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Autore: Nana_13    21/07/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

 

L’eredità dei Danesti

 

Il panorama che comparve davanti ai loro occhi quando uscirono dal portale non era molto diverso da quello che avevano lasciato, non fosse stato per l’atmosfera, più cupa rispetto ai caldi colori di Portiñho, e per il clima notoriamente freddo della Scozia. Anche il cielo era passato dall’azzurro al grigio plumbeo e minacciava pioggia.

Dopo aver superato un gruppo di rocce, misero piede su una vasta spiaggia, racchiusa in una conca creata da alte scogliere a picco sul mare. A differenza del Portogallo, però, da quelle parti tirava un vento molto forte e onde impetuose si infrangevano contro gli scogli, facendo un gran fracasso. 

Rachel si strinse nel giubbotto, mentre si guardava intorno alla ricerca di un punto di riferimento, qualcosa che avesse un riscontro con la sua visione. In cuor suo aveva sperato che, una volta lì, sarebbe riuscita un minimo a orientarsi, invece si sentiva più spesata che mai. Le colline ricche di vegetazione erano come le ricordava, ma nelle vicinanze non c’era traccia di grotte e tantomeno di case. 

“Riconosci il posto?” le chiese Dean di lì a poco, a voce alta per sovrastare il rumore del vento.

Impiegò qualche secondo a rispondergli, ancora impegnata a studiare la zona. “A grandi linee dovremmo esserci, ma non vedo niente di familiare. Non credo che sia il punto preciso della mia visione.” disse poi, guardando dritto davanti a sé. Evidentemente l’uscita del portale non coincideva con la loro destinazione definitiva.

“Perché la cosa non mi sorprende?” commentò Cedric pungente, alzandosi il bavero fin sotto il naso. “Fa un freddo micidiale qui. Troviamo riparo da qualche parte, prima di congelare.” suggerì Mark, incamminandosi per primo verso il pendio della scogliera. 

Per fortuna, c’era un sentiero che saliva su dalla spiaggia fino alla sommità. Un po’ ripido, ma almeno non dovettero scarpinare sulla nuda roccia, rischiando di scivolare e farsi male. Lassù l’aria era meno sferzante, anche se comunque gelida, e poterono dare un’occhiata dall’alto a ciò che li circondava. Per un po’ rimasero ammutoliti ad ammirare la bellezza della costa scozzese, che proseguiva a perdita d’occhio verso l’orizzonte. Sembrava di trovarsi in un panorama incantato, appena uscito da un libro di fiabe; poi il clima rigido ricordò loro che era meglio non attardarsi oltre e proseguirono lungo il margine della strada deserta.

Camminarono per un bel pezzo, con l’intento di raggiungere la cittadina che avevano intravisto da lontano e magari trovare un pub in cui rifugiarsi e mandar giù qualcosa di caldo. Se non fosse stato che non avevano un soldo per pagare.

“Quasi mi pento di aver dato l’orologio a quel tizio. A quest’ora avremmo potuto ricavarci un bel gruzzolo.” esordì Mark, dopo diversi minuti di silenzio. Ormai era praticamente buio, quindi non si accorse del disappunto stampato sulla faccia di Rachel, o forse sì ma semplicemente evitò di incrociare il suo sguardo. 

“Parli di questo?” 

Si voltarono tutti verso Dean, che aveva appena estratto un oggetto tondo e scintillante dalla tasca e ora lo stava facendo penzolare davanti ai loro occhi. 

“Ma come diavolo…” Cedric boccheggiò allibito, fissando l’orologio senza riuscire ad aggiungere nient’altro.

“Forse avrebbe fatto meglio a tenerlo al polso invece che in tasca.” disse lui con il solito aplomb, mentre lo riconsegnava al legittimo proprietario. 

Lo stupore e lo spaesamento sul volto di Mark erano palesi e ci mise qualche secondo a realizzare di avere di nuovo il suo orologio tra le mani, ma poi gli rivolse un’occhiata riconoscente. “Grazie.” mormorò, probabilmente chiedendosi al pari di tutti gli altri come avesse fatto a riprenderlo senza che Gonçalo si accorgesse di nulla. 

Dean si limitò ad annuire appena, smettendo di guardarlo subito dopo, e Juliet fu l’unica a farci caso. Non si trovava a suo agio in certe situazioni e lei lo sapeva bene. Tuttavia, non disse niente, non riuscendo però a trattenersi dal sorridere. Avrebbe potuto interpretare la parte del duro freddo e distaccato quanto voleva, ma il suo animo generoso tornava sempre in superficie. 

Con aria soddisfatta, Cedric si sfregò le mani l’una con l’altra per scaldarle. “Meno male. Stasera si mangia.” commentò, beccandosi subito l’ennesima occhiata fulminante di Rachel. “Scherzavo.” si giustificò allora, con un mezzo sorriso colpevole.

“È una fissazione la vostra.” mugugnò lei, mentre riprendevano a camminare. Non le andava proprio giù che Mark sacrificasse l’unico oggetto che lo legava alla sua famiglia in un periodo in cui ne avevano già dovute penare abbastanza. Per un istante aveva addirittura pensato di vendere la sua collana, pur di salvare l’orologio, rendendosi poi conto che avrebbe potuto ancora servirle, oltre all’importante valore affettivo che aveva per lei.

Proseguirono per diversi metri su un sentiero sterrato, intorno a loro solo un paesaggio brullo di ciottoli e sterpaglie, finché non si ritrovarono sulla strada che avevano visto dall’alto e che sembrava condurre in città. Le sue luci non erano poi così lontane e Rachel sperò con tutte le sue forze che si trattasse proprio della Durness del cartello. 

Mancava davvero poco ormai, quando il silenzio della strada deserta fu interrotto dall’arrivo di una macchina. I fari, più abbaglianti man mano che si avvicinava, li costrinsero a coprirsi gli occhi e si fermarono, convinti che li avrebbe superati. Inaspettatamente, invece, rallentò, fino ad accostarsi. 

Pensando subito al peggio, considerate le recenti esperienze con i vampiri, Dean si parò davanti a Juliet in un riflesso condizionato, togliendole per un attimo la visuale sul finestrino che si abbassava lentamente. Alla guida c’era una donna, anzi una ragazza, a una prima occhiata poco più grande di loro, con i capelli rosso fuoco tagliati a caschetto e penetranti occhi azzurro intenso. In testa portava un berretto di pelliccia.

Per qualche secondo rimase a studiarli uno a uno, come se fosse combattuta tra parlare con loro o richiudere il finestrino e tirare dritto. Il suo sguardo si fermò infine su Rachel, che sembrava averla particolarmente colpita. “Sei Rachel?” le chiese infatti poco dopo, spiazzandola del tutto.

Era talmente incredula nel sentire quella domanda, che lì per lì non riuscì neanche ad aprire bocca.

“È questo il tuo nome?” scandì la ragazza insistente, forse pensando che non l’avesse capita. “Sei Rachel o no?”

“Tu chi sei?” Dean si intromise tra le due, ma venne ignorato perché la sconosciuta continuò a fissare Rachel in attesa di risposta.

“Come sai il mio nome?” le chiese a quel punto, piuttosto intimorita. 

Lei, però, distolse lo sguardo, controllando la strada davanti a sé, prima di tornare su di loro. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Salite in macchina.” disse schietta; poi, vedendoli esitare, sospirò seccata. “Una volta arrivati saprete tutto, ma adesso dobbiamo andare. Non è prudente restare allo scoperto.”

“Una volta arrivati dove?” replicò Cedric confuso e allarmato allo stesso tempo. 

Anche Dean condivideva la sua reticenza. “Perdonerai se non ci fidiamo a salire nell’auto di un’estranea…”

“Conosco chi state cercando.” lo interruppe a quel punto, arrendendosi all’inevitabile. “Mi ha mandato lei a prendervi.” 

Rachel boccheggiò incredula. Con “lei” intendeva forse… 

Dall’altra parte, intanto, la ragazza iniziava sul serio a spazientirsi. “Allora, salite o no? Non ho tutta la notte.” li incalzò, premendo il piede sul pedale dell’acceleratore per indicare che se non si fossero decisi nel giro di due secondi li avrebbe lasciati a piedi.

Così, dopo essersi scambiati l’uno con l’altro un’occhiata di conferma, misero da parte qualsiasi sospetto e obbedirono. Dean prese posto davanti, pronto a qualunque evenienza, mentre gli altri si strinsero sui sedili posteriori della jeep color sabbia. 

Lungo tutto il tragitto provarono a farle qualche domanda, chi l’avesse mandata, come facesse a sapere che erano in Scozia, ma lei non si prese mai la briga di rispondere in maniera esaustiva, limitandosi a ripetere che lo avrebbero scoperto a tempo debito e concentrandosi sulla guida. In effetti, si accorsero che andava decisamente oltre i limiti consentiti, quasi temesse di avere qualcuno alle calcagna e non vedesse l’ora di arrivare. 

Usciti dalla strada principale, attraversarono il sentiero sterrato che conduceva in fondo alla vallata, andando nella direzione opposta a dove si stavano dirigendo loro. 

-Quindi quella non era Durness. Perfetto - si disse Rachel, in verità per nulla sorpresa. Forse da soli non sarebbero mai riusciti a trovarla, anche se ora a quanto sembrava non ce n’era più bisogno. Certo, il fatto che la ragazza dai capelli rossi sapesse il suo nome la metteva parecchio a disagio, così come ignorare completamente a cosa stessero andando incontro. D’un tratto, si ritrovò a chiedersi se fosse stata davvero una buona idea salire su quell’auto.

Trascorsa poco meno di un’ora di viaggio, la jeep intraprese un secondo sentiero verso le scogliere, il mare a qualche metro sotto di loro. Il terreno non era tra i più regolari, ma non sembrava un problema per la loro accompagnatrice, che girava tranquillamente il volante con una mano sola mentre l’altra era fissa sulla leva del cambio.

Tutto a un tratto videro comparire quasi dal nulla una piccola costruzione in muratura, invisibile fino a pochi istanti prima, con accanto un’altra casupola di dimensioni ancora più modeste e poco oltre un mulino, le cui pale giravano, pigramente sospinte dal vento. Il tutto era circondato dalla natura e più andava avanti più Rachel riconosceva nel paesaggio gli elementi della sua visione. 

“Eccolo!” non poté esimersi dall’esclamare, mostrando tutta la sua sorpresa. “È questo il posto che ho visto!”

“Ma da dove è saltato fuori? Un attimo fa non c’era!” osservò Cedric spaesato, dando voce al pensiero comune. 

Qualche metro ancora e la macchina si fermò di colpo. Non ebbero nemmeno il tempo di chiederlo che la ragazza si era già tolta la cintura ed era scesa, lasciandoli a guardarsi perplessi.

Subito dopo si affacciò di nuovo dentro, squadrandoli con un sopracciglio alzato. “Beh? Che aspettate?”

Senza neanche aspettarli, aprì il cancelletto d’ingresso al cottage e imboccò sparata il cortile, dando per scontato che la stessero seguendo. Raggiunta la soglia della porta, una voce femminile esordì dall’interno, facendoli trasalire.  

“Ayris?”

La ragazza si bloccò di colpo. “Sono io.” confermò.

“Non farli avanzare oltre.” 

Ayris allora sollevò un braccio, facendo loro segno di fermarsi; poi seguì qualche istante di silenzio, in cui si guardarono intorno con i nervi a fior di pelle.

“È il ragazzo biondo.” 

Non appena l’ebbe sentita, Ayris si voltò verso Cedric e lo afferrò per un braccio, torcendoglielo dietro la schiena in modo da spingerlo contro il muro. Solo in quel momento la proprietaria della voce si palesò oltre la porta, accorrendo a darle man forte.

“Ehi!” protestò lui, cercando invano di divincolarsi sotto lo sguardo sbigottito degli altri. Le due donne, però, gli avevano già tirato su il giubbotto e il maglione. “Signore! Signore! Non so cosa abbiate in mente, ma possiamo discutern…” 

“Fermo!” gli impose la strana donna del cottage, mettendo fine ai suoi sproloqui mentre appoggiava entrambi i palmi delle mani sulla parte bassa della sua schiena e chiudeva gli occhi, assumendo un’espressione concentrata.

“Che sta facendo?” domandò Juliet allarmata, senza ottenere la minima attenzione.

I tentativi di Cedric di liberarsi si fecero più insistenti quando la parte toccata dalla donna iniziò a bruciargli e non riuscì a trattenere un gemito di dolore. Lei però non gli diede importanza e continuò a premere, finché una calda luce gialla scaturì dalle sue mani, illuminando tutto per qualche secondo. Sulla pelle del ragazzo comparve tutto a un tratto uno strano simbolo somigliante a una specie di sole, ma più stilizzato, con un cerchio al centro da cui partivano ramificazioni di forme diverse. Solo le due donne, però, erano abbastanza vicine da vederlo.

A lavoro ultimato, entrambe si rilassarono, lasciando Cedric di nuovo libero di muoversi. 

Guardandole indignato, si massaggiò la parte dolorante, prima di risistemarsi i vestiti addosso. “Si può sapere che accidenti mi avete fatto?” 

“Avevi un vegvisir dietro la schiena. Mi sono solo limitata a rimuoverlo.” spiegò senza scomporsi la donna misteriosa.

Per niente sicuro di aver sentito bene, Cedric aggrottò la fronte confuso. “Cosa avevo?”

“Un vegvisir. Una sorta di tatuaggio runico invisibile. Serve a tracciare i movimenti di chi vi è stato marchiato, in modo da seguire ogni suo spostamento.”

Dean allora realizzò. “Ecco come facevano ogni volta a sapere dove eravamo.” Era sicuramente opera di Byron. Solo lui avrebbe potuto inventarsi una diavoleria del genere, oltre ad essere l’unico nella Congrega ad averne le capacità. 

“Sì e dobbiamo sperare che non abbiano fatto in tempo a vedervi arrivare qui. Ho avvertito la presenza della runa nell’esatto istante in cui avete messo piede sul suolo scozzese. Per questo ho raccomandato ad Ayris di fare in fretta.” aggiunse lei, soffermandosi su ognuno di loro.

Rachel però non la ascoltava affatto, concentrata com’era a studiare ogni dettaglio della sua fisionomia ora che riusciva a vederla meglio sotto la luce della lampada appesa sopra la porta. Non l’aveva mai vista prima, eppure sentiva di conoscerla già. I capelli castano scuro, l’ovale del viso, il naso regolare ma non troppo… Tutto di lei le ricordava la persona con cui aveva più familiarità in assoluto: se stessa. Solo in una versione più matura. Non erano identiche, come era successo a Juliet e Claire con le altre sorelle Danesti, solo molto somiglianti. A quel punto, non riuscì più a trattenersi. “Margaret…” mormorò in tono incerto.

Solo quando i loro sguardi si incontrarono seppe con certezza di aver indovinato.

“Tu devi essere Rachel.” constatò la donna, riservandole un’attenzione speciale. Aveva tutta l’aria di chi a stento crede ai propri occhi, ma che si sforza di mantenere comunque un certo contegno.

Per tutta risposta, Rachel deglutì, sentendo il cuore batterle più forte nel petto. “Mi conosce?”

Fu allora che le labbra di Margaret si piegarono in un sorriso compiaciuto e insieme emozionato. “È da tempo che ti sto aspettando.”

 

-o- 

 

Come accadeva ormai da giorni, Claire venne scortata da Dustin fino al luogo dell’ennesimo appuntamento con Nickolaij. Ormai era diventata un’abitudine, tanto che non provava neanche più a rifiutarsi, anzi, pur di non dover rimanere rinchiusa nelle quattro mura della sua camera, sola con i suoi pensieri, avrebbe accettato di andare ovunque lui volesse. Inoltre, stava scoprendo un lato del suo aguzzino che mai si sarebbe aspettata, un lato comprensivo, quasi umano. La trattava sempre con rispetto e gentilezza, come se comprendesse cosa stava vivendo, e Claire non riusciva a spiegarsi il perché. La sua parte razionale continuava a ripeterle di non lasciarsi ingannare, che lo stava facendo solo per portarla dalla sua parte e tuttora cercava di restare aggrappata a quell’idea, per non cedere a quella specie di sindrome di Stoccolma. Non poteva dimenticare tutto il male che aveva fatto a lei e alle persone che amava. 

Quella sera Nickolaij l’attendeva in giardino, dove con sua grande sorpresa trovò anche l’uomo che aveva posto fine alla vita di Jamaal. Lì per lì Tareq non si accorse del suo arrivo, troppo impegnato a parlottare con il suo nuovo padrone e l’istinto di Claire fu subito quello di saltargli al collo, ma una presa ferrea le impedì di compiere gesti troppo avventati. Infastidita, si voltò e vide la mano di Dustin serrata attorno al suo braccio.

“Lasciami.” sibilò tra i denti, tentando invano di liberarsi. La forza del vampiro era tale che non riusciva a muovere nemmeno un muscolo.

“Sappiamo bene entrambi che non è una buona idea.” le rispose con un’espressione di granito che non lasciava trapelare il minimo sforzo. 

Lo sguardo di Claire saettò allora di nuovo verso Tareq, che se ne stava lì come se niente fosse. Avrebbe dovuto esserci lui al posto di Jamaal e giurò che presto lo avrebbe vendicato, ma forse quello non era il momento migliore. Così si rilassò, lasciando che la rabbia defluisse via dal suo corpo, come le stavano insegnando.

Una volta certo che avesse riacquistato la calma, Dustin la mollò e si diresse verso Nickolaij per annunciargli il loro arrivo. 

Non appena la vide, il suo sguardo s’illuminò. “Ah, mia cara. Sei qui.” constatò, interrompendo qualunque discorso stesse facendo con Tareq per dedicarsi a lei. Come era solito fare spesso, le porse la mano galante e Claire la prese in un gesto quasi automatico. 

Tareq le rivolse un’occhiata di sfida, ma con una punta di curiosità, a cui lei rispose con uno sguardo di puro odio. Comunque il nuovo tirapiedi di Nickolaij non disse niente, limitandosi a chinare il capo e a togliere il disturbo quando lo congedò. 

“Che ci faceva qui quel miserabile traditore?” chiese Claire non appena se ne fu andato insieme a Dustin. Il suo tono di voce non lasciava spazio a dubbi sull’astio che provava nei suoi confronti.

Tuttavia, Nickolaij sembrò non curarsene e la guidò verso le aiuole ricolme di rose, nei meandri dei giardini del castello. “Un traditore prezioso, ciò non di meno. Grazie al suo supporto, avrò la possibilità di eliminare una volta per tutte la seccatura dei cacciatori.” 

Claire ebbe un tuffo al cuore nel sentirlo parlare in quel modo. Non era difficile immaginare cosa stessero tramando quei due, ma sentirglielo dire fu mille volte peggio. Il pensiero andò subito al villaggio e alla gente del popolo Jurhaysh, soprattutto alle donne e ai bambini innocenti. Sperò con tutte le sue forze che Najat si rendesse conto del pericolo che correvano e prendesse provvedimenti. 

“Mia cara, cos’hai? Ti trovo un po’ pallida stasera.” 

La sua voce preoccupata la riportò alla realtà e si affrettò a riprendersi. “Sto bene.” gli assicurò in tono neutro; poi d’un tratto si fermò e Nickolaij con lei. “Ho bisogno di sapere una cosa.” esordì, seria in volto.

“Ma certo.” Lui restò in attesa, i penetranti occhi azzurri che scandagliavano la sua anima in profondità.

“Da quanto tempo va avanti? Intendo la vostra alleanza.” Non si pose tanti problemi a dar voce alle domande che le giravano nella testa da un bel po’. Anzi, a dirla tutta, da quando era vampira non si faceva più problemi su nulla. Da diverso tempo ormai sospettava che il loro squallido sodalizio fosse iniziato ben prima della notte in cui lei e gli altri erano venuti a Bran per salvare Cedric. 

Il cipiglio di Nickolaij si fece leggermente più contratto ed impiegò qualche secondo a risponderle. “Sei più perspicace di quanto pensassi, me ne compiaccio.” disse infine, mentre le sue labbra si piegavano in un ghigno appena percettibile. 

-Quindi è vero- pensò Claire tra sé. 

A quel punto, però, Nickolaij volse lo sguardo altrove, verso le stalle. “Vieni. Stasera voglio mostrarti un posto speciale.” Senza lasciarle la mano, si diresse nel punto in cui era stato sellato uno splendido cavallo dal manto nero che Claire rimase a osservare affascinata, prima che la aiutasse a salire in groppa e si sistemasse dietro di lei. 

Un po’ rigida per l’imbarazzo, lasciò che la circondasse con le braccia per afferrare le redini, poi lo sentì dare un colpo di tacco e il cavallo partì.

“Non mi hai ancora risposto.” gli fece notare mentre andavano, scrutando nell’oscurità davanti a sé per cercare di capire dove la stesse portando.

Nickolaij emise un sospiro paziente. “Ho sempre apprezzato l’ostinazione in una donna.” commentò, inoltrandosi sempre più verso l’ignoto. “Ad ogni modo, l’alleanza con Tareq è giunta a proposito. A differenza dei suoi compagni, teneva alla propria vita, così abbiamo stretto un patto. Lui avrebbe finto di aiutare Dean e gli altri a fuggire, tornando al suo villaggio con la mia lettera per te, in modo da spingerti a venire qui senza destare alcun sospetto. In realtà, avrebbe ricoperto il ruolo di spia per mio conto e in cambio gli avrei concesso la vita eterna.” spiegò con una freddezza disarmante. “Purtroppo la sua impulsività ha portato qualche complicazione al mio piano, che alla fine si è risolta comunque a mio vantaggio, come hai potuto constatare.”

Claire strinse con forza le redini per incanalare la rabbia che sentiva montare dentro di sé. Tuttavia, non replicò, reprimendo la valanga di insulti che altrimenti le sarebbero usciti di bocca, ma che avrebbe riservato a Tareq al loro prossimo incontro.

Per il resto del tragitto rimase in silenzio, pur continuando a pensarci, finché non iniziò a intravedersi il profilo di uno specchio d’acqua circondato dagli abeti della foresta e pensò che fosse strano che più si avvicinavano più le apparisse come un posto familiare, nonostante non sapesse nemmeno della sua esistenza.

Giunti in prossimità del lago, Nickolaij fece rallentare il cavallo e, una volta scesi, lo legò a un albero vicino, prendendo ad accarezzarlo sul muso con fare amorevole. Un quadretto davvero insolito che, dovette ammettere, la lasciò alquanto sorpresa. Come poteva essere la stessa persona spregevole che aveva rinchiuso Cedric in una cella per un mese e ora lei nelle mura di quel castello da incubo? Oltre a tutte le morti che aveva sulla coscienza ovviamente. “Perché mi hai portato qui?” domandò d’istinto. 

“Volevo mostrarti uno dei miei luoghi preferiti.” rispose lui in tono serafico, lasciando il cavallo e precedendola verso il lago. “Io e Liz ci venivamo spesso, o almeno nei momenti in cui riuscivamo a rimanere soli.” 

Ecco. Ora capiva perché le sembrava di esserci già stata e in effetti solo in quel momento ricordò di aver visto quel posto in uno dei suoi sogni, quando si trovava ancora al villaggio. Era lì che aveva assistito alla conversazione tra Nickolaij ed Elizabeth a proposito degli umani e della loro presunta inferiorità rispetto ai vampiri. Ricordava che quel sogno le aveva lasciato una strana sensazione di disagio, più del solito. “Me lo ricordo… Elizabeth me lo mostrò in uno dei miei sogni. Certo, vederlo dal vivo fa tutto un altro effetto.” Non sapeva bene nemmeno lei perché lo aveva detto. 

Ogni volta che tirava fuori l’argomento sogni Nickolaij si irrigidiva. Era evidente che la cosa lo turbasse, ma non capiva se era più a causa del fatto che lei conoscesse i suoi trascorsi con Elizabeth o per il loro legame in sé.

Ad ogni modo, come sempre riuscì a riprendersi in fretta. “A proposito, ho parlato con Byron di questi tuoi sogni e la sua teoria è che il tuo legame con Liz dev’essere scomparso da quando lei ha abbandonato il tuo corpo, perciò non l’hai più vista. Quanto all’origine di questo legame, purtroppo non ha saputo spiegarlo.”

L’essersi preoccupato per lei al punto da chiedere il parere del suo consigliere personale la sorprese. Al tempo stesso rimase un po’ delusa che non avesse saputo dargli una risposta. Anche se la conferma di non avere più Elizabeth dentro di lei spiegava la sensazione di vuoto che avvertiva da quella notte e che all’inizio aveva attribuito al cambiamento che il suo corpo stava subendo, le sarebbe piaciuto capirci qualcosa in più. Tanto per cominciare, come avesse potuto lo spirito di una persona morta secoli prima abitare il suo corpo per anni senza che se ne accorgesse.

Ci stava ancora pensando quando Nickolaij si sedette sull’erba, invitandola a fare lo stesso. Claire non si fece pregare. Tanto ormai erano lì. E poi moriva dalla voglia di avere delle risposte alla marea di domande che quel posto le suscitava, perciò, dopo un attimo di esitazione, si decise. “Perché l’hai fatto?”

Nickolaij si voltò, guardandola senza capire. 

“Se è vero che la amavi così tanto, per quale motivo l’hai tradita?” specificò. “Hai scelto di sacrificare il vostro amore per un castello e una manciata di terra intorno. Perché?”

Per diversi interminabili minuti Nickolaij continuò a fissarla, impietrito come un blocco di cemento; poi finalmente sbatté le palpebre, spostando lo sguardo verso la linea del lago. “Non è trascorso un solo giorno da quella notte in cui io non mi sia pentito di ciò che ho fatto.” confessò infine. “Infinite volte mi sono chiesto se avrebbe potuto esserci un’alternativa, un modo per convincerla a restare con me, renderla parte del mio progetto…”

“Non avrebbe mai tradito la sua famiglia.” replicò Claire, parlandogli sopra. “Ti amava, ma nel profondo aveva capito quanto fossi diverso dalla persona che credeva.” Era sicura di quello che stava dicendo. Il fatto stesso che Elizabeth avesse portato il pugnale con sé quella sera ne era la conferma. 

Un sorriso amaro comparve sul volto di Nickolaij. “Vedi? Hai provveduto tu stessa a darti la risposta. I miei sentimenti per Liz erano un ostacolo e superarlo la mia prova di volontà. Una volta affrontata, sapevo che nessun nemico avrebbe mai potuto avere la meglio su di me. Non si trattava semplicemente di conquistare un castello, Claire, ma il potere assoluto. Distruggendo i Danesti ho ottenuto il controllo su tutti i vampiri, una specie superiore che dominerà su quella umana. Io guiderò i miei simili verso tale obiettivo. È il mio destino.” 

Mentre lo diceva aveva un’aria quasi messianica e sul momento Claire ne fu spaventata. Si trovava davvero di fronte a un fanatico senza scrupoli, ma stranamente questo non fece altro che alimentare la rabbia nei suoi confronti. Invece di avere paura e restare in silenzio, provò l’impulso di controbattere. “Uccidere Elizabeth non è stato sufficiente a eliminare l’ostacolo.” lo provocò. “Io dovevo servire proprio a riportarla in vita, o sbaglio? Non mi pare che la tua ossessione per lei sia scomparsa in tutti questi anni.”

La sua volontà di sfidarlo, però, non lo toccò affatto. Anzi, ne sembrò divertito. “Quindi è questo? Pensi che ti volessi con me a tutti i costi solo per riaverla?” 

Claire lo squadrò perplessa. La stava forse prendendo in giro? Quale altro poteva essere il motivo per cui la perseguitava da mesi? Tutto a un tratto le tornò in mente la discussione avuta con Dean nella foresta, poco prima che la mordesse. Per lui Nickolaij aveva un secondo fine, qualcosa che andava oltre il desiderio puro e semplice di riportare in vita Elizabeth e a quel punto probabilmente aveva ragione. Quella era l’occasione giusta per scoprire di cosa si trattasse. “E cos’altro?” insistette.

“L’odio di Liz nei miei confronti doveva essere davvero profondo. Così profondo da tentare di uccidermi prima che io lo facessi con lei.” 

L’intensità del suo sguardo si fece quasi insostenibile, ma Claire si impose di mantenere il punto. “Lo so. Ho visto anche questo.” disse annuendo. Ricordava bene le sensazioni provate da Elizabeth che si riversavano su di lei nell’incubo.

Nickolaij si concesse un istante, poi riprese. “E allora saprai anche che il tentativo fallì, ma mi lasciò comunque un forte senso di delusione e rammarico. Dopo averla sepolta, non dormii per settimane. Mi sentivo debole, come svuotato…” 

C’era tristezza nella sua voce. Claire lo percepì.

“Davanti ai miei uomini dovevo mantenere una certa risolutezza, naturalmente. Tuttavia, quando ero solo il pensiero di lei tornava a tormentarmi. Finché non arrivò il plenilunio, il primo da quella sera. Solo allora mi accorsi di ciò che Elizabeth mi aveva fatto davvero. La mia Liz…” esitò, guardando nel vuoto. “Lei non aveva solo tentato di uccidermi, lei… Ci era riuscita.”

Lì per lì Claire non poté fare altro che starsene impalata a fissarlo, cercando di mettere ordine in quello che aveva appena sentito uscirgli di bocca. Che voleva dire con “ci era riuscita”? In quel momento lui era davanti ai suoi occhi, vivo e vegeto. Di che stava parlando? Ricordava perfettamente quando Elizabeth le aveva detto che il pugnale magico di Margaret aveva fallito e che l’unico mezzo per ucciderlo fosse il mistico paletto perduto. Benché non volesse osare troppo per non rischiare di inimicarselo, la voglia di sapere era troppa, perciò prese coraggio e diede fiato ai pensieri. “Che vuoi dire?”

Trasalì nel vederlo portarsi le mani al petto e iniziare lentamente a sbottonarsi la camicia. Solo quanto bastava per aprirla all’altezza giusta e rivelare una cicatrice abbastanza lunga nel punto esatto in cui il pugnale di Elizabeth lo aveva trafitto. Malgrado fossero passati secoli, i bordi erano ancora rossastri e la ferita sembrava essersi rimarginata solo da pochi giorni. 

Claire strabuzzò gli occhi, fissandola incredula. 

“Anche se feriti, i vampiri guariscono in pochi minuti. Nessuno di noi ha cicatrici evidenti sul corpo, per quanto terribili siano state le battaglie a cui ha preso parte. Nessuno tranne me.” disse, sfoderando un sorriso amaro mentre nascondeva di nuovo il simbolo della sua vergogna. “In quanto Draculesti, il mio disonore è ancora più grande, poiché i membri della mia famiglia potevano vantare il sangue più puro della nostra razza, pari soltanto a quello dei Danesti. Per questo motivo ci siamo contesi il dominio su queste terre per secoli, perché possiamo ferirci o ucciderci esclusivamente fra noi.” spiegò. “Quando Liz mi pugnalò quella notte, forse per la prima volta sperimentai la paura. Lei era una Danesti, dunque avrebbe potuto uccidermi, ma per mia fortuna fu tanto ingenua da scegliere un’arma inefficace su di me. Solo in seguito, però, capii di essermi illuso.”

Fece una pausa, in cui Claire pendette dalle sue labbra.

“La ferita causata dal pugnale faticava a rimarginarsi. In principio pensai che la lama fosse avvelenata e che bevendo del sangue sarei guarito in poco tempo. Tuttavia, ben presto mi resi conto che c’era dell’altro. Il sangue umano non riusciva più a placare la fame. Più ne bevevo e meno ne avvertivo gli effetti, così il mio corpo si indeboliva giorno dopo giorno e, per quanto mi sforzassi, non trovavo una soluzione. Solo con l’aiuto di Byron e delle sue conoscenze riuscii a capire cosa mi fosse accaduto. Ero maledetto ed era stata la donna che amavo a farmi questo.” rivelò infine.

Claire impiegò un paio di minuti a elaborare tutte quelle informazioni. Finalmente tutti i pezzi iniziavano ad andare al loro posto. “E riportarla in vita a cosa sarebbe servito?” 

“Posi la stessa domanda a Byron quando lo propose come soluzione al mio problema. A quanto sembra, una maledizione può essere spezzata solo da colui, o in tal caso colei, che l’ha inferta.”

Quella risposta la fece impallidire di colpo. Quindi facendosi trasformare da Dean non aveva solo risparmiato a Elizabeth la sofferenza di tornare, ma anche impedito a Nickolaij di spezzare una maledizione che lo tormentava da secoli e che lo aveva fortemente indebolito. A quel punto, una domanda le sorse spontanea. “Ma allora perché non mi hai ucciso? Ho rovinato i tuoi piani, avresti potuto tornare di nuovo quello di un tempo e invece a causa mia…” 

Lui però la interruppe. “Mi sono rassegnato, Claire.” ribatté con la solita pacatezza, anche se stavolta velata da una punta di malinconia. “Quando ti ho visto per la prima volta, in quel giardino a Greenwood, è stato come se un raggio di sole avesse illuminato quel tunnel buio che era la mia esistenza. Ho creduto di poter finalmente tornare me stesso e in più riavere Elizabeth al mio fianco, ma qualcuno si è messo in mezzo. Qualcuno che avrebbe dovuto essermi leale.” 

-Dean- pensò subito Claire e la paura tornò a impossessarsi di lei quando vide gli occhi di Nickolaij fiammeggiare d’ira repressa. 

“Non è stata una scelta facile per me quella di lasciarti vivere.” continuò, in tono meno fermo. “Ma il pensiero di Elizabeth… Sarebbe stato come ucciderla una seconda volta e non avrei potuto sopportarlo.” 

In quell’istante Claire si sentì strana, quasi provasse compassione per lui. Nonostante sapesse di doverla considerare una nemica, le stava confidando i suoi segreti più intimi, come se si conoscessero da sempre. Una sensazione che durò poco, perché si sforzò di tornare subito lucida. Quello era Nickolaij, non doveva dimenticarlo. “Io non sono lei.” gli rammentò per l’ennesima volta.

Nickolaij sogghignò. “Lo so bene e non pretendo che tu lo sia.” Detto questo, tornò a rivolgere lo sguardo al lago. “Avremo tempo per conoscerci, Claire. Molto tempo.”

   
 
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