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Autore: Jeremymarsh    21/07/2021    6 recensioni
[AU ambientata nel Sengoku Jidai]
Durante una semplice operazione di perlustrazione, Inuyasha, generale in una guerra tra demoni e umani che va ormai avanti da due anni, si spinge fino oltre il territorio nemico per raggiungere il villaggio in cui la sua promessa sposa viveva prima che il conflitto scoppiasse. Qui viene scoperto dalla sorella minore di lei che gli rivela intenzionalmente una cosa che non avrebbe dovuto.
Scioccato, Inuyasha decide di imbarcarsi in una nuova e pericolosa missione che potrebbe costargli la vita o peggio.
[Inukag con piccola parentesi Inukik]
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, Kaede, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome, Inuyasha/Kikyo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sette: Crepuscolo o Alba?
 
 
“Qualche volta Francette, l’estate passata sulla spiaggia, si divertiva a immergere le mani in mare nel tentativo di raccogliere un po’ di schiuma. Serrava i palmi l’uno contro l’altro e gridava di gioia poi correva da Denise con tutta la forza che aveva nelle gambette, ma quando apriva le dita non trovava altro che un po’ d’acqua. Allora si metteva a piangere, ma poi ricominciava… Ecco, l’amore era proprio la stessa cosa.”
Il malinteso, Irène Némirovsky.
 
 
 
 
Inuyasha si accasciò sulla sedia e nascose il viso tra le mani non appena Sesshomaru fu scomparso dalla sua vista. Non poteva credere a tutto quello che gli stava accadendo attorno, a come il mondo gli stesse crollando ancora una volta addosso nel giro di pochi giorni.
 
Scosse la testa e sospirò.
 
Dove aveva sbagliato?
 
Tutto, aveva sbagliato tutto.
 
Si era innamorato di Kikyo, le aveva dato tutto e in cambio non gli era rimasto nemmeno un pugno di sabbia. Aveva creduto di avere tutto e invece non aveva nulla. Si era imbarcato in una missione suicida per una donna che probabilmente aveva lo già dimenticato, anche il suo volto. Valeva la pena farsi uccidere per lei? Morire con il rimpianto e alla ricerca di una verità effimera?
 
Cosa c’era da verificare poi? Cosa gli avrebbe mai potuto dire quella povera anima di Miroku se fosse ancora vivo?
 
Rise, come un pazzo. Sì, certo, come no, gli avrebbe proprio rivelato il rifugio di un disertore.
 
Rise ancora di più, in preda alla seconda epifania nel giro di due giorni.
 
Che stupido, che stupido sei stato, Inuyasha.
 
La dea bendata lo aveva salvato e gli aveva mandato un angelo la volta scorsa e lui nemmeno aveva imparato. Non sarebbe stato fortunato una seconda volta. La verità, voleva la verità anche a costo della sua stessa vita. Ma qual era la verità?
 
Miroku era morto, ma anche se fosse stato vivo, anche se quella sera tutto fosse andato liscio e Inuyasha avesse raggiunto il tempio trovandolo lì, probabilmente non avrebbe racimolato nulla. Era stato un illuso ancora una volta, accecato prima dall’amore poi dall’odio.
 
Non c’erano sfumature diverse per quanto ne cercasse. Incontrare Kikyo ancora una volta non avrebbe migliorato nulla, lo avrebbe solo spinto ancora di più sull’orlo del baratro. Nero su bianco aveva scritto alla sorella – la persona di cui lei si fidava di più – che era scappata con l’uomo che aveva sempre amato. E lui, Inuyasha, chissà cos’era stato in tutto quel tempo. Non c’era una sfumatura diversa: Kikyo lo aveva preso in giro.
 
Con quale rimpianto vale la pena vivere? Il non sapere mai perché Kikyo si era comportata a quel modo o il non aver mai vissuto veramente ed essere morto invano in quella ricerca della verità?
 
Se domani tutto fosse andato liscio per loro, allora la guerra sarebbe finita e sarebbero cominciate le trattazioni per riportare tutto alla normalità – il padre gli aveva detto che era andata così la volta scorsa, e anche prima, era tutto un circolo infinito – e lui avrebbe dovuto aspettare mesi. Ma cosa ne sarebbe stato di Kikyo? I disertori erano sempre un’incognita, la maggior parte non aveva il coraggio di tornare nemmeno a guerra finita; la vergogna era troppa. E poi perché sarebbe dovuta tornare? Aveva modo di formare la sua nuova famigliola altrove; non aveva nemmeno avuto riguardo delle sorelle, nonostante tutto l’amore che diceva di provare per loro.
 
Più aspettava e più Kikyo si allontanava da lui. Ogni secondo che passava sottolineava l’impossibilità di quel suo piano infallibile. Ogni secondo che passava la verità veniva distorta da odio e rancore, rimorsi e dolore.
 
Inuyasha si sentiva come se il peso di tutta la guerra gli fosse piombato sulle spalle con quella consapevolezza – con la consapevolezza che non avrebbe mai rivisto Kikyo, né scoperto la verità di tutte le verità – e sembrò invecchiato di centinaia di anni tutto d’un tratto.
 
All’improvviso si sentiva stanco e svuotato. Per cosa valeva la pena combattere?
 
Toga osservò tutte quelle emozioni passargli sul volto e distinse l’esatto momento in cui il figlio sembrò rinunciare a tutto, il momento in cui rughe che non c’erano pochi minuti prima apparvero sul suo viso di giovane e le spalle si accasciarono come tutto il suo essere.
 
Il cuore gli si spezzò ancora un’altra volta. Ma in quanti frammenti ancora si sarebbe diviso?
 
I polmoni sembravano far fatica, il petto si strinse, e l’aria sembrò mancargli. Anche l’Inu-no-Taisho si ritrovò sull’orlo del precipizio. Però gli uomini della sua famiglia non erano deboli, lo erano stati per un momento – sì, anche Sesshomaru – ma era venuta l’ora di rialzarsi a testa alta e affrontare la battaglia del giorno dopo con il giusto spirito.
 
Si avvicinò silenziosamente al figlio e solo quando ebbe posato la mano sulla sua spalla quello alzò quel suo sguardo perso su di lui. I loro occhi si incontrarono e sembrarono dirsi il mondo: parole mai dette, scuse mai pronunciate, dolori mai condivisi e rimorsi che avevano appesantito troppo l’anima erano tutti contenuti in due paia di occhi dorati.
 
Le forti e larghe spalle del demone più anziano si fecero carico di un dolore che un viso tanto giovane non avrebbe mai dovuto lasciar traspirare. Un volto tanto giovane e indifeso.
 
“Figliolo,” mormorò. Niente parole di scuse, niente spiegazioni. Sembrava che si fossero già detti tutti solo con quello sguardo.
 
“Padre,” mormorò Inuyasha di rimando. “Padre,” ripeté seppellendo di nuovo il viso tra le mani tra l’abbattuto e l’umiliato.
 
Papà, ho sbagliato tutto,” disse ancora.
 
“No,” mise un po’ più di pressione sulla spalla, “Non hai sbagliato ancora, Inuyasha. Ma se lascerai che questo dolore ti laceri e ti lasci immobile allora lo farai. Proprio come il tuo vecchio.”
 
Forse non c’era bisogno che Inuyasha gli spiegasse davvero cosa era successo nelle terre del nemico, cosa era successo in questi due anni, perché Toga in quegli occhi aveva letto tutto. Vi aveva letto lo stesso dolore che lo aveva annientato da quando la sua dolce Izayoi non era più affianco a lui.
 
Tutti l’avevano sempre definita una debole e piccola umana ,eppure nessuno aveva saputo riconoscere che quella debole umana era sempre stata la sua roccia.
 
Lui sì che aveva sbagliato, su tutta la linea. Sesshomaru aveva sbagliato. Ma Inuyasha aveva ancora la possibilità di riprendere la strada giusta; il suo percorso era stato solo leggermente deviato. Niente era perduto.
 
“Papà?” gli chiese Inuyasha incerto, alzando ancora una volta gli occhi verso di lui. Lo sguardo perso di un bambino che ne ha combinata una grossa e sta aspettando la punizione dal padre.
 
“Ti ho lasciato andare. Mi sono lasciato andare. Non me lo perdonerò mai, Inuyasha. Ma nulla è perso. Non fare il mio stesso errore, figliolo. Rialzati ora.” Lo sguardo carico di determinazione lo inchiodava e lo sfidava a contraddirlo. Era come se in quel momento il Generale stesse dando un ordine al suo sottoposto. “Non fallire, cadi ma rialzati, porta a termine la tua battaglia con successo.”
 
Volse infine lo sguardo verso il ritratto della compagna e per un attimo sembrò perdersi nei ricordi, un sorriso genuino gli comparve sulle labbra. “Nessuno ha detto che in guerra non ci sarebbero mai state perdite. Alcune più dure di altre. Lo abbiamo imparato nel peggiore dei modi, figlio mio.”
 
Inuyasha lo guardò con interesse per poi volgere anche lui gli occhi verso il ritratto sorridente della madre.
 
“Le battaglie si combattono ogni giorno su ogni tipo di campo, non solo quello sul quale ci dirigeremo domani all’alba, proprio come ho detto a tuo fratello.” Il mezzo demone fece una smorfia all’uso dell’ultima parola; Toga lo ignorò. “Ma che succede se rimani a terra domani in quel campo dopo che qualcuno ti ha buttato giù? Cosa sarebbe successo se in quella radura, dopo che la freccia ti aveva colpito, quella sacerdotessa non ti avrebbe aiutato a rialzarti? Si muore figliolo, ecco che succede. A volte abbiamo delle giovani fanciulle che ci aiutano,” sorrise ancora osservando la moglie, “e altre dobbiamo farci forza da sola.”
 
“E altre volte il nostro vecchio ci indirizza,” mormorò Inuyasha che cominciava a capire l’antifona.
 
Toga rise leggermente. “Si talvolta il nostro vecchio può aiutare, se si è disposti ad accettare il suo aiuto.” Il silenzio sembrò farsi strada tra loro ancora una volta, ma il demone riprese il discorso poco dopo. “Domani avrai la tua possibilità, Inuyasha. Potrai fare la tua scelta: rimanere immobile nel tuo dolore, in questo limbo che sembra volerti aggrappare forte e non lasciarti mai andare, o potrai invece agitarti, scalciare, scalpitare pur di liberarti da quella morsa. Dimostra a tutti chi sei veramente.”
 
“E se non avessi capito nemmeno chi sono veramente, papà?” chiese il mezzo demone, quasi con aria di sfida.
 
Toga scosse la testa. “Ah, è difficile capirlo, figliolo. Anche quando arrivi alla mia età ti vengono i dubbi e ti chiedi se chi sei stato finora fosse il tuo vero io o una maschera, se le scelte che hai preso finora erano quelle giuste. Però sai qual è il bello della vita?” gli rivolse uno sguardo penetrante, “L’alba sorge ogni mattina e con quella hai sempre la possibilità di prendere una svolta, cambiare il tuo destino, prendere una nuova scelta. E chissà, magari anche quest’altra scelta sarà sbagliata, o forse no, ma almeno ci avrai provato. Sempre meglio di lasciarsi andare a quel limbo.” La vista gli si annebbiò per un attimo e poi gli occhi si fecero carichi di rimorso. “Fidati, ne so qualcosa,” mormorò poi con un filo di voce.
 
Inuyasha coprì la mano che ancora giaceva sulla spalla con la sua e la strinse. “Anche quella è una scelta allora, papà…” mormorò. “L’importante è rendersi conto se è quella sbagliato o meno e agire di conseguenza. A me sembra che tu sia sulla strada giusta.”
 
“Credi, figliolo?” I loro occhi si incontrarono ancora una volta e stavolta i ruoli erano invertiti. Il padre chiedeva conforto al figlio, chiedeva perdono al figlio, si inchinava al figlio.
 
“Ne sono certo, papà. Ne sono certo come sono certo che tu sia il Grande Generale Cane,” un sorriso genuino gli abbellì le labbra, un canino che sporgevo da quello inferiore e gli occhi ammiccanti. Il padre rise in risposta.
 
“Ah beh, meno male allora. Tua madre sarebbe arrivata a tormentare i miei sogni se avessi continuato per questa strada,” scherzò. “Per fortuna che è riuscita a farmi arrivare il suo messaggio in qualche altro modo.”
 
E c’era riuscita infatti. Izayoi risiedeva tutta in Inuyasha, in quel sorriso che il mezzo demone aveva eredito, nella forma del viso e di quegli occhi che se pur avevano eredito il suo colore avevano lo spirito di lei.
 
“Eh sì, la mamma lo avrebbe fatto, e poi… non contenta, avrebbe tormentato anche i miei.”
 


 
La notte passò troppo in fretta, tra preparativi, controlli, grida e ordini. Gli odori più disparati avevano invaso il castello e le terre più vicine a causa della tempesta di emozioni scatenata dall’annuncio di Koga prima e dell’Inu-no-Taisho poi.
 
Il sentimento più predominante era la sete di vendetta
– e di sangue  unita all’adrenalina che rendeva tutti più frenetici prima di una battaglia. Ma questa era la battaglia e quindi tutto era amplificato ai massimi livelli.
 
I demoni più violenti e crudi volevano riuscire a godere al meglio lo scontro di domani, proprio perché l’ultimo, e volevano uccidere il maggior numero di persone. Uno sguardo gelido da parte del Generale era servito in pare a quietare i loro animi, ma solo una minuscola parte.
 
Molti tra questi erano ancora innocui, magari erano persone che avevano perso un amico o un familiare per mano di uno spiritualista e volevano solo vendetta, altri invece erano quelle anime scure e senza speranza che volevano solo sangue – non importava di chi. Erano peggio di Sesshomaru e chi come lui pensava che chiunque non fosse un demone di sangue puro non fosse nemmeno degno della loro attenzione. No, queste anime corrotte avrebbero ucciso anche un loro amico se l’occasione si fosse presentata e per quanti sforzi si facessero per scacciarli dalle terre dell’Ovest ne nascevano sempre di nuovi. Erano questi quelli che Toga teneva più sotto controllo perché, nonostante la loro forza fosse necessaria a eliminare altre anime simili nell’esercito nemico, erano anche in grado di uccidere un alleato sul campo di battaglia.
 
Inuyasha e Koga storsero il naso a passare davanti a un gruppo di quelli, il loro odore era contaminato dall’inconfondibile puzza dell’odio, di certo non piacevole. Questo perché, molti di loro erano anche eccitati dalla battaglia e più ce ne si teneva alla larga, meglio era – sapevano essere crudeli in molti modi, spesso anche senza farsi notare.
 
Tra le diverse emozioni si distingueva anche ansia e preoccupazione, anche se in parte molto minima. Erano quei demoni che non amavano andare in battaglia già certi del risultato. Non amavano mostrarsi così sicuri perché erano convinti che avrebbe portato loro e a tutti gli altri sfortuna.
 
E infine c’era l’apatia. C’era chi si preparava alla battaglia privo di ogni sentimento o emozione perché magari lo aiutava a entrare nell’ottica mentale migliore o portava in superficie più controllo. Questi demoni indossavano una maschera dall’inizio alla fine della battaglia, senza lasciarsi scalfire da niente di quello che gli accadeva attorno. C’era solo lo scontro e il nemico da buttar giù.
 
Inuyasha, reduce dalla conversazione con il padre – con le emozioni ancora in subbuglio – era difficile da collocare in una categoria. La varietà di emozioni e odori che trovò nella sala grande non lo aiutava a mantenere saldi i nervi già fragili e non appena ebbe messe piede al suo interno si rese conto di quanto fosse stato stupido anche solo pensare di approcciarsi a essa. Koga, accanto a lui, percepì quell’umore instabile e lo condusse lontano.
 
Dopo dieci minuti buoni, si ritrovarono in una radura lontana dal castello e che rimaneva abbandonata per la maggior parte dell’anno. Beh, in realtà si poteva dire che era abitata solo dodici giorni all’anno – qualche volta in più, solo quando Inuyasha aveva bisogno di restare solo ed essere sicuro che nessuno lo trovasse, qualcosa che era successo anche troppo spesso dall’inizio della guerra. Koga lo aveva portato nella piccola radura nascosta che serviva da protezione nelle notti di luna nuova.
 
Nessuno era a conoscenza della piccola costruzione che vi dimorava perché era protetta da una barriera che Toga aveva fatto erigere nel momento in cui aveva scoperto che suo figlio sarebbe stato più debole una volta al mese e avrebbe avuto bisogno di protezione. Una barriera che continuava a rafforzare con il tempo per assicurarsi che non cedesse.
 
Inuyasha sbuffò leggermente. Ah, quindi era quello l’obiettivo di Koga, incastrarlo e poi tampinarlo di domande. Proprio il modo migliore per prepararsi alla battaglia, avere una presa salda sui suoi nervi e controllare il suo battito cardiaco impazzito.
 
“Keh. Se hai intenzione di farmi il terzo grado, lupastro, ti sbagli di grosso,” cominciò.
 
Koga gli rivolse un sorriso sornione, poi una pacca sulla spalla che lo prese allo sprovvista e gli fece perdere l’equilibrio per mezzo secondo. “Tranquillo, botolo,” rispose l’amico, “ho capito che stare in mezzo a quella massa di demoni arrapati non ti avrebbe fatto alcun bene.”
 
“Keh!”
 
Koga si lasciò cadere a terra in mezzo all’erba alta e Inuyasha lo seguì poco dopo, gambe incrociate, mani nascoste nelle maniche della veste del topo di fuoco e Tessaiga appoggiata alla spalla sinistra. Restarono in silenzio per un bel po’ di minuti. Un ape venne a dargli fastidio e volò pericolosamente vicina a un orecchio di Inuyasha che continuava a muoversi ancora più freneticamente – forse per il nervosismo o per scacciare tale ape.
 
“Hai intenzione di scendere sul campo di battaglia come un fascio di nervi, cagnolino?” gli chiese il demone lupo osservando i suoi movimenti.
 
“Keh!” Inuyasha ripeté una terza volta.
 
“Non darmi del keh, Inuyasha, non attacca. Qualsiasi cosa sia accaduta là fuori o in qualsiasi altro momento farai meglio a fartela passare prima di domani mattina perché non voglio dover dire a tuo padre che ti ho lasciare cadere nel bel mezzo della battaglia,” gli disse con tono duro e per nulla scherzoso.
 
Inuyasha assottigliò lo sguardò e storse il naso. “Nessuno ti ha detto che devi sentirti responsabile.”
 
“E invece devo!” ribatté Koga, “Soprattutto considerando che domani mattina, su quel maledetto campo, combatterai spalla a spalla con me come hai sempre fatto e non accetto altro. Quindi se ti fai beccare perché sei troppo perso in Inuyasha-land la colpa sarebbe anche mia. Datti una svegliata, amico, perché domani sera, quando la prima parte sarà fatta, voglio potermi ubriacare con il mio miglior compare.”
 
Inuyasha, che raramente era soggetto a una sfuriata di Koga – beh, non che il demone lupo fosse davvero il tipo da ramanzina, a meno che non superava il limite della pazienza – non sapeva in che modo rispondergli e fu quindi sul punto di lasciarsi sfuggire l’ennesimo “Keh”. Un’occhiataccia da parte del lupo lo bloccò. Quest’ultimo quindi ricominciò.
 
“Inoltre, non voglio nemmeno cominciare su tutti i casini che dovremo sistemare a guerra finita,” si lamentò. “Non vorrai mica lasciarmi a gestire tutto da solo?”
 
“Certo che sei proprio un tipo molto sicuro, Koga,” Inuyasha mormorò.
 
“Devo, altrimenti come dovrei andare avanti? Sarei morto il primo giorno. Ti ricordi quanto ci sono andato vicino la prima volta quando non avevano ancora ben chiaro come agissero quegli spiritualisti di merda? Ah, amico… ricordo ancora la sfuriata che mi facesti prima tu e poi tuo padre,” rise. “E quanto cazzo bruciava quella freccia.”
 
“Già… ancora mi chiedo come hai fatto a sopravvivere,” Inuyasha sbuffò.
 
“Forse gli antenati avevano deciso che non era ancora il momento o forse sapevano quanto hai bisogno di me nel momento in cui cominci a sparare stronzate malinconiche e senza senso. Chi ti farebbe rinsavire altrimenti? Senza contare poi che nelle notti di luna nuova moriresti di noia. Devo rimanere vivo almeno fino a quando non troverai un bel corpicino caldo che ti tenga compagnia al posto mio.”
 
Il mezzo demone fece una mezza smorfia, ma se Koga se ne accorse non lo diede a vedere e continuò con il suo discorso, non prima di avergli dato un’altra bella pacca ben assestata.
 
“Beh comunque, ora anche tu puoi contare un paio di esperienze pre-morte no? Quante volte ci sei andato vicino in un paio di giorni? Una, due? Ti cambia la percezione un’esperienza del genere amico, ti apre gli occhi,” sospirò.
 
Inuyasha alzò gli occhi al cielo senza rispondergli e rimase in silenzio; Koga non lo pressò.
 
Aprire gli occhi. Beh, lui gli occhi li aveva aperti anche prima, no? Quando Kagome gli aveva porto la lettera incriminata. Ci rifletté su per qualche minuto.
 
No, forse Koga aveva ragione. Dopo aver letto la lettera le sue palpebre erano rimaste ancora un po’ socchiuse, non si erano aperte del tutto e lui si era addentrato alla cieca nel territorio nemico. Sì, alla cieca.
 
Gli occhi li aveva aperti completamente solo a seguito della morte di Miroku, non era così? La morte ti apriva gli occhi – che fosse prima o dopo, presto o tardi, tua o di un altro.
 
“Forse hai ragione, lupastro.”
 
“Certo che ho ragione, botolo! Sono un pozzo di scienza io,” rispose Koga con una terza pacca.
 
“Oi! La vuoi smettere o no con queste tue manacce?” si incazzò Inuyasha.
 
L’amico rise in risposta. “Beh, se non ti dai una svegliata io devo farti reagire in qualche modo, no?” Inuyasha lo guardò male.
 
“Non importa comunque se gli occhi li apri o no,” mormorò ancora quest’ultimo. “Come si scende sul campo senza avere un’ancora? Un motivo per cui combattere?”
 
Koga si girò a guardarlo veramente per la prima volta da quando si era seduti. “Un motivo, eh? E chi ti dice che non ce l’hai, botolo? Devi essere proprio cieco allora, senza speranza,” sbuffò quello scuotendo la testa.
 
Nessuno dei due riaprì il discorso quella sera. Rimasero seduti lì ancora per molto prima di abbandonare la radura e prepararsi per l’indomani mattina. Ma una cosa era sicura, Inuyasha non era lo stesso mezzo demone che era entrato qualche ora prima.
 
Che suo padre e Koga si fossero messi d’accordo quel giorno? O forse si percepiva così tanto che era disperato che addirittura Koga – Koga – aveva sentito il bisogno di abbandonare i suoi modi giocosi e fargli una cazziata?
 
Entrambi però gli avevano dato da pensare e almeno le sue emozioni erano meno violente e i suoi nervi più stabili quando si ritirò nelle sue stanze.
 
La notte, sì, passo decisamente troppo in fretta; i primi raggi di sole vennero percepiti quasi come un affronto dal mezzo demone che, affianco all’amico, era pronto sul campo di battaglia e osservava le figure farsi avanti sul confine tra territorio umano e demoniaco.
 
La mano era salda sull’elsa di Tessaiga e la maschera – del tipo che veniva costruito da anni proprio sulla base di quelle utilizzate dagli sterminatori – gli nascondeva la maggior parte del viso, lasciando scoperti solo gli occhi dorati che si riducevano a due fessure man mano che il nemico si avvicinava.
 
Quegli stessi occhi però, l’unico mezzo disponibile per leggere le emozioni di qualsiasi demone al momento, sembrarono addolcirsi per un momento.
 
Nella mente di Inuyasha risuonarono le ultime parole dell’amico la sera prima – e chissà Koga a cosa si stava riferendo veramente quando si aveva parlato di lui come un cieco senza speranza – e subito dopo, come in una visione, il volto di una donna dai lunghi e mossi capelli neri apparve davanti a lui. Solo per un secondo, non per molto – ma era abbastanza per riconoscere quel sorriso genuino, a tratti preoccupato (per lui), e quelle due fossette.
 
Non era volto della madre. Non era il volto di Kikyo.
 
Allora era vero, Inuyasha aveva davvero qualcosa per cui combattere ancora.
 
Le labbra si distesero in un sorriso ma lì, in procinto di finire la guerra per la volta buona, e con una maschera antigas che gli nascondeva il viso, nessuno se ne accorse e solo quegli occhi dorati, all’improvviso di nuovo pieni di vita, sarebbero potuti essere indicatori per chiunque avesse volto anche solo per un secondo lo sguardo verso il mezzo demone.


 

 N/A: Mi scuso ancora per la lentezza con cui ho aggiornato avendo anche già il capitolo pronto 🙊 cercherò di postarvi il prossimo entro una settimana (anche quello già scritto). Mi manca solo l'epilogo da scrivere e sebbene ho già in mente cosa accadrà non riesco ancora a metterlo bianco su nero. Se non si era capito, comunque, ci avviamo verso la fine. Il prossimo vedrà lo scrontro finale e poi, per l'appunto, l'epilogo. 

Spero questo capitolo vi sia piaciuto: abbiamo una presa di coscienza maggiore da parte di Inuyasha aiutata sia dal babbo che dall'amico (vi fa strano vedere Koga come amico? Eh, sì, decisamente OOC, ma in questa AU mi piace la loro relazione). Se qualcuno ha letto il libro a cui mi sono ispirata, ha probabilmente già capito perché ho preso questa scelta nei confronti di Kikyo. 

Fatemi sapere cosa ve ne pare, se vi va, e alla prossima! 

 
   
 
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