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Autore: Dark Lady 88    22/07/2021    0 recensioni
Epoca d’oro dei pirati, Caraibi: Henry Avery, lo spietato capitano della Fancy issa bandiera rossa, il che significa una cosa sola: lotta senza quartiere. L’attacco alla Ganj-i-Sawai, la più grande nave del Gran Mogol, gli frutta un tesoro inestimabile. Ma le insidie sono molte, e l’equipaggio della Fancy ha necessità di nascondere il bottino, per tornare in un secondo momento a recuperarlo.
La misteriosa Isola dello Scheletro è il posto scelto per farlo: quello che Avery e il suo equipaggio non si aspettano però, è che sull’isola si troveranno a combattere con le proprie paure e le proprie debolezze. C’è qualcosa o qualcuno che impedisce loro di salpare? Qual è l’atroce delitto che vi si è consumato e che ha portato alla distruzione di un’intera flotta spagnola?
La storia presenta dei riferimenti alla serie tv Black Sails e al romanzo L'isola del tesoro. Ho deciso comunque di inserirla nella sezione Originali perché i personaggi sono figure storiche o inventate da me.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“È curioso, eppure è vero, che ogni oceano ha il suo colore, le sue sfumature, diverse e particolari, di blu, verde e grigio (…). Era anche per vedere e scoprire cose come queste che ero vissuto. Si finisce facilmente per dimenticarlo, in vite come la mia. Chi l’avrebbe creduto che in tutto questo scompiglio ci fosse posto anche per la bellezza?”

Björn Larsson, “La vera storia del pirata Long Jhon Silver”
 

 
Nassau era esattamente come George Vaughan ricordava. C’era odore di salsedine nell’aria frizzante del mattino; la foschia all’orizzonte si stava lentamente diradando, ed il vecchio chiuse gli occhi, lasciando che la brezza gli accarezzasse il volto. Erano passati più di venti anni da quando se ne era andato. Per molto tempo non aveva più pensato al mare, allo stridio dei gabbiani, ai pirati, agli odori che si respiravano sulle navi. All’isola dello Scheletro. A tutto quel sangue. A quello che si provava ad uccidere un uomo.

Il capitano Avery se ne era andato. Erano passati diversi anni da allora. Sua moglie si era spenta serenamente durante una notte di sonno; lui, che come sempre le dormiva al fianco, l’aveva sentita gemere, come trattenendo il fiato. Aveva pensato stesse sognando.

Ma poi Henry Avery aveva capito che il respiro di Nymah si era arrestato per sempre.

L’aveva pianta insieme ai suoi figli, i suoi molti figli. Le aveva detto addio senza rimpianti: tutto quello che era in suo potere per renderle meno dolorosa la vita su questa terra, il capitano Avery lo aveva fatto. Capitano… da quanto tempo nessuno non lo chiamava più così? Avery aveva chiesto a Vaughan – l’unico della Fancy con il quale era rimasto in contatto – di non usare più quell’epiteto.

Aveva fatto una scelta, dicendo addio alla pirateria. Si sentiva stanco all’epoca… ne aveva avuto abbastanza di morte.

Di tanto in tanto, ad Henry Avery tornava in mente ciò che aveva vissuto sull’isola, ed allora un sudore freddo gli imperlava la fronte.

Un brivido lo attraversava, e l’aria gli sembrava improvvisamente gelida, anche in piena estate, anche quando si sentiva al sicuro, chiuso in casa. Come se nella stanza fosse entrato un fantasma, che nessun cancello e nessun muro eretto da uomini poteva tenere al di fuori. Con Vaughan comunque, non ne parlava mai.

Con il tempo avevano dimenticato. O almeno, avevano creduto di poterlo fare. Le ferite sui polsi di Nymah erano guarite; pian piano, il suo volto si era disteso in quello che poteva essere definito un pallido sorriso.

Era una figura silenziosa la moglie di Henry Avery, che si muoveva lenta per casa come uno spirito.

Quando tornava a casa, la sera, lui le raccontava la sua giornata. Cercava di farla vivere con ogni comodità, ma la donna che aveva sposato sembrava essere così lontana dal mondo terreno, come se la sua mente abitasse a miglia e miglia lontana dal corpo. I gioielli e le pellicce non la incantavano. Le sete preziose, gli ori e gli aggeggi curiosi che Avery acquistava per lei dai mercanti, non sortivano sulla principessa indiana alcun effetto. Non era vanitosa. Non si agghindava, ma non le serviva per essere bella: ogni volta che usciva in pubblico, non mancava mai di suscitare l’invidia delle donne bianche, strette nei loro corpetti che strizzavano il seno, con i capelli attorcigliati in elaborate acconciature. Nymah camminava fiera in mezzo a loro, senza abbassare mai lo sguardo; gli occhi neri incorniciati dalle folte ciglia, la pelle scura, i capelli sempre sciolti che le cadevano sulle spalle, lisci e fermi.

Avery e Nymah avevano avuto cinque figli. Adesso tutti avevano preso il largo, ognuno per la sua strada. Laurence, il primogenito, aveva ereditato dal padre la passione per il mare. 

Laurence si era imbarcato su un peschereccio quando era ancora un ragazzo, e per molti anni i suoi genitori non ne avevano avuto notizie. Poi un giorno era giunta una lettera:

Cari genitori, diceva, spero stiate bene.

Mi dispiace non avervi più dato mie notizie, ma come forse immaginerete, la vita per mare non è affatto facile, né comoda.

Ascoltando fin da bambino i tuoi racconti, padre, credevo di essere preparato a ciò che mi aspettava. Invece mi sono reso conto di come a bordo di una nave la vita scorra in modo diverso rispetto alla terraferma. Altre leggi regolano il passare del tempo, le azioni e la moralità degli uomini. C’è molta superstizione, ma non ignoranza.

Non sono ammesse donne, nei lunghi mesi trascorsi a bordo, ma non sarebbe corretto dire che non c’è alcuna presenza femminile ad accompagnarci nei viaggi. Le donne abitano infatti ogni racconto ed aneddoto che circoli a bordo, e la loro presenza è sempre forte e viva nei nostri ricordi e speranze per il futuro. Che si tratti della memoria di una madre, di una moglie o di una sorella. È all’amore che si riconduce ogni pensiero di questa gente all’apparenza libera ed indipendente, rozza, non avvezza ad alcun affetto.

Ma non è di questo che volevo parlarvi. Vi scrivo per annunciarvi che, nonostante non l’avessi messo in conto, il destino mi ha portato più lontano di quanto avrei mai creduto.

Come sapete, il mare e la fortuna sono estremamente volubili, come i desideri di una donna: ecco, come vi dicevo, ecco che la presenza femminile non cessa mai di influenzare i nostri pensieri.

Ma tornando a me, ecco quello che mi è capitato: eravamo sbarcati da pochi giorni presso Port Royal, quando una sera io ed un mio compare con il quale avevo legato più che con gli altri, venimmo avvicinati da quello che sembrava un ufficiale della Royal Navy. Non portava alcuna uniforme, tuttavia i suoi abiti erano puliti e, dai modi composti e gentili che mantenne durante tutta la nostra conversazione, sembrava un uomo istruito e per niente avvezzo ai vizi.

Quest’uomo ci confidò che il suo capitano, che in molti definivano “pirata”, altro non era che un gentiluomo che si batteva ormai da anni contro l’incessante minaccia delle navi spagnole che di tanto in tanto saccheggiavano la baia. La definizione che meglio si aggradava al suo capitano, così ci spiegò, era quella di “corsaro”.

Con il permesso di Dio e del Re Giorgio, quelli che l’ufficiale definì “gli eroi del nuovo mondo”, difendono i timorosi cittadini inglesi da ogni sorta di nemico. Quale fortuna era stata per noi incontrarlo, ci disse, proprio quella sera: il capitano stava cercando nuovi adepti per la sua causa. Marinai coraggiosi che non aspettavano altro che poter servire il proprio paese.

La paga sarebbe stata molto più ricca rispetto al misero salario che potevano sperare di ottenere a bordo del mercantile che ci aveva portato fin lì. Io e il mio compare facemmo un rapido calcolo, ma non fu tanto l’idea del vantaggio che avremmo ottenuto a convincerci, quanto la prospettiva delle avventure che avremmo vissuto come corsari. Le stesse avventure che mi hai raccontato tu, padre, quando non ero altro che un bambino. Mai avrei immaginato di poterle vivere io stesso!

Così ho deciso di arruolarmi.

Madre, padre, non abbiate timore: sebbene corsari e pirati siano molto vicini nello stile di vita e nei modi di fare, c’è una differenza sostanziale tra i due tipi d’uomo: i corsari sono protetti dalla legge, e se il Signore mi proteggerà in battaglia, non potrà mai accadere che io sia impiccato, sorte che invece spetta a coloro che scelgono di servire sotto la bandiera nera.

Vi scrivo questa lettera per chiedervi di ricordarmi nelle vostre preghiere, e per rassicurarvi sul fatto che non corro alcun pericolo.

Oppure, se anche ne corressi, che questa è la vita che ho scelto, sia che la sorte mi sia favorevole, sia che mi sia avversa. Il mare, la libertà che rappresenta, l’orizzonte sconfinato che scorgo ogni mattina. È così che ho scelto di vivere, e così sarò felice di morire, un giorno.


Con affetto,

Vostro figlio Laurence.
 

 
Avery era diverso dall'uomo che Vaughan aveva conosciuto e con il quale aveva affrontato la vita in mare. Se ne rese conto nella maniera più lucida possibile durante il matrimonio di una delle sue figlie, Mary.

Nymah era sempre stata preoccupata per quella ragazza, la più giovane dei loro cinque figli. Fin da piccola era stata bellissima, con la pelle ambrata della madre e gli occhi profondi del padre. Ma la sua bellezza era pari alla cattiveria che la fanciulla aveva sempre mostrato nei confronti dei fratelli, degli altri bambini, del cagnolino domestico. C’era una rabbia, un fuoco dentro di lei, nei quali Avery si riconosceva come in uno specchio, confidò una sera il capitano a Vaughan. Per lui, gli disse, l’unica salvezza era stata l’amore verso Nymah. Un amore forse mai del tutto ricambiato, ma che aveva sopito il suo spirito.

Quando Mary era andata in sposa ad un giovane, ricco mercante dai modi gentili, che stravedeva per lei, Avery aveva augurato alla figlia che anche per lei l’amore potesse essere la strada verso la serenità.

Poi Nymah era morta, ed Henry Avery si era ritirato in un muto silenzio. Per mesi non si era fatto vivo, tanto che Vaughan aveva cominciato a pensare che fosse morto con la sua sposa. Poi un giorno, Henry Avery lo aveva cercato. E lo aveva fatto per dirgli addio.

“Thomas Tew mi aveva assicurato che sarei stato sempre il benvenuto in quel luogo”, gli aveva detto.

Vaughan lo aveva preso per pazzo: trovare Libertalia era impossibile, ma non era riuscito a dissuaderlo. Chissà se davvero Avery era arrivato a destinazione: forse la colonia voluta da Thomas Tew neanche esisteva davvero. Avery era convinto che si trovasse nei pressi del Madagascar. Vaughan non lo aveva mai più rivisto, ma gli piaceva pensare che il capitano Avery avesse avuto fortuna.

Era stata forse l’ultima avventura del capitano Avery ad accendere la luce nella mente di George Vaughan? Il vecchio quartiermastro della Fancy non lo sapeva. Quello di cui era certo, era che da quando Avery se ne era andato, non aveva smesso neanche per un attimo di pensare all’ Isola dello Scheletro.

Quando il capitano Avery, più di vent’anni prima, aveva deciso di spartire il tesoro e ritirarsi dalla pirateria, Vaughan era stato ben lieto di seguirlo. Sperava di trascorrere gli ultimi anni della sua vita godendosi le ricchezze accumulate, per spegnersi serenamente. Invece la sorte gli aveva dato in dono una vita estremamente lunga. 

Così, alle soglie dei settant’anni, il pensiero del mare aveva ripreso a tormentarlo. Era un richiamo, dolce e suadente come la voce di una sirena. Vaughan sapeva bene di non dover cedere: se ti lasci catturare, se ti abbandoni al canto della creatura, questa ti stringe nelle sue grinfie fino a portarti alla morte. E così accadeva, ogni notte nei suoi sogni: rivedeva l’isola, la sabbia dorata, la natura incontaminata e così bella da mozzare il fiato. Poi l’indigeno sollevava il coltello in aria, il sole scintillava sulla lama, accecandolo ed immergendo tutto in una luce lattiginosa. Quando il vecchio Vaughan tornava a mettere a fuoco, il nero era sparito. Si voltava verso il mare, e scorgeva la risacca tinta di rosso. L’acqua leniva il sangue, lo assorbiva ancora una volta, per nutrire il mostro. L’essere che si nascondeva negli abissi, nelle profondità immerse nel buio. Lì, nell’oscurità, aspettava. Aspettava… ma cosa?

Alla fine, Vaughan si era dovuto arrendere: il mare lo stava chiamando ancora.

“Ho sentito dire che voi avete navigato con Avery”, gli disse quella sera l’uomo alla locanda.

Non era la stessa in cui andava da giovane. Tutto era cambiato a Nassau, eppure non era cambiato niente. Annuì, portandosi il boccale alle labbra.

“E che sapete come arrivare all’Isola dello Scheletro”.

L’uomo era bello in carne e parlava con voce calma ma determinata. I pirati si erano forse un po’ rammolliti, rispetto a come Vaughan li ricordava. O forse questo era quello che ogni vecchia generazione pensava di quella nuova.

Ad ogni modo, il pirata cominciò a raccontargli una storia. Aveva a che fare con un capitano temibile, forse perfino più crudele dello stesso Avery, gli confidò. Riguardava un grande tesoro, e preannunciava duelli all’ultimo sangue. Ma questa in fondo, è un’altra storia.

 
  
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