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Autore: Calipso19    21/07/2021    0 recensioni
Sequel di UVAPDM 1: l'alba del mito.
L'intreccio della storia a partire dal 1985, quando Michael e Jackie sono sulla cresta dell'onda grazie al successo di Thriller. Ma le cose stanno per cambiare: tutto cambia, in continuazione. E nel tentativo di fermare il tempo costruendo Neverland, Michael dovrà affrontare i contraccolpi negativi del proprio successo, accettare il proprio fisico mutabile e combattere contro un mondo che vuole sopraffarlo. Jackie sarà al suo fianco per aiutarlo, ma anche con lei le cose stanno per cambiare. Perchè, quando la guarda, gli sembra di avere occhi diversi? Perché, quando è con lei, si sente come se fosse uno specchio in frantumi?
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Katherine Jackson, Michael Jackson, Nuovo personaggio, Tatiana Thumbtzen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Bisognerebbe vivere soltanto di inizi.


Ci aveva ripensato a posteriori, poiché le riprese del videoclip di We Are The World e tutti gli impegni ad esso connessi lo avevano assorbito a tal punto che non aveva avuto più il tempo di consumarsi in riflessioni.
Ciò che gli venne alla mente, nel primo attimo di calma dopo quelle settimane caotiche, riguardò Jackie.
Lei e lui comparivano come i compositori ufficiali della canzone, a cui poco dopo si era aggiunto Lionel Richie, grande amico e stimatore di entrambi. Jackie aveva lavorato per lui a qualche progetto in passato, e si erano trovati molto bene.
Ma chi aveva composto effettivamente la musica era lei, e non quasi si sentiva minacciato dalla sua bravura. Si sentiva quasi plagiato, poiché Jackie aveva inventato ciò che lui aveva dentro e che non era riuscito a mostrare prima che lo facesse lei, semplicemente.
Eventi simili succedevano troppo frequentemente fra loro due per essere delle semplici coincidenze.
Che lui e Jackie avessero davvero la stessa anima?
Da un lato, lo sperava.
Jackie aveva qualcosa di speciale, qualcosa che fa stare sereno chi si rapporta con lei nonostante tutto vada male. Quel qualcosa in grado di far sorridere spontaneamente fino a ridere a crepapelle, quell’energia spirituale che faceva sentire parte dell’Universo.
Quel qualcosa che più volte gli aveva permesso di scrivere la migliore musica, di inventare il più geniale passo di danza, come se le redini di tutto quanto le tenesse lei a distanza. Come se lei stessa fosse il motore del mondo.
Quantomeno, del suo mondo. Come se senza Jackie non ci fosse niente.
Quando si erano ritrovati lui, lei, Diana e tutti gli altri artisti insieme per la registrazione di We Are The World, la sala era così caotica che a malapena ebbe il tempo di parlarle.
Tuttavia era stato come se fosse riuscito a percepirla sempre.

 
———


Era come se in quel periodo l’ispirazione l’avesse catturata e trasformata in una Dea dell’arte.
Sembrava aver vestito perfettamente i nuovi panni da compositrice, nuovo titolo di cui godeva, e produceva musica come un mulino a rinnovata corrente.
Lui non era da meno, certo: il Re della Musica non poteva permettersi di cincischiare quando la sua controparte femminile faceva parlare di sè tutto il settore musicale. Lui medesimo era sulla cresta dell’onda, e come un cavallo al galoppo si era lanciato nell’arte insieme a lei, nonostante il progetto di Neverland gli rubasse molto tempo.
Tuttavia, anche se contribuiva a distoglierlo dal proprio lavoro, non aveva intenzione di rinunciarvi: completarlo non significava solamente realizzare un altro dei suoi sogni, ma anche andare via di casa, allontanarsi dai fratelli e avere un luogo in un cui sentirsi protetto.
Era consapevole che non poteva continuare a dormire in albergo solo per evitare la famiglia. Era distrutto al pensiero di lasciare Katherine, che mai e poi mai si sarebbe mossa dal nido che aveva costruito a Encino, ma non poteva fare altrimenti. Stare lì a contatto con loro era come stare fermo con addosso dei vermi che ti mangiano vivo.

 
———


Un’altra sorpresa che Jackie gli regalò da lì a poco fu Man In The Mirror.
Si era innamorato di quella canzone, era come se l’avesse scritta lui stesso.
Si ritrovarono in studio di registrazione per arrangiarla molto presto, e lui si accorse che nonostante fossero passati non molti giorni da quando si erano visti l’ultima volta e aggiornati sul lavoro, era come se non l’avesse vista per più tempo.

Mentre erano seduti al tavolo della produzione insieme a Q e altri due collaboratori, ascoltando le varie frequenze e modificandole, ragionò un attimo su quella strana sensazione. Era la voglia di abbracciare un amico che non si vede da molto tempo, ma anche la complicità di una visita di poche ore prima.

Di recente aveva riguardato le loro vecchie foto, e si era accorto di quanto fossero cresciuti.
Lui era cambiato, purtroppo, e lo sapeva. Jaqueline pure.
Ecco, anche Jaqueline era cambiata.
Si soffermò un attimo su di lei.
Per guardarla, si fece un pò indietro sulla sedia fino a piegare indietro lo schienale, vi passò sopra il braccio appoggiandovisi e fingendo di stiracchiarsi con indifferenza, i suoi occhi che vagarono discretamente alla ricerca della sua figura.
Jackie era lì, a poca distanza, in piedi di profilo rispetto a lui, che scriveva qualcosa reggendo il foglio su un sostegno dinnanzi a sè.
Si soffermò ben più di un attimo su di lei.
La sua figura, per quanto piccola e minuta di statura e consistenza, appariva ben solida e ben radicata a terra, come una giovane betulla dal tronco sottile, sormontata da quel vivo e spesso cespuglio fiorito che erano i suoi capelli.
Abbassò gli occhi per far salire lo sguardo lentamente su di lei, senza accorgersi che la sua attenzione così intensa su di lei non poteva passare inosservata.
Il suo sguardo incontrò i piedi piccoli e le caviglie nascosti dal pantalone morbido in fondo, probabilmente cucito perché troppo lungo per lei. E dire che nel complesso aveva delle gambe belle lunghe!
Salì a vedere le ginocchia quasi invisibili dentro il tessuto, lì ancora slargato, e la timida e liscia curvatura della coscia che dall’interno lievemente si appoggiava al tessuto, tirandolo leggermente per seguirne la forma.
A vederla, poteva quasi avvertire la sensazione tattile che dava toccare dei muscoli e della carne così tonica.
Salì senza timore, incontrando la meno timida curva del fianco e del gluteo, che vedeva di profilo perfettamente, e non potè non pensare alla perfezione di quella forma. Ben modellata, senza troppo o troppo poco.
Potevano dire che fosse magra, potevano dire che fosse bassa, ma in quel momento nessuno avrebbe potuto avere nulla da dire.
Dal basso, la carne si piegava senza scendere in una perfetta curva, come una sfera tagliata a metà, e si collegava morbidamente alla linea dei lombi dove, lui sapeva, in quel punto si trovavano due deliziose fossette di Venere.
Già, come diavolo faceva a saperlo?
Arrossì un poco senza volerlo, spostando lo sguardo davanti, sulla chiusura dei pantaloni, intuendo senza malizia ma con anatomica curiosità la forma che quel corpo doveva assumere dietro quella barriera di tessuto. Avrebbe voluto toglierla, ma non spinto da un bisogno sessuale o fantasie maschili, non in quel momento, ma solo per mera curiosità, per vedere cosa e quali fessure, curve e sfumature il corpo di lei dovesse avere dove non veniva mostrato.
Tutti avevano delle proprie caratteristiche in quei punti, e lui era semplicemente curioso di sapere quali fossero quelle di Jackie.
Tradendo un pò di imbarazzo di fronte al fatto che nessuno avrebbe creduto a quella giustificazione, per lui reale, che stava dando ai suoi pensieri, passò oltre, salendo lungo il ventre, la cui linea era difficile da vedere poiché spariva dentro la maglia, in una rientranza vuota. Dietro, le pieghe del tessuto cadevano elegantemente sui lombi sottolineando la perfetta sinuosità del busto, come quello di una sirena, così dritto e solido e al contempo sottile tanto che avrebbe potuto afferrarlo con un solo braccio. Anzi, le sue mani sarebbe bastate a circondarlo tutto.
Le sue dita si mossero involontariamente a quel pensiero, come se avesse voluto mettere immediatamente alla prova quello che pensava.
Salì ancora, deglutì arrivando alle costole e lì sopra. Balzò di lato con lo sguardo per guardarle le mani, ora appoggiate sul tavolino di fronte a lei.
Sul dorso riusciva a distinguere le vene principali, che in lei erano molto marcate sulle mani e sembravano ombre blu. La leggera screpolatura delle nocche dovuta al freddo e al fatto che dimenticasse di mettere la crema idratante. Le dita lunghe in confronto alle mani, piccole e affusolate, i polsi sottili coperti da qualche bracciale, con l’osso assai pronunciato in quel punto.
Le braccia nude, sottili ma che non nascondevano una certa quantità di muscolo. Braccia piuttosto forti per lei, e che rivelavano il colore puro della sua pelle, poco più chiaro del caffèlatte.
Circuì con l’occhio la curva della spalla, coperta dalla maglia, e scese di un passo sul gradino del petto. Non che ci fosse molto da osservare.
La maglia in quel punto morbida nascondeva anche quel poco di donna che poteva esserci lì sotto.
Michael aveva visto innumerevoli donne con un seno più grosso di quello di Jackie, non che ci volesse molto in realtà. Quel dettaglio poco attraente per molti, però, a lui risultava affascinante.
Quella discrezione, quella mancanza che non equivaleva alla più totale assenza, perché era una donna e quindi qualcosa doveva pur esserci, sarebbe stata di troppo di su lei.
Tutto il resto bastava per renderla bella e attraente. Bastava e avanzava.
Si soffermò con gli occhi proprio lì, a guardare ciò che non si vedeva, a immaginare, come per sotto, come doveva essere il suo corpo in quel punto.
Che odore doveva esserci lì in mezzo, come appariva, come doveva essere toccarla.
La vista del collo lungo e sottile fu breve perché, spinto dalla bramosia nata da quei pensieri, non nuovi per lui ma dal soggetto innovativo, che gli avevano infiammato il petto, i suoi occhi volarono su quelli di lei.
Ecco, la linea della mascella, sporgente più in avanti che in basso in una piega leggera, l’orecchio piccolo, piccolissimo e dal lobo quasi bianco rispetto al resto ma che ora andava scurendosi, il mento poco pronunciato ma non appuntito, la guancia liscia e non troppo piena, senza ombre; lo zigomo pronunciato, che rendeva il suo sguardo sempre ridente, e finalmente gli occhi, quegli occhi magici dal taglio occidentale, grandi e allungati, con le ciglia lunghe e la palpebra chiara.
Quegli occhi che erano vivi qualunque cosa stesse guardando e che esprimevano da soli qualunque emozione, quegli occhi che sapevano arrivare dove le parole o i gesti non potevano, quegli occhi dal colore così intenso che chiunque credeva vi fossero incastonati due smeraldi veri, quegli occhi che se li avesse guardati un altro secondo ancora si sarebbe alzato e glieli avrebbe rubati.
Lo distrassero i ciuffi che cadevano sul viso, i boccoli perfettamente formati, ma non perfetti da parrucchiere, molto naturali.
Spostò lo sguardo sulla sua testa, piccola in confronto alla quantità di capelli che aveva, una criniera alta almeno tre dita e lunga fino a metà schiena, in un insieme sereno di diverse tonalità di castano, dallo scuro al quasi biondo.
I suoi capelli erano l’espressione del cambiamento, poiché modificano la propria tonalità con le stagioni, con la luce, con l’eccesso di sebo, con qualsiasi scusante.
Jackie stessa incarnava un cambiamento, gli disse un pensiero che non riuscì a decifrare.
Non aveva finito di guardare.
Scese ancora con gli occhi sulla fronte, le sopracciglia sottili ed eleganti, lungo il profilo del naso, che non avrebbe saputo dire che forma esatta avesse. Non era né a patata, né alla francese, né adunco, né troppo grosso o piccolo. Un bel naso dritto, anonimo, perfettamente proporzionato e dalle narici ampie come quelle di una donna africana.
Era ora giù fino alla bocca semiaperta, che ogni tanto assumeva quel mezzo sorriso adorabile, come se fosse divertita da qualche pensiero passeggero che le passava in testa durante la lettura di quelle scartoffie.
Si soffermò sulle labbra e la loro forma.
Jackie, come lui, aveva spesso l’abitudine di mordersi il labbro inferiore e di stringerlo in una morsa, e doveva averlo fatto da poco perché ne intravedeva ancora un lieve arrossamento, che aggiungeva colore alla loro naturare tinta rosea.
Ne era sicuro, doveva averlo fatto.
Jackie aveva delle belle labbra carnose, anche se non esagerate.
Per completare la sua ammirazione avrebbe voluto poterle toccare in quel momento per saggiarne meglio la consistenza. Ora non ricordava con esattezza, ma in ventiquattro anni di conoscenza e amicizia doveva essere per forza capitato di aver toccato le labbra di Jackie, anche se non ricordava la sensazione al tatto che potessero avere.
Probabilmente la stessa delle proprie.
Ma di certo non le aveva mai, di certo mai schiacciate, punzecchiate, pressate, sfiorate. No.
Bè, sarebbe stato interessante farlo.
Come era interessante il fatto che, e se ne accorse ora, si stava mordendo il proprio labbro in preda a quelle elucubrazioni.
Aveva una vaga idea di cosa gli stava succedendo.
Mentre i suoi occhi facevano un ultimo tour generale di lei avvertì una sgradevole sensazione intromettersi nella sua contemplazione.
A poca distanza dalla sua focalizzazione, Q lo guardava.
Guardava proprio lui.
E non avrebbe potuto dire se il suo sguardo fosse divertito o di rimprovero, o un misto di entrambi, che il sudore freddo e il batticuore lo colsero violentemente.
Dall’espressione che assunse Q, capì che si era accorto di quello.
Non avrebbe potuto essere più imbarazzante.
Distolse lo sguardo facendo finta di nulla e indossò rapidamente i suoi occhiali da sole. Almeno nessun altro si sarebbe accorto del sangue in più presente nei suoi occhi.

D’altro canto, quando l’attenzione del protagonista fu di nuovo rivolta a qualcosa che non fosse lei, Jaqueline permise che una goccia di sudore le scivolasse lungo la fronte.
Dal primo istante in cui Michael l’aveva guardata, facendosi indietro sullo schienale della sedia, lei se n’era ovviamente accorta subito e si era immobilizzata, irrigidita dall’energia sprigionata inconsapevolmente dal suo osservatore, che l’aveva fatta piombare in uno stato di paralisi e imbarazzo.
Se la stava mangiando con gli occhi.
Sotto quello sguardo si era sentita divorare pezzettino per pezzettino, come se le pupille che la passavano in rassegna fossero state in realtà pesanti mani che la toccavano, spogliandola non solo di ciò che indossava, ma anche scoprendole emozioni e sentimenti.
Solo Michael aveva il potere di farla sentire così quando la guardava. Solo lui, perché tanti l’avevano squadrata più volte e in vari modi, ma nessuno così, con quell’attenzione così poco… Invadente.
Nemmeno Thomas l’aveva mai guardata così.
O meglio, l’aveva fatto, anche con adorazione palpabile, ma non si era mai sentita così in tensione e, allo stesso tempo, così bene.
Solo Michael, ne era sicura.
E quindi, quando lui la stava guardando lei era rimasta immobile, sensibile a quello che sentiva, e mentre l’aveva percepito focalizzarsi sui suoi piedi e salire lentamente come un intima carezza, non aveva potuto fare a meno di mordersi fugacemente le labbra, abbastanza forte da farsi male.
Un dolore che unito a quello sguardo che andava spostandosi proprio nella sua zona più intima le provocarono un’infinità di sensazioni e batticuore.
Perché Michael la fissava proprio lì? Perché ci metteva tanto? Cosa c’era da guardare?
Fu uno sforzo immane per lei rimanere immobile e soprattutto mantenere il respiro regolare.

 
———


Certi pensieri cominciarono a manifestarsi sempre più spesso nella sua mente, ma prima che potesse chiedersi il perché, una brusca rivelazione lo costrinse a ritornare con la testa per terra.
Jackie era in tour con Diana Ross, ingaggiata come tour manager in seconda, un impegno molto importante per una donna all’epoca. Avrebbe voluto che fosse con lui, almeno avrebbe saputo come reagire di fronte all’ennesima notizia che lo vedeva protagonista di qualcosa che non gli apparteneva.
Evitava solitamente di leggere i tabloid, poiché erano spazzatura, carta straccia esistente con il solo scopo di essere distruttiva per lui e come lui per altre celebrità, ma questo gli era capitato in mano soprattutto per chi sembrava essere l’autore della nuova agghiacciante notizia: il suo nuovo manager Frank Di Leo.
Non era da molto che aveva firmato un contratto con lui, ma il fatto che avesse già diffuso notizie false sul suo conto lo fece sentire vulnerabile e oltraggiato.
In preda all’ira lo contattò subito: Frank gli spiegò che la foto di lui all’interno della bara di vetro, in cui era entrato per mera curiosità, erano già in circolazione e che aveva fornito quella versione dei fatti per evitare che altri mettessero in giro interpretazioni peggiori.
La discussione fu lunga, estenuante e priva di accordo. Alla fine, quello che era fatto, era fatto, e Michael decise di lasciare cadere, poiché le scuse di Di Leo erano giunte sentite non appena avevano avuto modo di parlare di come quella notizia lo avesse ferito.

Ne parlò al telefono con Jackie. Ovviamente era furiosa.

- Non mi piace come ha agito - continuava a dire lei - è stata una decisione pessima.
Discusse anche con lei quando decise che stava esagerando, che Frank aveva sbagliato ma che non meritava tutto quell’odio. Lei non era d’accordo, ma anche lì non vi furono compromessi. Solo una tregua e la decisione condivisa e silenziosa di lasciare cadere l’argomento.  

D’altronde, Jackie aveva altro a cui pensare: di ritorno dal tour con Diana, la cantante l’aveva informata della volontà di organizzare uno spettacolo di beneficienza e poi una cena di gala, di lì a poche settimane, e ovviamente lei sarebbe stata fra gli ospiti d’onore assieme a Michael.
Jackie ne era lusingata e aveva pensato di invitare Quincy come suo accompagnatore. D’altronde, erano da poco diventati ufficialmente parenti.
Ma il produttore aveva un peso sul cuore, e lei se n’era accorta e voleva affrontarlo.
Attese l’occasione: un giorno che erano insieme ad arrangiare alcuni testi. Il produttore non faceva altro che sospirare.  

- Qualcosa non va Q?
- Io so che non dovrei avere certe pretese nella privacy di una persona, però non posso fare a meno di notare che le cose stanno visivamente cambiando e io non vengo lontanamente inserito nella cosa.

Jackie comprese, e serrò le labbra espirando.

- Non fraintendermi, ma per me Michael è come un figlio ormai. E credevo anche io di essere più che il suo produttore e collega di lavoro.
- Lo sei Q.
- Non mi sembra proprio Jackie..
- Hai la mia parola che lo sei, credimi.
- E allora mi spieghi che cosa sta succedendo? Perché sta succedendo qualcosa, è ovvio.

Jackie sospirò ancora dolorosamente, cercando le parole per iniziare il discorso.
Quelle parole che le facevano immensamente male come se le stesse vivendo in prima persona.
Il suo silenzio fu visto da Quincy come una negazione, al che l’uomo si spostò di fronte a lei, costringendola a guardarlo negli occhi.

- Jackie, Michael ha cambiato colore! - sussurrò a bassa voce e con tono grave. Jackie inspirò e girò lo sguardo, apparentemente risentita.
- Non la metterei giù in quei termini Q..
- Ma è così! Vuoi negare l’evidenza?
- No, ma tu non condannarlo! - sussurrò guardandolo negli occhi e con rabbia. - A tutto c’è una spiegazione logica!

Quincy aggrottò un sopracciglio, visibilmente irritato.

- Allora saresti così gentile da mettermene al corrente per favore? Mi sento ingiustamente escluso e non capisco perché non mi sia stata rivolta parola in merito!

Jackie gli fece cenno di sedersi e si fece vicina col volto per poter parlare senza essere sentiti.

- Sbagli a sentirti così, anche se capisco il tuo punto di vista. Ti spiegherò tutto, ma prima devi farti passare il nervosismo. Non è una cosa facile da spiegare e, tanto meno, da ascoltare.

Jackie sembrava davvero preoccupata. Aveva assunto quel tono di voce e quello sguardo che usava quando parlava di questioni molto serie.
Quincy se ne accorse, così provò a obbedirle.
Fece un respiro e chiuse un attimo gli occhi, cercando di recuperare la calma, poi tornò a guardare la giovane.

- Va bene. - esordì. - Ma prima spiegami perché Michael non me ne ha parlato. E’ una cosa che io non devo sapere?

Jackie ci pensò un attimo.

- Uhm… No. E’ una cosa privata, questo sì. Ma non te ne ha parlato perché lui per primo non ama parlarne. Anzi, è una cosa che lo imbarazza molto e lo fa soffrire. Soffre molto, credimi. E non gli piace parlarne agli altri.
- A te ne ha parlato però?
- Si… Ma non di sua volontà. Mi sono accorta che qualcosa non andava prima che si arrivasse a questo punto e sono andata io da lui. Vedi, molto tempo fa ci siamo fatti una promessa: quella di dirci tutto, tutto. Di non avere segreti, di confidarci e di sostenerci a vicenda. Ho dovuto ricordargli di questa promessa per convincerlo a confidarsi con me. Non credo che ne abbia parlato nemmeno a sua madre di quello che ha fatto.
- Ho letto alcuni giornali. Ne dicono di tutti i colori su di lui.
- E tu non credi a quelle boiate vero?
- No Jackie, perché anche io conosco Michael e alcune cose che scrivono sono davvero esagerate. Ma non riesco a darmi spiegazione per quello che sta succedendo e lui non me ne ha mai parlato. Si comporta come se niente fosse.
- La spiegazione c’è, anche se non è una cosa da tutti i giorni. Io ti dirò tutto Q, perché credo che sia giusto che tu lo sappia. Ma non pensare che Michael voglia nasconderti qualcosa. Te lo direbbe lui se ne avesse la forza ma, credimi, è molto difficile per lui parlarne.
- Va bene Jackie, non preoccuparti. Che cosa sta succedendo?

Jackie prese respiro.

- Non è una cosa degli ultimi tempi. Di sicuro Michael ti avrà confidato dei suoi problemi di salute…
- Si, da molto tempo però. Mi ha detto che ha una salute abbastanza cagionevole e della vitiligine.
- Le febbri periodiche e senza spiegazione, la debolezza, l’insonnia..
- Si, mi ha detto tutto questo.
- I medici gli hanno fatto molti esami negli ultimi due anni e soprattutto quando è stato in ospedale per quell’incidente con la Pepsi..
- Si…
- Praticamente hanno scoperto che la vitiligine non è l’unica malattia di cui è affetto Michael. - Gli occhi del produttore cominciarono a spalancarsi di stupore e preoccupazione. Jackie prese respiro per l’ennesima volta per farsi forza. - Gli hanno diagnosticato una forma acuta e rara di Lupus.
- Lupus?
- E’ un’altra malattia della pelle. Fino a qualche decennio fa era mortale e non c’era niente da fare. - I suoi occhi quasi lacrimavano nel dire quelle cose. - Ma oggi ci sono delle medicine, anche se non si conosce ancora la cura.

Si interruppe per fare un lungo sospiro che frenare un pianto irrompente. Quincy, ora serio e preoccupato, le prese la mano, capendo la gravità della situazione.

- Michael se ne vergogna molto, perché oltre ad essere estremamente debilitante, insieme alla vitiligine hanno un doppio effetto deformante.
- E queste malattie centrano col fatto che sta cambiando colore della pelle e il viso sta assumendo tratti differenti da prima?
- Abbandona i tuoi sospetti Q. Lo sento dal tuo tono di voce che stenti a credermi. Se lo guardi bene, puoi notare che non c’è nulla di riconducibile a un intervento preciso di chirurgia plastica nel suo volto. Dovresti averlo notato visto che lavori da anni in mezzo a gente che si rifà il viso.

Quincy annuì debolmente. Conosceva Jackie e sentiva che stava dicendo la verità, anche se di carattere un minimo di dubbio non lo abbandonava.

- Continua.
- E’ così. Devi credermi.
- Va bene Jackie. Continua: la vitiligine gli sta schiarendo il viso?
- Si, ma non così uniformemente. Se ricordi, Michael ne soffre da molto tempo. Precisamente, eravamo adolescenti quando me ne parlò per la prima volta. Aveva appena due minuscole macchie scolorite sul petto. Ora la situazione è peggiorata, perché hanno scoperto che la sua forma di vitiligine è acuta e non l’hanno mai vista prima.

Doveva mantenere la calma. Sentiva le lacrime salirle agli occhi e la gola piena di emozione nel parlare di quelle cose. Quincy la scrutava molto attento.

- Si sta estendendo molto rapidamente e in maniera irregolare. Michael non vuole che si veda, perciò l’ha sempre coperta con trucchi scuri. Ma ora sta diventando troppo difficile, perché è quasi più bianco che nero. - Deglutì con difficoltà. La gravità delle sue parole le si bloccò in gola come un boccone troppo grande.

E’ quasi più bianco che nero. Come se il colore della pelle avesse una qualche importanza.

- Per mantenere una parvenza di normalità, o quello che più le si avvicina, prende medicine ritardanti e usa creme uniformanti. Per lui sarebbe troppo umiliante mostrare le macchie così come sono. Però il processo, per questa forma di malattia, pare essere irreversibile.

Jackie si fermò un attimo per asciugarsi una lacrima clandestina. Guardò Quincy negli occhi: ora l’uomo la fissava serio come poche volte l’aveva visto in vita sua.

- Mi stai dicendo la verità Jaqueline?

Di natura era sospettoso, e la chiamava col nome intero perché la stava prendendo sul serio e nessuno stava scherzando. Annuì decisa guardandolo negli occhi e si preparò a continuare.

- La pelle gli brucia perché è molto sensibile alla luce. Non può stare al sole senza scottarsi e anche i riflettori a volte gli danno qualche problema. Il trucco serve per nascondere le cicatrici della vitiligine e del Lupus.

Quincy aggrottò un sopracciglio.

- Non mi hai ancora parlato di questa malattia su di lui.
- L’abbiamo scoperta da poco. In pratica, sarebbe la causa di molti problemi alla pelle che ha avuto sin da piccolo, come l’acne assurda di quando avevamo 15 anni. Ed è anche la causa delle febbri mensili e della debilitazione generale che lo prende ogni tanto. Lo butta davvero giù, è una malattia terribile.
- Ma si può vedere?
- Si, in genere. Michael la nasconde molto bene con il trucco, ma deve metterne molto. Per questo Karen è sempre con noi. Lei è una delle poche persone che conoscono questo, e per ovvi motivi.
- Non capisco Jackie: una malattia della pelle provoca febbre e debolezza in generale?
- Si, perché prima di essere una malattia della pelle e una malattia che attacca tutto l’organismo. A volte gli procura anche dolore alla schiena, alle gambe e alle braccia. Attacca tutto il corpo.

Fecero una breve pausa. Jackie non riusciva ad andare avanti con la freddezza con cui aveva cominciato a parlarne e anche Quincy era sconvolto. Si allontanò per preparare il tè mentre Jackie rimase a passeggiare nel soggiorno.
Pochi minuti dopo si sedettero di nuovo l’uno di fronte all’altro, consapevoli che l’argomento non era ancora finito.

- Cosa dicono i giornali esattamente Q? - chiese Jackie con lo sguardo perso nel vuoto.
- Tu non li leggi?
- Quella robaccia? Non ci penso nemmeno. Tutta spazzatura, non dovresti leggerli nemmeno tu.
- Dicono davvero roba incredibile. Che si sta sbiancando la pelle di proposito perché è razzista e che sta cambiando i suoi tratti con la chirurgia plastica per assomigliare a un bianco anche nei lineamenti.

Jackie fissò il produttore con gli occhi fiammeggianti di rabbia.

- Non c’è niente di più assurdo!
- Questo lo so anche io. Ma questo è quello che vogliono far credere alla gente.

Jackie scosse la testa, incredula e arrabbiata, sperando che Michael non vedesse quei titoli nemmeno per sbaglio. Ne avrebbe sofferto enormemente.

- Quindi il motivo per cui il suo viso è cambiato è riconducibile al lupus, Jackie?

Jackie riportò la sua attenzione sull’uomo. Almeno il suo adorato padre adottivo e, un po’, anche quello di Michael, almeno lui doveva conoscere la verità.

- Si, è così. In realtà, sono le cure che sta facendo che lo modificano leggermente. Infatti, come ti dicevo prima, non trovi traccia di una operazione precisa. E insieme allo schiarirsi della pelle, il cambiamento sembra accentuato in maniera drastica.
- Ma mi hai detto prima che non c’è cura per questa malattia..
- E’ vero, non .. Non puoi guarire. Ma il lupus lascia dei segni tremendi, e una cosa che si può fare è cercare di cancellarli con le medicine. E Michael lo deve fare per forza: la sua faccia finisce su tutti i giornali tutti i giorni, e lui morirebbe piuttosto che mostrare le sue cicatrici.
- Cicatrici? - esclamò Quincy, inorridito. Non ne aveva vista mezza sul viso del suo amico. Jackie annuì tristemente.
- Ne è pieno.
- Io non ho notato nulla.
- E’ quello che vuole, che non si noti nulla. Hai solo visto che il suo volto è cambiato, e non sai spiegarti perché. So che sei stranito, ma la verità è questa. Le cure che sta facendo per nascondere e lenire, per quel che si può, le cicatrici del lupus gli modificano leggermente la faccia.
- Incredibile. - mormorò Quincy, lo sguardo perso nel vuoto dopo la conoscenza di quella orribile e cruenta verità. Michael, il suo esperimento più riuscito, il suo caro amico, il suo ragazzo, era così tanto malato?
- Questa è la verità Quincy, devi credermi.
- Lo so che mi stai raccontando il vero Jackie. Ma sono sconvolto.
- C’è dell’altro: avrai notato che negli ultimi tempi è dimagrito tantissimo..
- Si, ieri quando ci siamo visti ho scherzato pure sulla cosa. C’entra con le malattie?
- Si, in parte. Le cure lo stanno debilitando molto, e non gli fanno assimilare molto nutrimento, pare. Inoltre, lui è veramente provato psicologicamente per tutto questo, non mangia moltissimo.. - aggiunse preoccupata.
- Lo immagino. - Restò in silenzio un paio di secondi, e si rivolse a lui con lo sguardo comprensivo che lei aveva sperato dall’inizio le rivolgesse. - Ora capisco tante cose.
- Non sei arrabbiato perché non te ne ha parlato vero?
- Prima lo ero, ed ero anche dispiaciuto perché penso di meritare la sua confidenza, ma ora capisco. E hai ragione: non è il tipo che si piange addosso e che vuole che altri lo facciano per lui. Nasconde i suoi enormi problemi con grande coraggio e questo gli fa onore, anche se gli effetti sono comunque visibili.

Jackie si lasciò andare a un silenzioso e riservato sospiro di sollievo, e sentì il cuore farsi più leggero.

- Sono felice che tu abbia capito Q. Per me è molto importante, e anche per Michael.
- Ora cosa pensate di fare?
- In che senso?
- Le cure continueranno fino a che punto?
- Non c’è una fine in realtà. O se c’è, non la vediamo e non la conosciamo. Te l’ho detto, non c’è una cura definitiva, e sono entrambe forme acute che possono presentare imprevisti in qualunque momento.

Quincy annuì pensieroso. Una goccia di sudore tradì la sua preoccupazione.

- Come pensi che sarà in futuro? Fra 5-6 anni magari? - le chiese. Jackie non dovette pensarci più di tanto: lei e Michael si erano già fatti quella domanda.
- Sarà tutto più difficile. - rispose con tono rassegnato. - Se la vitiligine continua come ora, si espanderà in tutto il suo corpo, e lui sarà completamente diverso.
- Cioè.. Diventerà bianco? - chiese Quincy, inorridito.
- Non bianco. La pelle colpita non diventa bianca normalmente, ma è opaca, quasi trasparente… Non.. Non è piacevole da vedere…

Si morse il labbro dopo quell’ultima frase. Si sentiva in colpa e triste. E confusa: non conosceva il nome della sensazione che maggiormente la dominava nei confronti dell’aspetto del suo amico. Pietà? Orrore?
Mentre Q si allontanava per prendere qualcosa di caldo da bere entrambi, lei si prese tempo per pensare. Cosa c’era che non andava in lei?
Meditò per qualche minuto.
Cosa provava lei nei confronti di quel corpo maschile che andava mutandosi?
Curiosità, in primis, perché avrebbe voluto averlo visto per intero, giusto per mera curiosità. E poi tristezza, perché immaginava di avere lei stessa quella malattia debilitante. E al pensiero della cicatrici e delle debolezze, provava tristezza. Non pietà. No.
Avrebbe toccato quelle ferite per accarezzarle e donare amore a chi le portava. E non solo.
Si sentì sospirare in un modo molto strano. Era da tanto che non sospirava così.
Da quando Thomas aveva smesso di toccarla.
Sbarrò gli occhi fissando il vuoto. Il cervello in blackout.
Cosa.
- Ho portato del caffè. Per te con latte e senza zucchero. - Si sedette accanto a lei. - Dovremmo cercare di concentrarci adesso. Dobbiamo ancora rivedere questi testi.
Che professionista che era, Q. Stava cercando di recuperare la situazione ed essere forte.
Lei avrebbe dovuto fare lo stesso.
Soffocò le nuove e potenti energie che aveva sentito salirgli come un geyser dal centro dell’osso sacro e ridusse la propria mente alla musica.
 
———

Q era riuscito a riportare quella giornata in un clima di serenità condivisa.
Jackie era felice di avergli parlato, di avergli fatto capire che Michael non si confidava con nessuno, nemmeno con lei.
Molte cose non le raccontava nemmeno a sè stesso.
D’altronde, nel periodo precedente, lui stesso era stato occupato a prendersi cura di lei.

Ciò che Michael non sapeva, e che credeva di aver riempito coi gelati, era l’enorme buco di riflessione che si era aperto nel cervello di Jackie. E nel suo cuore.
L’abbandono dell’uomo che le aveva chiesto di sposarla, motivato da qualcosa che era unicamente colpa sua, suonava duramente come una stordente campana di fallimento. Tanto che poteva sentirne lo stesso sapore del ferro se si umettava le labbra.
E adesso cosa ne sarebbe stato di lei?
Avrebbe continuato la propria vita come se nulla fosse successo, normalmente ma con un pizzico di malinconia in più. A 25 anni sposarsi era un traguardo più che ragionevole per una donna negli anni ’80.
Anzi, un traguardo obbligato.
Quante erano le donne della sua età non ancora sposate?
Che ne conoscesse, e Jackie conosceva davvero tanta gente, nessuna.
Nessuna che lavorasse senza marito, nessuna che stesse a casa senza un marito che le badasse a quell’età, nessuna che non stesse a casa coi figlioli mentre il marito provvedeva alla famiglia.
E lei?
Lei era una scapola, 25 anni ma con un viso tutto sommato che ancora sembrava quello di una ragazzina, senza marito e senza dote.
Senza possibilità di essere una madre.
Solo con una gran quantità di lavoro fatto e da fare, risultati eccellenti ma nascosti dalla riservatezza che tentava, un po’ come Michael, di conservare.
Lei, solo con la sua carriera e il suo posto a fatica guadagnato, di rispetto e di professione in un ambiente di uomini dominanti, lei che segretamente a tutti fuori dal lavoro studiava per gli esami dell’università.
Ora che la possibilità di un imminente matrimonio le si era sgretolata dalle mani, altro non restava che rimboccarsi le maniche fradice di lacrime e darsi una mossa con quello che le riusciva meglio di fare: adattare canzoni e scriverne di nuove ancora migliori.

Doveva riconoscere che anche lei non era del tutto sincera con sè stessa.
Dopo la vicenda di Thomas si era gettata nel lavoro, nell’arte, come una lira dalle corde tirate.
Era appassionata, certo, ma voleva anche soffocare quelle urla interiori che la incolpavano di non poter essere madre, quelle pressioni sociali che ora facevano parte del suo inconscio che la degradavano come donna per via di quel difetto, che la umiliavano dandole dell’ibrido, poiché era una donna ma lavorava come un uomo.

Ma ciò che Jackie non sapeva, e che mai nella vita avrebbe immaginato, è che da lì a due decenni sarebbe diventata ciò che mai avrebbe creduto di essere: un’icona del mondo che stava cambiando.
Perché lei, a propria insaputa, era la prima donna nubile che stava diventando qualcuno grazie alle proprie capacità e al proprio bel carattere e professionalità, senza passare sotto i riflettori come una qualsiasi altra donna avrebbe dovuto fare per definirsi davvero qualcuno.
Lei stava facendo carriera, scalando la vetta come solo gli uomini prima di allora, per maschilismo o semplice storia, avevano potuto fare.
 
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Bentornati a chi è rimasto. Come ho promesso a me stessa molti anni fa, la storia continuerà fino alla fine. Un abbraccio a distanza a chiunque arrivi fin qui con il piacere di averla letta. Spero che possa donarvi tanto quanto ha donato a me.
A presto.
  
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