gli sto dicendo queste cose? Perché dovrebbe fregargliene un accidente di quello che gli sto raccontando? «Il fiume... il livello dell'acqua dev'essersi alzato e adesso è quasi del tutto sommersa.»

Silenzio. Poi lui annuisce. «Ah.»

Brava, Chiara, hai fatto la figura dell'idiota, mi dico. Adesso vattene. Però non mi schiodo e continuo a incontrare gli occhi del tizio. Sono dei begli occhi, adesso che li guardo bene. Sono dei banali occhi marroni, sì, ma hanno una forma elegante, un po' allungata. Gli danno quasi un'espressione dolce, in netto contrasto con il resto dei suoi lineamenti, che sono invece un po' duri, affilati. E sì, il naso è decisamente storto: forse se l'è rotto ed è guarito male.

Quando mi accorgo che lo sto fissando da un po' troppo tempo, distolgo lo sguardo. Sto arrossendo? Deglutisco e mi chino per raccogliere le scarpe. «Be'... io vado.»

«No, aspetta!» Non ho fatto nemmeno due passi, ed ecco che la sua voce mi richiama. Mi volto per lanciargli un'occhiata interrogativa e vedo che si sta alzando, spolverandosi con una mano i jeans per liberarli dai fili d'erba che ci sono rimasti attaccati. «Me ne vado io.»

Una parte di me esulta per quella svolta inaspettata, ma un'altra parte è invece mortificata: nonostante tutto, non intendevo cacciarlo. «Ma no, non è il caso» esclamo, sollevando una mano come per fermalo. «Posso tornare un'altra volta.»

Lui mi rivolge un sorriso quasi impercettibile, fatto con un solo angolo della bocca. «Già ieri sei passata di qui e non hai trovato posto» mi dice, e non so perché, ma il fatto che anche lui si ricordi di me mi sorprende. «Facciamo un po' per uno.»

Mi mordo le labbra e abbasso gli occhi, annuendo grata. «Be', allora grazie.» Dopo qualche secondo indico con una mano il piccolo spiazzo erboso. «Da bambina venivo spesso in questo posto, ma adesso manco da qualche anno. Ci sono affezionata.»

Lui fa un cenno d'assenso con il capo. «Piace molto anche a me: lo trovo rilassante.»

L'uomo si guarda attorno e dalla postura del suo corpo mi accorgo che non è particolarmente felice all'idea di andarsene prima del previsto, e la cosa non fa altro che alimentare i miei sensi di colpa. Probabilmente la cosa giusta da fare sarebbe proporgli di rimanere entrambi: del resto, il prato può ospitare comodamente quattro o cinque persone. Però c'è qualcosa di intimo nel condividere uno spazio tanto isolato con un perfetto sconosciuto, e il solo pensiero di farlo mi mette a disagio. Anche perché questo è uno sconosciuto decisamente imponente: alto e solido, con spalle larghe e braccia che la camicia sembra faticare a contenere. Avverto uno strano pizzicorino a livello dello stomaco che non ho nessuna intenzione di esaminare troppo da vicino.

Quando non rispondo alla sua ultima osservazione - a quanto pare ero troppo occupata a studiare i muscoli che si possono indovinare al di sotto della stoffa bianca per accorgermi che i tempo stava passando - il tipo si avvia verso il sentiero che conduce alla strada. Quando mi passa accanto, si ferma per una frazione di secondo. «Buona giornata, allora.»

Io sorrido, anche se ormai lui è passato oltre. «Altrettanto», rispondere, prima di aggiungere, a voce più alta: «E grazie!» 

L'ho praticamente urlato e, prima di sparire oltre la vegetazione, lui si volta per rivolgermi un cenno di saluto e un sorriso che questa volta lascia intravvedere anche un po' di denti.

Mh, penso, lasciandomi cadere sull'erba fresca. Magari l'ho giudicato male. 

Chissà come si chiama, mi chiedo qualche istante più tardi. Chissà se è uno che viene da fuori, o se invece è di San Tommaso.

La curiosità mi solletica il petto e io passo il resto del pomeriggio a pensare a come soddisfarla.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Lily_of_the_Valley01